Sandro Iovine: scrive l’editoriale del numero di settembre...»
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Massimo Tamiazzo: Di cosa parlerai questa volta?»
circa un minuto fa...
Sandro Iovine: della nostra conversazione di qualche giorno fa in chat...
2 secondi fa...
Quello riportato qui sopra è un esempio... in diretta di come i social network possano aver trasformato il rapporto tra chi lavora in una redazione e i suoi lettori. Prima di cominciare a scrivere questo editoriale avevo inserito come messaggio di stato sulla mia pagina personale, e su quella de IL FOTOGRAFO, la non certo esaltante notizia relativa al lavoro che mi apprestavo a svolgere in questa calda domenica di dopo ferragosto. L’idea originaria sulla quale si sarebbe dovuto sviluppare il pezzo, era proprio quella di raccontare una conversazione avuta in chat su Facebook con un lettore e, caso ha voluto, che proprio il mio interlocutore virtuale manifestasse il suo interesse per l’argomento. Avevo pensato a un attacco classico e un po’ scontato su come la tecnologia avesse trasformato il nostro lavoro per arrivare, poi, al nuovo rapporto con il lettore. Vista la coincidenza... in corso d’opera, ho però cancellato tutto e sono ripartito dallo scambio di messaggi avvenuto durante la stesura delle prime righe. Ma, appagata, con il preambolo che avete appena finito di leggere, l’incredulità del sottoscritto per la coincidenza, veniamo al dunque. Qualche giorno prima di ferragosto, mentre cercavo di eludere la scarsa voglia di lavorare, favorita subdolamente da quel bel caldo soffocante e umido che Milano riesce a elargire in estate, sono stato raggiunto in chat da un lettore con il quale si è avviata una conversazione abbastanza generica, dalla quale però a un certo punto è nato un interessante spunto di riflessione. Il buon Massimo, citato in apertura, infatti mi ha con molto garbo manifestato una sua critica nei confronti del giornale e in particolare dei recenti editoriali da me firmati. La loro lettura infatti a suo giudizio negli ultimi tempi sarebbe diventata più ostica rispetto al passato. Alla mia richiesta di spiegazioni su cosa esattamente intendesse, Massimo mi ha risposto che negli ultimi mesi si era trovato a dover rileggere più di una volta quello che avevo scritto per poterlo comprendere dopo una giornata di lavoro. In modo più o meno scherzoso ho replicato che lo consideravo una specie di complimento. Ovviamente non intendevo né sottovalutare né invertire i valori critici del suo giudizio e del suo pensiero,
cosa che spero di essere riuscito a chiarire nel corso della conversazione, ma non nascondo che ci siano davvero degli aspetti che mi gratificano in questa affermazione di Massimo. Proverò a spiegarmi prima di creare malintesi. Allora, so bene che il primo dovere di chi si prenda la briga di comunicare qualcosa pubblicamente, e non a consessi ristretti e/o dagli interessi specializzati, è quello di risultare comprensibile a tutti. Sono il primo a detestare chi si fa scudo dello strumento linguistico per affermare il proprio potere su chi lo ascolta e per questo cerco in genere di mantenere un registro comprensibile al maggior numero possibile di persone. Nello stesso tempo però ritengo che rendere comprensibile un discorso non implichi necessariamente privarlo di contenuti: di forme di annullamento intellettuale ne subiamo quotidianamente quantità letali e se ogni tanto facessimo fare anche un po’ di ginnastica ai nostri neuroni credo non ci
farebbe male. Se qualche volta le cose che scrivo, dovessero assolvere a questo compito, beh non mi dispiacerebbe davvero. Anche se fosse costretto a rileggere la pagina più di una volta o a rimandarne la lettura a momenti di maggior freschezza. Detto questo se fossero in molti a manifestare le stesse perplessità di Massimo, vorrà dire che andrò a risciacquare la lingua non nelle manzoniane acque dell’Arno, ma in quelle più vicine e corrosivamente inquinate del Lambro. Di fatto la conversazione con Massimo mi ha in ogni caso risvegliato riflessioni che si sono incrociate con altre già suggerite dai commenti in rete agli editoriali. Una è quella di constatare come la lettura per molti non sia fatta sulla base del testo, ma su quello che aprioristicamente si presuppone che l’estensore volesse dire, cosa spesso coincidente con il pensiero del lettore. A volte mi è capitato di vedere trasformare il senso di ciò che avevo scritto fino ad abbattere a livello zero quel minimo di speculazione che avevo tentato di trasmettere. Credo che questo sia il frutto da una parte della distrazione con cui affrontiamo la lettura, dall’altra dell’abitudine a non approfondire minimamente le nostre capacità di riflessione. Attitudine che si trasforma certamente in una lode a chi da oltre vent’anni lavora in modo indefesso per creare consumatori ed elettori inconsapevoli e arrendevoli, sfruttando soprattutto lo strumento televisivo. Al tempo stesso questa constatazione mi conferma della necessità che ognuno di noi faccia quanto in suo potere per ribilanciare la situazione. Ognuno di noi vuol dire tutti, compreso chi, come me, scrive per una rivista dedicata agli appassionati di fotografia e chi, come voi, la legge. Non credo, come non lo credevo da adolescente, di poter salvare il mondo, ma sono convinto che anche scattare una fotografi a per divertirsi possa diventare un esercizio di consapevolezza. Non credo che divertimento equivalga a girare l’interruttore del cervello su Off, come a molti fa comodo che accada. Dare sfogo alla propria passione può significare esercitare il proprio diritto di scelta, scoprire la consapevolezza di sé attraverso ciò che ci piace fare, imparare a manifestare la propria opinione su qualcosa e, prima ancora, imparare a farsi un’opinione e non a farsela fare.
Tutte cose che dovrebbero costituire il bagaglio esperienziale minimo di ognuno di noi, ma che invece non sempre mi capita di vedere esercitare, relegando (tanto per rimanere al nostro specifico) la fotografi a a una mera esibizione destinata a raccogliere il plauso di qualche amico reale o virtuale, perdendo di vista priorità ben più importanti. Per capire il senso di queste parole provate a guardare in modo critico gli interventi dei lettori sulla pagina di Facebook de IL FOTOGRAFO che per oltre il 98% non sono altro che la ricerca di una sterile esibizione del proprio lavoro in una pagina che in quanto molto frequentata, garantisce un po’ di visibilità in più. E a questo proposito consentitemi, prima di chiudere, di togliermi un sassolino dalla scarpa. Ad agosto abbiamo dichiarato il sostegno della rivista alla campagna di sensibilizzazione lanciata dal British Journal of Photography. Successivamente abbiamo chiesto, tramite la pagina Facebook e l’invio di oltre quattromila e-mail agli iscritti, di raccontare le esperienze in cui si sia subita una limitazione al proprio diritto di fotografare. Bene ci hanno risposto cinque persone a oggi. E di queste due o tre hanno espresso perplessità circa il fatto di occuparsi di avvenimenti accaduti in Gran Bretagna o sull’opportunità di preoccuparsi di certe sciocchezze. Pochi, davvero pochi sembrano aver compreso che in gioco non ci sono sciocchezze e tanto meno sciocchezze inglesi, mentre gli impliciti di certe azioni vanno ben oltre il diritto a fotografare ciò che si desidera... Anche per questo, Massimo, credo che fare un po’ di fatica per leggere l’editoriale de IL FOTOGRAFO e concedersi con meno fretta e maggiore consapevolezza, possa essere un primo, piccolo passo per iniziare la ricerca di una consapevolezza ogni giorno più necessaria e ogni giorno più lontana. Buona rilettura a tutti!
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18 commenti:
non rileggo.
mi chiedo perché debba tenere nel mio rss feed dedicato alla fotografia questa rubrica, se devo perdere tempo (prezioso) a leggere onanismi mentali.
philip
Un commento al limite dell'insulto, non c'è che dire, ognuno dimostra ciò che vale.
A me piace da sempre il versetto di Dante "che perder tempo a chi più sa più spiace" e lo applico quando ne sento la necessità, ma non ne faccio pubblica dichiarazione. Soprattutto la buona educazione mi suggerisce di prestare attenzione al significato delle parole ed ad usare i termini propriamente, per condividere un pensiero, per farne oggetto di crescita comune e non per additare presunte elucubrazioni di altri.
Quanto alle parole di Sandro, personalmente sono sulla stessa linea di pensiero e credo che il lettore citato abbia scambiato con lui un proprio stato d'animo in seguito alla lettura di parole che richiedono un momento di riflessione in più rispetto al semplice svago.
L'argomento affrontato nel post precedente oltretutto, che riguarda un fenomeno molto controverso, credo abbia la necessità di essere considerato alla luce di una preparazione specifica molto approfondita, in quanto si entra in territorio di norme e di legalità è molto delicato, quando si va a definire come agire bisogna tener conto molti fattori culturali che influiscono sull'applicazione delle norme.
Io però sono un fotografo e non un avvocato, dunque lungi da me l'avventurarmi in quella palude dialettica che genererebbe il solito loop che non sarebbe d'aiuto alcuno.
Cito infine le ultime parole del post "un primo, piccolo passo per iniziare la ricerca di una consapevolezza ogni giorno più necessaria e ogni giorno più lontana".
Credo che una delle fatiche maggiori in questo periodo sia il constatare una sempre maggiore assenza di consapevolezza. Anzi, è difficile capire cosa significa "consapevolezza", poiché riguarda l'interiorità di ognuno e molte volte mi chiedo perché intorno a me ci sia un'atmosfera che vedo come un grande "nulla", come ne "La storia infinita" vedo un grande nuvolone, il Nulla che avanza...
Probabilmente questo è IL MIO "onanismo mentale" (che definizione indelicata, bleah!), ma... ne sono consapevole.
Anche a me e' capitato spesso di non capire cosa volesse dire Iovine : non mi riferisco al costrutto del discorso, all'uso di termini difficili, alle citazioni dotte : spesso non capisco cosa voglia concludere, quale pensiero voglia esternare, quale sia il suo parere, e sopratutto quale concetto espresso nell'editoriale si aspetta che venga sviluppato. A parte il fatto, ma sicuramente e' la fretta di mettere giu' l'editoriale, che spesso le frasi dei suoi periodi sono lunghissimi e pochinopochino contorti, si' da rendere la lettura difficile : se rileggesse tante volte prima di mandare online e in stampa, certi concetti risulterebbero subito intellegibiili.
Certo,uno spunto di riflessione e' sempre il benvenuto, non importa entro certi limiti come la pensi lui bensi' appunto e' importante spremere le meningi e ragionare; ma proprio questo e' il punto,, tante volte in passato Iovine si e' lamentato del tipo di interventi sul blog, affermando che il suo intento era un altro.
Bene farebbe allora ad essere piu' conciso e preciso, e devo constatare che negli ultimi tempi il suo editoriale e' scritto meglio ( ma io , a mio personalissimo parere, toglierei di mezzo certe divagazioni non funzionali, come in questo caso per es. il riferimento al caldo, alla voglia di lavorare ecc. , ma... de gustibus...
Caro Direttore, se hai le idee chiare su quello che ci proponi come spunto di riflessione, e so che le hai sempre chiare perche' so chi sei, sii conciso : tanto chi vuole ragionare e scambiare idee non cerca discorsi arzigogolati e tantomeno dotti.
Un abbraccio sempre affettuoso.
Oratore
Mi permetto un commento che esula dal contenuto dell'articolo - che mi trova d'accordo - per soffermarmi solo ed esclusivamente sulla forma: ho difficoltà talvolta ad arrivare fino in fondo ad alcuni post di Sandro Iovine semplicemente perché... sono una muraglia di parole senza interlinee e con pochi a capo ;)
Solo una piccola puntualizzazione sul web writing - che ha le sue regole e i suoi trucchi particolari -insomma, un piccolo suggerimento che non richiede troppo tempo per rendere la lettura a video più scorrevole.
Ovviamente la difficoltà non si verifica con gli articoli che hanno subito l'appropriato editing sulla rivista, per la quale mi complimento:
spicca decisamente nel panorama delle pubblicazioni di settore!
Miriam
Ammetto pubblicamente di aver riletto.... ma per il piacere di farlo, non per motivi di comprendonio.
Sono del idea che indipendentemente da cosa si legga, bisogna sempre prestare il tempo neccessario per comprendere e per riflettere su ciò che leggiamo. D'altronde si sa, c'è chi preferisce "leggere" riviste scandalistiche che buon libri.
Sandro,
mi permetta però di dire che il suo editoriale sull'iniziativa "sono un fotografo, non un terrorista", l'ho trovato anch'io di difficile lettura, proprio per la struttura dei periodi.
Cordiali saluti
Giovanni Battisti
Quando frequentavo l’Accademia, mi insegnarono che per arrivare all’essenza delle cose dovevo analizzarle molto a lungo: disegnavo e ridisegnavo ciocche di capelli solo per capire come cadevano dalla nuca, fino a che i polsi mi dolevano, e le rielaboravo per ricreare qualcosa di nuovo; e la stessa cosa la facevo con pezzi di creta, carte appallottolate, tessuti, antichi disegni di Leonardo e Michelangelo. In questo modo ho imparato cosa significhi costruirsi una “consapevolezza”. Il pensiero, l’idea è qualcosa che nasce per evolversi, non per rimanere stagnante in una prima lettura superficiale, e se qualche volta può sembrare di difficile comprensione, credo sia di dovere comune quantomeno aspettare che il pensiero si sviluppi e venga approfondito: dall’estensore di un post, come dall’insieme di persone che leggeranno e rifletteranno. Credo che la “consapevolezza” non debba essere per forza qualcosa in cui tutti siamo d’accordo, purché ci si sforzi di ragionare con la propria testa, con tutte le responsabilità che questo comporta.
Malgrado la sua estrema chiarezza e concisione,una formula matematica resta una muta successione di segni per chiunqe difetti degli strumenti culturali per leggerla. Senza condivisione culturale del codice, anche la più cristallina chiarezza risulterà inintellegibile al destinatario del messaggio.
Tuttavia, è opinione largamente condivisa che concetti chiari alla mente di chi scrive, per quanto complessi e profondi, possano essere chiaramente espressi purché si spenda tempo e fatica ad operarne la sintesi. Quanto tempo e quanta fatica dipende poi dall'individuazione dei destinatari del messaggio.
Il registro utilizzato per una comunicazione accademica è certamente diverso da quello di un manuale tecnico, o di una lettera d'amore, o di un romanzo d'avventure.
Ogni registro, poi, ha le sue convenzioni, e certamente una prosa della quale le tortuosità oscure del Meandro sono facile metafora non appartiene al registro giornalistico, che predilige, al contrario, una piana e distesa paratassi.
Par di capire, tuttavia che a Lei, caro Iovine, le convenzioni vadano strette. Non per nulla la parte più gustosa del giornale da Lei diretto sono spesso le pagine nelle quali alcuni lettori si immolano al suo sarcasmo, e viene il dubbio che scelga le foto più ignobili, per liberare innocuamente la sua vena iraconda.
Ma prima di menar vanto intellettuale per le lamentele di lettori affaticati dalla sua ardua prosa, e di invitarli a rileggere e riflettere, se lo facesse Lei per primo, eviterebbe certe chicche (ad es. "entrambe le due nazioni" - editoriale di luglio) sicure figlie della fretta e dell'incuria, che sono come macchie di sugo sulla cravatta di seta, ed impregnano di banalità qualunque pensosa ed articolata argomentazione.
Avrà capito da quanto precede che la seguo con attenzione; è autorizzato a trarre da ciò legittima gratificazione. ;)
Interessante e ben scritto questo post. Il problema della comunicazione è ritornato alla ribalta col nuovo mezzo (e vizio di lettura) imposto dalla rete. Penso che ci si possa ricollegare alla riflessione di Baricco e i suoi barbari che saltellano tra cumuli di riferimenti e autoriferimenti che offre la rete perdendo l'abitudine alla lettura completa e attenta, per non scomodare l'aggettivo "profonda".
Il discorso si ricollega bene anche all'uso divertentemente inutile di Facebook, terreno fertile di scazzo e pubblicità (e quindi anche di autopromozione).
Confesso di non aver riletto mai e di aver saltato qualche riga per arrivare alla fine dell'editoriale...
Avrò i neuroni troppo allenati? :-)
La risciaquatura in acqua d'Arno... ahahah... per il Manzoni era in gioco la lingua futura del popolo italiano, speriamo che in gioco adesso non ci sia un pezzo fondamentale di cervello italiano :-D
Buon rientro a tutti!!!!!!!Che a Sandro si dica che sia contorto non è una novità!!!!Ma è contorto????Forse è solo colpa del caldo e del maledetto effetto Serra . In realtà io compro la rivista solo perchè "fà figo" averla su una mensola dello studio, quindi prendete con beneficio d'inventario quello che scrivo.Qualcuno ebbe modo di dire che una cosa (essa sia musica, oggetto di design o testo letterario)quando non c'è più nulla da togliere è perfetta.Io sono stupido l'intelligenza la lascio alle bombe americane, ma nessuno mi obbliga a leggere pallosi editoriali e magari a rileggerli,quindi non capisco chi si ostina a leggere e rileggere e poi perdere tempo a lamentarsi, perchè non fate altro? E poi dai Sandro, magari dovresti seguire il consiglio: "scrivi più elementare" tanto sappiamo che tu sei intelligente magari più delle bombe americane!
Ps se posso esporre un parere: a me va bene così, passa un mese tra una rivista e l'altra non saprei come far passare altrimenti il tempo.
Ps2 (che non è photoshop versione 2) spero non dia fastidio alla vostra lettura il fatto che non abbia usato spazi per dividere i periodi.
ciaoooooooo
un "problema" simile a quello manifestato dall'interlocutore di Sandro è stato più vole manifestato anche da "lettori" (concedetemi il virgolettato) di altre riviste o di altri blog.
Una risposta che sempre mi viene spontanea è che utilizzare la ricchezza della lingua italiana per meglio esprimere il proprio pensiero non significa trincerarsi dietro un paravento o, peggio, sopra un piedistallo, ma semplicemente mettere in pratica quello che sin dalla 1° elementare ci viene insegnato.
Si ribatte "ma io non posso leggere un articolo con il vocabolario vicino!". Perchè no? Perchè mai non dovrei allargare il mio orizzonte linguistico confrontandomi con i pensieri degli altri?
Nemmeno a farlo apposta, è di poche ore la notizia della scomparsa di Mike Bongiorno. Ricordo sin dall'avvento della tv in casa mia, da piccolo, la sua parlata ma crescendo mi sono reso conto di quanto bassa fosse la cultura che il suo modo di fare portava nelle case italiane. Non sapevo ancora che con gli anni le cose sarebbero molto peggiorate. Ecco, quello è il modo di esprimersi, concettualmente e formalmente, opposto a quello di Sandro e di centinaia di persone che ritengono fondamentale la conoscenza e la crescita personale, indipendentemente dal proprio ruolo nella società.
Vorrei esporre solo un paio di sensazioni-riflessioni scaturite dalla lettura tardiva dei commenti. La prima è che ancora una volta si sia discusso prevalentemente di forma mettendo in ombra i contenuti. Con questo non intendo certo contestare le osservazioni fatte, alcune corrette e di cui non mancherò di tener conto in futuro esprimendo in questo modo il mio ringraziamento implicito ai relativi autori.
Contrariamente a quanto molti sembrano supporre forse per inconscia proiezione non nutro velleità autoriali, nel senso non mi ritengo in grado e non cerco di fare letteratura. Il mio obiettivo sarebbe quello di esprimere spunti di riflessione su determinati argomenti e averne di ritorno dei commenti che facciano crescere contemporaneamente me stesso e chi ha la bontà e pazienza di leggermi. Mi sembra ovvio che la forma debba esser quanto più possibile chiara, del resto lo avevo già affermato nel post. Ma questo non significa che ci si debba lasciar andare a soluzioni eccessivamente semplicistiche. Crescere in qualunque settore costa fatica, sempre. Non conosco altre soluzioni e non credo a truffaldine e demagogiche derive politico-commerciali che propongono mondi perfetti in cui tutto si fa senza sforzo.
Quanto ai contenuti è stata lamentata l’assenza di conclusioni, se ho ben compreso. Il che corrisponde esattamente ai miei intenti. Ovvio che io abbia le mie idee sugli argomenti di cui scrivo, ma l’intento che cerco di perseguire non è di fornire soluzioni o dogmi. Semmai vorrei che quanto scrivo, nel suo essere infinitamente piccolo, fornisse stimoli al ragionamento di ognuno, lasciandolo libero di giungere alle conclusioni che più ritiene appropriate. In altre parole mi piacerebbe che da queste righe venisse semplicemente risvegliato in chi lo ha lasciato, più o meno passivamente, sopire, il desiderio di esercitare il proprio imprescindibile diritto al libero pensiero. Cosa che guardandomi intorno mi pare ogni istante che passa tragicamente sempre più necessaria. Almeno finché non riusciremo a svincolarci dalla schiavitù di un RSS feed.
Qualcuno ha detto di non capire spesso il fine ultimo degli editoriali di Iovine. A me non è mai capitato, forse perchè mi interrogo sullo stesso genere di problematiche che intaccano/attaccano la fotografia, dalle restrizioni fotografiche moderne in nome di una presuna privacy, all'etica che sottende uno scatto, al senso iconografico della fotografia.
Non biasimo chi si sente distante da questi temi, ma mi corrodo dentro perchè leggo in tutto questo una abnegazione dell'ontologia della fotografia.
Ma sappiamo davvero cos'è la fotografia? E' qualcosa che va molto, molto, molto al di là della definizione enciclopedica della Treccani, o di quelle frasi melense che siamo soliti scrivere tra di noi nei vari forum dei siti di fotografia cui siamo abbonati.
Non sarebbe male che insieme alla storia dell'arte si insegnasse, già nelle scuole medie, un'educazione visiva.
Ogni discussione che possa allargare le mie conoscenze sulla filosofia della fotografia (c'è la filosofia di tutto, anche della fotografia) dovrebbe essere il pane quotidiano di ogni appassionato che la fotografia ce l'ha dentro. Ma oggi l'accelerazione data dall'intero sistema digitale ha fatto trascendere tutto in un'abominevole paranoia del click senza cognizione di causa.
Esistono riviste con editoriali molto meno dotti, filosofici e prolissi...Acquistate quelle.
Io sento il bisogno di "ringraziarti", Sandro: Al di là della forma dei tuoi editoriali - cosa sempre rivedibile - per ciò che vi affronti. Fermarsi a riflettere su argomenti che vanno oltre il semmplice ambito della fotografia, e toccano da vicino la nostra vita ed i valori che la ispirano, è quasi un privilegio.
A parte questa introduzione credo che oggi sia necessario riappropriarci della consapevolezza di essere "capaci" attraverso la fatica e l'impegno quotidiani di "realizzare" i sogni e le visioni del nostro sentire. Credo che il nostro futuro dipenderà dalla capacità delle nuove generazioni di affrontare le vie difficili del vivere, senza fermarsi davanti al minimo ostacolo o davanti all'incapacità di "comprendere" tutto e subito. Chi ci ha "regalato" l'attuale libertà è stata gente che ha dovuto affrontare e superare una storia difficile, e proprio questa ha reso possibile la consapevolezza e la manifestazione di capacità e responsabilità non evidenti. Forse dovremo riimapare l'arte e la fatica di "ascoltare" e smetterla di metterci al centro di tutto volendo- da eterni bambini - solo che gli altri ci ascoltino.
Mario Migliarese
Evidentemente ci sono molti lettori che hanno ben poca dimestichezza con la lettura e che evidentemente non hanno mai letto niente di veramente "difficile".
Forse sono gli stessi che leggono e scrivono sui forum in giro per internet e che contribuiscono a uccidere sistematicamente la lingua italiana.
Lorenzo, sono... tragicamente d'accordo con te...
Vorrei fare un commento su forma e contenuto, che sula dalle idee espresse nell'articolo sulle quali si può essere più o meno d'accordo. Fin dal liceo, una meravigliosa insegnante di letteratura (e scrittrice) che ho avuto la fortuna di incontrare ha cercato di farmi capire che non esiste, o almeno non dovrebbe esistere, dicotomia tra forma e contenuto. La forma è lo strumento attraverso il quale le nostre idee e i nostri pensieri vengono veicolati al pubblico: una forma sbagliata, o non corretta, in qualche modo interferisce con la comunicazione. Penso che chi scrive rivolgendosi ad un pubblico, più o meno vasto, ha il dovere professionale di rispettare la forma (incluso l'uso fondamentale della punteggiatura), mantenendosi coerente al proprio stile, ovviamente, che può essere più o meno complesso, più o meno contorto (e qui invito alla riflessione sul fatto che essere semplici non vuol dire essere semplicistici, come essere complicati non vuol dire necessariamente essere eruditi). Non si dovrebbe prestare più attenzione ai contenuti prescindendo dalla forma, e viceversa, ma piuttosto cercare una sintesi efficace. Essere trasgressivi nella forma implica la conoscenza profonda dello strumento linguistico e bisogna farlo con grande consapevolezza e cognizione di causa (credo che chi scrive su una rivista visibile ha una funzione anche esemplare). Da profano della fotografia e da umile ignorante della materia, tenderei a pensare che lo stesso valga nel campo fotografico: la forma e i contenuti viaggiano di pari passo, ad esempio la composizione influisce sulla qualità comunicativa di uno stesso soggetto.
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