venerdì 27 luglio 2007

IRAQ: intervista con Francesco Zizola

Come promesso su IL FOTOGRAFO ecco un primo esperimento di intervista video con un fotografo in occasione della pubblicazione delle sue immagini nella cover story di agosto. Si tratta in assoluto del primissimo esperimento di ripresa e montaggio, in questo senso quindi inevitabilmente gli errori sono tanti e a vari livellli: siate clementi nel giudizio... in ogni caso commenti e consigli sono sempre ben accetti.









www.zizola.com
Intervista a Francesco Zizola - IL FOTOGRAFO dicembre 2005
Intervista con Francesco Zizola Sguardi on-line


L'occhio sensibile - 21 novembre 2006
Tsunami invisibile - 16 febbraio 2006





IRAQ di Francesco Zizola, introduzione di Pietro Veronese, EGA Editore; 96 pagine, 21x27cm, € 26,00.
EGA Editore, Corso Trapani 95, 10141 Torino
Tel. 011-3859500, fax 011-389881
www.egalibri.it





36 commenti:

MISTYLE ha detto...

si decisamente un grande e ottima intervista.

(per il montaggio mmm...non so riprendendo spunti da quello che mi hanno insegnato i titoli di testa sono un po pacchianucci, no?effettacci. :-))


ciao a presto

aldo ha detto...

molto bella, grazie.

Anonimo ha detto...

Grazie.
interessante la riflessione sulla validità storica della fotografia.

fa venir voglia di fare questo mestiere.

Anonimo ha detto...

Grazie mille, stupenda opportunità per conoscere un grande Uomo !
Conoscevo Zizola "solo" attraverso le sue foto, dargli un volto e capire che tutta l'umanità che c'è nelle foto viene espressa anche dal suo viso è stato stupendo.
In accordo totale con lui per ciò che riguarda la macchina della guerra e la potenza americana ...
Stupendo che lui si sia potuto mettere dalla parte degli "altri" ...
Insomma grazie davvero tantissimo per questa intervista !

Ezio Turus ha detto...

Ebbi l'opportunità di conoscere Zizola alcuni anni fa, a S.Felice sul Panaro, quando ancora non si parlava di Iraq. Già allora, dalle parole che commentavano le sue immagini, traspariva una forte componente umana, la stessa che ritroviamo nelle sue foto e in quest'intervista. Peccato che la maggioranza delle fotografie pubblicate sui giornali, effettivamente, dopo 3 giorni si ritrovano ad avvolgere il pesce, ma forse la strada per insegnare ai lettori (non solo ai fotografi, che si presume già lo sappiano) cosa si cela dietro una fotografia e quindi il suo fondamentale valore nella comunicazione, credo sia proprio questa: sentire i protagonisti dalla loro viva voce. Grazie Sandro.

Ezio Turus

Anonimo ha detto...

Bello il motion, complimenti Sandro.
Interessante anche l'intervista a Zizola. Le sue parole e le sue immagini mi fanno venire alla mente altri morti e un'altra guerra. Le vedevamo tra un orso yoghi e un braccobaldo show, erano quelle proiettate durante i telegiornali in bianco e nero e che venivano da località diventate familiari ai ragazzi della mia generazione. Saigon, Hanoi, Milay, Da-Nang. Mostravano meno di quello che accadeva, ma facevano intuire. Anche in questo caso la macchina bellica sia americana che vietnamita aveva fotografi e giornalisti graditi oppure no. Cambiano gli anni ma la storia non cambia. Quanti fotografi, cineoperatori o giornalisti venivano "richiamati" in patria, quanti oggetto di "attenzioni particolari" da parte di gruppi della guerriglia locale. Tanti, eppure dal Vietnam arrivavano tonnellate di materiale filmato, migliaia di immagini, kilometri di parole, nonostante tutto. Tutto finì quando intervenne l'autocensura, quando molti si resero conto che il più imponente esercito del mondo stava per essere battuto da una forza militare notevolmente inferiore e che gli ideali di libertà del popolo vietnamita si scontravano con le rappresaglie crudeli contro gli oppositori e i "collaborazionisti" che istaurarono un clima di terrore in tutto il paese. Ecco, quando tutto "diventò" finito, quando le agenzie smobilitavano le loro sedi, quando il Vietnam fu fatta diventare una non più "notizia", in quel momento ci fu la vera morte dell'informazione. Uccisa dall'autocensura degli operatori e non dalle censure governative.

Anonimo ha detto...

Straordinaria intervista davvero, lo so non sono originale e seguo l’onda emotiva degli interventi che mi hanno preceduta. Forse mi ha stupito anche questo: vedere come la prima reazione suscitata dalle parole di Zizola non passi tanto attraverso la nostra razionalità, ma piuttosto incida su corde più profonde. Poi riascolto l’intervista e gli spunti di riflessione emergono, le immagini che accompagnano le parole ci si infrangono contro potenti e penso per esempio alla foto del soldato Thomas che si scontra con una censura attenta a far passare solo una versione della Storia negando immagini che pure esistono, semplicemente limitandone la visibilità. Come dice rawnef però fino a quando qualcuno quelle foto potrà e saprà scattarle queste troveranno spazio e il modo di essere viste, in fondo noi qui ne stiamo parlando, abbiamo la possibilità di prenderne coscienza. Certo se domani troverò il blog di Iovine chiuso e sarò costretta a richiedere gli arretrati de Il Fotografo al pescivendolo di fiducia forse rivedrò il mio entusiasmo…

Ps. Posso essere cattiva? Zizola – Pellegrin 3-0 (contenuti, forma e intensità comunicativa…) Naturalmente parlo delle due interviste pubblicate, non azzarderei mai una considerazione più personale…forse.

Anonimo ha detto...

Connubio ideale le immagini e le parole dell'autore.
ma mi inserisco solo per informare che sul numero di PC PHOTO di luglio-agosto e' riportata la notizia del premio assegnato a Spencer Platt per il WPP. Il mentecatto anonimo estensore del commento informa con dovizia di precisione che l'immagine significa tutto l'opposto di quello che voleva sembrare : il mentecatto giornalista (??) infatti tiene a far notrare che non si tratta di 4 ragazze in giro turistico, sono abitanti dello stesso quartiere bombardato; che portano gli occhialoni da sole non per snobismo bensi' per proteggersi dalla polvere ; che quella col telefonino in mano non sta fotografando, ma chiedendo informazioni; infine che l'auto che ospita le ragazze non e' un'auto di lusso ma un'automezzo molto modesto.
Quindi il mentecatto chiude la finestrella informativa con un panegirico inneggiante ad una certa filosofia moraleggiante.
Prego Iovine di inviare una mail a tutti i partecipanti al blog che sono intervenuti su quell'argomento, cosi' si accorgeranno di aver sparato solo cavolate, perche' a quanto pare il mentecatto in questione era presente in Libano mentre Platt scattava quella foto, poi premiata, quindi sa tutto sul referente reale di quel momento, e chissa' per quale vendetta privata adesso lo sbuttana.
beati i creduloni, che vivono senza pensieri, chi vuol capire capisca.

Unknown ha detto...

Che lui sia un grandissimo lo si sapeva già ... cmq bel montaggio, magari ricerca qualcosa di più complesso per quanto riguarda le parole in movimento di inizio filmato. La trama musicale sotto , ripetitiva e punzecchiante rende perfettamente lo stato emotivo delle foto... Cmq questo libro sarà mio assolutissimamente :)

Anonimo ha detto...

mi associo a philip che dice che fa venir voglia di fare questo mestiere, ti incoraggia a scattare per raccontare e ad usare la propria testa comunque, e a tirare fuori il lato umano. è proprio un grande zizola.

volevo anche farti i complimenti per l'articolo e la copertina de il fotografo. quell'immagine credo che catturerà molti lettori, sia gli attenti che gli "incauti" :)

Anonimo ha detto...

Ho ascoltato l'intervista a Paolo Pellegrin e ri-ascoltato le parole di Francesco Zizola ... mi lascio trascinare dalle emozioni ed ora, il mio desiderio sarebbe incontrare queste Persone e parlare con loro, trascorrere una serata, una notte di dialogo per stillare dalle loro anime le loro emozioni, le loro sensibilità che mi sembrano magnifiche.
Prenderne un pochine anche io, farle mie e crescere attraverso le loro parole ma soprattutto attraverso le loro emozioni e le loro anime ...
Per fortuna esistono Persone che amano ... amano nel senso più alto del termine, amano la vita, il mondo, le altre Persone ...
Grazie a loro che mi fanno aprire occhi, mente e cuore e mi incuriosicono al punto da desiderare non solo di conoscerli, ma di conoscere la storia dell'umanità che mi circonda, di tutte quelle Persone che, chissà perchè, vivono adesso, in questo stesso piccolo tempo in cui sto vivendo io.
Grazie a Paolo e a Francesco e a te Sandro, che sempre sai come svegliare le menti di chi, come me, spesso si adagia su una realtà distorta ...
Sophia

Anonimo ha detto...

caro sandro
puntuale ed attenta dedica a un reporter di guerra contro la guerra
di "full metal ..jackettiana" memoria.
compliments

besos

C.

Anonimo ha detto...

Sophia... scusa... ma abbiamo guardato le stesse interviste? So bene che non si può discutere sui gusti o sulle preferenze, ma avvicinare le due interviste di Pellegrin e Zizola e metterle sullo stesso piano, sia pure emotivo è più di quanto possa sopportare. E’ evidente che non ho mai conosciuto i due fotografi personalmente e sul valore delle loro immagini non si discute, ma ho trovato impietoso l’accostamento delle due interviste perché sono imparagonabili. Da una parte abbiamo un uomo che sa guardare in camera, che racconta con voce ferma e sguardo deciso, denso di vita e consapevolezza la Storia a cui ha assistito, le difficoltà incontrate, le frustrazioni di fronte a chi considera il fotografo un mercenario con cui un photo editor non rischia perché può scegliere prima chi mandare o dopo cosa pubblicare; un uomo che in ogni caso decide di esserci e di scattarle quelle foto e di cercare comunque un modo perché vedano la luce, con il suo nome e il suo volto, per questa testimonianza ringrazio Zizola e Iovine. Ma dall’altra abbiamo grandi immagini certo, corredate da uno sguardo sfuggente e da una voce sofferente, da confusione e distrazione di fondo e un’autocelebrazione nemmeno dissimulata… Credo che riconoscere il valore di qualcosa passi dal saperla distinguere da altre di valore inferiore… e se l’obiezione possibile fosse che Zizola sa porsi meglio davanti ad una videocamera o che avesse le idee più chiare, rispondo che beh… se un fotografo con sa comunicare…

Anonimo ha detto...

Io ho solo ascoltato quello che mi dicevano i miei sentimenti e credo che entrambi i fotografi siano stati capaci di farmi guardare alla storia attuale con un occhio meno ipocrita e forse (lo spero) con una consapevolezza maggiore.
Poi credo pure io che siano due personaggi totalmente differenti, non ho letto in Pellegrin una autocelebrazione, forse non l'ho voluta leggere, non lo so, so che semplicemente mi hanno trasmesso questo senso di Amore che spesso l'arte mi sa dare ....
Resto dell'idea che mi piacerebbe conoscerli (a questo punto più Pellegrin per capire se è così pieno di sè) per cercare di apprendere il più possibile dalle loro esperienze che a livello umanitario, ok, in maniera differente, devono essere molto intense.
Per finire una cosa che forse avvalora le tue parole Claudia M., tempo fa ero alla lettura di un portfolio e il fotografo che mi stava parlando ad un certo punto, riferendosi alla fotografia in genere, mi ha detto che spesso i fotografi raccontano molto bene con le loro immagini, trasmettono sentimenti, entrano nell'anima ... ma poi quando hai l'occasione di conoscere questi fotografi ti chiedi "ma perchè ho voluto conoscerlo ? Era così bello non sapere com'era ...".
Ciao Sophia

Anonimo ha detto...

Non vedere, non sapere, non giudicare, prendere per buono tutto quel checi viene proposto, dall'iconografia del mulino bianco alle fotografie che dovrebbero raccontare cosa accade nel mondo. Le fotografie non sono slegate da chi le produce e rendersi conto della personalità che si ha di fronte aiuta a capire le motivazioni per le quali sono nate quelle immagini. Altrimenti continuiamo a infilare la testa nella sabbia e a riempirci la bocca di "emozioni" che giustificano qualsiasi castroneria figlia dei luoghi comuni ci venga propinata. Ma per favore Sophia, su dai accendi quel cazzo di cervello e ragiona un po' invece di dire cose insostenibili.

Anonimo ha detto...

Mah, a me sembra di aver detto l'esatto opposto per cui tu mi accusi ...
In me ribolle la rabbia per quel "cervello del cazzo" che hai deciso io debba avere ma lascio perdere la tua provocazione ... e vado a guardarmi attorno così da non cadere nelle false pubblicità tipo mulino bianco e non nascondere la testa sotto la sabbia ... cosa mai fatta oltretutto ...
MI sorge un dubbio ... ma perchè devo rendermi conto delle motivazioni per cui una immagine nasce ? Non basta che ne capisca il significato ? Non basta capire quello che mi voleva far capire ? Ti dirò, che Pellegrin sia o non sia pieno di sè, che si o non si autocelbri, analizzarne la sua personalità a me non importa, importano le sue foto e quello che vogliono dire.
In un'altra intervista Pellegrin dice " quello che mi interessa è una fotografia che diventi parte di un approfondimento per me stesso e, possibilmente, per chi poi quelle foto le guarda", ecco, questo è esattamente quello che interessa anche a me, guardare una foto e da qui partire per approfondire la conoscenza, la sensibilità, la consapevolezza ...
Se questo ti da' fastidio, se questo per te non è uno dei compiti della fotografia vabbeh, resto con il mio cervello del cazzo pensandola differentemente da te, ma te sei sicuro che ciò che pensi e dici sia la verità assoluta ???
Baci Sophia

sandroiovine ha detto...

Il fatto che la discussione sia accesa, non può che farmi piacere. Evidentemente gli argomenti sono importanti e prendono un po' la mano di chi legge queste pagine. Solo così si possono spiegare alcuni episodi. Nei giorni scorsi è stato dato del mentecatto a un collega e oggi cominciano ad affiorare delle esclamazioni falliche con valore appositivo di discutibile pregio linguistico. Inviterei tutti a mantenere la vivacità intellettuale all'interno dei limiti della buona educazione, pur chiedendo di continuare ad esprimere liberamente il proprio pensiero. Personalmente posso anche condividere le tesi di SpEer, ma lo inviterei a mantenere un atteggiamento meno aggressivo, che forse consentirebbe di ottenere risultati migliori sul piano dialettico.
Quanto a Sophia mi permetto di consigliare la lettura sempre all'interno di questo blog del post Ma bravo Pellegrin! per poi andare a dare un'occhiata alla fotografia di Paolo Pellegrin premiata nelll'edizione 2007 del WPP. A seguire un veloce lettura (o rilettura) di quanto scritto da Maurizio De Bonis su Cultframe, un articolo che ha acceso un vivace dibattito in ternet di cui potete trovare traccia nella colonna destra di questo stesso blog. Credo e spero che questo possa essere sufficiente a permettere di operare un distinguo fra i differenti approcci dei due fotografi di cui si discute.

Anonimo ha detto...

Ma quale verità assoluta! Il problema è che che se non ti chiedi per quale motivo venga creata un'immagine finisci per per cadere in una trappola che contrabbanda significati di cui non ti rendi nemmeno conto (era un TU GENERICO prima che ci si mettano di nuovo i censori o le rabbie ribollenti di chi non si rende nemmeno conto di quanto gli accade intorno e p pure contento, anzi contenta). Il messaggio contenuto all'interno di una immagine lavora in profondità se non si filtra e le intenzioni di chi scatta sono, se ti prendi la briga di interpretarle, una parte importante di questo filtro. Ma forse è davvero chiedere troppo

Anonimo ha detto...

Vedi Sandro,
forse mi sono spiegata male ...
Non ho mai voluto dire che Pellegrin sia un santo, non mi va di dare giudizi nè su di lui nè su altri.
QUello che ho detto fin dall'inizio è che le sue foto mi hanno fatto guardare prima di tutto dentro me stessa per cercare di capire quello che mi sta succedendo attorno.
Ho sbagliato sicuramente a mettere sullo stesso piano Pellegrin e Zizola, non condivido nemmeno io il cinismo di Pellegrin, ma non volevo puntare il dito su questo.
Inoltre conosco l'umanità di Zizola e per questo non avrei mai dovuto paragonarlo a Pellegrin, ma quello che volevo esprimere erano le emozioni che foto e voci mi avevano trasmesso e la volontà, grazie a questo mix, di andare ad approfondire le mie conoscenze.
In questo senso credo che Claudia M. abbia ragione quando dice che non vanno messi sullo stesso piano ...
Ho sbagliato ad esprimermi ... chiedo scusa, ma resto estasiata dalla potenza della fotografia, anzi dell'immagine, e dalla sua capacità di farmi aprire la mente.
Sophia

Anonimo ha detto...

Sono sempre molto restio ad inserire dei commenti, ma in questo caso avrei voglia di dire alcune cose.
Sophia ho letto i tuoi commenti e mi sembra che siano tutti fatti con estrema buona fede. Apprezzo molto chi possiede la capacità di rimettere in discussione le proprie affermazioni.
Apprezzo anche il commento di Iovine che dal mio punto di vista ha fatto bene ad intervenire per riportare la discussione in termini più pacati.
Non ho invece capito bene a chi è rivolto l'intervento di oratore ma penso che in ogni caso non abbia ragione. La foto di Platt qualunque sia stata la situazione, comunica l'apparente disinteresse delle persone che attraversano in macchina le strade devastate. Questo per me vuol dire far fotografia. Ha preso una situazione che gli si presentava per raccontare quello che voleva dire lui. Poco importa cosa stessero realmente facendo quelle persone.
Questo vuol dire modificare la realtà? Io penso di no. E' un'ulteriore conferma della potenza del mezzo fotografico che viene piegato in modo intelligente dall'autore in funzione del messaggio che lui vuole attribuire a una data situazione. Non conosco in quale contesto fotografico sia stata poi inserita la fotografia, ma quell'immagine, quell'unica immagine ha una forte valenza comunicativa.
Per quanto riguarda il confronto Zizola Pellegrin, nelle due interviste è chiara la differenza delle posizioni. Adesso non rammento perfettamente tutto quanto detto da Pellegrin, ma il ricordo che mi è rimasto è quello di una persona che ha parlato di sè per quasi tutta l'intervista. Zizola non ha parlato di sè e già questo, forse, basta a fare la differenza.

Bruno Taddei

Mirko Caserta ha detto...

La Fotografia è senza dubbio un campo molto vasto che sconfina su arte, scienza, storia, estetica, ecc. L'intento però di usare la fotografia per la pura documentazione mi sembra abbia una validità enorme ancora oggi.

Un fotoreporter ha necessariamente quelle capacità di sintesi che una troupe televisiva ad esempio non potrà mai avere, neanche se guidata da un ottimo regista/reporter/giornalista.

Vorrei ricollegarmi ad una discussione parallela dicendo semplicemente che un mondo in cui non è possibile non dico un'analisi della realtà, ma neanche la più semplice informazione giornalistica e che trova sfogo sulle pareti dei musei sottoforma di fotografie esposte in una mostra o sulle pagine di una rivista di fotografia vuol dire essenzialmente due cose:

1) la fotografia di reportage continua ad avere ancora oggi un ruolo importantissimo nel panorama dell'informazione, nonostante sia bistrattata da riviste, quotidiani, televisione, ecc;

2) il panorama mondiale del giornalismo ed i canali di distribuzione dell'informazione sono "inadatti" (non mi viene un termine migliore) a comunicarci circa realtà complesse ed apparentemente distanti come quella dell'Iraq (che è solo uno dei tanti esempi che si potrebbero fare).

:: haku :: ha detto...

Vorrei solo mettere in evidenza le parole equilibrate e lucide di Bruno «il ricordo che mi è rimasto [di Pellegrin] è quello di una persona che ha parlato di sé per quasi tutta l'intervista. Zizola non ha parlato di sé e già questo, forse, basta a fare la differenza»: una realtà evidente (indiscutibile) tanto da essere flagrante.

E grazie a Mirko per il link alla discussione.

Stefano ha detto...

Sandro, nulla da dire (in senso buono, ovvio! :D) nè sul video nè tantomeno su Francesco Zizola.

Vorrei spendere invece un paio di parole sul libro IRAQ dell'editrice EGA.

L'altro ieri sono andato in una libreria di Roma per acquistare il libro: lo prendo, lo sfoglio e... ORRORRE! TUTTE LE FOTO sono stampate su due pagine!

Mi spiego: UNA foto stampata su DUE pagine!

Ma può una casa editrice essere così approssimativa? questo dimostra di non capire nulla di fotografia! spesso e volentieri il "taglio" cade in parti importanti del fotogramma!

A 26€ poi... il libro -purtroppo, perchè io amo il lavoro di Francesco- è rimasto lì dov'era ma sarebbe ora di far capire a certi signori che la fotografia è ARTE e che non è giusto maltrattarla in tal modo!.

Scusate lo sfogo.

Stefano

Anonimo ha detto...

Ascolto l’intervista, leggo i commenti e penso alla censura diretta e indiretta di cui siamo complici e vittime. Poi mi si para davanti uno spettro peggiore della censura stessa, o almeno io lo vivo così: la banalizzazione dell’immagine. Beh non sono originale, ma forse non dobbiamo stancarci di dircelo perché la partita che il fotogiornalismo serio (in questa sede potrei dire alla Zizola) sta giocando è fondamentale, impatta con il quotidiano di ognuno di noi e con la nostra realtà sociale: si influenza l’opinione pubblica controllando l’informazione.

Il fotogiornalismo dovrebbe rappresentare il punto di forza di tutto il “sistema informazione” invece quando non interviene la censura si ricorre alla banalizzazione, che è nemica forse più subdola poiché svilisce e toglie forza dove la censura è comunque un’auto denuncia di debolezza e timore. Insomma censuro ciò che temo e mino la credibilità e l’indipendenza di ciò che temo di più. Pochi giorni fa ascoltavo un paio di amici che parlavano di come su riviste importanti dell’informazione italiana, nello specifico si trattava dell’Espresso, spesso le fotografie non sono corredate dal nome dell'autore, o meglio il nome da qualche parte c’è, slegato dall’immagine, si può trovare in punti insospettabili all’interno della pagina, vicino alla cucitura per esempio… come può accadere nella nostra “società delle immagini?”. Di cosa si tratta? Di una distrazione o peggio di una malintesa scelta estetica? Chi piega l’esigenza dell’ approfondimento fotogiornalistico alla superficialità di un mercato editoriale che sempre più segue le tendenze invece che indicarle, porle, imporle… Le poche copie di Life del passato che ho avuto tra le mani raccontavano un giornale che dettava stilemi qualitativi tali che un autore se voleva pubblicare su quelle pagine doveva aspirare all’eccellenza, questa prerogativa è perduta, morta in una realtà in cui vince il taglio più banale, comodo, generale. E allora perché cercare inquadrature evocative e uniche quando il photo editor di turno se “necessario” la ridurrà ad una foto-tessera buona per ogni occasione e che non disturbi il testo scritto, principe e ancora unico depositario di vera dignità comunicativa in questa nostra società delle immagini

:: haku :: ha detto...

Il legame invisibile tra «parlare o meno di sé» (cito liberamente Bruno) e «l'intenzione di chi scatta» (cito SpEer) è significativo della costruzione di un'immagine che voglia essere comunicativa, e esplicita in un'improvvisa chiarezza la natura di quella comunicazione smascherando il suo oggetto, come soggetto o come pretesto.
Una differenza che dobbiamo credere fondamentale tra una fotografia che voglia avere una funzione storica (come si dice nell'intervista) e una fotografia che voglia trasmettere le sensazioni di chi scatta, riposa nel privilegiare una componente nel momento della ripresa, che rivela in realtà l'atteggiamento personale di fronte alla scena da riprendere... quello che in definitiva, oltre al talento, fa la foto. Personalmente trovo qui quel discrimine che una volta distinto permette di andare aldilà della prima emozione di una foto intensa e di lasciar passare l'intero messaggio, non fermandosi all'impressione del primo impatto, che può forse confonderci attraverso il coinvolgimento estetico-emotivo.
In quella precisa zona discriminante da cui due foto con diversa intenzione prendono ad allontanarsi, credo si possa individuare la loro possibilità di far conoscere agli altri qualcosa di lontano o di far conoscere la reazione personale dell'autore a quel qualcosa. Su questa possibilità comunicativa si costruisce la dimensione etica dell'immagine stessa, che diventa prezioso quanto rischioso messaggero per la realtà di altri, mettendo la partecipazione dell'autore al servizio del messaggio.

Per quel che vale qui esprimere una sensazione molto personale, quello che mi sorprende dei lavori di Francesco Zizola è la sparizione di sé dentro quello che sta comunicando, fino a rendere le sue immagini capaci di trasmettere un'emozione etica, un'emozione che credo ci porti ad imitare la sua limpida empatia nei confronti di quanto vede, un'emozione che non sfrutta il dolore altrui, ma piuttosto lo porge in un fotogramma pulito dall'enfasi e per questo (seppur potente) profondamente rispettoso della realtà cui ci permette di accedere, ma anche rispettoso di noi che possiamo osservarla senza essere travolti da ambigue distorsioni.
Questa pulizia dall'enfasi mi pare permetta inoltre alle sue foto di contenere molto più di un istante puntuale, bensì un istante che paradossalmente pare più lungo, un istante che appartenga al dominio non dell'effimero ma della durata. Questo rende le immagini ancor più dense, e insieme più trasparenti, non immobilizzate, ma evocative del tempo e dello spazio che hanno strutturato la realtà ripresa.

Anonimo ha detto...

Caro Taddei, e' con vera emozione che ho letto il suo post, stante la sua ritrosia a pubblicare commenti. Ho letto che con ricchezza e preziosita' linguistica lei contesta oratore.
Vede,pero', oratore non scrive per aver ragione sugli altri, bensi' per esprimere propri convincimenti o perplessita', o dubbi, sicuramente generati dalle personali "ragioni".
oratore sinceramente (l'ha ripetuto sempre) e' d'accordo con lei che quello che conta in una fotografia e' quello che l'autore vuol "significare", e quello che ognuno ci vede, ma nel caso della foto di Platt non si tratta di una immagine qualsiasi, stiamo parlando di informazione e di fotogiornalismo ( la foto ha vinto il world press photo ), e quindi secondo il parere di oratore era giusto commentare quanto riportato dall'impiegato di PC Photo : egli ribalta quanto finora creduto, con cognizione di causa presunta, ma non spiega ad eventuali ignari lettori la materia del contendere, e non cita, cosa piu' grave quando si fa INFORMAZIONE, e sopratutto si parla di altri in loro assenza, le fonti che lo spingono a fare quella precisazione.Per questo quell'impiegato e' stato definito con quel termine, nel senso etimologico, perche' sicuramente aveva la mente catturata da altre considerazioni personali mentre compilava il trafiletto ( spesso dikmentichiamo, tutti noi, il senso etimologico delle parole della nostra lingua, e invece le usiamo secondo le convenzioni indotte ).
Certo la responsabilita'della mancata comprensione dell'intervento di oratore risiede nella sua maniera di scrivere, come di parlare e di pensare : ironica, sardonica, polemica ( nelle intenzioni sempre costruttivamente, ma spesso nei fatti, ahime',colpevolmente cattiva in nome di una eterna crociata contro la dilagante pinocchiesca "creduloneria" ), infine provocatoria.
E proprio provocatoriamente, ma perche' ne e' convinto, oratore specifica quello che pensa del neonato match Zizola-Pellegrin.
Che Zizola sia fotografo di un altro pianeta e' assodato, pero' oratore si cruccia leggendo che la vittoria in termini di simpatie vada a lui solo perche' non ha mai detto : io - io - io.
Riconsiderando attentamente le due interviste, ad oratore appare chiaro che si parla in una certa maniera in base alle domande che ci vengono rivolte.
Nell'intervista a Pellegrin gli si chiede continuamente : ma tu cosi'...ma tu coli'... ecome fai tu quando... ecc ecc. E allora pellegrin risponde a tono.
L'intervista a Zizola, non so se mi spiego, e' condotta da un certo Iovine, che il suo mestiere lo sa, per se' e per mille altri, e si puo' notare come metta a suo agio Zizola facendogli domande serie e intelligenti che spingono, inducono, Zizolone ad aprirsi e a mostrare il meglio di se'.
Socrate questa la chiamava maieutica.
Ma in sostanza oratore si chiede :
come si fa a giudicare una persona da una brevissima intervista, come si fa a leggergli l'animo? come si fa ad attribuire un punteggio come se fossimo spettatori di un reality tv?
con osservanza

Anonimo ha detto...

Oratore, sinceramente l'ultimo che ho incontrato che parlava in terza persona era un certo Cesare Giulio di cui si traducevano gli scritti al liceo e mi sfugge perché tu (o dovrei usare un sacrale LEI?) debba assumere detto condottiero-scrittore a modello linguistico... In secondo luogo quando parli dell'intervista a Pellegrin a cosa ti riferisci di grazia? Perché se parli dell'intervista linkata sul blog forse dovremmo metterci d'accordo sul significato della parola intervista... A me risulta che per intervista si intenda una serie di risposte ad una serie di domande. Se, e ripeto se, stiamo parlando della stessa cosa, mi dici dove c... (il grande censore mi ha puntato e devo fare attenzione) stanno le domande? A me sembra si tratti solo di uno sproloquio autoreferenzialee che inneggia al SuperPellegrin (che non è una specie di SuperPippo, aspetto a parte, ma una rivisitazione del concetto di Super Uomo Nietzschiano).
Quanto a Bruno Taddei: finalmente uno che il cervello lo ha acceso prima di aprire bocca! (questo lo posso dire, sì?)

Bonagiunta Orbicciani ha detto...

Molto si fa brasmare

chi loda lo su’ affare

e pòi torn’al neiente;
[...]
Radice è di viltade,

ch’a tutti ben dispiace,

lodare om sua bontade, 

[e] prodezza chi face:

quei che la fa ne cade;

[però] quei che la tace

ne cresce fermamente.


Nessuno e più ingannato

che de la sua persona
[...]
Qual om’ è laldatore

de lo suo fatto stesse

non ha ben gran valore

né ben ferme prodesse
[...]

Anonimo ha detto...

Mi viene spontaneo ringraziare il Direttore Iovine e il Fotografo Zizola per l'opportunità di un nuovo e interessante dibatitto. Credo che sarebbe interessante capire, da quanto dice Zizola, se l'autocensura della stampa americana fosse una dimostrazione di forte nazionalismo e quindi la convinzione che quello che facevano i Soldati andava protetto o più o meno spontaneamente se ne doveva parlare in un certo modo? Un'altra cosa...come si pone la stampa italiana nei confronti dei nostri ragazzi che lavorano in missione all'Estero? Come funziona l'autocensura in Italia? Mario.

Anonimo ha detto...

La censura viene posta direttamente dal Ministro della Difesa, e quindi dal governo, che dallo scorso anno ha annullato e cancellato ogni possibilità per fotografi e giornalisti di realizzare servizi giornalistici e fotografici "embedded" con unità italiane.Allo stesso tempo l'autocensura o la sovraesposizione dei media italiani sulle forze armate è funzione del momento politico. La qualità, intesa come competenza su cosa si scrive, è comunque (indipendentemente dalle proprie idee politiche) molto bassa. Capita spesso che il giornalista dica delle cose inesatte (non sto dicendo scorrette politicamente che è un'altra cosa), spesso capita di vedere foto di soldati e mezzi italiani che invece sono americani o di altri paesi.

Anonimo ha detto...

ho visto con molto interesse l'intervista a Francesco Zizola è ho molto apprezzato lo stile sobrio ma preciso sia dell'intervistato che dell'intervistatore, per chi la sa ascoltare fino in fondo questa intervista racchiude una lezione di giornalismo e fotogiornalismo, il quadro che fa Francesco delle problematiche legate: allo stare in zona di guerra, al rapporto con chi comanda la piazza e al rapporto con la committenza sono cose che ogni lettore di giornale dovrebbe conoscere per capire la difficoltà che comporta lo svolgere il lavoro del giornalismo. congratulazioni anche per la tecnica di intervista.

luca pagni ha detto...
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Anonimo ha detto...

Arrivo in questa discussione tardi, da un altro blog che ne parla però in questi giorni. E rimango un pò così per i toni con i quali si difende uno o si critica l'altro, come se di fornte alla telecamera, in entrambi i casi, avessimo le vere persone. Curiosa poi quella considerazioni per la quale un fotografo deve essre un comunicatore. Se sa parlare in pubblico, meglio, ma non é un elemento fondamentale. Deve saper fare fotografia prima di tutto, anche perchè proprio nella capacità comunicativa in pubblico si possono nascondere quei meccanismi manipolativi che per altri versi invce non si vorrebbero. Il saper parlare in pubblico é solo garanzia di questa capacità e non di altro, tantomeno di una propria coscienza etica, per cui...
Poi capisco poco che c'entra il riferimento che fa Iovine al dibattito partito da CultFrame sulla foto di Pellegrin, là si vuole dimostrare una cosa (che la fotografia di Pellegrin non é un documento della realtà, correggetemi se sbalgio nella sintesi) qui un altra (non entro nel merito di quel dibattito, che trovo un po influenzato da un idea della fotografia un po positivistica, come se la realtà fosse una cosa facilmente definibile, ancor di più all'interno di un conflitto, aggiungo e come se solo pellegrin producesse un proprio linguaggio...vabbe).
Se me lo chiarisce mi fa un piacere, dato anche il suo ruolo di operatore culturale, docente direttore di riviste.
La ringrazio
marco

sandroiovine ha detto...

Non so se prendere come una specie di complimento o come una presa in giro il mio ruolo di operatore culturale, docente direttore di riviste ma va bene in ogni caso, a prescindere dalla mia difficoltà personale a riconoscermi come un operatore culturale. Sulla difficoltà di definire il reale, nell’ambito generale e fotogiornalistico nello specifico, si potrebbero indubbiamente versare fiumi di inchiostro senza prevedibilmente approdare a soluzioni univoche. Come molto complesso, almeno per me, è tenere sotto controllo le derive pseudo dialettiche che si generano da discussioni come questa originata dall’intervista a Francesco Zizola. Suppongo che sia contemporaneamente il pregio e il limite di queste situazioni. Non nascondo come mi sia anche problematico ricostruire il filo dei pensieri di discorsi fatti oltre un anno fa, per cui mi scuso in anticipo per eventuali contraddizioni. In ogni caso se ben ricordo avevo consigliato di analizzare un altro post in cui si riportavano delle affermazioni di Paolo Pellegrin con il contenuto delle proprie immagini. Quanto alle tesi esposte su Cultframe ne consigliavo la lettura in funzione di una completezza di quadro rispetto alle discussioni in corso. Non mi permetterei mai di criticare Paolo Pellegrin come fotografo, (e spero non mi si consideri abbastanza ipovedente, ignorante e stupido da poterlo fare). Ho invece serie perplessità rispetto alla coerenza tra le affermazioni relative alla concezione etica proclamata pubblicamente da questo autore e quanto possiamo ritrovare nel suo lavoro. Il suggerimento era all’epoca in questa direzione, ossia ad informarsi nei limiti del possibile e verificare ognuno per proprio conto la coerenza delle affermazioni con i fatti. Quanto alla non attinenza di dissertazioni sulle capacità di bucare lo schermo dei soggetti in questione, essendo fotografi e non divi televisivi, sono pienamente d’accordo. Semmai possedendo un minimo di cognizioni di lettura del corpo si possono trarre interessanti indicazioni sulle personalità che poi ognuno elaborerà come meglio crede.

Anonimo ha detto...

La ringrazio della risposta. Le assicuro che i termini usati non sono una presa in giro ma semplicemente dicono quel che in genere si intende. Capisco anche che possono stare stretti.
Nella riposta che mi ha gentilmente dato tocca alcuni dei nodi che fondano ogni discorso sul reportage, e dei quali l'articolo di Cultframe discuteva, a mio parere in modo troppo scontato. Così come la questione del rapporto tra principi etici, perlomeno quelli dichiarati, e prassi operativa, al quale lei accenna a proposito di Pellegrin. E su questo non sarebbe male un approfondimento perchè, ancora, mi sembra che lei affondi il dito nella piaga (mi permetta il modo di dire) con una frase come questa: "Ho invece serie perplessità rispetto alla coerenza tra le affermazioni relative alla concezione etica proclamata pubblicamente da questo autore e quanto possiamo ritrovare nel suo lavoro". (e non mi sembra di averla decontestualizzata). Cosa nel lavoro di Pellegrin fa dubitare della sue affermazioni a proposito di etica?
Mi sembra un bell'argomento.
grazie
marco

aghost ha detto...

ottime interviste, molte grazie per darci l'opportunità di ascoltare il pensiero di grandi fotografi. La clemenza sul video è quindi d'obbligo :)

Cura magari di più l'audio, c'è troppa differenza tra le voci di chi intervista e dell'intervistato. Usa due microfoni a filo, tipo levalier (a clip). Era bella l'ambientazione di Bazan, questa di Zizola con lo sfondo nero non mi piace molto...

Comunque ottimo, continua così!