venerdì 26 febbraio 2010

Alla ricerca di un’etica

Ne abbiamo parlato più di una volta cercando di trovare un’attualità nel significato di un aggettivo che se non ha perso significato, sembra quantomeno averlo pesantemente trasformato nel corso degli ultimi decenni. 

Siamo circondati ogni giorno da un profluvio di immagini che ci hanno illuso raccontino il reale. Di fatto chiunque si occupi di immagine sa bene che non è così per mille motivi da quelli connessi ala manipolazione dell’informazione per finalità politico-economiche, a quelli più inerenti l’inevitabile parzialità di chi le immagini le produce. Nonostante le pressioni soprattutto di tipo economico siano schiaccianti esistono ancora dei fotografi che mantengono vivo nel proprio lavoro il concetto di fotografia improntata etica e non voglio affermare che siano degli eroi, ma sicuramente le scelte che hanno fatto e rinnovano quotidianamente decidendo di lavorare in un certo modo, non sono di quelle che rendono la vita più semplice a livello professionale. Sono peraltro convinto che se questi fotografi potessero godere di un palcoscenico più ampio nell’editoria riuscirebbero a coinvolgere il pubblico portandolo a riflettere di più di quanto mediamente non faccia, ma forse questo è proprio quello che si cerca di evitare che avvenga. Dal momento che ci riconosciamo in questo modo di intendere la professione abbiamo deciso di non rimanere con le mani in mano e fare qualcosa per consentire uno sbocco di visibilità anche a questo tipo di lavori che tanto faticano ad emergere nella loro integrità.
Per questo motivo ho deciso che IL FOTOGRAFO si impegnasse a sostenere attivamente come partner il Primo Festival della Fotografia Etica che si svolgerà a Lodi dall’11 al 14 marzo 2010. Si tratta di un’iniziativa nata dal Gruppo Fotografico Progetto Immagine in collaborazione il Comune di Lodi, la Provincia di Lodi e il sostegno della Fondazione Comunitaria della Provincia di Lodi e la Fondazione Banca Popolare di Lodi, senza precedenti nè in ambito nazionale nè internazionale che si propone come finalità quella di avvicinare il pubblico a contenuti di grande rilevanza etica attraverso la fotografia, promuovendo la come strumento di conoscenza e di approfondimento delle tematiche proposte. 

Il programma del Festival prevede un circuito espositivo di quattro mostre: Colombia, voci nascoste, foto di Francesco Zizola per Medici Senza Frontiere, Il costo umano di una catastrofe nucleare di Robert Knoth per Greenpeace e Migranti di Francesco Cocco per Amani e infine Worldless Children di Luca Catalano Gonzaga, vincitore del premio Grand Prix Care du Reportage Humanitairie 2009. Le mostre sarrano ospitate presso la sede del Gruppo Fotografico Progetto Immagine (via Vistarini 30), l’ex Chiesa di San Cristoforo (via Fanfulla 14) e l’ex Chiesa dell’Angelo (via Fanfulla 22).

Alle mostre si affianca presso la Sala Polifunzionale Carlo Rivolta in via Cavour 66, un programma di quattro serate di videoproeizioni realtizzati dai photo collectives parteciperanno: Activestills (Israele), Argos (Francia), Ruido Photo (Spagna) e Terra Project (Italia). Le proiezioni saranno seguite da momenti di confronto su quanto è stato proiettato con la possibilità di confrontarsi direttamente con autori e addetti ai lavori. 
Tutte le attività sono, nello spirito dell’iniziativa, a titolo completamente gratuito. I dettagli del programma sono pubblicati sul sito internet www.festivaldellafotografiaetica.it e verranno aggiornati anche sulla pagina Facebook de IL FOTOGRAFO.
Vi aspetto a Lodi!



n. 214 - febbraio 2010







Dall'alto:
Invasione militare a Beit Ummar, Ottobre 2008. © Activestills, 2008.


Pripyat, Ucraina. Annya Pesenko, 15 anni, ha un tumore al cervello. È nata nel villaggio di Zakoptye, uno dei villaggi pesantemente contaminati e alla fine evacuato e distrutto. Il tumore al cervello si è manifestato all'età di 4 anni. Ora a 15 anni, Annya ha un tumore al cervello per la seconda volta. Nei giorni in cui ha molto dolore, Annya passa il tempo a letto. © Robert Knoth.


Bangladesh, distretto di Stakhira. Un'anziana donna cura la sua mucca lungo l'argine di un fiume. In poche decadi il riscaldamento globale ha cambiato il volto della campagna della sua gioventù. © Argos.


Nepal, 2008. La maggior parte della produzione di mattoni nel mondo viene fatta a mano. In Asia, America Latina e Africa sono i bambini ad occuparsi di questa produzione. © Luca Catalano Gonzaga, 2008.

Mira'm bé, progetto di Fotografia Partecipativa rivolto ai ragazzi del Congost di Granollers (Barcellona), un quartiere ad altissima densitá di immigrati di varie nazionalitá. In corso dal 2008. © Ruido Photo.


I soldati italiani, mandati in servizio nella Guerra dei Balcani. I numeri ufficiali dicono che più di 100 sono morti e che oltre 500 son malati, per la maggior parte con patologie legate al cancro. © Terra Project.



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6 commenti:

danilogiuso ha detto...

Complimenti ! E' molto importante quello che IL FOTOGRAFO persegue. L'etica non e' solo del mondo della fotografia e non riguarda solo una parte del mondo. Se riusciamo a comunicare in una mniera nuova, che tenga conto del rispetto e dei sentimenti allora sia il fotografo che il fotografato potranno contribuire ad un modo migliore di convivere. Ogni giorno siamo bombardati da cominicazioni verbali ed in video che ci ricordano le guerre, le catastrofi naturali, le difficolta' che intere popolazioni, per certi versi anche la nostra, sono costrette ad affrontare. Eppure esistono realta' diverse. Emergency e medici senza frontiere fanno nascere distretti sanitari di eccellenza in zone dove la sofferrenza rende tutti uguali. Ed il bello e' che queste fantastiche realta' incominciano a nascere anche in Italia. Cosi' presto a Palermo sara' completato un centro sanitario per assistere tutti, regolari o irregolari. Il proposito e' di farne nascere altri in altre citta' italiane. Sono segnali importanti, come imnportante e' il segnale Che IL FOTOGRAFO con Sandro Iovine ha lanciato. Grazie. Danilo Giuso

barbara ha detto...

Associare la parola “etica” alla fotografia da sempre sembra una contraddizione, e non posso che riempirmi di orgoglio di fronte a tutti coloro che si impegnano per mantenere alto il valore della fotografia quando viene impiegata in questo senso. La parola “etica” associata alla fotografia investe numerosi campi e altrettanti significati, a cominciare dal senso di giustizia degli argomenti che trattano, al valore morale dell'utilizzo che se ne fa, all'eticità dell'opinione del fotografo che la produce e perfino nell'eticità di chi si pone di fronte all'obiettivo. Così scorrendo ad esempio tra le fotografie e i servizi proposti in questo post e in questo evento mi rendo conto di quanto sia difficile, se non addirittura pericoloso parlare di fotografia “etica”: perché dipende sempre dalla condizione dell'osservatore che si pone di fronte alle immagini, e di come viene poi usata l'”eticità” della fotografia; o persino di come viene utilizzata la parola “eticità” di fronte alla fotografia. Speriamo che eventi come questo festival aiutino a fare un po' di pulizia e di chiarezza su cosa significhi veramente la fotografia etica e cosa implichi mettere i paletti della morale, nel buono e nel cattivo senso, di fronte ai soggetti di cui si vuole documentare.

Francesca Pelliconi ha detto...

complimenti! questo blog è veramente molto interessante e con bellissime foto!

Alessio Coghe ha detto...

E' di ieri l'altro la notizia di un reporter ucciso dalle truppe alleate perchè il suo zoom è stato erroneamente scambiato per un bazooka (?).
Condivido molto il pensiero di Barbara a riguardo: spesso si parla di etica a sproposito eppure dovrebbe muovere ognuno di noi nel nostro quotidiano.
Molte volte anche i fotografi hanno peccato in questo senso muovendosi spinti solo dalla "voracità di catturare" il momento decisivo.

Ando Gilardi scrisse una sorta di manifesto etico su cosa era giusto evitare di fotografare, coi pregi ma anche con le inevitabili criticità di un'operazione di questo tipo.

Ma vorrei lo stesso proprovelo qui, così per ragionare assieme su cosa siu etico e cosa non lo sia:

"Non fotografare gli straccioni, i senza lavoro, gli affamati.
Non fotografare le prostitute, i mendicanti sui gradini delle chiese,
i pensionati sulle panchine solitarie che aspettano la morte come un
treno nella notte.
Non fotografare i neri umiliati, i giovani vittime delle droga,
gli alcolizzati che dormono i loro orribili sogni. La società gli ha già
preso tutto, non prendergli anche la fotografia.
Non fotografare chi ha le manette ai polsi, quelli messi con le spalle
al muro, quelli con le braccia alzate, perchè non possono respingerti.
Non fotografare la suicida, l'omicida e la sua vittima.
Non fotografare l'imputato dietro le sbarre, chi entra o esce di
prigione, il condannato che va verso il patibolo.
Non fotografare il carceriere, il giudice e nessuno che indossi una toga o una divisa. Hanno già soppportato la violenza non aggiungere
la tua. Loro debbono usare violenza, tu puoi farne a meno.
Non fotografare il malato di mente, il paralitico, i gobbi e gli storpi.
Lascia in pace chi arranca con le stampelle e chi si ostina a salutare militarmente con l'eroico moncherino.
Non ritrarre un uomo solo perchè la sua testa è troppo grossa, o
troppo piccola, o in qualche modo deforme. Non perseguitare con i
flash la ragazza sfigurata dall'incidente, la vecchia mascherata dalle rughe, l'attrice imbruttita dal tempo. Per loro gli specchi sono un
incubo, non aggiungere le tue fotografie. Non fotografare la madre dell'assassino e nemmeno quella della vittima. Non fotografare i figli
di chi ha ucciso l'amante, e nemmeno gli orfani dell'amante. Non fotografare chi subì ingiuria: la ragazza violentata, il bambino
percosso. Le peggiori infamie fotografiche si commettono in nome
del diritto all'informazione. Se è davvero l'umana solidarietà quella
che ti conduce a visitare l'ospizio dei vecchi, il manicomio, il carcere, provalo lasciando a casa la macchina fotografica. Non fotografare chi fotografa; può darsi che soddisfi solo un bisogno naturale.
Come giudicheremmo un pittore in costume bohémien seduto con pennelli, tavolozza e cavalletto a fare un bel quadro davanti alla
gabbia del condannato all'ergastolo, all'impiccato che dondola, alla puttana che trema di freddo, ad un corpo lacerato che affiora dalle rovine?? Perchè presumi che il costume da free-lance, una borsa di accessori, tre macchine appesa al collo e un flash sparato possano giustificarti?"

A mio avviso conta sempre l'approccio del fotografo, sulla sua storia e sensibilità di uomo. Perchè anche quando si fotografa, può sembrare scontato dirlo, bisognerebbe non dimenticare mai la nostra umanità.

P.S. - Continua così Sandro!

Anonimo ha detto...

Grande plauso ad A. Coghe che tira in ballo una cosa del grande GILARDI, l'unico secondo me che finora capisca cosa sia la fotografia e abbia cercato sempre di spiegarlo. Concetto vetusto in termini temporali, ma sostanzialnebte vero. Proprio per questo Il GILARDI non h mai goduto degli onori della ribalta che invece predilige gli eroi di turno che portano acqua al mulino del mercato. E cosi' abbiamo migliaia di reportage ( perche' se non fai reportaggio non sei un fotografo, devi essere concerned) sui bambini rom di tutta italia, migliaia sugli individui di origine africana che fanno i lavavetri sfruttati dalle mafie locali, migliaia sui malati ospedalizzati che soffrono sulle barelle , migliaia sui mendicanti, sempre le stesse fotografie da anni e anni, generazione dopo generazione.
Viva GILARDI, viva Coghe che si capisce che e' una persona intelligente.
Viva queste iniziative di Sandro che speriamo possano aprire gli occhi alla massa.
eugenio sinatra- palermo

eugeniosinatrapalermmo ha detto...

Grande plauso ad A. Coghe che tira in ballo una cosa del grande GILARDI, l'unico secondo me che finora capisca cosa sia la fotografia e abbia cercato sempre di spiegarlo. Concetto vetusto in termini temporali, ma sostanzialnebte vero. Proprio per questo Il GILARDI non h mai goduto degli onori della ribalta che invece predilige gli eroi di turno che portano acqua al mulino del mercato. E cosi' abbiamo migliaia di reportage ( perche' se non fai reportaggio non sei un fotografo, devi essere concerned) sui bambini rom di tutta italia, migliaia sugli individui di origine africana che fanno i lavavetri sfruttati dalle mafie locali, migliaia sui malati ospedalizzati che soffrono sulle barelle , migliaia sui mendicanti, sempre le stesse fotografie da anni e anni, generazione dopo generazione.
Viva GILARDI, viva Coghe che si capisce che e' una persona intelligente.
Viva queste iniziative di Sandro che speriamo possano aprire gli occhi alla massa.
eugenio sinatra- palermo