Ci siamo. Come preannunciato continuiamo a portare avanti la linea che vuole trascinare la Fotografia oltre le pagine del giornale. Dopo la partecipazione al Festival della Fotografia Etica di Lodi vi avevo anticipato la realizzazione di un convegno di studi dedicato alle problematiche del fotogiornalismo nel nostro paese. Si terrà il 24 aprile presso l’ISA, Istituto Superiore Antincendi, in via del Commercio 13 a Roma dalle ore 10 alle 19, sotto il titolo condiviso da questo editoriale di Appunti sul fotogiornalismo: la questione italiana.
Ma di cosa si tratta? Si tratta di un’occasione per fermarsi a riflettere sulla situazione del fotogiornalismo nel nostro paese. Una situazione che ai non addetti ai lavori forse non è chiaro quanto sia sempre più a rischio ogni giorno che passa, vuoi per la contrazione mostruosa subita dal mercato, vuoi per il trattamento da sempre riservato dalla nostra stampa all’immagine fotografica e vuoi infine per la scomparsa progressiva di un senso etico della professione. Siamo costretti tutti i giorni a vedere la fotografia abusata (mi sia consentito l’uso di un termine che rimanda direttamente allo stupro) corrotta e ormai privata in gran parte dei casi della propria valenza documentativa.
Il mercato è in mano agli inserzionisti pubblicitari che ricattano l’editoria: un’immagine sgradita a fianco alla propria pubblicità e viene annullata una pianificazione. A caduta photo editor, redattori, capo redattori e e direttori evitano accuratamente di arrecare un danno economico ai loro editori per evitare di perdere lo stipendio. E, per quanto possa sembrare assurdo, alla fine quello che accade è che non siamo più in grado di vedere i lavori ottimi realizzati da professionisti del giornalismo visivo. Solo perché c’è il rischio di perdere un cliente. Inutile dire che il concetto di informazione si può considerare morto e sepolto in una situazione del genere, soprattutto se poi, come dimostra la cronaca, si considera che l’immagine è solo una delle vittime delle pressioni economiche e politiche (ammesso che una reale differenza sussista tra le due categorie).
Il mercato è in mano agli inserzionisti pubblicitari che ricattano l’editoria: un’immagine sgradita a fianco alla propria pubblicità e viene annullata una pianificazione. A caduta photo editor, redattori, capo redattori e e direttori evitano accuratamente di arrecare un danno economico ai loro editori per evitare di perdere lo stipendio. E, per quanto possa sembrare assurdo, alla fine quello che accade è che non siamo più in grado di vedere i lavori ottimi realizzati da professionisti del giornalismo visivo. Solo perché c’è il rischio di perdere un cliente. Inutile dire che il concetto di informazione si può considerare morto e sepolto in una situazione del genere, soprattutto se poi, come dimostra la cronaca, si considera che l’immagine è solo una delle vittime delle pressioni economiche e politiche (ammesso che una reale differenza sussista tra le due categorie).
A questo si aggiungano le tendenze in apparente contraddizione segnate dal fotogiornalismo di approfondimento alimentato dai premi internazionali che sembrano avallare solo all’enfatizzazione della sofferenza. Purché sia quella altrui, lontana, distante, in grado di farci ricordare con gratitudine che viviamo in una società occidentale che avrà pure tanti difetti, ma perlomeno offre ancora un’accettabile garanzia di tornare a casa la sera più o meno nelle condizioni di integrità che avevamo la mattina quando siamo usciti per andare al lavoro. Buona parte del fotogiornalismo è ridotta a immagini che certificano da una parte le capacità artistiche del fotografo, gratificandone l’edonismo, dall’altra rassicurano chi le guarda rispetto alla qualità della sua vita.
In questo marasma di contraddizioni che fine hanno fatto i fotogiornalisti? Che futuro possono avere se il referente principale, ovvero la carta stampata, vive una crisi in costante aggravamento? Cosa accadrà in un paese dove in valore relativo (e talvolta anche assoluto) le foto vengono pagate meno di dieci anni fa (magari a un anno dall’emissione fattura)? Cosa potranno fare i fotogiornalisti di fronte alle agenzie di microstock piuttosto che al cospetto di quel paese del bengodi che è Flickr dove editori privi di scrupoli attingono a mani bassi e soprattutto gratuitamente? Il reportage ha ancora spazio nell’editoria o deve ritagliarsi spazi altrove? Per vedere certe fotografie, conoscere certe storie dovremmo comprare libri, andare a mostre, scarnificare le pieghe di internet? Ma, soprattutto, quale è oggi l’approccio etico con cui ci si pone di fronte al fotogiornalismo tanto come fotografi quanto come utilizzatori attivi o passivi di immagini?
Soprattutto intorno a questioni etiche nascono queste domande, che da qualche anno mi sto ponendo con Maurizio De Bonis, direttore e fondatore di CultFrame e presidente di Punto di Svista. Domande che torniamo a porci tutte le volte che abbiamo occasione di confrontarci. Domande che vorremmo si ponessero anche altri. Domande che ci hanno spinto a dar vita insieme a questo evento. Domande che vorremmo diventassero di pubblico dominio e interesse. Domande che riguardano tutti noi in quanto cittadini.
Sia chiaro che non abbiamo la pretesa di arrivare a una soluzione univoca, tanto meno pensiamo di riuscire a cambiare le cose. Il nostro obiettivo è unicamente quello di fotografare la situazione, creare un punto di partenza che permetta di iniziare a riflettere pensando all’esistenza di un futuro. Rompendo un monopolio che dal mercato si sta estendendo pericolosamente alle idee.
Che determinate aziende impegnate nel settore della vendita di immagini debbano reagire alle richieste del mercato è ovviamente più che legittimo e comprensibile. Che cerchino di alterare il senso delle cose imponendo teorizzazioni asservite al fatturato nell’annichilimento del fotogiornalismo, che si contrabbandino operazioni pubblicitarie per informazione, non è invece eticamente accettabile. E ancor meno lo è il fatto che non esista una riflessione che vi si opponga. Bene, questa riflessione è proprio ciò che vorremmo cercare di far nascere con il contributo di giovani professionisti.
In questo parto assistito sono molti quelli che devo ringraziare. Ma in primis Maurizio De Bonis co-ideatore e co-promotore di questa iniziativa senza la cui tenacia nulla sarebbe stato possibile. Importantissimo anche l’apporto di Emilio D’Itri di Officine Fotografiche che ha permesso la realizzazione logistica dell’evento. Ancora un caloroso ringraziamento lo devo ai relatori che hanno accettato questa sfida mettendo a disposizione le loro esperienze, il loro tempo, la loro credibilità: Giorgio Cosulich (fotogiornalista e docente), Leo Brogioni (fotogiornalista e docente di fotogiornalismo), Emanuele Cremaschi (fotogiornalista), Alessandro Grassani (fotogiornalista). E un ringraziamento ancora è riservato a tutti quelli che hanno reso possibile la realizzazione dell’evento e a quanti la concretizzeranno con la loro presenza il 24 aprile. Vi aspetto, vi aspettiamo per prendere coscienza insieme di ciò che accade nel nostro mondo.
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3 commenti:
Per la verità di belle foto se ne vedevano poche sui media italiani anche in tempi di vacche grasse. La scarsa cultura dell'immagine ha sempre albergato nelle principali testate italiane. Il fatto che le foto quasi mai vengono attribuite al fotografo la dice lunga sulla considerazione in ambito giornalistico. E che dire della difficoltà concreta di accedere all'Albo dei Giornalisti come professionista per un fotografo free lance? Ora con la crisi reale del mondo dell'editoria, scalzata dai nuovi modelli di informazione della Rete, lo spazio per una foto di qualità si fanno sempre più angusti. Ben vengano, quindi, iniziative come quelle che avete organizzate al quale spero vivamente di poter assistere.
un messaggio di denuncia molto forte. Non posso che esprimere il mio appoggio.
Purtroppo penso che il fotogiornalismo in questa era di sharing real time sia destinato ad un sempre maggiore ridimensionamento.
Un altro effetto collaterale ed irreversibile della globalizzazione.
Ma i tempi cambiano sempre più velocemente, occorre cambiare strategia e media.
Dico una cosa da far rabbrividire i cultori della fotografia classica...
Ma perchè non creare una youtube (immagini e filmati) di soli professionisti (sapete quanto vale youtube.com?).
I compensi potrebbero essere calcolati ad esempio per numeri di accessi.
I tempi come ho detto prima cambiano, non accorgersene si fa la fine dei dinosauri
Quale futuro per il fotogiornalismo?
Quale futuro per i fotografi di reportage...
In questo momento di svolta si chiudono moltissime porte e se ne aprono di nuove. L'unica cosa certa è che produrre contenuti di qualità è costoso in termini di tempo e di denaro.
Vedo molti colleghi auto prodursi lavori egregi e distribuirli in proprio su canali alternativi, libri , blog, video...
Quello che è certo è che diventa faticoso il ritorno economico...
Personalmente, non sono l'unico, mi sono trovato a ritgliarmi un piccolo spazio nella fotografia di matrimonio e nei corsi di fotografia, il tempo per editare i miei lavori di ricerca si è ridotto notevolmente e mi trovo a fare piccoli post di appunti di "viaggi sociali" su Facebook... Nel frattempo guardo e cerco di di capire di vedere se si aprono nuovi spiragli.
Continuo a produrre, intanto gli scatti ci sono....
Qui se siete curiosi di quello che faccio:
http://www.fotografo-matrimonio.biz/
http://www.vittorebuzzi.it/corsi-fotografia.htm
http://www.facebook.com/pages/Milano-Italy/Vittore-Buzzi-Fotografo/146792108433
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