Il maestro Kikugawa una volta disse: «Judo è come onda di mare. Quando onda è in alto judo è bene, quando onda in basso judo male».
Ora in alto. Ora in basso. Come una barca nella tempesta, che segue il capriccio ondivago. Instabile. Impotente. La mente imprigionata in opacità lattiginose. Quante volte ti sei sentito così? Piccolo all’inverosimile in uno spazio di cui non puoi nemmeno definire i confini. Nebbia fuori. Dentro. Nei pensieri che credi limpidi. In alto. In basso. La vita attraversata come un mistero. Tra banchi di nebbia e schiarite. Eri piccolo la prima volta che sei entrato in quell’aria di latte. Ricordi la disperazione per esserti perso? Ricordi quanto hai corso per uscire? Urlato perché venissero a prenderti? Ma per quanto corressi o gridassi non riuscivi a uscire. Il grigiore umido fin dentro i polmoni. Gli alveoli soffocati. Non potevi più nemmeno chiedere aiuto. Persa in una nube, l’anima finiva per prenderne il colore e la consistenza.
Poi all’improvviso i contorni del mondo tornavano a definirsi. Nel petto l’aria si asciugava. Nella mente i pensieri tornavano limpidi. E ti trovavi un po’ più grande.
Il maestro Kikugawa aggiunse: «Quando judo male, allora bisogna fare kata. Quando judo peggiora, studia bene e judo torna su cresta di onda. Ma ogni volta onda è un po’ più alta».
Eh già ogni volta che uscivi dalla nebbia vedevi le cose un po’ più chiaramente. Trasformato, sentivi che il terrore che ti aveva immobilizzato di fronte al cambiamento non era stato inutile. Essere in cima all’onda era piacevole. Ma non è mai durato a lungo. Presto sentivi iniziare la fase discendente. I contorni del mondo sempre meno definiti. Di nuovo. E di nuovo ti trovavi a non sapere dove eri. Ancora terrore. Ma ormai sapevi che era possibile uscire. Anche se non sapevi come. Non sapevi quando. Ma la nebbia finiva per scomparire. Prima o poi. E tornavi ad affrontare un mondo nitido, aspro, privo di quelle sfumature che ammorbidiscono tutti i contorni e proteggono. E poi di nuovo nebbia davanti a te. Sapevi che in qualche modo ne saresti riuscito ancora. Ma non avevi voglia di ritrovarti un’altra volta immerso nell’inconsapevolezza. Ma l’onda era implacabile. Di nuovo dentro. E poi ancora fuori. Dentro. Fuori. Dentro. Fuori. E ti sei ritrovato adulto.
Il maestro Kikugawa concluse: «Vita è come judo. Normale questo».
Ora in alto. Ora in basso. Come una barca nella tempesta, che segue il capriccio ondivago. Instabile. Impotente. La mente imprigionata in opacità lattiginose. Quante volte ti sei sentito così? Piccolo all’inverosimile in uno spazio di cui non puoi nemmeno definire i confini. Nebbia fuori. Dentro. Nei pensieri che credi limpidi. In alto. In basso. La vita attraversata come un mistero. Tra banchi di nebbia e schiarite. Eri piccolo la prima volta che sei entrato in quell’aria di latte. Ricordi la disperazione per esserti perso? Ricordi quanto hai corso per uscire? Urlato perché venissero a prenderti? Ma per quanto corressi o gridassi non riuscivi a uscire. Il grigiore umido fin dentro i polmoni. Gli alveoli soffocati. Non potevi più nemmeno chiedere aiuto. Persa in una nube, l’anima finiva per prenderne il colore e la consistenza.
Poi all’improvviso i contorni del mondo tornavano a definirsi. Nel petto l’aria si asciugava. Nella mente i pensieri tornavano limpidi. E ti trovavi un po’ più grande.
Il maestro Kikugawa aggiunse: «Quando judo male, allora bisogna fare kata. Quando judo peggiora, studia bene e judo torna su cresta di onda. Ma ogni volta onda è un po’ più alta».
Eh già ogni volta che uscivi dalla nebbia vedevi le cose un po’ più chiaramente. Trasformato, sentivi che il terrore che ti aveva immobilizzato di fronte al cambiamento non era stato inutile. Essere in cima all’onda era piacevole. Ma non è mai durato a lungo. Presto sentivi iniziare la fase discendente. I contorni del mondo sempre meno definiti. Di nuovo. E di nuovo ti trovavi a non sapere dove eri. Ancora terrore. Ma ormai sapevi che era possibile uscire. Anche se non sapevi come. Non sapevi quando. Ma la nebbia finiva per scomparire. Prima o poi. E tornavi ad affrontare un mondo nitido, aspro, privo di quelle sfumature che ammorbidiscono tutti i contorni e proteggono. E poi di nuovo nebbia davanti a te. Sapevi che in qualche modo ne saresti riuscito ancora. Ma non avevi voglia di ritrovarti un’altra volta immerso nell’inconsapevolezza. Ma l’onda era implacabile. Di nuovo dentro. E poi ancora fuori. Dentro. Fuori. Dentro. Fuori. E ti sei ritrovato adulto.
Il maestro Kikugawa concluse: «Vita è come judo. Normale questo».
Sandro Iovine
dalla presentazione della mostra Dentro la nebbia di Bruno Taddei
dalla presentazione della mostra Dentro la nebbia di Bruno Taddei
Dentro la nebbia © Bruno Taddei.
Paesaggio: 7 modi di interpretarlo
7-21 febbraio 2008
Dentro la nebbia
foto di Bruno Taddei
Verso il mare
foto di Danilo Carriglio
Villa Pomini, via Don L. Testori, 14 Castellanza VA
Sabato ore 15-19 - domenica 10-12 e 15-19
Giovedì 7 febbraio ore 21,00 incontro con gli autori
Organizzazione a cura di Click Art's
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22 commenti:
Onda dopo onda la Vita è così.
Anche la fotografia, nel corso della mia Vita, ha seguito il flusso e riflusso delle onde.
Chissà come lo direbbe il Maestro Kikugawa "quando onda in alto foto è bene, quando onda in basso foto è male". Già, però ogni volta che si cavalca l'onda successiva che ti porta in alto "ogni volta foto è un po' più alta"!
Il bello della Vita è proprio questo, il susseguirsi di instabilità che portano alla crescita. Ovvio, sempre che se ne sappia apprezzare il significato e che non manchi la buona volontà.
Certo, ogni volta che l'onda va in basso ci si lascia anche prendere dallo sconforto, poi si passa un periodo basso basso. L'importante è credere nella speranza del rialzo dell'onda e prenderne l'energia per riemergere rinnovati, lo disse il Sommo Poeta "rinovellati di novella fronda".
La citazione poetica, mi sia concesso, cerco di non perderla mai; nel passato una scuola di stampo antico mi ha fatto studiare a memoria la Divina Commedia. Che fatica e che sconforto! Ma a che serve? Così mi chiedevo allora. Oggi invece, col senno di poi, ringrazio il docente che mi ha dato l'opportunità di mantenere una memoria allenata e sempre pronta a registrare tutte le sfumature della Vita. Basta guardare come Benigni sia riuscito oggi a presentare il Poema con un'energia nuova. Che meraviglia!
Ecco, oggi mi sento così, l'onda sta crescendo. Stamani pioveva, nel primo pomeriggio la pioggia si è trasformata in neve ed ora c'è un cielo stellato che toglie il fiato.
Ora vado a dormire e sono certo che riposerò meglio, sfruttando l'energia dell'onda che cresce per un domani più sereno.
'notte
Marco
Si usciva a notte. Già dalla strada si potevano controllare le condizioni del mare. Nebbia no, sul mare non c'è nebbia, se ci fosse correresti a segnarlo sul calendario come l'avvenimento dell'anno. La barca ci aspettava in porto, tranquilla e pronta a partire. Tutti nel porto sapevano chi ero..l'Ombra, il mare no, non doveva sapere che ero una donna, e neppure i totani e i calamari. Infagottata nella mia tuta gialla impermeabile, un cappellaccio in testa, cavalcioni a prua, gambe penzoloni ai lati, si partiva. L'acqua calma del porto ci accompagnava fino al giro del molo e poi era pura eccitazione. Le onde sbatacchiavano rumorose contro la piccola imbarcazione ed io , zuppa nonostante la cerata gialla, felice e aggrappata ai sostegni. Il fido timoniere sapeva il mare, non sbagliava..saremmo finiti capovolti in acqua e sulla scogliera. Il mare in burrasca si affronta di petto,come le difficoltà della vita, guai ad aver paura! L'onda, poi la cresta, il fuoribordo fuori dall'acqua non spingeva più ed io, a prua, sospesa nel vuoto. Davanti e sotto la voragine dell'onda, una meraviglia! Si scendeva veloci, in silenzio e subito l'altra onda, l'altra cresta. Bravo il timoniere!Poi ancora e ancora e ancora..finalmente al largo e soprattutto lontani dagli scogli. Neppure sulle canoe del Prater mi ero diverita tanto e inzuppata altrettanto.
Al ritorno a notte fonda, dopo la pesca, le stesse onde ci riportavano, quasi con delicatezza e veloci, nel grembo sicuro del porto.
Ogni volta sempre più inebriante.
Così è la vita, così è la mia vita,ogni prova mi ha lasciata più forte e più sicura. Gli altri li chiamo bioritmi, se scendono non possono far altro che risalire prima o poi. Io li aspetto.
gabri
bellissimo racconto, perche' oltre alla scelta delle parole e alla loro concatenazione, e' un racconto per immagini, quelle tue che ti scorrono davanti mentre scrivi,- e si capisce benissimo - e quelle di chi legge, specie se ha esperienzwe simili o sovrapponibili, grazie al ricordo che le parole evocano.
La potenza delle parole sta nel saper generare immagini, che rimangono nella testa anche dopo l'ultima eco dell'ultima parola letta o ascoltata. Come in fotografia.
Queste immagini evocate e trasmesse dall'autore ( di un testo o di fotografie) possono essere la cresta di un'onda, nel mare e nell'orgia delle immagini insulse. Poi e' inevitabile a quanto pare che il mare ci sbatta giu' nel Maelstrom di immagini insulse.
Io mo chiedo pero' cosa ne penserebbe sensei Kikugava di questo accostamento tra il suo dire sapiente e queste immagini in mostra, perche' il paragone tra la nebbia in biancoenero e i momenti difficili della vita io in queste foto non ce lo vedo, cosi' come non afferro dove siano i 7 modi di interpretarlo (oltre che nel riferimento aulico al pensiero del maestro).
@ oratore: sono le prime due mostre di una rassegna sul Paesaggio. Ecco l'agenda del sito di Click Arts...
Un tempo lessi che nella cultura giapponese l’acqua e l’aria vengono percepite dello stesso materiale: nella pittura, le linee ondulate trascinano gli elementi in uno spazio etereo e impalpabile, mentre nel giardino Zen le pietre vengono percepite sia come terra in mezzo al mare, che come monti in mezzo alla nebbia. Molte delle immagini che ho visto in questo articolo mi hanno riportato alla mente il Silenzio perfetto là dove lo sguardo si perde, e un unico elemento (che in questo caso intendo per forma, non per numero) immobile a scandire lo spazio, anche nel movimento; sono immagini che mi riportano alla plasmabilità dello spazio etereo o materiale di cui facciamo parte: ogni forma si fonde nell’altra, e il gesto, l’azione non è che l’Ombra di un istante fermato.
Nella nebbia ci sono nata e cresciuta. È come avere di fronte un muro. Non da sensazioni palpabili, ma respirandola senti l’umido che entra nelle narici. Esercita su di te una forza che è diversa da quella dell’onda: quest’ultima ti trascina, la nebbia ti impedisce di vedere, quindi ti blocca; l’onda agisce con una forza fisica, quindi è domabile, mentre la nebbia con una forza psicologica, quindi devi procedere cautamente. Da bambina un’onda quasi mi annegò su una spiaggia. Capisco cosa significhi stare in basso all’onda nello sforzo di tirarti su.
Ho trovato coraggiosa la scelta di accostare a queste immagini un significato legato all’impalpabilità degli elementi, con un riferimento a un estratto di vita personale, simbolo di unione di pensiero tra natura, disciplina, esperienza e visibile.
È abbastanza difficile dire qualcosa sulle foto di Bruno Taddei.
Perché suscitano silenzio, quindi pare davvero un controsenso scriver loro sopra, e perché sono loro a dirci qualcosa, a rilasciare qualcosa dentro i nostri occhi e da lì più profondamente in noi, al punto che quando usciamo dalla sala con le sue foto esposte, dopo poco ci ritroviamo sui nostri passi per tornare a vederle. Come emanassero un silenzio di una tonalità che ci attrae.
Bruno guarda dritto le cose, le scene che lo toccano, senza maschere, senza retorica, senza giustificazioni, e continua a farlo finché trova la storia che lo stava attraendo e attraversando - come un rabdomante. Poi ce la racconta. E improvvisamente da sua diventa così umana da appartenerci, inevitabilmente.
Ho l'assurda pretesa di capire, almeno in parte, Bruno e ho la certezza di amare questo lavoro, lui sa quanto. La nebbia accentua la nostra percezione, per assurdo che possa sembrare, ci obbliga a prestare attenzione, ci obbliga a guardare davvero, ad aprire gli occhi. Non posso non amare la nebbia, ci sono cresciuto dentro, e non posso non amare foto che tanto bene l'hanno investigata.
BigG
Caro Sandro,
continuo a visitare le pagine del tuo blog con l'intento di scrivere un pensiero hai commenti che ho letto, ma la bellezza delle parole che precedono queste righe è tale da farmi desistere ogni volta dal farlo. Mi sorprendo mi emoziono e stupisco. Tu conosci le mie paure, i ripensamenti, le incertezze di esporre in pubblico un racconto che parli delle mie difficoltà, dei miei timori. Tutto ciò fa si che ogni volta sia faticoso presentare sè stessi agli altri. Ma pensieri come quelli che ho letto rimarranno in me anche quando scenderà una fitta nebbia silenziosa o quando l'onda si farà grossa e minacciosa un'altra volta. Sono, o meglio, cerco di essere quello che le mie difese mi permettono di essere, e se quello che vedo in me è tristezza, dubbio, incertezza... al diavolo i timori, provo a farli vedere, provo ad affrontarli. La cosa che oggi porterò con me è che non importa quanto tu sia schiacciato dall'onda o disperso nella nebbia. Se lo permetti, intorno a te ci sono persone che sanno ascoltare.
Con stima
Bruno Taddei
Ha ragione Oratore quando rileva che le immagini scorrono sotto i miei occhi mentre le descrivo, sono foto mai scattate e immagini della mente, frutto di una consolidata esperienza in mare,ora finita. Forse per me la memoria funziona così, solo se agganciata ad immagini. Peraltro ho archiviato una sig.ra Cleopatra davanti ad un gentiluomo che sprizzava cuoricini da tutti i pori e al fianco una moglie comprensiva con in mano la miniatura di Cleo su un segnalibro. Sono in buona compagnia, a quanto pare, per le foto mai scattate! ;-)
Ed ora chiamo in causa Bruno e mi riallaccio a Big: anch'io sono nata nella pianura padana dove la nebbia era nebbione e non solo muro, ma cappa impenetrabile. Camminavo per strada, per andare a scuola ed ero in città, tranquilla solo in compagnia della mia lupa di allora, Dora, con funzioni di guardia del corpo. Il silenzio ci avvolgeva e tutti i rumori giungevano attutiti, ma quanta umidità!
La mamma, che credeva nel potere taumaturgico del cambiamento d'aria, ci mandava con una zia in "villeggiatura" come si diceva allora, a Cannero, a Cannobio e poi a Oggiogno. Ed ecco Taddei che fotografa per me il Lago Maggiore (?) con le bellissime Isole Borromee, i lungolaghi, l'atmosfera sospesa e svelata tra la nebbiolina e lì, che si vede appena, la barca caratteristica del lago. Cosa voglio di più dalla vita? Ringraziare tanto Bruno e aggiungo un ringraziamento molto sentito anche per un altro gruppo di foto, quelle del laboratorio. Sono andata a ripescare IL FOTOGRAFO di tanto tempo fa ed ho riletto il momento in cui Sandro entra in laboratorio tamburellando con le nocche... e non vado oltre perchè sono commossa. Non ci vuole molto coraggio per esporre foto così belle, aspettiamo le altre. Per tutto!Bravo!
gabri
ntervengo ancora non perche' ce l'abbia con Taddei, ma perche' mi piacerebbe un'identita' lessicale oltre che di approccio nella valutazione delle fotografie, da chiunque scattate. Non devo non posso e non voglio dare voti a nessuno, sia chiaro.
Il discorso e' questo : c'e' la canzone Sara di Venditti che e' stata una delle colonne sonore mie, in quanto negli anni in cui usci' e si sentiva tutto il giorno alla radio ( '77-'78 ) cominciava la mia vita lavorativa, fuori di casa, solo, con grandi responsabilita' e una vita completamente diversa davanti. inoltre era legata a persone fatti e cose di quell'epoca. ma la mia storia di allora non coincide con la storia raccontata dal testo della canzone. Si tratta di un'identita' emozionale creatasi sulle note e sul ritmo oltre che sul timbro di voce malinconico e sognante dell'autore-cantante.
Allo stesso modo una sequenza fotografica puo' evocare ricordi e sensazioni, come nel caso della simpatica gabri, (che deve essere una persona eccezionalmente completa come poche al giorno d'oggi), sull'omda di una identita' materiale tra immagini sulla carta (le stampe fotografiche, le fotografie ) e immagini interne, della sfera emotiva personale. -e sostengo io per primo, come altre volte scritto, che non e' necessario che le emozioni del fotografo debbano per forza coincidere con quelle di chi fruisce delle immagini-
La storia raccontata da queste foto nella nebbia pero'...qual'e'? non e' evidente per niente che si tratti di una storia di alti e bassi come raccontato da Iovine, e mi pare confermato dallo stesso autore Taddei : nella sequenza presente sul sito di Taddei vedo queste immagini di nebbia seguite da immagini riprese in stagione piu' calda, con ragazzi che si tuffano allegramente, poi la sequenza ricomincia all'infinito. L'ho guardata piu' volte, ma non riesco a capire l'analogia tra l'alternanza di paesaggi invernali con quelli estivi. Non sento qual'e' la storia che l'autore vuole raccontare, come dice sempre Iovine: che cosa vuole raccontarci?
vedo immagini di nebbia, qualche presenza umana slegata dalla sensazione di trovarsi persi nella nebbia, presenza umana casuale, come casuale e' la presenza in cielo e in acqua di uccelli. E' una serie di cartoline che ci fanno vedere un paesaggio in inverno e poi in estate? Forse quelle presenza umane, di passaggio e quasi estranee all'ambiente nebbioso, vogliono stare in contrapposizione con l'allegria dei ragazzi in estate? E' questa la storia raccontata?
Oltre la bellezza oggettiva dei paesaggi nella nebbia, alla bellezza del bianconero, io vedo quelle che furono definite "fotografie che aspettano", non fotografie che si fanno aspettare : Mi sovviene quello slogan della Kodak, che faceva differenza tra la foto di un bel bambino e una bella foto di un bambino. Queste sono foto di un bel paesaggio, fermo li' ogni giorno nel periodo delle nebbie, come qui in Sicilia ogni giorno primaverile ed estivo c'e' un paesaggio splendente di sole che aspetta che milioni di giapponesini scattino miliardi di fotografie allo stesso panorama.
Il paesaggio nebbioso e fotogenico e' li', la situazione di ombra scoperta arricchisce la gamma dei grigi, il contrasto e la nitidezza, qualche albero spoglio, scheletrito e triste c'e', voila' scattare e via.
Mi piacerebbe, uscendo dai limitati e personali confini di una memoria riaffiorata vedendo la riproduzione di un paesaggio, capire cosa mi sfugge di questa interpretazione del paesaggio, e perche' secondo Iovine rappresenta una metafora della vita con i suoi alti e bassi, e non una fisiologica alternanza stagionale e climatica.
Non e' domanda retorica ne' polemica, vorrei capire.
oratore
prova a guardare il bambino che entra ed esce dalla nebbia.
la stagione rappresentata è la vita.
nb
mi correggano Bruno o Sandro se sbaglio.
allora anche i campi famigerati di girasoli sono espressione di vita, in se' e in chi li ammira e li fotografa, quando sono belli colorati e riempiono compositivamente il fotogramma ottico e quello mentale. Anch'io li fotografo quando ne incontro nelle condizioni giuste di luce e quindi di colore ( intendendo per colore anche i contrasti in b/n. e fotografo pure tutti i bei tramonti che il mio mare ci regala, ma quelle cartoline non le faccio vedere a nessuno, sono solo un documento della natura nelle espressioni piu' belle secondo la comune estetica della visione passiva.
sara'...
Capisco la perplessità di Oratore e vorrei staccarmi da quanto ho scritti in precedenza e guardare queste foto in maniera oggettiva, senza sentimentalismi e "dimenticandomi" Bruno. Ammetto di non aver visto la mostra e quindi posso basarmi solo sul video che credo sia la selezione e la sequenza esposta. Io non credo che questo lavoro sia un reportage, quanto meno nel senso classico del termine, ritengo che rappresenti un'attrazione dell'autore verso un elemento, la nebbia, che lo attrae e lo destabilizza nel medesimo tempo. A questo punto ha indagato, dentro sé e dentro l'elemento in cerca della risposta a questi due impulsi. La sequenza, e in questo caso è questa che devi guardare Oratore e non quella sul sito di Bruno visto che lo scritto di Iovine si basa su questa sequenza e non altre, ha una sua ciclicità (chissà se si può dire) e, nello stesso tempo, un suo scorrere, c'è (visibile) un continuo entrare e uscire dalla nebbia (e da quello che rappresenta) ma anche un continuo entrare e uscire di persone e linee, si parte centrali poi da sinistra poi da destra, ancora centrali. Inoltre c'è anche una serie di simboli che si alternano, forte il pesce in decomposizione seguito dall'uccello che si stacca da terra. Per finire, non sono del tutto d'accordo con Iovine, con quello che ha scritto, non potrei visto che ho un vissuto diverso dal suo, ma l'onda che sale e scend la vedo.
Spero di aver dato un'idea chiara ad Oratore restando comunque pronto ad essere smentito e sbugiardato ;-)
I miei omaggi
BigG
sono invece contentissimo della tua interpretazione, espressa tra l'altro in maniera sentita, sintetica e chiara. proprio perche' ritengo come spesso dico che ogni individuo ha una maniera personale di sentire, e la fotografia non e' e non deve essere un dogma.
Mai nessuno potrebbe permettersi di smentirti allora, quella che e' una visione ed elaborazione in buona fede delle immagini altrui e' sacrosanta.
C'e' da dire secondo me che il solito motion, ormai dilagante e che tutti impiantano sui siti come pecoroni, non e' la stessa cosa rispetto al godersi una bella mostra fotografica dal vivo. Si puo' travisare specie per chi non e' particolarmente lucido e obiettivo sempre come Iovine, che e' allenato al riguardo oltre tutto, per sana curiosita' ed onesta' intellettuale prima di tutto e poi per mestiere.
Ma io, pur arricchendomi dei contributi come il tuo, Bigg, continuo a non condividere il discorso sulle nebbie, fermo restando che il discorso non e' polemico su Taddei perche' qui e' in gioco la fotografia.
Sono andato subito a rivedermi sia il motion della mostra, sia la sequenza sul sito di Taddei alla voce paesaggi. Certo ognuno con le foto sue ci combina sul proprio sito quello che vuole, ma mi chiedo perche' la sequenza relativa alla mostra sia diversa da quella sul sito. Non e' importantissimo, perche' poi ognuno puo' riunire alcune sue immagini tratte da un contesto o piu' contesti differenti e costruire un suo discorso, sono d'accordo, la valutazione anche sulle proprie immagini segue dei ritmi che procedono, mutano, si arricchiscono o si inaridiscono con il tempo, l'esperienza di vita ecc.
Ma...mi viene il dubbio che il curatore della mostra abbia selezionato tra piu' immagini, ed abbia creato lui il lavoro, e quindi la sequenza. In altri termini piu' chiari, mi pare che sia stato Iovine a costruire con le immagini di Taddei una sequenza con un significato che lui Iovine voleva esprimere, donde il sensei, l'onda, il bambino che entra e esce ecc.
Scandalo! Iovine che plagia Taddei?
Se ingSalvati tace, di qualcosa dobbiamo pur spettegolare!
Lo scandalo muore in fretta caro Oratore, sono abbastanza certo dell'intervento del Divino Iovine nella selezione e nella sequenza del lavoro di Bruno, sono altresì certo, conoscendo il Divino e il Taddei, che quest'ultimo sia stato al suo fianco con tutte le sue idee e abbia censurato le scappatelle troppo personalizzanti del Divino. Per quanto riguarda la scelta delle foto da esporre sono altresì certo che a qualsiasi fotografo sia capitato di estrapolare da un solo lavoro molte storie diverse a volte addirittura contrastanti. Sono anche sicuro che a distanza di tempo molti fotografi farebbero una selezione diversa delle foto dello stesso lavoro già esposto perché si cambia, ci si evolve (anche se il caso Salvati sembra negare questa possibilità).
;-)
Come sempre in buona fede
BigG
lettera a Taddei.
caro Taddei, sebbene nulla conti il mio parere, mi piace il tuo lavoro .
Ho continuato a rivedere ogni giorno le tue foto, perche' indubbiamente c'era da subito un quid che mi stimolava e mi andava convincendo via via.
E' stata fuorviante la comparazione, anzi contrapposizione, tra la sequenza di foto sul post, quella che a quanto pare e' in mostra, e le immagini che tu racchiudi sul tuo sito sotto il titolo paesaggi.
E mi convince anche questo titolo, perche' come notai nel commento ad un post passato, in cui si parlava di una collettiva sul paesaggio, e in cui qualcuno criticava il fatto che uno degli autori avesse presentato non vedute, ma foto di persone, dico, come rilevavo quella volta, per paesaggio non si puo' solo intendere il tramontino o la piazza alla Basilico, ma anche gli esseri umani che popolano un paesaggio e ne diventano parte integrante.
E in questi tuoi paesaggi c'e una folla di personaggi, e c'e' il tuo sentire dentro il paesaggio.
Nelle foto in mostra secondo me c'e' troppa semiotica, troppi segni e simboli, indici e rimandi che travisano secondo me il tuo sentire iniziale .
Sempre parlando del tuo lavoro originale, le foto sul tuo sito, io darei una ripulitina, toglierei il ridondante, sintetizzerei un po', in una parola una selezione rigida. Io l'ho fatto mentalmente questa selezione, e il discorso fila, suona, e dimenticando la sequenza della mostra raccolgo le tracce che ti hanno portato a concepire questo tuo paesaggio con tutto quello che tu ci vedi. E anche portando la riflessione alla sfera personale, si riconosce la propria onda.
Ma nel bambino che entra e esce dalla nebbia, vedo solo accademia da bieco romanticismo germanico.
Ok beddu, ciao.
Mi sento nuovamente chiamato in causa, ma questa volta un'irresistibile “ok beddu, ciao” non mi lascia scampo... sopratutto per il “beddu”.
Ho “ascoltato” quanto è stato scritto e come prima cosa, vorrei ringraziare le persone che hanno dedicato parte del loro tempo alla visione delle immagini che hanno dato origine alle diverse riflessioni.
Come giustamente detto da BiggG, la selezione delle immagini è stata effettuata da Sandro Iovine.
Per lungo tempo, ho spiegato al Divino quali sono state le motivazioni che mi hanno spinto a raccontarmi in questo modo.La prima selezione, composta da una cinquantina di immagini, è stata fatta da me.Sulla base di questa selezione e dopo aver sentito tutto quello che c'era da sentire, Sandro ha operato la scelta in base alla narrazione che avevo esposto, prestando attenzione a ritmo, entrate, uscite, ecc. ecc.
Le 24 immagini non selezionate erano molto omogenee con quelle esposte. Fattori di costruzione dell'impalcatura della mostra (una poggiava più a destra, l'altra a sinistra) hanno determinato la sequenza finale che ho condiviso pienamente.
La scelta "incriminata” del bambino che entra e che esce dalla nebbia, quella mi ha convinto dal primo momento e molto. La trovo una chiave che lega i vari passaggi (parere personale).
Il testo, in alcuni punti toccante, è anche in mostra e ho scelto che fosse la "prima foto" delle 27 in esposizione e, dal mio punto di vista, è quanto di meglio rappresenti le cose che ho raccontato a Sandro. Ho fatto altre due mostre con Iovine. Ho sempre trovato in lui una grande, rispettosa, capacità di ascolto e nelle parole che hanno accompagnato le altre mostre fatte insieme, mi sono sempre totalmente riconosciuto e identificato. Per quanto riguarda l'aspetto legato al sito, sezione paesaggi, sono totalmente d'accordo con te Oratore quando mi suggerisci di fare una selezione rigorosa di quelle immagini; è una cosa che avrei dovuto fare da tempo come già sollecitato da Sandro.
Ok 'mpari, ciao.
Bruno Taddei
ciao Taddei, ti auguro buona luce per i tui prossimi scatti.
Domattina appena spunta il sole salutero' la Sicilia per te.
eugenio sinatra
il timing dello slideshow é nauseabondo: un peccato per le immagini. che motivo c'é di farlo cosí veloce, dico io! senso del ritmo, please, immagina una band dove un musicista suona per conto proprio senza il minimo ascolto del gruppo ...boh!
Cara Dana, qua mi sento un pò chiamato in causa e mi permetto di controbattere a quanto dici... Non dico che il video sia buono, Blogspot non lo permette e lo sto vivendo sulla mia pelle... Di sicuro è anche molto veloce ma il Divino Iovine (ormai questo è il suo nome) credo lo abbia caricato solo allo scopo di far vedere (o intravedere) ciò di cui si stava parlando. Per quanto riguarda la tua metafora musicale mi pare davvero poco calzante direi più che altro che si tratta di "O Sole Mio" cantanto da una band hardcore, non capisco dove sia lo scollamento che tu senti (soprattutto considerando che non c'è audio e quindi non capisco a cosa dovrebbero essere sincronzzate le foto).
Sempre con rispetto
BigG
Lo scorrimento delle immagini sul blog fa pena, si interrompe, poi corre ecc.
Per vedere l'esatta sequenza andate sul sito dell'autore Taddei che ha tolto le immagini di prima e ha messo ( bene) quelle della mostra, cosi' come si dovrebbero vedere qui. Tra parentesi : a dimostrazione che il suo lavoro secondo lui era una cosa, la mostra ne evidenzia un altro. Adesso e' stata rimossa la prova del plagio.
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