Mancano ancora venti minuti all'appuntamento. Qualche studente oltrepassa alla spicciolata il grande cancello dell'École Nationale Supérieure des Beaux-Arts in una Parigi tiepida e un po' grigia di inizio novembre. In alto sopra le sbarre campeggia il manifesto che annuncia la mostra Lashkars, milices civiles pachtounes face aux talibans, il lavoro con cui Massimo Berruti ha vinto il Prix Carmignac Gestion du Photojournalisme 2010. È lunedì mattina e la Chapelle des Petits-Augustin dove sono esposte le fotografie è chiusa. Verrà aperta solo per realizzare l'intervista. Di tanto in tanto qualche studente attraversa il piazzale per raggiungere le aule, trascinandosi dietro qualche ingombrante lavoro arrotolato sotto il braccio. Qualcuno si china all'ingresso a ritirare una copia gratuita di un quotidiano. Con almeno dieci minuti di anticipo ecco arrivare Eleonore Grau dell'ufficio stampa con cui è stata concordata l'intervista. Sorridente, vestita di scuro si mette immediatamente in moto e fa aprire la sala della mostra, scusandosi perché entreremo da un ingresso laterale. Oltrepassata la soglia sembra di entrare in un antico museo sette-ottocentesco. Sparsi, apparentemente a caso, nello spazio e sulle pareti statue e dipinti di ogni epoca circondano in un abbraccio ideale la mostra montata su pannelli viola che creano un percorso all'interno della sala. L'effetto d'insieme è straordinario, le foto perfettamente stampate e illuminate. Sembra davvero impossibile che espressioni visive tanto differenti e lontane nel tempo e nello spazio possano convivere tanto bene in uno stesso spazio. Mentre sto per concludere un primo giro di orientamento, una voce mi raggiunge alle spalle: «Ciao Sandro». È Massimo Berruti che arriva accompagnato da Eleonore. Iniziamo a chiacchierare per sciogliere un po' l'ambiente. Massimo parla con voce molto pacata, lentamente. Ha una voce piacevole e tranquillizzante, ma terribilmente bassa e io inizio a tremare prevedendo problemi audio a non finire, ma cerco di convincermi che riuscirò in qualche modo a fargli alzare il tono di voce.
Facciamo un giro insieme per concordare dove realizzare l'intervista e alla fine concludiamo di farla davanti all'ingresso della mostra. Davanti a una pazientissima, ma quasi certamente sbigottita Eleonore iniziamo con italianissima ed estemporanea creatività a spostare tavoli, sedie e pacchi di cataloghi per improvvisare il set. Non prima però di aver solennemente promesso di rimettere tutto a posto prima di andare via.
Dopo aver praticamente smontato mezza Cappella, sotto gli occhi sempre più preoccupati di Eleonore, possiamo cominciare.
«La voce Massimo... mi raccomando, alzala più che puoi!»
Dopo aver praticamente smontato mezza Cappella, sotto gli occhi sempre più preoccupati di Eleonore, possiamo cominciare.
«La voce Massimo... mi raccomando, alzala più che puoi!»
Un ringraziamento particolare a Vivien Ayroles e Eleonore Grau (Heymann, Renoult associées) per aver reso possibile questa intervista con grandissima professionalità e disponibilità.
LA MOSTRA
Lashkars, milices civiles pachtounes face aux talibans
(Prix Carmignac Gestion du Photojournalisme 2010)
di Massimo Berruti
fino al 3 dicembre 2011
École Nationale Supérieure des Beaux-Arts de Paris
Chapelle des Petits-Augustin
14 rue Bonaparte, 75006 Parigi
3 commenti:
Bravo Massimo, la chiave del tuo lavoro sta nella gran sete di informarsi e di comunicare con pacatezza e determinazione vicende altrimenti marginali. Un moderno cantastorie!
giancarlo rado
Condivido il commento di Giancarlo.
Queste foto, sostenute da un approfondito studio storico e antropologico della cultura locale, assurgono a documento.
Un documento a cui si attingerà negli anni.
La fotografia di reportage di altissima qualità con quella di Massimo ritengo si assuma le responsabilità
nel corso delgi anni di fermare nel nostro immaginario eventi che i mezzi di comunicazione di massa lasciano scivolare superficialmente.
Bravo Massimo.
Come sopra. Aggiungo che forse questa massa di informazioni ha bisogno di stabilizzarsi.
I mezzi di fruizione (es iPad) sono meno "maturi" di quello che crediamo.
La fotografia, tra il digitale e internet/social, sta vivendo in tutto e per tutto quello che la musica ha già passato da un po... c'è bisogno di tempo. Speriamo.
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