mercoledì 21 luglio 2010

Sono tempi maturi?

Una cosa che credo non venga molto considerata dalla maggioranza delle persone che acquistano un giornale è il lavoro invisibile che in ogni numero si nasconde nelle pagine che si tengono in mano mentre ci si allontana dall’edicola. Non mi riferisco, è ovvio, al lavoro che necessariamente viene svolto per scrivere i testi, illustrarli, impaginarli, correggerli e mandarli in stampa. Quello, grande o piccolo che sia, suppongo sia dato per scontato anche se non ci si occupa specificamente di editoria. Penso invece a tutti i tentativi che vengono fatti per arrivare al prodotto finale, per farlo per così dire maturare. Nel computer su cui sto scrivendo ad esempio ci sono qualcosa come cinque differenti versioni dell’impaginato della cover story e se ricordo bene il mese precedente ce n’erano otto. 
Un discorso analogo, ma questo lo avrete già intuito, si potrebbe fare per la copertina. Al consueto posto dell’editoriale avete infatti trovato una seconda versione della copertina che avete visto arrivando in edicola. Perché? Non sapevo cosa scegliere e nel dubbio ho fatto realizzare una sorta di doppia copertina? No non è per questo. Ho scelto di fare qualcosa di strano tanto per movimentare un po’ la situazione e creare attenzione? No, non è nemmeno per questo.
Faccio un passo indietro. La copertina nella linea editoriale assunta da qualche anno per IL FOTOGRAFO è tratta ogni qualvolta sia possibile dalla cover story (visto che si chiama appunto storia di copertina, non è molto originale vero?!). Logico quindi che la ricerca sia stata fatta all’interno del lavoro fortemente autobiografico di Debora Barnaba che pubblichiamo in questo numero 219. L’immagine più forte e concettualmente più aderente al lavoro è a mio avviso quella che abbiamo utilizzato nella copertina di pagina 3. Quella che trovate nella vera e propria copertina è decisamente interessante, anche forte, perché no? Ma nonostante la strana smorfia delle labbra e il dissacrante segno del rossetto sui denti, è una fotografia molto più neutra. Non a caso chiude la cover story contribuendo in questo modo a produrre l’attribuzione di senso all’intero lavoro presentato.
Ma allora perché ho scelto di far vedere in edicola la meno rappresentativa delle due immagini? Semplicemente perché sottoponendo la prima bozza della copertina al consueto giro di opinioni interno ed esterno della casa editrice, ho potuto constatare come la chiara allusione al ciclo mestruale provocasse reazioni classificabili quantomeno come consistente disagio, soprattutto da parte del pubblico femminile. L’allusivo rossetto utilizzato sul corpo ha scatenato immediatamente le peggiori associazioni che un certo tipo di retaggi ancestrali può produrre. Di fatto l’immagine appartiene a una serie intitolata Kissing me, il cui senso è proprio nel recupero, nell’accettazione di sé in toto, corporeità compresa. Il suo significato quindi va proprio in direzione contraria al disagio riscontrato nel test effettuato con la copertina che vedete a pagina 3. Alla prova dei fatti per molti sembra risultare inaccettabile l’ostensione pubblica di simbolico sangue mestruale. Ovvero il principio di accettazione da cui è scaturita l’immagine, finirebbe per trasformarsi. Tornerebbe a essere rifiuto. Verrebbe negata la stessa ragion d’essere della fotografia, il principio da cui ha preso le mosse il percorso che ha condotto alla sua realizzazione.
Si sarebbe quindi creato un effetto paradossale che ho preferito evitare, optando per il più tranquillo ritratto. 
Al tempo stesso però ho ritenuto importante provare a sottoporre quella che era stata la prima intenzione-intuizione. Rispettare opinioni differenti dalle proprie è doveroso, ma credo che rispetto meriti anche chi decide di superare i propri tabù aprendosi a nuove prospettive, in cui le cose non abbiano una lettura necessariamente univoca. È nata così la seconda copertina, quella di pagina 3, destinata a offrire una lettura più aderente al lavoro di Debora Barnaba. Lo scopo quindi è quello di offrire una possibilità in più a ciascuno di noi per indagare all’interno di se stesso. Magari provare a muovere i primi passi per trovare-ritrovare un’armonia con quanto ci circonda, arrivando a baciare simbolicamente il nostro essere anche nelle manifestazioni che riteniamo meno appropriate o desiderabili.
Tutto questo per associazione di idee mi fa venire in mente un brano di Il maestro e le streghe*. Spinto dal suo maestro di meditazione Jodorowsky deve incontrare Leonora Carrington, scrittrice e pittrice surrealista inglese mitizzata negli ambienti pittorici messicani. Prima di descrivere l’incontro racconta ciò di cui era a conoscenza relativamente a questa donna incarnazione del surrealismo più violento. Nel corso di una festa il regista Luis Buñuel affascinato dalla bellezza della donna e convinto avesse superato ogni moralismo borghese, le propone di diventare la sua amante. Senza nemmeno attendere una risposta le mette in mano le chiavi del suo pied-à-terre segreto e la convoca per il pomeriggio successivo. La Carrington non attende tanto e si reca di mattina presto nel luogo indicato. Entrata rimane stordita dallo squallore asettico delle pareti bianche e dall’unico funzionale arredamento costituito dal letto. Con un gesto decisamente surrealista decide di rendere meno impersonale il luogo e approfittando del sangue mestruale decora le pareti candide con le impronte della propria mano. Un atto impensabile per una coscienza benpensante che porta alla rottura traumatica e immediata di una relazione che non avrebbe mai potuto sussistere.
Ma cosa c’entra il racconto di Jodorowsky vi chiederete... Bene, credo che un atto creativo così intimo di riappropriazione dello spazio, non sia poi tanto diverso da quello di appropriazione-riappropriazione del proprio corpo attraverso le impronte di rossetto a forma di labbra che si trasformano scendendo verso il pube fino a diluirsi in sangue. Così come non mi appare troppo dissimile il processo che porta all’accettare che questo poi finisca su una copertina.
Sono convinto che i disagi di molti andassero rispettati, che non fosse giusto imporre a tutti in edicola in modo indiscriminato la visione di quella foto per quanto rappresentativa del senso del lavoro dell’autrice presentata. Ma sono altresì convinto che non fosse giusto nemmeno privare della possibilità di mettersi in discussione in modo profondo chiunque avesse avuto voglia di farlo. Non so dire se la scelta sia stata giusta o sbagliata, né se i tempi fossero già maturi per fare altrimenti o se al contrario sia ancora troppo presto per universalizzare proposte di questo tipo. Sono interrogativi cui al momento non so dare risposta, ma confido che la condivisione implicita nel porli a tutti voi renda possibile il raggiungimento di una maggiore comprensione a questo proposito. Sta quindi a voi ora rispondere. Ognuno risponda prima di tutto a se stesso. Poi facendomi-facendoci sapere cosa pensa.

n. 219



*Il maestro e le maghe di Alejandro Jodorowsky, Feltrinelli 2010, pagina 55.



Dall'alto:
La copertina de IL FOTOGRAFO numero 219.

La seconda copertina de IL FOTOGRAFO numero 219.



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116 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi piace molto la seconda copertina. Penso che l'appropiazione/riappropiazione parte prima di tutto dall'accettazione e dalla riscoperta del proprio corpo. Noi siamo prima di tutto corpo e la prima cosa con cui ci scontriamo nella vita, la prima cosa che esperiamo è il corpo, con le sue esigenze, bisogni, necessità, con la sua dimensione. Per ritrovarsi bisogna, forse, partire proprio dal proprio corpo. E' per questo che apprezzo la seconda cover, quella con il sangue mestruale.

Marta De Cunto

Cristina Giusti ha detto...

No Sandro …. Non sono maturi .. .ed è giusto che in qualche modo non lo siano dal mio punto di vista..Da tempo stanno cadendo molti “tabù” uno dopo l’altro…un bene assoluto..??..Io credo di no…Questa tendenza “voyeuristica imperante”, questa acclamata “apertura mentale” verso tutto ciò che riguarda la nostra vita, questo “Grande Fratello planetario” può sicuramente avere i suoi lati positivi…ma come in tutte le cose credo che sarebbe molto meglio mantenere e preservarle la famosa e ormai perduta “giusta misura”….che a mio parere consiste anche e forse soprattutto”conservare” e “proteggere” la parte più intima di noi…quella sfera talmente “propria”, personale e privata che è quasi “naturale” resti di nostra esclusiva proprietà…e non mi riferisco solo al “ciclo” in quanto tale, ma a tutta quella parte che attiene alla propria “dignità”,”moralità” e…..”pudore”…Parole che ho paura addirittura a pronunciare e a scrivere tanto sono “fuori moda”….Credo che siano elementi indispensabili agli esseri umani, che ne nobilitano la natura…e che tendono a fargli mantenere quella “misura” che purtroppo, per natura, ma credo principalmente per “scelta consapevole e calcolata”, egli vorrebbe continuamente eludere ed oltrepassare…perché tutto ciò che “limita”… è “male”…Per cui Sandro io non posso che ringraziarti per la tua scelta, davvero di cuore…..dato che credo ancora molto nel “valore” dei “limiti”…Avrei comunque acquistato la rivista…ma non ti nascondo che mi avrebbe “disturbato” e forse, da affezionata, in un certo senso “deluso” la scelta della foto “incriminata”….Ti saluto con grandissimo affetto, particolarmente triste perché mi sto perdendo i tuoi workshop estivi…sigh..!!! … Un abbraccio…!! )

rijeka ha detto...

Probabilmente non sono maturi, ma al contrario di Cristina non credo che il perché sia da ricercarsi in un atto di difesa dai moderni costumi voyeuristici... al contrario.
Non sono maturi perché, a mio parere, ci sono ancora molti, troppi tabù circa ciò che concerne il corpo femminile. E' verissimo che questo viene, a livello mediatico, sistematicamente "abusato" ed estremizzato, e che nessuno si stupisce più della nudità in quanto tale, ma di fatto, ciò che ci bombarda quotidianamente ha poco a che fare con il "corpo intimo" espresso dalle fotografie della cover. Ci hanno talmente abituato ai "corpi di plastica", bellissimi, perfetti, ma "muti" (perché depurati di ogni realistica funzionalità organica), che ci stiamo dimenticando la grammatica del "corpo parlante", ovvero il linguaggio di un corpo che freme e si dibatte per riappropriarsi del proprio personale alfabeto. Sempre di immagini e di comunicazioni mediate si parla, ma la differenza è che nel caso delle fotografie di Debora Barnaba l'immagine mediata è solo lo strumento per "dar voce" al corpo, per metterlo (mettersi?) in discussione, e non il fine ultimo, il modo per consacrarlo e celebrarlo.
La differenza è sottile, ma personalmente credo sia proprio questo il punto fondamentale, il "ground zero" da cui ripartire per arrivare, un domani, a riappropriarsi di un'immagine condivisa di corpo femminile più mutevole, veritiera e significativa, e non così tremendamente "fissa" e stereotipata (pensiamo a quella più diffusa oggi...). E con questa nuova consapevolezza del corpo, chissà, magari potremmo cominciare a rimettere in discussione anche la scala di valori che sta alle sue spalle, e che si ammanta di modernità solo in superficie.
Ma è un discorso in divenire... occorre prima rieducare il proprio sguardo, spogliarlo dei preconcetti. "Pudore", "dignità" e "moralità" sono infatti bellissime parole ma, purtroppo, se stringiamo il campo sulla sfera femminile, diventano parole pericolose: troppe volte il loro valore/significato è, ed è stato, usato come arma a doppio taglio. No, non credo dunque che i tempi siano ancora maturi (condivido quindi il non "sbattere" la seconda scelta in copertina... troppo fraintendibile...), ma credo che occorra iniziare da qualche parte... e dare visibilità a lavori di questo tipo può davvero contribuire ad alzare il sipario e a offrire, a chi ha voglia di "ascoltare" davvero, una prospettiva diversa.

Se ne sentiva il bisogno.

Maurizio Andruetto ha detto...

buon giorno sig jovine, e buon giorno a tutti i lettori,
è la prima volta che posto un messaggio ma l'argomento mi trova a voler dire la mia.
mi perdoni la critica alla sua copertina e in particolare alla seconda, ma come lei ben sa e fa, le critiche se ben interpretate sono costruttive, personalmente mi ha disturbato il lavoro dell'autrice in quanto io vedo solo un modo per farsi notare e sono molto d'accodo con Cristina Giusti nel dire che oggi c'è un po' la corsa a fare cadere tabù invece di mantenere il "pudore" o "intimità" che è giusto che ci sia. Con questo ritengo che le fotografie mostrate siano di qualità e quindi spero di non offendere l'autrice, ma per quanto mi riguarda le immagini "forti" andrebbero valutate prima di inviarle.
Un augurio di buon lavoro e buone vacanze da un vostro affezionato lettore

Anonimo ha detto...

L'argomento è difficile e andrebbe trattato con delicatezza. Provo ad essere sintetico.

Sono profondamente convinto che un'artista debba potersi esprimere liberamente, anche (e soprattutto) quando le sue idee o visioni possono essere "difficili" da accettare per il grande pubblico.
Se il rifiuto del pubblico ad alcune immagini "forti", come la seconda copertina, è un chiaro indice dei limiti e dei tabù culturali a cui siamo sottoposti, questa esigenza artistica del (tutto moderna) di voler "scioccare" il pubblico ad ogni costo è, a sua volta, un indice dei limiti dell'artista.
Personalmente apprezzo molto di più l'artista che riesce ad esprimere concetti profondi con riferimenti sottili, studiati e ricercati, rispetto a quelli che invece sono estremamente espliciti. Mi spiego con un esempio: ho trovato particolarmente toccante il dipinto di un conoscente che raffigurava una morte per annegamento: tra i tanti modi in cui avrebbe potuto esprimersi palesando la crudeltà della morte in modo diretto, ha scelto invece di dipingere una mano che sbuca dal filo dell'acqua, con tutta la drammaticità di una richiesta di aiuto inespressa, di una morte orribile... difficile dire quanto possa essere toccante quel dipinto senza vederlo, ma vi garantisco che mi ha profondamente colpito e commosso.
La seconda copertina va in direzione completamente opposta: è esplicita al massimo e, a mio avviso, fin troppo! Non per quello che mostra: il motivo è che l'immagine è estremamente didascalica, non lascia nulla alla ricerca di interpretazione dello spettatore, alla sua sensibilità, vuole solo colpire su un punto scomodo... E questo, artisticamente, è molto facile. Troppo facile.
Personalmente non condivido questa esigenza del tutto moderna di voler "scioccare" il pubblico ad ogni costo, lo considero un facile espediente per arrivare ad un risultato. Questo non vuol dire che non meriti attenzione o rilievo, ma semplicemente che è una forma espressiva un po' troppo "comoda", che tenta di spacciarsi per "scomoda".

Detto questo che, ci tengo a precisare, è una mia personalissima opinione artistica, vorrei appoggiare pienamente la scelta editoriale di Sandro Iovine. L'editoria ha una grande responsabilità quando decide di sottoporre dei contenuti ai propri lettori, in modo particolare quando si tratta delle copertine, che vengono viste anche da altri possono non essere interessati ai contenuti. Un'mmagine come la seconda copertina, a mio avviso, non può e non deve comparire in modo così decontestualizzato. Ha invece un grande valore quando è ben contestualizzata, quando porta il lettore ad un percorso personale, magari con il contributo di un articolo realizzato con l'artista (ad esempio). Un'immagine del genere in copertina avrebbe rischiato di scioccare molte persone, senza dargli la possibilità di fare alcun percorso personale (a meno che non leggessero l'articolo interno) quindi ritengo che la scelta editoriale sia stata più che adeguata.

Daniele Pol ha detto...

L'argomento è difficile e andrebbe trattato con delicatezza. Provo ad essere sintetico.

Sono profondamente convinto che un'artista debba potersi esprimere liberamente, anche (e soprattutto) quando le sue idee o visioni possono essere "difficili" da accettare per il grande pubblico.
Se il rifiuto del pubblico ad alcune immagini "forti", come la seconda copertina, è un chiaro indice dei limiti e dei tabù culturali a cui siamo sottoposti, questa esigenza artistica del (tutto moderna) di voler "scioccare" il pubblico ad ogni costo è, a sua volta, un indice dei limiti dell'artista.
Personalmente apprezzo molto di più l'artista che riesce ad esprimere concetti profondi con riferimenti sottili, studiati e ricercati, rispetto a quelli che invece sono estremamente espliciti. Mi spiego con un esempio: ho trovato particolarmente toccante il dipinto di un conoscente che raffigurava una morte per annegamento: tra i tanti modi in cui avrebbe potuto esprimersi palesando la crudeltà della morte in modo diretto, ha scelto invece di dipingere una mano che sbuca dal filo dell'acqua, con tutta la drammaticità di una richiesta di aiuto inespressa, di una morte orribile... difficile dire quanto possa essere toccante quel dipinto senza vederlo, ma vi garantisco che mi ha profondamente colpito e commosso.
La seconda copertina va in direzione completamente opposta: è esplicita al massimo e, a mio avviso, fin troppo! Non per quello che mostra: il motivo è che l'immagine è estremamente didascalica, non lascia nulla alla ricerca di interpretazione dello spettatore, alla sua sensibilità, vuole solo colpire su un punto scomodo... E questo, artisticamente, è molto facile. Troppo facile.
Personalmente non condivido questa esigenza del tutto moderna di voler "scioccare" il pubblico ad ogni costo, lo considero un facile espediente per arrivare ad un risultato. Questo non vuol dire che non meriti attenzione o rilievo, ma semplicemente che è una forma espressiva un po' troppo "comoda", che tenta di spacciarsi per "scomoda".

Detto questo che, ci tengo a precisare, è una mia personalissima opinione artistica, vorrei appoggiare pienamente la scelta editoriale di Sandro Iovine. L'editoria ha una grande responsabilità quando decide di sottoporre dei contenuti ai propri lettori, in modo particolare quando si tratta delle copertine, che vengono viste anche da altri possono non essere interessati ai contenuti. Un'mmagine come la seconda copertina, a mio avviso, non può e non deve comparire in modo così decontestualizzato. Ha invece un grande valore quando è ben contestualizzata, quando porta il lettore ad un percorso personale, magari con il contributo di un articolo realizzato con l'artista (ad esempio). Un'immagine del genere in copertina avrebbe rischiato di scioccare molte persone, senza dargli la possibilità di fare alcun percorso personale (a meno che non leggessero l'articolo interno) quindi ritengo che la scelta editoriale sia stata più che adeguata.

Anonimo ha detto...

L'argomento è difficile e andrebbe trattato con delicatezza. Provo ad essere sintetico.

Sono profondamente convinto che un'artista debba potersi esprimere liberamente, anche (e soprattutto) quando le sue idee o visioni possono essere "difficili" da accettare per il grande pubblico.
Se il rifiuto del pubblico ad alcune immagini "forti", come la seconda copertina, è un chiaro indice dei limiti e dei tabù culturali a cui siamo sottoposti, questa esigenza artistica del (tutto moderna) di voler "scioccare" il pubblico ad ogni costo è, a sua volta, un indice dei limiti dell'artista.
Personalmente apprezzo molto di più l'artista che riesce ad esprimere concetti profondi con riferimenti sottili, studiati e ricercati, rispetto a quelli che invece sono estremamente espliciti. Mi spiego con un esempio: ho trovato particolarmente toccante il dipinto di un conoscente che raffigurava una morte per annegamento: tra i tanti modi in cui avrebbe potuto esprimersi palesando la crudeltà della morte in modo diretto, ha scelto invece di dipingere una mano che sbuca dal filo dell'acqua, con tutta la drammaticità di una richiesta di aiuto inespressa, di una morte orribile... difficile dire quanto possa essere toccante quel dipinto senza vederlo, ma vi garantisco che mi ha profondamente colpito e commosso.
La seconda copertina va in direzione completamente opposta: è esplicita al massimo e, a mio avviso, fin troppo! Non per quello che mostra: il motivo è che l'immagine è estremamente didascalica, non lascia nulla alla ricerca di interpretazione dello spettatore, alla sua sensibilità, vuole solo colpire su un punto scomodo... E questo, artisticamente, è molto facile. Troppo facile.
Personalmente non condivido questa esigenza del tutto moderna di voler "scioccare" il pubblico ad ogni costo, lo considero un facile espediente per arrivare ad un risultato. Questo non vuol dire che non meriti attenzione o rilievo, ma semplicemente che è una forma espressiva un po' troppo "comoda", che tenta di spacciarsi per "scomoda".

Anonimo ha detto...

Detto questo che, ci tengo a precisare, è una mia personalissima opinione artistica, vorrei appoggiare pienamente la scelta editoriale di Sandro Iovine. L'editoria ha una grande responsabilità quando decide di sottoporre dei contenuti ai propri lettori, in modo particolare quando si tratta delle copertine, che vengono viste anche da altri possono non essere interessati ai contenuti. Un'mmagine come la seconda copertina, a mio avviso, non può e non deve comparire in modo così decontestualizzato. Ha invece un grande valore quando è ben contestualizzata, quando porta il lettore ad un percorso personale, magari con il contributo di un articolo realizzato con l'artista (ad esempio). Un'immagine del genere in copertina avrebbe rischiato di scioccare molte persone, senza dargli la possibilità di fare alcun percorso personale (a meno che non leggessero l'articolo interno) quindi ritengo che la scelta editoriale sia stata più che adeguata.

Anonimo ha detto...

Mi scuso tantissimo per i messaggi duplicati, ma il blog mi restituiva un messaggio di errore ogni volta che provavo a pubblicare il commento perchè era lungo, quindi li ho reinviati non sapendo che invece erano stati pubblicati... e non trovo il modo di cancellarli.

Debora Barnaba ha detto...

Innanzitutto vorrei ringraziare moltissimo Sandro per avermi dato la possibilità di far vedere il mio lavoro, e per potermi confrontare con chi lo vede. Detto questo, ci terrei a dire due parole, avendo letto i commenti che sono stati fatti. Sono contenta di poter ricevere critiche e non, mettersi in discussione è sempre positivo. Ma ci sono delle cose che terrei a precisare, in merito ad alcuni argomenti. Vorrei essere breve, ma è una cosa così sentita da parte mia che temo non riuscirò ad esserlo.
Leggendo Cristina mi sono dispiaciuta per il suo uso di termini come "tendenza voyeuristica imperante" o "grande fratello planetario", perchè il mio lavoro non vuole essere nè autocelebrativo, nè superficiale. Lavoro con l'autoscatto, per raccontare, per raccontarmi, il mio mondo, la mia visione di esso, per cercare di arrivare alla mia essenza, parlo della mia crescita, della scoperta del mio corpo, del mio SENTIRE il corpo, come comunica, come si relaziona al mondo.
Questo modo di vivere e di vedere è spesso legato a sensazioni di disagio, di straniamento, ma non perchè io voglia colpire o shoccare chi guarda, ma perchè è quello che sento dentro.
Il mio intento non è quello di farmi vedere, è quello di comunicare. Se volessi mettere in mostra il mio corpo e "rivenderlo" alla massa certamente sceglierei un altro modo, ben più superficiale, estetico e che non possa dare fastidio, anzi.
Il nudo è sempre un tema difficile da trattare, ma ci sono artisti che hanno fatto cose molto più forti di questa mia foto, pensiamo a Mapplethorpe, a Francesca Woodman. Ma loro sono già conosciuti e affermati quindi basta questo a giustificare una frusta nel sedere.
Non credo che mostrare un pube con una mano sporca di rossetto sia altrettanto forte, come non credo che sia quanto di più prezioso abbiamo. La dignità è altro, è quello che siamo e che facciamo nella vita. Questo è quello che ci distingue veramente nella vita. Del resto, TUTTE le donne hanno le mestruazioni e hanno un pube. Quindi perchè pensare che sia quanto di più prezioso abbiamo? Se pensiamo a Paesi come l'Olanda, ci rendiamo presto conto che l'idea di nudo e di corpo è ben diversa, come quella di pudore.
Ringrazio moltissimo Rijeka, ha scritto un commento molto bello, che condivido in pieno e che mi ha scaldato il cuore, grazie.
Per quanto riguarda poi l'idea di intimità, secondo me non basterebbe un libro, è un concetto così forte e complesso che non può certo esprimersi soltanto alla vista di un pube femminile. L'intimità è ben altro a parer mio. Ma non voglio dilungarmi ulteriormente.
Concordo con Daniele per molte cose, ma devo fare un appunto: la foto in questione fa parte di una serie di fotografie. Se andate sul mio sito potete vedere come esprimere un concetto per me sia legato non solo ad una foto singolarmente, ma come una serie possa dire molto. Questo è importante, per non snaturare quello che faccio e chi sono.
Spero di essere stata abbastanza chiara e spero di leggere molti altri commenti alle mie foto, trovo che confrontarsi sia vitale. Grazie a tutti e scusatemi per la lunghezza del testo.

Claudio ha detto...

Parto da una premessa, la foto scelta per la prima copertina non mi piace, non mi comunica alcuna emozione e non mi ha trasmesso messaggi; avrei comunque scelto la seconda immagine come copertina.
Venendo all'oggetto della discussione, alla domanda "Sono tempi maturi?" mi sento di rispondere con un altra domanda: maturi per che cosa?
La televisione porta quotidianamente nelle case corpi nudi e immagini di violenza gratuita senza alcuna preoccupazione per la sensibilità delle singole persone che si trovano dall'altra parte dello schermo. Volgarità e pornografia invadono continuamente le nostre vite, e ci hanno ormai assuefatti alle peggiori bassezze, alla perversione in tutte le sue forme ed espressioni.
Io credo che l'arte, la cultura, in questo caso la fotografia, abbiano l'enorme potere di redimerci dalla volgarità. L'immagine del corpo nudo segnato dal rossetto è bellissima per almeno due motivi: non istiga al sesso (in questa immagine il corpo femminile non è un oggetto provocante, non esprime desiderio) e non è violenta (non è l'immagine di una vittima picchiata o violentata, il richiamo è al sangue mestruale, naturale ciclo vitale di una donna, oggetto di tabù solo perchè le pubblicità di assorbenti ci convincono che si tratta di una cosa da di cui vergognarsi, inutile tortura mensile, in grado solo di provocare brutte figure mentre fai la ruota ed "odori sgradevoli")
Io non credo che la copertina di una rivista di fotografia di questo tipo sia in grado di provocare sgomento tra i suoi lettori, anzi al limite può creare interesse.. stiamo parlando di un pubblico specializzato, in grado di comprendere i messaggi che trasmettono le immagini, non siamo in presenza di un giornale di gossip (che comunque non avrebbe alcuna remora a pubblicare immagini forti se funzionali ai loro scandali).
Tornando alla domanda: non penso che i tempi siano "maturi", nel senso mi sembra che siano ancora in quella fase infantile in cui la massima comicità è generata dal sentir pronunciare parole come "cacca" o "pisello", ma credo che per far maturare i tempi siano necessari gesti coraggiosi da parte di chi ha in mano i mezzi di comunicazione.

Debora Barnaba ha detto...

Innanzitutto vorrei ringraziare moltissimo Sandro per avermi dato la possibilità di far vedere il mio lavoro, e per potermi confrontare con chi lo vede. Detto questo, ci terrei a dire due parole, avendo letto i commenti che sono stati fatti. Sono contenta di poter ricevere critiche e non, mettersi in discussione è sempre positivo. Ma ci sono delle cose che terrei a precisare, in merito ad alcuni argomenti. Vorrei essere breve, ma è una cosa così sentita da parte mia che temo non riuscirò ad esserlo.
Leggendo Cristina mi sono dispiaciuta per il suo uso di termini come "tendenza voyeuristica imperante" o "grande fratello planetario", perchè il mio lavoro non vuole essere nè autocelebrativo, nè superficiale. Lavoro con l'autoscatto, per raccontare, per raccontarmi, il mio mondo, la mia visione di esso, per cercare di arrivare alla mia essenza, parlo della mia crescita, della scoperta del mio corpo, del mio SENTIRE il corpo, come comunica, come si relaziona al mondo.
Questo modo di vivere e di vedere è spesso legato a sensazioni di disagio, di straniamento, ma non perchè io voglia colpire o shoccare chi guarda, ma perchè è quello che sento dentro.
Il mio intento non è quello di farmi vedere, è quello di comunicare. Se volessi mettere in mostra il mio corpo e "rivenderlo" alla massa certamente sceglierei un altro modo, ben più superficiale, estetico e che non possa dare fastidio, anzi.
Il nudo è sempre un tema difficile da trattare, ma ci sono artisti che hanno fatto cose molto più forti di questa mia foto, pensiamo a Mapplethorpe, a Francesca Woodman.

Anonimo ha detto...

La scelta in questione va analizzata sotto due aspetti: Etico e Commerciale, e per entrambe la scelta di Sandro è quella corretta.
L’ Etica è un aspetto culturale che varia di società in società. In Italia queste forme esplicite della nudità dell‘ essere umano non sono ben viste, seppur l’Arte non ha mai cessato di rappresentarle, ma il più della gente ci vuole ancora far credere che questo leda la loro morale (dal mio modesto punto di vista, sono persone annoiate che devono sempre dire qualcosa, per occupare il tempo).
Commercialmente parlando, la scelta, ritengo ancora una volta essere corretta, perché sprona il lettore a curiosare il contenuto della rivista, molto più efficacemente dell’altra immagine, perché è “il non vedo” lo stimolo vero dell’uomo, la sua innata curiosità, il bisogno incessante di sapere.

La verità, e credo che ognuno in cuor suo lo sappia è che i tempi sono assolutamente maturi per vedere immagini simili (i media propongono costantemente scene che ormai vanno ben oltre il semplice esibizionismo e lo fanno in maniera volgare ed oltraggiosa, offendendo la nostra intelligenza);
Ciò che secondo me non è pronta è la cultura Artistica; purtroppo il più delle persone non sanno interpretare e collocare questi lavori nella giusta funzione cui assolvono, ovvero non pornografica ma comunicativa, come espressione del se o di una parte o di un momento del se.
Ogni artista l’ha sempre fatto proprio per esprimere il suo essere al mondo, quell‘ essere cui siamo stati obbligati, non per scelta; c’è chi esaspera, in opere probabilmente scomode alla visione di molti, questo stato e chi, consapevole di doverne fruire col mondo, lo lascia intravedere, perché sa che chi davvero vive quell’emozione può comprendere ad arrivare in profondità al messaggio espresso;
L’Artista in questione si annovera, secondo me, nella seconda categoria perché la foto non è assolutamente volgare e non esibisce nulla di più di ciò che ogni essere umano ha nella sua mente riguardo al corpo femminile.
Concludo dicendo che Danielepol ha assolutamente ragione sul fatto che la “seconda copertina” non possa essere decontestualizzata; è il motivo primo per cui spesso si cade in errori interpretativi e si comincia a parlare di morale e rispetto. La Foto va vista, interpretata, e ancor più vissuta, all’interno della sequenza di immagini cui è stata inserita.

Alek Pierre

Giuseppe Petrilli ha detto...

...e se si provasse a spostare l'attenzione visiva sulla mano? Un misto di eleganza e drammaticità? Teoricamente una mano ed un pube sono la stessa cosa, ma praticamente la nostra cultura ci insegna (impone?) che non è così.
Quindi probabilmente è vero...da artista erotico posso affermare che la nostra società non è ancora del tutto pronta a metabolizzare certi argomenti, ma questo, naturalmente, è un limite.
Ritengo che ad un artista dovrebbe essere concesso di mostrarsi in tutti i modi, soprattutto quando lavora su se' stesso e col proprio corpo, come fa Debora.
A prescindere da tutto, questa non è un'artista improvvisata, ma un'artista che sta dimostrando di saper crescere professionalmente, col duro lavoro ed il supporto di tecnica e studio. In futuro farà parlare di sè, brava Debora.

Arancia ha detto...

Personalmente non amo molto la tecnica fotografica usata,ma mi piace molto il messaggio e la volontà che vi è dietro il progetto fotografico.
I tempi non saranno mai maturi per lo meno non in Italia,dove la gente spesso si mostra perbenista e superficiale.(nonostante nei secoli fior di artisti abbiano cercato di cambiar le cose,vedi Caravaggio)
La vera offesa alle donne e al corpo femminile la subiamo quotidianamente nella nostra società,dove il corpo appare sempre piu come una merce di scambio,pura immagine.
Personalmente avverto nell intero progetto fotografico,proprio la volontà di riappropriarsi del proprio corpo come materia,creando una fusione tra io spirituale e io fisico,da cui vien fuori un esperienza non soggetta a canoni estetici sociali.
Il nudo in questione,non è un nudo a se stante,non si esaurisce nella bellezza estetica canonica,proprio perchè come lei stessa ha spiegato,vi è la volontà e bisogno di esprimersi.cit"Per raccontare, per raccontarmi, il mio mondo, la mia visione di esso, per cercare di arrivare alla mia essenza, parlo della mia crescita, della scoperta del mio corpo, del mio SENTIRE il corpo, come comunica, come si relaziona al mondo.
Questo modo di vivere e di vedere è spesso legato a sensazioni di disagio, di straniamento, ma non perchè io voglia colpire o shoccare chi guarda, ma perchè è quello che sento dentro.
Il mio intento non è quello di farmi vedere, è quello di comunicare."
In conclusione,le foto sembrano avere l effetto di uno schiaffo morale,possono sembrare spiazzanti,ma sta all'intelligenza e sensibilità di chi guarda non fermarsi a vedere solo del sangue su di un pube,altrimenti meglio andare al cinema e non perdere tempo con le riviste di fotografia.
p.s
Apprezzo il commento di Marta De Cunto e di Alek Pierre.

Anonimo ha detto...

Sarò sintetica, quando compro la rivista inizio a sfogliarla subito per strada, la seconda copertina non lascia indifferenti. Il problema è un altro, guardando l'immagine (senza leggere l'articolo)la prima cosa che m'è venuta alla mente è stata che l'argomento trattato fosse 'la violenza sulle donne', la foto mi ha un po' turbato, i segni sul braccio mi sembravano lividi da manate, segni da difesa personale e non di certo baci. Poi ho letto l'argomento, onestamente non avevo di certo pensato al mestruo, alla luce di questo le foto mi sono apparse un po' ridicole e fuori tema. Un tema così bello meritava ben altre foto.

Saluti Simona Sammicheli

Debora Barnaba ha detto...

per Simona: il tema del mio lavoro non è il mestruo, ma la comunicazione attraverso il corpo. Parlo del mio vissuto e continuo a precisare che la foto in questione fa parte di una serie di foto da cui si capisce che mi sto baciando il corpo. Ci tengo al fatto che le mie foto non vengano decontestualizzate, perchè si rischia, come in questo caso, di perderne il senso. La foto può ricordare il sangue mestruale, ma come hai detto tu, l'impressione che se ne ha non è comunque serena, nonostante siano proprio baci.
Mi stupisco del fatto che si continui a parlare solo di quella foto, presa singolarmente nonostante ci siano all'interno della rivista ben altre 6 foto, che possono aiutare a capire meglio quello che faccio e che sono. (ma questa ultima affermazione è rivolta in generale, non solo a Simona).

Claudio ha detto...

Per Debora: Capisco benissimo la tua posizione e ti assicuro che ho apprezzato tantissimo il tuo lavoro, però la questione sollevata riguardava unicamente la copertina.. Io sono un architetto e so benissimo che quello che la gente vede e giudica di un progetto di architettura è solamente la facciata, non l'enorme lavoro che sta dietro a quella facciata. A volte è frustrante, ma bisogna accettare questa condizione. In questo caso la copertina di una rivista è come la facciata di un edificio, attraverso una singola immagine rappresentativa si cerca di raccontare tutto, ma questo quasi mai è possibile. Se posso permettermi di darti un suggerimento.. cerca di capire cosa può suscitare negli altri ogni singola immagine del tuo lavoro, quali emozioni stimola al di fuori del suo contesto. I grandi fotografi riescono a raccontare molto con un singolo scatto, e spesso nei musei dobbiamo accontentarci di quello tentando di intuire il grande lavoro che ci sta dietro..
Ancora complimenti

Claudio

Debora Barnaba ha detto...

Claudio, hai sicuramente ragione, ma se prendi una singola foto di autori come la woodman, o cindy sherman ad esempio, puoi apprezzarle magari per la tecnica, o la composizione, ma non puoi capire nulla del percorso che c'è dietro. Una copertina è importante, ma ancora di più è il lavoro di chi guarda, nel cercare di andare a fondo in quello che vede. In una mostra, se è personale, di solito si dà un senso al lavoro di ricerca di un artista, anche se con pochi lavori a disposizione. Oppure se è una collettiva, per lo meno c'è un tema, un filo conduttore che accomuna le immagini presenti, quindi in qualche modo le contestualizza.
Non dico che questa singola foto possa parlare di tutto il mio lavoro, ma per lo meno credo che si possa intuire che c'è una ricerca sul corpo, sulla fisicità e sul modo di viverla che va oltre al senso estetico.

Anonimo ha detto...

Da una sola immagine, o da due, non si puo' giudicare il lavoro di un fotografo. Per questo ho visitato il sito della Barabba e le ho viste tutte. Non mi piacciono, e so che conta nulla il mio parere, dico di piu' mi hanno fatto un po' ..non voglio usare il giusto termine, diciamo brutta stomachevole impressione. La Barnaba vuole appropriarsi del suo corpo, lo faccia pure, ma in casa propria per piacere, non pubblicamente, se vuole seguire l'esempio di Toscani nei famosi manifesti che mostravano la cruda realta', da me tutti approvati largamente e sempre, qui siamo ben lontani : non mi scandalizzo certo per il tipo di immagini, ma in Toscani c'era uno studio per un m,essaggio che rimanesse nella memoria visiva, quasi come un vissuto, qui tutto quello sporco di rosso, rossetto o sangue, "cosa mi racconta?" che lei vuole appropiarsi?
Finira' che tutti i dilettanti, invece di fotografare girasoli e gondoledivenezia si riapproprieranno del proprio corpo proponendoci pure le eiezioni eecc pur di essere "in".
Comunque in copertina ci e' andata, lo scopo e' raggiunto.
cordialmente
eugeniosinatrapalermo

Anonimo ha detto...

eugeniosinatrapalermo
Dimenticavo : per quanto riguarda l'interrogativo di Iovine, secondo me sarebbe stato meglio pubblicare in copertina, se non proprio questa del presunto mestruo per non offendere i benpensanti parrucconi, un'altra qualsiasi delle altre foto della serie, che sono senz'altro piu' ricercate nella realizzazione efanno entrare subito in medias res
eugeniosinatrapalrmo

Unknown ha detto...

Sarei grato a tutti se nell'esprimere il loro gradito pensiero si prestasse maggiore attenzione alla grafia dei nomi che sicuramente per distrazione vengono a volte storpiati. Non voglio infatti pensare che il risultato sia frutto di un davvero malinteso e meschino sfoggio di ironia retorica.
Lascio poi a chiunque sia in possesso di adeguati strumenti, la valutazione di paragoni che denotano nella migliore delle ipotesi una incerta distinzione dei confini tra l'analisi oggettiva di un'immagine e la sovrapposizione aprioristica a questo concetto delle personali teorie estetico-contenutistiche.

Anonimo ha detto...

Salve
in risposta ad Eugenio Spinato:
se paragona il lavoro in questione con quello di Oliviero Toscani(immagino lei si riferisca alle campagne contro l aids e l 'anoressia)è ben chiaro che non ha capito il messaggio di questo progetto fotografico.
Non ritengo Toscani un artista,ma un Genio(e lo scrivo con lettera maiuscola)della comunicazione,e di certo di lui e delle sue campagne si può dire che raggiungono gli scopi prefissati cioè essere in copertina o nel migliore dei casi far parlare di se creando polemiche.Non credo di aver mai visto nei suoi lavori un tentativo di voler esprimere se stessi.
Qualsiasi campagna fotografica da lui fatta è sempre stata una campagna pubblicitaria(Nolita,benetton etc)
Il suo scopo è sempre stato vendere,fare marketing,creare scompiglio:in una parola pubblicità!...talmente geniale e infiltrata come comunicazione pubblicitaria da infilarsi anche in una discussione riguardante delle foto di un altro Fotografo, guarda un po....:)
Non avrei voluto parlar di Toscani ma il suo paragone mi è sembrato fuoriluogo.
Per il resto,il progetto fotografico può anche farle "schifo":
ad ognuno la propria sensibilità.
Angela

Unknown ha detto...

Mi vedo costretto a ribadire con pedanteria un concetto già espresso. Chiedo a tutti di controllare la grafia dei nomi prima di inviare il proprio commento. Questo spazio aspira a essere un luogo libero dove opinioni lontane anche anni luce dalle mie possano esprimersi senza nemmeno il vincolo di approvazione. Ognuno qui può e deve dire ciò che ritiene oportuno, chiedo solo che questo avvenga nei limiti dell'educazione e prima ancora del rispetto reciproco nella divergenza di opinioni. Storpiare nomi, mi ostino a credere per distrazione e non per ontologica stupidità, è una forma di non considerazione dell'altro, di mancanza di rispetto per la persona e le sue idee. Rivela come minimo che non si è prestata sufficiente attenzione a quanto scritto dagli altri... e questo dovrebbe automaticamente indurre a fare riflessioni sul valore di ciò che si sta scrivendo.
Per il resto cerchiamo di non cadere nelle trappole retoriche di chi ha la necessità di porsi a tutti i costi sotto i rfletteri pietendo attenzione e avendo la capacità retorica di suscitare quell'ira furente che acceca e induce a risposte che i conteuti non meriterebbero.
Diamo valore a ciò che conta per favore.

Anonimo ha detto...

Chiedo venia per la distrazione
al Signor Eugenio Sinatra nonchè ai lettori;lungi da me offendere in modo bieco.
Chiedo ancora scusa.
Saluti
Angela

laura marcolini ha detto...

L'aspetto che per primo mi ha colpita quando ho visto alcuni lavori di Debora è stata l'assenza di volontà di seduzione nella rappresentazione attraverso il corpo. 
Per raggiungere un tale livello di comunicazione attraverso il nudo, rendendo il (proprio) corpo uno strumento (nel senso più neutro e musicale) visivamente risonante di un'esperienza elaborata simbolicamente* fino a prendere l'aspetto di un'immagine, ho avuto la netta sensazione ci fosse stato un intenso lavoro sull'unità* tra interiorità e esteriorità. 
Questo aspetto doveva essere esaltato nella pubblicazione e uno dei modi per provarci era non usare quella nudità come un'esca, in copertina. Avrebbe, a mio parere, negato questa stessa conquista, non fosse altro per la presenza di una testata (invadente) e dei testi degli strilli. Si trattava di scegliere di non dare un messaggio che avrebbe vanificato la conquista di chi ha elaborato l'immagine. 
È molto confortante leggere da alcuni commenti che questa intenzione è stato intuita e compresa.

Quello che sto leggendo in questa pagina mi interessa. Per quello che posso capire, "auscultando" le parole scelte e quelle sfuggite, molti commenti lasciano trasparire  principalmente una cosa: paura. 
E questo, paradossalmente, mi conforta. Perché, pur non essendo del tutto emersa alla coscienza, la paura è stata scritta. Scritta e almeno per un attimo liberata. 
Quando sapremo ammettere di aver avuto paura di fronte a queste immagini staremo in uno spazio altro dove finalmente tutte le parole cadranno. Vuote e inutili. E rimarrà quella qualità di vuoto che suscita desiderio, il desiderio di sentire senza dare necessariamente un nome a quello che sentiamo. Sarà un momento in cui potremo liberarci dei nomi, che è come dire liberarci delle rassicuranti categorie in cui i nomi ci permettono di incasellare, con cui i nomi ci permettono indirettamente di giudicare prendendo le distanze. 

Sono abbastanza certa che sarà difficile trovare qualcuno d'accordo con quello che sto per scrivere, ma spero di sbagliarmi e ci provo: credo che la paura che abbiamo di queste immagini, e la paura di sbagliare a parlarne, sia strettamente legata a qualcosa di più ancestrale dei tabù. 
Sia legata al sacro. 
(Non sto parlando di religione, sia chiaro). 
Il sacro, quasi un cortocircuito assunto come dispositivo sociale. Sacro era "il separato; lo strumento, il luogo, lo spazio, la cosa, l'animale, l'uomo che è interdetto", ma per nulla rimosso, anzi ostentato, magari ostentato nel suo nascondimento. Il sacro suscita(va) timore reverenziale, attrazione/repulsione, desiderio/paura. Il sacro può interrompere le regole sociali (quando strumentalizzato... per confermarle). 

Scalzare la potenza seduttiva del corpo nudo sapendo riunire esteriorità e interiorità significa, dal mio punto di vista, è saper riattivare lo spazio originario del sacro, spazio estraneo al giudizio comune. Non giudicabile secondo le categorie conosciute. 
Unire annullando le conflittualità su cui fanno leva i poteri è quanto di più eversivo esista per un ordine precostituito. Ecco come il sacro unendo ciò che è per "norma" diviso, nuovamente separa... ma separa stavolta dalla norma, desautorandola (temporaneamente o meno). Separa il tempo, lo spazio, separa l'unione dal resto: per questo siamo qui uniti da una tensione ma divisi dalla discussione. 
Il sacro è irrisolvibile, è ambiguo, è bifronte, è sempre una soglia dove accade qualcosa di, seppur momentaneamente, unificante. 
Questa è la forza dirompente di cui abbiamo paura di fronte a queste immagini. 
L'evocazione di un'unità possibile*.
 

* Simbolo: syn-bolon dal verbo syn-ballein: insieme (syn) + mettere (ballein).
Synbolon era la metà del contrassegno (un anello o una tessera di terracotta) che nella Grecia Antica si usava rompere in due pezzi come prova di reciprocità delle due parti (due famiglie, due persone, persona-istituzione) che avrebbero tenuto con sé le due metà.

Claudio ha detto...

E' molto bello il ragionamento di Laura Marcolini, ma credo che i timori nell'affrontare questo tema non derivino unicamente dal rispetto per la sacralità di questo spazio, quanto più dal timore di cadere nell'ennesima banalizzazione.
Vi è un timore, almeno da parte mia, nel parlare del corpo femminile, per l'abuso che ne viene fatto. Esso è oggetto di desiderio, di venerazione, di violenza, di speculazione. Si è trasformato in una specie di accessorio, un'entità staccata dalla persona che vi è contenuta, un semplice involucro trasformabile a piacimento, ed utilizzabile come merce di scambio al pari di un'entità inanimata.

Credo che queste fotografie ci suggeriscano proprio questo: la necessità di riappropriarsi del proprio corpo, riaffermandone la sacralità, avendo (e pretendendo) per esso il profondo rispetto che merita.

Claudio

laura marcolini ha detto...

@Claudio: spero mi perdonerai se risulto particolarmente pedante... :-)

Il mio ragionamento potrebbe eventualmente essere «bello» solo nella misura in cui fosse in grado di trasmettere o almeno suscitare quello che avrebbe voluto. In realtà sto solo osservando dei fenomeni e cercando di descrivere cosa vedo muoversi.

Mi preoccupa un po' l'espressione che usi «sacralità di questo spazio» perché non capisco a che spazio tu ti riferisca. Più in là riutilizzi «sacralità» riferendoti al corpo. Credo di dover precisare di non aver scritto di sacralità del corpo.

Lo «spazio originario del sacro» cui vorrei riferirmi è anzitutto uno stato della coscienza di chi ha elaborato il lavoro e di chi lo fruisce. Questo non significa, tra l'altro, che chi elabora e chi fruisce sia consapevole di avere attivato questo spazio e il relativo lavoro simbolico. Quello che ognuno ha esperito e elaborato nel tempo può permettere di attivarlo senza intenzione e di "sentire" o "vedere" (è utile rileggere le parole di Debora).

Cristina Giusti ha detto...

L’ultimo intervento di Sandro mi porta a palesarmi di nuovo perché in effetti sono stata toccata da quell’ “ira furente” di cui ha parlato… Mi sono astenuta dal manifestarla su questo Blog per il rispetto che è giusto portare a tutti in un contesto come questo di scambio reciproco di opinioni e di interazione con lo staff della rivista e con l’artista stessa…. Ho trovato molto equilibrati e mirati sul tema del proprio lavoro gli interventi di replica di Debora, come è giusto che sia visto che alla fine il discorso è caduto su di lei e sul suo lavoro esondando dalla sola analisi della scelta editoriale sulla copertina.. Non posso dire altrettanto di alcuni tra gli intervenuti che per esporre il loro legittimo punto di vista sono davvero caduti nei più “consunti” e “scontati” dei luoghi comuni , tradendo la loro “allure di modernità” …. Mi riferisco ad Alek Pierre che appena ha letto la parola “morale” ha parlato di “persone annoiate che devono sempre dire qualcosa” …Caro Alek… un Blog nasce apposta per raccogliere un numero “ X “ di commenti ,pareri,considerazioni..è la “conditio sine qua non” della sua esistenza, per cui ti capiterà ancora d’incontrare altri punti di vista oltre il tuo su un determinato argomento quando deciderai di entrare in un Blog…o pensi di avere un diritto esclusivo di parola..? ..Il mio diritto di usare la parola “morale”,invece, mi è assolutamente garantito per il momento..L’altro intervento cui mi riferisco è quello di Angela Potenza .. Dall’annoiato qui passiamo al “perbenista superficiale” .. .. Solo perché non la pensa come te…?...Chi ti dice che sia “perbenista” e soprattutto da dove estrapoli questa “superficialità” ..? . ..Luogo comune.. punto… Per quanto riguarda l’invito ad andare al cinema e lasciar perdere la fotografia..beh..se permetti lo declino , come credo faranno gli altri che non concordano con il tuo parere..Non credo spetti a te decidere se siamo in grado o meno di interessarci alla o fare della fotografia…Strano che tu non abbia compreso che gli artisti in generale ,in questo caso abbiamo Debora con noi , sanno benissimo per primi che il “plauso univoco ed incondizionato” è cosa assai ardua.. persino i più affermati e conosciuti,contemporanei e non, non lo hanno avuto .. Per cui è normale ricevere critiche, è normale confrontarsi con altri punti di vista è normale “piacere” o non “piacere”, essere compresi o non essere compresi..Infine una parola ad Eugenio Sinatra.. che ha chiamato in causa i “benpensanti parrucconi” anche lui peccando di scarsissima originalità e fantasia .. Continuo a non capire chi siano le persone incluse in queste “opinabili” categorie..ogni individuo è se stesso con la propria sensibilità e con la facoltà di pensiero , di ricezione di ciò che lo circonda, di riflessione, di elaborazione e potrei continuare all’infinito .. Se pensi che l’essere umano sia qualcosa di più semplice…preoccupati di te stesso e non dei “parrucconi”…e siccome hai fatto esplicitamente cenno alla foto con lo “pseudo-mestruo”prima di scrivere sulla tua tastiera quella bella definizione, ti faccio notare che da “uomo” hai davvero mancato di tatto, di classe,etc.etc... non credo tu possa nemmeno immaginare cosa significa quel particolare “stato” per una donna, come ognuna possa sentirlo e viverlo,l’importanza psicologica che può avere.in relazione anche al suo significato più profondo….Io e Debora abbiamo punti di vista diversi ma credo che su queste specifiche righe saremmo d’accordo…. Per finire credo che questi atteggiamenti non aggiungano nulla e nemmeno giovino alla discussione sulla copertina o sull’opera di Debora ...”qualificano” solo chi li esprime… Ho apprezzato tutti gli altri interventi …Un saluto a tutti quanti… !

Anonimo ha detto...

In risposta a Cristina Giusti:
Ciao,mi spiace tu abbia visto il mio commento come un accusa personale alla tua sensibilità.
Non mi riferivo al tuo commento e opinione che rispetto come quella di chiunque altro,
Ogni uomo/donna ha un esperienza diversa con l'arte proprio perchè non abbiamo lo stesso vissuto ne sensibilità,c'innamoriamo in modo differente e non tutti della stessa cosa...
Personalmente porto rispetto per tutti gli artisti in quanto donano al mondo una visione del mondo,con cui non tutti s identificano(per fortuna,altrimenti sai che noia :) ),ma non li amo tutti,non con tutti ho qualcosa da condividere e addirittura con alcuni mi ci scontro.
Immagino sia anche il tuo punto di vista,e anche quello di molti che hanno scritto in questo blog.
Il post s intitola "Sono tempi maturi?"
la tal frase presuppone che stiamo per affrontare un tema con cui la nostra società culturale fa fatica a rapportarsi,anzi esclude a priori bollandolo come dissacrante o "sporco"o qualsiasi altro termine negativo in quanto non è pronta a comprenderlo e rispettarlo.A questo concetto era riferito il mio commento,come credo lo fossero anche i commenti degli altri.
Bisognerebbe essere in grado e aver la volontà di rapportarsi con il "diverso"in ogni sua forma.
Decidere in seguito se questo diverso possa emozionarci o disgustarci fa parte del libero arbitro di ognuno,e della sensibilità che in ogni essere umano è diversa.
Non credo che nessuno abbia voluto attaccare la tua opinione in questo post,ma solo l incapacità socio culturale di rapportarsi con ciò che non si conosce e che si reputa cattivo a prescindere.(non è il tuo caso)
Io rispetto la tua sensibilità!
Rispetto le tue emozioni,e ti dirò di piu,le capisco anche!:)
"Purtroppo" alcuni artisti hanno bisogno di condividere la propria essenza anche se questa risiede nel piu profondo della propria anima!
Questo non vuol dire che la fotografa nel denudarsi dei vestiti e del proprio pudore ci abbia mostrato tutto di se e della sua anima,ma di certo questo è stato il modo e il mezzo per comunicare con noi,parte dei suoi sentimenti.
Una modalità che non a tutti può emozionare in positivo,su questo credo siamo tutti d’accordo :)
Saluti
Angela Potenza

Unknown ha detto...

Non so se può essere considerato un fatto interessante o se può offrire un dato di riflessione in più, ma volevo raccontarvi un piccolo episodio accaduto oggi.
Come tutti i mesi abbiamo inviato una ventina di copie de IL FOTOGRAFO a un inserzionista che però stavolta le ha rifiutate a causa della doppia copertina e delle immagini di Debora Barnaba. Non sappiamo ancora cosa accadrà della pianificazione pubblicitaria, ma certo nella rete vendita non l'hanno interpretato come un auspicio positivo.
A me questo episodio ricorda molto da vicino quanto accade nelle testate generaliste che, sottoposte al ricatto degli inserzionisti, finiscono per essere costrette ad evitare i servizi fotogiornalistici che per la loro natura potrebbero compromettere la propensione all'acquisto generata dalle pagine di pubblicità...
Voi cosa ne pensate?

Anonimo ha detto...

Ancora per Cristina Giusti:
Non pensi che chi non la pensa come te potrebbe sentirsi offeso dal tuo
“voyeuristica imperante”,acclamata apertura mentale””grande fratello planetario”
Incapacità nell’avere una “giusta misura” e incapacità nel “proteggere e conservare la parte piu intima di noi…incapacità nell avere dignità,moralità e pudore”????
Personalmente non mi sento offesa,perché so che nell argomentare un opinione ci si appropria di parametri argomentativi.
Non mi sento offesa perché l opinione resta la tua,come i parametri del resto,anche se non mi ci ritrovo.
E cmq. L’idea che l uomo non debba superare i propri limiti,non mi piace per niente.
Per quanto riguarda la scelta editoriale di copertina,credo che stata dettata dalla tipologia di rivista e dal target di pubblico cui si rivolge.Se parliamo di sola immagine(estrapolando il concetto che vi è dietro) le due copertine hanno entrambe una visione “Beauty”.Il Fotografo a mio avviso è una rivista che si propone ad una vasta tipologia di persone,dall’amatore al professionista,studente,lavoratore appassionato di digitale e sempre interessato alle novità tecnologiche, e una rivista che tiene aggiornati sulle novità tecniche e “artistiche generali” proponendo interessanti e variegate argomentazioni fotografiche
Ma proprio perché si rivolge ad un target di persone molto variegato ha il dovere e la necessità di non ledere e offendere la morale pubblica anche se questo non giova all’arte.
Per la tipologia di rivista,ma soprattutto per il pubblico cui si rivolge,no,i tempi non sono maturi a mio avviso;e credo questo sia anche il parere dell’editore se mosso dal dubbio infine ha fatto la scelta che ci è stata proposta!
P.S Con questo non voglio dire si tratti di una rivista”bacchettona”ne tantomeno che lo siano i suoi lettori ,altrimenti non ci avrebbe neanche proposto il progetto fotografico in questione.
Spero nessun altro si senta offeso ed accetti la mia opinione in quanto tale.
Saluti
Angela Potenza

Chiara ha detto...

Ciao Sandro, il tuo ultimo commento sull'inserzionista che ha rifiutato le copie a causa della seconda copertina mi rattrista. La pressione degli inserzionisti purtroppo è inevitabile e sempre più presente. Ma questo ci dimostra come in Italia i tempi non siano maturi. Devo ammettere che la mia prima reazione è stata quella di pensare ad una scelta volutamente provocatoria e troppo facile. Il fatto di avere messo quella foto come seconda copertina ha provocato reazioni scandalizzate perchè probabilmente la maggiorparte dei lettori si è trovata a soffermarsi solo su quell'immagine senza leggere l'intero progetto di Debora. Non appena letto il progetto, io non ci ho visto nulla di autucelebrativo, nulla di erotico, solo disagio.
Credo però che un altro elemento fuorviante sia costituito dall'età di Debora. Noi siamo abituati a vedere ragazze in tv che fanno ben altro uso del loro corpo. Da una parte quindi credo sia prevedibile leggere certe immagini in modo perverso.
Forse Sandro, nei panni di un direttore attento agli inserzionisti, io non avrei pubblicato la seconda copertina. Ma fortunatamente c'è ancora chi ha il coraggio di pensare ai contenuti e non ai committenti. Spero fortemente che questo coraggio venga ripagato.
Chiara Ciceri

Anonimo ha detto...

sono ignorante in materia e probabilmente nn mi intendo di niente ma a me quelle foto nn mi dicono proprio nulla

Unknown ha detto...

Facile capire che le foto di Debora Barnaba possano piacere o al contrario non piacere. Più difficile, almeno per me, comprendere come non dicano nulla, che dovrebbe significare più o meno che lasciano indifferenti. Credo che le parole scritte dall'autrice in queste pagine possano essere utile guida alla comprensione che porta alla non indifferenza. In ogni caso, ammesso di non aver frainteso l'intervento precedente, credo sarebbe opportuno chiarire i dubbi interpretativi, prima di procedere a ulteriori ragionamenti.
E in questo vi prego di considerarmi a Vostra disposizione, con tutti i limiti di un dialogo a distanza su un blog.

Giorgio Cecca ha detto...

Mi rendo conto che è facile fare i conti in tasca alla rivista senza che intervenga l'oste (l'editore). Ma...
Ma se i tempi non sono maturi, non è spontaneamente che matureranno.
A mio avviso la prima foto della cover story sarebbe stata un giusta via di mezzo che avrebbe portato un certo grado di "rottura", senza essere eccessiva come la terza di copertina e senza neanche "lasciare le cose come stanno" come succede ora con la prima di copertina.

Infatti vi confesso che a vedere la prima foto della coverstory (che è anche la prima immagine del lavoro che ho visto su facebook - quella che ritrae il corpo quasi per intero) non mi sono neanche reso conto di cosa rappresentasse il colore rosso.
Forse perchè il sangue delle mestruazioni non mi provoca nessuna reazione "scomposta"? (forse sono poco rappresentativo come campione demoscopico ma come si farebbe, altrimenti, a vivere con una donna?).

Probabilmente si sarebbe potuto osare di più, oltretutto - da Milano a Barletta - le riviste si sovrappongono l'una all'altra negli espositori e quindi credo che quasi mai la copertina sia esposta agli occhi di tutti.

Ora però vorrei muovere una critica alle fotografe (come dirette interessate) ma in seconda battuta anche ai fotografi (e mi ci metto in mezzo).
Quello che bisognerebbe recuperare da parte delle donne (e rappresentare) non è tanto l'accettazione del proprio corpo quanto la dignità del proprio corpo (e del proprio essere).
Io trovo molto più urgente "scagliarsi" contro quelle manifestazioni, una su tutte Miss Italia, che al pari della fiera della zootecnia mette in vetrina il corpo della donna come fossero quarti di bue. Questo trovo scandaloso mentre non credo necessaria alla causa (dei diritti delle donne?), l'esibizione del sangue mestruale che, al pari di altre secrezioni fisiologiche umane femminili e non) potrebbe anche rimanere coperto da una certa dose di pudore.

Saluti a tutti.

Unknown ha detto...

Capisco di aver messo in campo il discorso sul ciclo mestruale parlando della seconda copertina, ma mi riferivo solo al contesto iconografico di una singola rappresentazione simbolica.
L'argomento del lavoro di Debora Barnaba non è il rapporto dell'autrice con il proprio ciclo mestruale, bensì qualcosa di parecchio più articolato e complesso, all'interno del quale puó anche esserci l'accettazione del ritmo del proprio corpo, ma non c'è solo questo.
Trovo sconfortante, e preoccupante, ma al tempo stesso significativo, il fatto che sembri solo questo il punto percepito da quella che forse è la maggioranza degli Interventi in questa discussione.
Visto da fuori il fenomeno sembra suscitato più che altro dal timore di confrontarsi con un argomento considerato tabù, oscurando completamente il senso del lavoro nel suo complesso.

Cristina Giusti ha detto...

Divido in due il commento .. sennò non me lo invia. )) Devo dire che mi lascia perplessa quello che ci ha comunicato Sandro Iovine . Il mio disagio per le decisioni degli inserzionisti che hanno ricevuto le copie de Il Fotografo con il lavoro di Debora. non è incoerente con la mia posizione perché stiamo parlando di una rivista che si occupa e non da adesso di “fotografia” e lo ha sempre fatto in un’ottica ampia e onnicomprensiva sia per quanto riguarda gli artisti da sottoporre al suo pubblico che per gli argomenti trattati La forza de Il Fotografo a mio avviso è proprio questa: permettere al lettore di “approfondire” il “significato” del “termine fotografia” e andare “oltre”.. Punta la sua attenzione sul valore “comunicativo” del mezzo fotografico, sulle infinite possibilità espressive ,concettuali, narrative, senza soffermarsi sul compiacimento puramente tecnico /didascalico dei dati Exif o di un senso estetico/formale fine a se stesso ..Non capisco come dei possibili inserzionisti che operano anch’essi nel settore fotografico e suppongo conoscano la “storia” de Il Fotografo abbiano deciso di “punire” la rivista per una legittima scelta editoriale La redazione ha solo fatto il suo lavoro e comunque, anche se stavolta una Cover Story non fosse stata ben recepita ,non costituisce sicuramente motivo valido per dimenticare gli altri contenuti e addirittura gli altri numeri.. In effetti l’episodio ricorda davvero l’”uso/abuso di potere” di chi può economicamente sostenere l’editoria tramite l’acquisto di spazi pubblicitari..Questo è un fenomeno purtroppo presente in tutti i settori dell’attività umana , il potere economico si traduce automaticamente in potere d’”indirizzo” .e finisce per “ricattare” chi avrebbe tutto il diritto di fare scelte autonome basate sulla propria professionalità ed esperienza..Credo che un passo avanti , se non ancora su di un piano “fattuale”ma .sicuramente “culturale” e “chiarificatore” sia stato fatto proprio grazie ad Il Fotografo in occasione del Convegno “Appunti sul Fotogiornalismo”che si è svolto a Roma lo scorso Aprile e prima a Lodi con il “Festival della fotografia Etica” , che i lettori de Il Fotografo, ma mi auguro anche molti altri ,sono sicura conoscano ..Credo che in queste sedi si siano davvero sviscerate le infinite problematiche attorno a questo tema, e si sia gettato il “seme” di una crescente consapevolezza in tutti gli operatori dell’informazione ..io me lo auguro La citazione di Sandro nella sede di Roma di una frase di Dorothea Lange ,detta 30 anni fa “ La fotografia documentaria registra la vita sociale dei nostri tempi,rispecchia il presente, documenta per il futuro “ ha già in se tutti gli elementi per comprendere la complessità , la responsabilità, e l’importanza sociale del lavoro del fotoreporter con la conseguente esigenza ,da parte dei media e dei poteri conomico /politici, di un rispetto del suo lavoro,della necessità assoluta di non strumentalizzarlo e soprattutto di non –mortificarlo o renderlo marginale e schiavo di logiche di mercato… La sensibilizzazione di chi fruisce da ultimo delle notizie non è meno importante… A mio parere possiamo fare molto anche noi lettori e consumatori

Cristina Giusti ha detto...

Segue…”di notizie e riviste . Credo che una nostra maggiore consapevolezza e capacità critica nel momento dell’acquisto darebbe un forte segnale ai signori inserzionisti,ad es. riviste che puntano tutto sull’immagine patinata, sulla pubblicità che è diventa essa stessa oggetto di’interesse e di culto per quanto è ben costruita prima a tavolino poi negli Studios e che spesso occupa il 70% dell’intera rivista , pochissimi spazi restanti dove leggere qualcosa d’interessante ..etc..beh..evitiamone l’acquisto, e andiamo a cercare “altro” .. La pubblicità è ovviamente fondamentale, ma sopportiamola accanto a “contenuti “ che “giustifichino” l’acquisto di un giornale…Non si deve sottovalutare il potere di chi, in fondo alla “catena”, ha il “potere” di dire “ sì ” o” no” all’acquisto di un bene… Inoltre spero davvero nella “moltiplicazione” delle voci in senso “specialisico”.. Personalmente gradirei molto riviste che orientassero la loro ragione d’essere e la loro politica editoriale in funzione e a sostegno del fotogiornalismo professionale ..credo che sarebbe molto bello sfogliare un giornale fatto di lavori di fotoreportage , di fotografia di cronaca , di quella “realtà” di cui parla la Lange …e sono sicura che il pubblico sarebbe forse inizialmente un po’ di nicchia ma destinato ad allargarsi in fretta… e ad attirare inserzionisti….

Cristina Giusti ha detto...

Per Angela Potenza
La tendenza voyeuristica imperante, l’acclamata apertura mentale, il Grande Fratello planetario ..sono dati di fatto “oggettivi”.. Ne ho preso semplicemente atto e il lavoro di Debora poteva sembrare un “frutto del nostro tempo” .. E’ intervenuta lei stessa al fine di chiarire che queste realtà non hanno minimamente motivato il suo lavoro fotografico., che c’è un percorso interiore sofferto e un lavoro su se stessa che ha determinato il risultato finale e che spera che questo percorso venga compreso all’esterno..Per quanto riguarda la “giusta misura” che ti piaccia o no è un dato di fatto anche quella ,assolutamente variabile nel tempo e nel luogo, ma indispensabile alla vita di una collettività che ambisca a diventare o rimanere “società”,.. è una responsabilità del singolo la cui libertà termina là dove inizia quella dell’altro..Poi ripeti la parola “incapacità” , ma è un errore di “citazione” assolutamente in buona fede, che però stravolge il significato di ciò che ho detto… “L’incapacità di avere una morale, un’etica e un senso del pudore”…..boh….?? .. Nemmeno mi sono sognata dire una cosa del genere,basta che torni un’ultima volta a leggere il mio primo intervento..Io auspico soltanto che questi “tre concetti” in cui ognuno di noi ha il sacrosanto diritto di credere e portare in sé stesso se vuole,vengano presi in considerazione da chi ha un potere nella“comunicazione”..e questo vale per tutti i “media”….Infatti ho ringraziato Sandro per aver scelto la prima copertina…Non vedo come ti possa offendere l’uso di queste parole e comunque non più di quanto possa offendere me chi ne nega il diritto di cittadinanza.. Buona serata a tutti… !

Unknown ha detto...

Sono d'accordo con Cristina (e mi sembra perfino tautologico sottolinearlo) quando esprime il suo pensiero nei confronti del ruolo che dovrebbe/potrebbe avere il consumatore.
In certi casi non credo che il problema sia condividere o meno quanto pubblicato, quanto piuttosto mantenere l'autonomia di espressione della testata.
In ogni caso per non ingenerare equivoci, specifico nuovamente che l'inserzionista citato non ha fatto altro che rifiutare le venti copie che normalmente gli vengono inviate e, almeno per il momento, non ha messo in atto nessun'altra azione concreta, come per altro specificato in precedenza.

Giorgio Cecca ha detto...

Sandro e, soprattutto, Debora, scusate ma non capisco.

"Accettazione del ritmo del proprio corpo"

"per raccontarmi, il mio mondo, la mia visione di esso, per cercare di arrivare alla mia essenza, parlo della mia crescita, della scoperta del mio corpo, del mio SENTIRE il corpo, come comunica, come si relaziona al mondo."

Scusate ma non ricevo il messaggio, nel mio caso la comunicazione non funziona (ho guardato tutta la serie sul sito).

Forse è per questo che anch'io, come la maggioranza degli interventi, mi sono focalizzato sulle mestruazioni?
Debora non me ne vorrà ma, oltre a non capisco qual'è il problema, la tematica affrontata. "SENTIRE il corpo" lo trovo un pò vago, "come comunica" non lo trovo attinente.

Insomma a quanto pare non ho trovato nessuna chiave di lettura se non quella del "tabù delle mestruazioni" che per me non è neanche un tabù.

Allora tutto si risolve nel dirmi "Se non senti un lavoro ci possono essere svariati motivi: o alcune chiusure verso dei temi, oppure questi non vanno a toccarti in profondità, in cose che senti" (risposta di Debora su Facebook) oppure esiste una chiave di lettura che "posso usare anch'io"?
Oppure questo lavoro ha dei limiti di "comunicativa"?

Scusate la franchezza: acquisto da 18 mesi la rivista, fra gli altri motivi, per leggere l'editoriale di Sandro pur risultandomi abbastanza impegnativo. Ma quando si interviene sul blog sembra sempre di finire fuori tema e non è che la cosa mi faccia "felice".

Saluti

Unknown ha detto...

Beh, innanzitutto di sicuro non sei finito affatto fuori tema, anche se concordo con te sul fatto che spesso nei commenti presenti nei blog il fenomeno si verifichi con frequenza preoccupante.
In ogni caso lo scopo di questo spazio è proprio quello di aiutarci a trovare una comprensione più profonda dei fatti.
Dopo aver letto le tue parole mi sono tornate alla mente le definizioni di base della comunicazione. Per questo mi sono andato a riprendere una definizione da manuale che ti cito letteralmente «[...]In tutti questi casi accade che ci sia qualcuno (che chiameremo emittenteil quale trasmettequalche cosa (che chiameremo messaggio o, in maniera più tecnica testo) a qualcun altro (che chiameremo destinatario). In questo tipo di comunicazione vi è naturalmente un lavoroda parte dell’emittente, per dare al messaggio un formato accessibile al destinatario. Tale operazione può avere più o meno successo, l’iniziativa e il lavoro spettano all’emittente. Il destinatario si trova a ricostruire l’intenzione dell’emittente, a interpretare il messaggio, a reagire ad esso o a rifiutarlo»*.
Quindi Debora ha avvertito la necessità di indagare all’interno della propria sfera personale relativa al proprio corpo e ha scelto di utilizzare la fotografia per scoprire se stessa e automaticamente rendere pubblico il risultato della sua ricerca.
Credo che una prima difficoltà, che tu e io possiamo condividere per un banale motivo di genere, possa consistere nell’avere un corpo strutturato in modo differente da quello di Debora, e cosa probabilmente ancor più importante nell’aver ricevuto un’educazione differente proprio in conseguenza di questo primo fattore. Con questo intendo dire che ci sono ottime probabilità che una comprensione profonda e totale di un lavoro del genere ci sia negata aprioristicamente in quanto maschi di razza umana. Non voglio soffermarmi in ovvietà come quelle inerenti il differente approccio alla sessualità derivante dalla differente disposizione degli organi riproduttivi nell’uomo e nella donna, ma per quanto scontato sia l’argomento credo non si possa negare che comportino un differente approccio al corpo. Un approccio che nella ricerca del piacere onanistico trova ad esempio un’espressione potente. E non dimentichiamo che per motivi culturali per molte donne educate all’interno dell’ambito culturale cattolico la punizione attraverso il ciclo mestruale per la precedente attività masturbatoria sia qualcosa di assolutamente irrazionale, ma non per questo assente in menti adolescenti. Quello che appare ai nostri occhi come sangue mestruale evidentemente non è altro che rossetto. Un rossetto che assume valore polisemico e decisamente simbolico. Nei dintorni del pube infatti il rosso è intenso e ricopre completamente l’epidermide, suscitando la citata associazione con il flusso mestruale. Ma più lo sguardo risale sul corpo, allontanandosi dall’area genitale, più l’attribuzione di senso possibile si ricolloca sulla reale natura di rossetto evidente nel ricomporsi della forma delle labbra che al loro volta ci rimandano al bacio, forma di esplicitazione di affetto che sottintende come minimo l’accettazione. Non è un caso che l’articolo sia stato intitolato Kissing me riprendendo il titolo di una serie di Debora Barnaba. (segue...)

Unknown ha detto...

(... segue) Per cui il lavoro nel suo complesso dovrebbe essere letto come un percorso di accettazione (il bacio) del proprio corpo come fonte di piacere (le due immagini più scure e meno nitide che si riferiscono all’atto onanistico).Un corpo capace di generare un proprio ritmo in armonia con la natura (le immagini che abbiamo associato al ciclo mestruale), un ritmo non sempre facile da accettare, ma accettato nel gesto simbolico e alluso del bacio. Il tutto visto con un’ironia un po’ amara che a fronte dell’accettazione del proprio essere intimo, mette in discussione l’immagine pubblica di perfezione asettica imposta dal buon costume sociale (il ritratto con il rossetto sui denti).
Detto questo c’è forse da chiarire un altro punto, cioè che la sequenza presentata su IL FOTOGRAFO è frutto della selezione che ho fatto all’interno di due serie di immagini. Una volta realizzato l’impaginato l’ho sottoposto all’approvazione di Debora in quanto l’intervento effettuato era potenzialmente arbitrario. Ricevuta la sua approvazione abbiamo proposto una sequenza che vuole mettere in relazione l’approccio alla proprio corporeità, il tentativo di conoscere meglio la cosa che per ognuno di noi è più vicina, ovvero il nostro corpo, ma di cui troppo spesso siamo solo parzialmente coscienti.
Spero di essere stato abbastanza chiaro da essere comprensibile in queste brevi note che tentano di spiegare qualche mese di riflessione sul lavoro di Debora e tre giorni di tentativi concreti di impaginazione per i quali mi permetto di ringraziare pubblicamente anche Laura Marcolini che con pazienza e intelligenza ha supportato e alimentato la versione finale che potete vedere in edicola.
Detto questo è ovvio, ma lo specifico ugualmente, il fatto che tutto questo possa non essere gradito a qualcuno o a molti, discorso che però esula comunque e sempre dalla comprensione di quanto proposto.
Per concludere spero non sia sfuggito a nessuno il fatto che l’articolo di In mostra sullo stesso numero sia dedicato al lavoro di Francesca Woodman, autrice imprescindibile se si affrontano questi temi, attualmente in mostra al Palazzo della Ragione a Milano.

*Manuale di semiotica di Ugo Volli, Editori Laterza, 2006, pag.5.

Unknown ha detto...

Tanto per tenervi informati sulle evoluzioni, aprendo stamattina la casella di posta elettronica della redazione apprendo che le lamentele telefoniche di chi si dice disgustato per le foto pubblicate sono ascrivibili a due inserzionisti e non ad uno solo. Viene anche preannunciata una lettera ufficiale di protesta all'indirizzo della redazione.

Debora Barnaba ha detto...

Dunque, mi sembra di capire che ancora alcune cose non siano chiare.
"per raccontarmi, il mio mondo, la mia visione di esso, per cercare di arrivare alla mia essenza, parlo della mia crescita, della scoperta del mio corpo, del mio SENTIRE il corpo, come comunica, come si relaziona al mondo."
Con questo voglio parlare di me, della mia esperienza, di come sento il mio corpo in relazione ai miei sentimenti, ai miei disagi. Ognuno di noi prova delle sensazioni, e queste si riflettono sul corpo. Quello che intendo con il SENTIRE il mio corpo è proprio questo: la relazione che si crea tra la mente e il corpo, ma anche tra corpo e ambiente.
Per "come comunica", è proprio il modo in cui il mio corpo "trasporta" all'esterno le mie sensazioni, i movimenti, le torsioni, i gesti, tutto questo serve al corpo per poter DIRE, COMUNICARE, quello che sta avvenendo dentro.
Ci tengo a ribadire per l'ennesima volta che nel mio lavoro NON PARLO DI MESTRUAZIONI, la foto fa parte di una serie, in cui bacio il mio corpo. L'associazione del rossetto rosso al sangue mestruale non è la cosa fondamentale, non è il centro del mio discorso, ma è solo un richiamo. Men che meno secondo me un artista dovrebbe trattare un tema solo perchè viene considerato come un tabù. E troverei stupido sinceramente, essendo donna, pensare alle mestruazioni come ad un tabù, quindi mi stupisce più il fatto che qualcuno possa trovarle tali, piuttosto che un fatto naturale.
un lavoro di ricerca non può certo toccare tutti allo stesso modo, chi compie una ricerca può cercare di spiegare quello che fa, ma dal canto mio, mi risulta molto difficile spiegarlo a parole, parlare dell'intensità di quello che vivo, che faccio, di quanto sia profondo, doloroso, difficile, quello che faccio, di quanto mi appartenga, di quanto la mia vita sia legata alle foto che voi vedete. Se fossi in grado di dirlo a parole farei la scrittrice, non parlerei per immagini.
Ognuno, nell'approcciarsi ad un percorso artistico, lo fa a modo suo, a seconda delle sue esperienze vede e sente cose diverse. Non c'è un modo giusto o sbagliato di leggere un'immagine e non saprei nemmeno che chiave di lettura fornire per una lettura più completa, perchè non esiste. L'unico vero modo di fruire l'opera d'arte sta nell'essere aperti, nel lasciarsi andare alle sensazioni che ci vengono trasmesse. Non saprei che altro consigliare. come ho scritto anche su facebook, non tutto può piacere a tutti.
Credo che ogni lavoro artistico abbia in sè dei "limiti di comunicatività", perchè appunto il nostro modo di leggere un'immagine è completamente diverso. Ad esempio io piango tutte le volte che vedo la pietà di michelangelo, ma c'è gente che ne rimane indifferente, gente che l'ammira senza provare quella sensazione di spaesamento e grazia interiore che provo io e che mi porta a piangere disperata. L'arte non è assoluta. Solo la ricerca lo è.

Debora Barnaba ha detto...

Mi dispiaccio molto del fatto che alcuni si definiscano DISGUSTATI dalla foto. Anche se fossero un chiaro, esplicito e forte riferimento al sangue mestruale, mi riterrei un po' offesa come donna, nella naturalezza della cosa. Sarebbe come NEGARE l'esistenza di un fatto così naturale. Mi chiedo quando siamo diventati così chiusi e disgustati dalle cose della vita. Mi spiace per i fraintendimenti e le problematiche che una foto può portare, specialmente verso persone che si sono impegnate per cercare di far conoscere il senso di un lavoro che vuole parlare di sofferenza, di voglia di cambiamento, di recupero del proprio corpo come valore e come mezzo comunicativo. Il percorso di una vita. Che disgusta. Mi dispiace.

Anonimo ha detto...

sono senza parole... per molte cose lette nel blog.... quella sugli inserzionisti è sicuramente la piu scomoda! è assurso che nel 2010 ci siano persone che addirittura chiamino per esprimere il loro dissenso... per la visione di cosa??

(mi trattengo nell' andare oltre ma soprattutto nell' esprimere i miei pensieri nelle modalità con cui attraversano il mio cervello, per rispetto di qualcuno che potrebbe sentirsi "offeso", facendo notare che, per questo, sono io a limitare il mio diritto di PAROLA)

Aggiungo: l'unica cosa, in questo momento, che mi da conforto e speranza per un futuro "mediatico" diverso è SANDRO IOVINE, che ringrazio, pubblicamente, per la persona che è!

Alek Pierre

RobertoPestarino ha detto...

io vorrei solo comprendere...il perchè di una foto del pube...voglio dire se da una parte dipingendo ti sei spostata a mio avviso dal discorso narrativo forse il dipingere vuol richiamare una sorta di graffito esistenziale e pulsante.
dall' altro porti a reportage un evento naturale e piuttosto ovvio, quello che mi sfugge o leggo appena è quanto oltre al narrare del mero ciclo mestruale pensi di esser andata...anche se mi accorgo che c'è ma come se fosse un linguaggio a me sconosciuto non riesco a trovarci la chiave

spero di essermi spiegato

Roberto Pestarino

Salvo Veneziano ha detto...

Ho visto la cover story di Debora Barnaba, la ritengo assolutamente "non sconcertante" in tutti i sensi che questa parola può assumere, mi pare più che interessante come spunto per i lettori e meritevole di pubblicazione per la giovane autrice pur non apparendomi un lavoro di altissima levatura e originalità, ma non certo offensiva ne disturbante (a meno che uno non abbia dei seri problemi). La selezione delle foto che immagino sia volutamente varia in modo da rendere il lavoro più "universale" e fruibile, fa si che non sia nemmeno possibile utilizzarla per diventare famosi o per mettersi in mostra...
Sinceramente, piuttosto che stare ad indignarmi ed a scagliare anatemi, guardando la cover story di questo mese a me verrebbe la curiosità di vedere tutto il lavoro di Debora e magari anche le altre cose che fa, magari capisco qualcosa in più prima di dire sciocchezzuole?
www.deborabarnaba.it

Debora Barnaba ha detto...

Roberto, ci tengo a precisare, come già detto in precedenza, che la foto non è da leggere assolutamente singolarmente. Io lavoro per serie, e quella foto fa parte di una serie, intitolata "Kissing me", in cui bacio il mio corpo. Se vedi le altre foto ti potrà apparire spero chiaramente in fatto che non parlo di ciclo mestruale, ma di tutt'altro.
E vorrei chiederti a questo punto, perchè no ad una foto del pube. In quel contesto, tra quelle foto, secondo me era una parte importante da inserire. Il pube è una parte del corpo, come le dita, comunica, e lo fa a modo suo. E, da parte importante com'è, ho trovato fondamentale inserire quella foto all'interno della serie fotografica. Ma ripeto, fa parte di una serie, non è assolutamente una foto singola. e poi, se si guarda bene la foto, non c'è sangue, ma rossetto, e sulle braccia ci sono dei segni di baci. Quindi il sangue mestruale è solo un'interpretazione data da chi guarda la foto, per il richiamo al sangue del colore. La serie parla di ben altro.
Il linguaggio è quello del corpo, nessuna chiave interpretativa che sfocia nel simbolico o altro. Il corpo, nella sua pienezza espressiva.

Anonimo ha detto...

Non è difficile intervenire in questa discussione!
Che cavolo tutti vi siete soffermati sul sangue, sul ciclo, sullo sdegno, sul grande fratello sulla " voyeuristica imperante", sul pudore, la dignità, la morale, la prima copertina, la seconda...
Nessuno che si è fermato a pensare che quelle foto volevano denunciare un malessere o un semplice stato d'animo!E' più facile criticare l'idea del sangue, e del corpo nudo, che non andare oltre e cercare di capire da dove proviene tutto ciò e che rapporto ha quel rossetto rosso con il corpo su cui è posato...
Tutti pronti a puntare il dito, nessuno è andato a vedere le serie completa delle foto...nessuno si è sforzato di capire perchè quel rossetto? perchè quel titolo? spiegatemelo dove avete visto il sangue, dove il ciclo???
E poi basta a parlare del grande fratello che è una delle tante cose finte che esistono in italia... Qui stiamo parlando di una donna vera che con maestria e coraggio si è messa a nudo per denunciare un disagio!
Se chiamano per un pube con rossetto figuriamoci cosa hanno fatto per i pedofili? Avranno chiamato il Papa!
Mirko

sandroiovine ha detto...

In risposta a Roberto Pestarino con il quale è già in corso un gradevole scambio di opinioni al di fuori di questo luogo.
Per le delucidazioni che richiedi ti rimando a quanto ha già scritto e vorrà scrivere l'autrice. Da parte mia ci tengo solo a sottolineare che le interessanti osservazioni che fai sono tutte rivolte a una fase di analisi cui però non fa seguito quella di sintesi. Giustissimo scandagliare quanto presente nell'immagine, ma poi bisogna ricondurre il testo al contesto ovvero l'insieme delle immagini di quella (una su sette) presa in esame fa parte. C'è poi da mettere in gioco il concetto di pertinenza all'interno dell'analisi, altrimenti si rischia del fermarsi senza soluzioni convincenti, come racconti essere accaduto a te, o, cosa assai peggiore, incorrere in interpretazioni completamente arbitrarie che nulla hanno a che vedere con la volontà dell'autore/trice.
In generale, al di là del saggio consiglio di Salvo Veneziano di andarsi a vedere il lavoro nella sua completezza, mi piacerebbe che si provasse leggere la sequenza proposta nelle pagine del giornale, magari scorrendo un po' la barra laterale fino a risalire alle note esplicative che ho ho provato a scrivere stamattina stamattina, e valutare il lavoro per ciò che con l'autrice abbiamo inteso proporre e non per quello che vogliamo che sia.

Anonimo ha detto...

Concordo con Giuseppe Petrilli e mi stupisco davvero (o forse no...) nel vedere che il 90% di chi ha commentato/espresso un giudizio si è concentrato sul pube. Anche se in un primo momento può essere ciò che attira l’attenzione, personalmente penso che sia molto più forte la mano (e il braccio), che in quella posizione dicono molto di più, sono molto più drammatici in termini di comunicazione. Ma nessuno sembra essersene accorto…
Penso che il significato di ogni opera non sia nell'opera stessa, ma nasca dagli occhi che la guardano: ognuno può caricare di determinati significati una stessa immagine in base al proprio vissuto, interpretarla secondo la propria sensibilità. Ciò che vediamo è per forza di cose condizionato da noi stessi. Non potremo mai vedere un’opera così come la concepisce l’artista (o chiunque altro); ed è giusto così, ognuno di noi vive una realtà e si lascia “permeare” da essa in modo diverso. Per questo penso che chi è privo di malizia o pregiudizi non trova volgarità in quello che guarda. Forse, davvero, la sensibilità di alcuni sull’immagine proposta è un problema dei loro “occhi”.
Concordo comunque con la scelta editoriale di Sandro di non esporre a tutti forzatamente questa copertina, non tanto perché avrebbe potuto infastidire, quanto perché non tutti sono – passatemi il termine – all’altezza del compito.
Quando i tempi saranno maturi non vorrà dire che si accetterà ogni cosa senza esserne scandalizzati: vorrà dire saper guardare oltre i significati superficiali e saper mettere in discussione la propria individuale (e per definizione limitata) visione del mondo.
Paola Mirioni

Anonimo ha detto...

Paola Mirioni,
personalmente mi sento sollevata nel leggere il tuo commento...
Sentirsi soffocare dall impossibilità di confrontarsi con chi non la pensa come noi,ma sentirsi doppiamente liberi e leggeri nello scoprire che non si è soli a pensarla e a "sentirla" in un determinato modo.
L esperienza piu bella:la condivisione!:)
Grazie anche a Sandro Iovine(oltre per il lavoro editoriale svolto,per l illuminnte citazione di Jodorowsky) e soprattutto a Debora Barnaba!!!
Saluti e Buona Vita a tutti!!!:)
Angela Potenza

Rosa Maria Puglisi ha detto...

Secondo me, ciò che si evince dalle varie considerazioni non è tanto il fatto che i tempi non siano maturi, ma piuttosto che non lo siano più. Nel senso che lo sono stati probabilmente nel periodo in cui si esprimevano i vari artisti citati nei commenti: da Mapplethorpe a Woodman, da Sherman ad Abramovich. Ora questo lavoro, pur nella validità del suo messaggio se non in assoluto in quella dell'espressione del medesimo, si direbbe anacronistico. Di fatto in ritardo sui tempi o in anticipo; nell'auspicio che si ritorni ad una società che veda oltre i pre-giudizi, le frasi fatte e i luoghi comuni che i media profondono a piene mani candeggiando i cervelli.
Il tema delle immagini (è detto con tanta chiarezza!) è l'autoerotismo, come può esser scambiato con una violazione del corpo?
D'altronde, verificato che lo scambio di senso sia possibile, purtroppo si capisce che sarà possibile da parte dei fruitori uno stravolgimento tale da consumare le immagini nella maniera più bieca... in nome di una paradossale liberazione sessuale che rende le donne oggetti di consumo e merce.
Come altrove ha giustamente detto Laura Marcolini in risposta a quanto da me sopra asserito, il problema di ricezione probabilmente dipende da una "assenza di educazione (o anche solo abitudine, frequentazione) al simbolico, che non sia uno pseudosimbolico commerciale".
Con lei mi trovo totalmente d'accordo.
E', infatti, a mio parere, questa mancanza d'educazione e/o scarsa frequentazione - aggravata dalla dilagante quanto galoppante involuzione linguistica, e persino logica, "promossa" dal nostro attuale sistema sociale - ciò che rende il lavoro di Debora Barnaba inaspettatamente fraintendibile: in quanto l'evidenza dell'immagine e del titolo risulta sopraffatta da un cumulo ridondante di interpretazioni preconfezionate e a senso unico.

Michele Saporito ha detto...

Anonimo ha detto...
sono ignorante in materia e probabilmente nn mi intendo di niente ma a me quelle foto nn mi dicono proprio nulla..
RE: Scusa..ma visto che sei ignorante in materia..perchè permettersi di dare un giudizio?

RobertoPestarino ha detto...

in risposta a roberta e Sandro:

sto iniziando a comprendere, solo nel pomeriggio ho potuto vedere la serie completa, e in effetti ora il quadro è molto più completo e mi rendo conto di esser caduto nel tranello dell' ovvio dove la crudezza del sangue è solo un pò giocosamente richiamata, utilizzata per trasmettere un senso di amore che cavoli è un diritto il comunicarlo con un arte espressiva, voglio dire chi fà qualcosa per se stesso per potersi dire: ecco io sono la persona più importante per me e mi copro di baci. Ci leggo un momento di pausa per te stessa ora, ci leggo questo prima amo me stessa e faccio qualcosa per dimostrarmelo e poi lo comunico al mondo

Cristina Giusti ha detto...

Per Paola Mirioni
La propria "individuale visione del mondo" è assolutamente legittima, non è limitata ma "personale" perchè ognuno di noi ha un proprio cervello e un proprio "sentire" ,per fortuna, che al di là della capacità di comprensione di ogni cosa,immagine, motivazione,situazione ha ancora il diritto di giungere a proprie conclusioni che potranno essere diverse da quelle di un altro essere umano .
Per Mirko
Francamente il "dito" lo stai puntando tu contro chi non la pensa come te..Come puoi affermare che "nessuno" è andato a vedere la serie completa delle foto ( non stai a casa mia... ), che nessuno si è sforzato di capire (siamo tutti qui per questo, Debora ce lo ha plurispiegato,Sandro pure, la Marcolini idem, e abbiamo pure una "certa rivista" tra le mani.... ndò stavi prima di scrivere...??? ), il sangue ...beh... è rossetto ,lo sappiamo tutti..ma in quelle "zone" non stupirti troppo se a qualcuno può averlo richiamato alla mente..Per quanto riguarda il Grande Fratello non l'ho mai guardato e non mi riferivo alla trasmissione televisiva ..era una metafora che stava a significare la tendenza ormai diffusa a rotolarsi nella "privacy" altrui..Lascia stare la pedofilia e il Papa..non ne hai bisogno per dare il tuo giudizio sul lavoro di Debora..
Inoltre vorrei anche dire che chi, nonostante tutti gli step effettuati , rimane comunque poco in sintonia con il lavoro di Debora, può semplicemente non “sentirlo” Debora stessa ,il cui modo di argomentare mi piace molto perché serenamente disposta al dialogo e allo scambio “costruttivo”, ha affermato che non tutti possono “piacere” a tutti. Credo sia un atteggiamento di una correttezza meravigliosa. Ed è “l’artista” in gioco …. Per cui non capisco come ,invece, altri interventi denotino una specie di implicito o esplicito “giudizio di valore” su chi non riesce ad “assimilare “ le foto Paradossalmente una persona che ne veda anche “una” soltanto avrebbe tutto il diritto di non guardare le altre se non ne avesse voglia, e non solo quelle di Debora ma di un qualunque altro artista a in altro tema ..Ma ,a parte questa provocazione, ritengo sbagliato andare a cercare le cause di questa mancata assimilazione in motivazioni che sono del tutto opinabili …problematiche irrisolte con sé stessi, influenza della chiesa , menti limitate etc… Una persona “atea” , con un magnifico rapporto con se stessa, con una mente “normalmente funzionante” , nella media intendo , con una cultura mediamente soddisfacente …..può comunque dire che “non le piacciono” O NO….??? Saluti a tutti …

Cristina Giusti ha detto...

Ho dimenticato una considerazione ... mi pare di capire che il secondo quesito di Sandro Iovine abbia lasciato quasi tutti piuttosto indifferenti... un vero peccato perchè il tema è davvero importante e quanto mai attuale....Siamo tutti d'accordo sull'assurdo del comportamento dei due inserzionisti... ma il tema è vastissimo e riguarda l'intero rapporto tra i "media", gli editori e chi ha i mezzi finanziari per sostenerli...le conseguenze arrivano ovviamente dritte sui consumatori...oggetti o soggetti....??? Ci vorrebbe una nuova "campagna" di protesta ... dopo "Not A Crime" .... "Not only business" .. a sottolineare che "I've a brain" o " I need to Know " .... :-))))

Anonimo ha detto...

Per Cristina... Tutto quello che scrivi può essere condiviso, però spiegami non è più semplice visto che hai a disposizione il blog chiedere all'artista delucidazioni in merito al significato delle foto se non ti sono arrivate e non ti hanno coinvolto? invece di scrivere che non c'è morale che ormai tutti mostrano il corpo e il ciclo o addirittura una ragazza si è detta convinta che la foto ha un chiaro riferimento all'autoerotismo... Tutti possiamo farci un concetto, un idea di qualcosa, ma non è giusto che ciò diventi un giudizio. Stai parlando di un opera che è il lavoro di una persona e giudicandolo giudichi lei in positivo e in negativo. Per questo punto il dito, lo punto verso i giudizi facili e la mancanza di rispetto verso la donna e l'artista.
Gli inserzionisti che si sono lamentati secondo me meritano di non esserlo più e se la testata è abbastanza forte da sostenersi deve mandarli aff... anzi se ci dicono chi sono li boicottiamo ...
ciao e a presto

Cristina Giusti ha detto...

Temo che tu non abbia compreso il mio pensiero , forse non sono riuscita a spiegarmi bene nemmeno nelle mail precedenti, ma non saprei in quale altro modo poter essere più chiara...Ripeto che ho perfettamente capito il senso del lavoro di Debora, non vedo cos'altro potrei chiederle, me lo ha già spiegato e non solo a me , a tutti con l'aiuto di Sandro Iovine e Laura Marcolini... Credo solo che una persona, pur avendo compreso nella sua genesi il lavoro di un'artista, possa comunque dire serenamente che non le piace...Le estreme conseguenze del tuo ragionamento sono che di fronte a "qualunque" artista e al suo lavoro ognuno di noi dovrebbe dire solo "mi piace" .... Ci sarà la possibilità di fare ancora appello se non altro al proprio "gusto" personale ... Detto questo io non "giudico" affatto Debora... Ho addirittura sostenuto nell'altra mail che Il Fotografo ha fatto una scelta più che legittima nel pubblicare le sue foto, non concordo con gli inserzionisti, e Debora ha il diritto anch'essa a esprimere se stessa tramite la fotografia.. punto ... La morale che fa tanto scandalo è solo la mia personale, scevra da implicazioni religiose e comunque non la impongo a nessuno..e non è quello il punto fondamentale.. Nel panorama dell'arte è semplicemente "normale" che qualcuno piaccia di più o di meno ad un ipotetico "appassionato" o "potenziale cliente" ... Ci sono nomi atlisonanti ed affermati che a me e ad altri possono non piacere
e non solo nella fotografia ma anche nella pittura,scultura, etc... ed è una cosa universalmente accettata credo...

Anonimo ha detto...

Cristina no, io non dico che il lavoro di un artista debba piacere per forza anzi sono in sintonia con te sul fatto che un artista o un opera non possa piacere a tutti.
Però leggendo i post degli altri non ti sei accorta che molti hanno detto semplicemente che l'opera non è piaciuta pur capendo o no il senso. Altri invece hanno espresso le loro impressioni come assolute. Prendiamo l'esempio di Rosa Maria Puglisi lei dice :"Il tema delle immagini (è detto con tanta chiarezza!) è l'autoerotismo, come può esser scambiato con una violazione del corpo?
Questa affermazione come le altre sul ciclo a mio modesto parere sono ingiuste perché affermano pur avendo spiegazioni sul vero tema delle foto qualcosa di diverso, quasi di lesivo...
E' questo che non accetto e non il fatto che la foto debba piacere per forza.
Ciao e buona giornata

sandroiovine ha detto...

Cristina pone giustamente l'accento sull'innegabile duplicità di livello nell'approccio presente tanto al cospetto della singola immagine quanto di un intero lavoro.
Da una parte c'è lo sforzo di entrare in sintonia con l'autore/trice per comprenderne l'intento comunicativo (cosa che sia pur con grande fatica mi pare stimo facendo tutti insieme), dall'altra c'è la valutazione personale di gradimento che ognuno di noi inevitabilmente formula di fronte a un lavoro.
Ci tengo a sottolineare, ribadendo sostanzialmente le parole di Cristina, una cosa che ritengo abbastanza ovvia, ma che l'esperienza mi ha insegnato non esserlo sempre: sono due piani completamente scissi e in quanto tali possono portare senza problemi a valutazioni anche antitetiche.
Troppo spesso si finisce per bocciare un lavoro, non comprendendolo, solo perché non ci piace e viceversa. Sforziamoci, come stiamo facendo, di capire cosa volesse dirci l'autore/trice di ciò che stiamo guardando e valutiamo se e quanto il suo progetto comunicativo abbia funzionato. Il che non impedisce ne che il lavoro ci piaccia ne il suo contrario. E per farlo utilizziamo un metodo, una griglia interpretativa che permetta innanzitutto la contestualizzazione del testo per poi passare all'analisi della nascita dell'immagine e infine a quella dei fattori tematici che guideranno verso lo svelamento dell'attribuzione di senso ricercata dall'autore/trice.
Si tratta dell'esercizio che dovrebbe essere costantemente effettuato sempre di fronte a qualunque immagine, che sia singola o faccia parte di una serie. (segue...)

sandroiovine ha detto...

(...segue) Ribadito questo concetto mi permetto di rivolgere a tutti un invito a considerare un livello di contesto più ampio. Ovvero se le fotografie di Debora Barnaba non possono essere considerate astraendole dal contesto che le ha generate (ovvero l'intero corpus del suo lavoro di ricerca) è pur vero che il suo lavoro è stato selezionato e messo in sequenza con i criteri che ho già indicato sommariamente, ma è altrettatno vero che il risultato dell'editing è stato presentato con una veste grafica (nessuno ad esempio sembra essersi chiesto il perché della cornice rossa intorno all'ultima immagine) e il tutto è inserito all'interno del contesto rivista. In quest'ultimo ad esempio troviamo, poche pagine dopo, un articolo di Stefania Biamonti che presenta la mostra di Francesca Woodman a Milano. Una scelta di certo non casuale che completa quella di pubblicare le immagini Debora Barnaba e, nella diversità e sofferta profondità del lavoro, suggerisce una chiave interpretativa. Si tratta di una declinazione altra di un tema analogo, sia pure vissuto con un'intensità che certo non auguro a Debora, ma che vi invito a mettere in relazione.
L'invito è quello di provare a rimettere insieme i tasselli di ciò cui ho accennato e vedere cosa ne esce fuori, arricchendo di sfumature la Vostra/nostra lettura.
E permettetemi ora di ringraziarvi per la straordinaria passione che state mettendo in questo confronto che ci sta permettendo, cosa non sempre possibile, di confrontarci direttamente con l'autrice delle immagini che dimostra una non comune disponibilità al dialogo che merita un ulteriore ringraziamento da parte di tutti noi.

Rosa Maria Puglisi ha detto...

All'anonimo che cita una mia frase vorrei chiedere perché mai la considera "ingiusta"?
Eppure non vi ho dato connotazioni di valore, ossia non ho espresso giudizi sulla validità o meno del lavoro, mi sono limitata a sottolineare una caratteristica della sua impostazione semantica che a mio modo di vedere salta all'occhio. Basandomi sulla forma che la fotografa ha dato al suo messaggio: la scelta dell'immagine ben definita e a colori; la scelta dei particolari ripresi e dell'espressione del volto; ciò che universalmente si ritiene significhi il rosso e il rossetto a livello simbolico; il titolo.
Tutto parla della scoperta di una corporeità fatta di carne e sangue, di una sensualità "passionale", di un amore fisico per se stessi.
Forse questo è un tabù? Forse la parola autoerotismo non piace?
Qualunque altra locuzione si preferisca, resta il fatto che se la fotografa avesse voluto parlarci di un'indagine psicologica, d'introspezione e autoanalisi, di quieto (o inquieto!)narcisismo, e quant'altro, immagino avrebbe scelto un linguaggio più consono all'espressione di quei concetti.
Lo chiarisce pure il riferimento, che Sandro fa nel commento qui sopra, all'opera di Francesca Woodmann.

Claudio ha detto...

Io comunque continuo a non comprendere come sia possibile che, oggi, inserzionisti di una rivista specializzata in fotografia si scandalizzino per immagini forse un pò forti (anche se non le ritengo tali per la delicatezza con cui è rappresentato il corpo) ma non di sicuro volgari. Grandi maestri quali i già citati Francesca Woodman o Robert Mapplethorpe sono stati giustamente celebrati per fotografie realmente "forti", ma dubito che gli stessi inserzionisti si sarebbero permessi lo stesso atteggiamento con un servizio su questi nomi internazionalmente riconosciuti. E' chiaro che il riconoscimento da parte delle élite culturali del valore di un lavoro sia garanzia di qualità, ma vi è trattamento troppo ostracista nei confronti di artisti ancora sconosciuti o poco conosciuti. Sto parlando delle perverse conseguenze di quel culto dell'autorialità che consente ai pochi fortunati che han raggiunto l'olimpo della notorietà di essere considerati "intoccabili", riservando a tutti gli altri severi giudizi e sistematiche censure.

Claudio

Rosa Maria Puglisi ha detto...

Mi scuso per il refuso nel nome della Woodman!

sandroiovine ha detto...

Suppongo che il dichiararmi d'accordo con quanto afferma Claudio sia tautologico, nondimeno mi associo a gran parte del suo pensiero.
MI permetto solo di aggiungere le mostre di autori come Mapplethorpe o di Serrano continuano a essere oggetto di censure più o meno esplicite e/o ridicole. Ricordo ancora le vetrine di una galleria romana che ospitava History of Sex oscurate con i manifesti della mostra usati per impedire dal di fuori la visione delle opere esposte, quando normalmente la stessa galleria si guardava bene dal coprire i vetri in occasione di altro genere di mostre.
In ogni caso al di là della notorietà o meno dell'autore credo sia comunque grave il fatto che un certo tipo di lavori sia osteggiato, mentre di fronte a forme di pornografia ufficializzata proposte quotidianamente nessuno sembra avere niente da dire.

sandroiovine ha detto...

Riporto nuovamente la segnalazione di Barbara B. seguito di un problema nell'inserimento corretto del link e la mia successiva mancata citazione della fonte:
«Ho pensato che potesse essere interessante visto l'editoriale e le foto della Barnaba.
Eat me
E' un video in cui si affronta un tema differente, ma con una forma simile a quella usata nelle foto della Barnaba.»

Anonimo ha detto...

E’ evidente Debora, Direttore, i tempi non sono maturi, ma è anche evidente che NON maturano da soli!

Qualcuno ci ha provato a sollevare la questione che la visione del corpo della donna dovesse essere messo in discussione, ma è una lontana parentesi relegata ad un periodo di lotta ormai demonizzato, che non ha lasciato alcun segno oggi, facendo sì che la percezione del mondo femminile in questo paese passasse dall’ “angelo del focolare” del dopo-guerra all’”animale da monta” celebrato da Drive-in ed epigoni, senza venire sfiorato dal sospetto che potesse essere raccontato in altro modo.

La visione offensiva ed umiliante della donna nella cultura di massa del nostro paese, che è stata così compiutamente descritta dall’intervento di Rijeka, non sembra lasciare spazio ad altre letture e questo è tanto più vero quanto più procedo a leggere alcuni interventi in questo blog.

Si parla di tabù, di pudore, di riserbo dovuto. Ma non capisco, queste immagini non sono state rubate ad una fanciulla inconsapevole dal buco della serratura del suo bagno, queste immagini sono autoscatti di una mente consapevole e adulta che decide di indagare, leggere, studiare e riappropriarsi del proprio corpo in quello che è un percorso personale ed universale, perché inerisce la storia femminile di ogni donna che accetta la sfida di accettarsi oltre le immagini stereotipate che ci hanno incollato addosso.

Perché avrebbe dovuto nascondersi, perché svelare troppo di se’ è sbagliato e soprattutto ha svelato davvero troppo? No, io credo di no, ci ha fatto percorrere con lei un tratto della sua strada, ci ha raccontato emozioni, disagio, rifiuto e accettazione di una parte del suo vissuto, tenendosi per sé molto altro, per esempio che ne sappiamo dei suoi struggimenti e aspirazioni e desideri e passioni, che ne sappiamo di ciò che realmente è il suo “intimo”, oppure stiamo accettando di dire che l’intimità di una donna coincide con il suo pube e niente altro, che tutto ciò che una donna deve difendere e preservare è solo quello, lì giace la sua identità, se la offre lei è perduta e il pubblico indignato.

Tanto più indignato, quanto più si schermisce e si dichiara moderno e non scandalizzato, ma il messaggio imperante è: "Suvvia poteva raccontare le stesse cose in un modo diverso, meno fastidioso". Certo poteva, ma perchè avrebbe dovuto?

Va bene, accettiamo di riconoscere la donna in questa visione, ma consentiamo anche a chiamarci ipocriti, penso soprattutto agli inserzionisti insorti, perché questi strali non vengono lanciati se il corpo in questione depurato di ogni difetto ammicca da una copertina patinata, somigliante a centinaia di altri corpi perfetti, offerti in dono a desideri invocati ed espliciti, dove i volti delle modelle sono assolutamente intercambiabili, perché è sempre la stessa donna ad essere raccontata, un canone condiviso e accettato e che non suscita nessuno scandalo, dove corrisponde perfettamente all’obiettivo che ci si è preposti: l’immagine della donna DEVE essere appagante per la vista (dell’uomo) e questo è così radicato nel pensiero, che anche noi donne non riusciamo a vederci in altro modo e di fronte a un tentativo diverso voltiamo il capo, non ci riconosciamo.

Quello è il modello, ogni altro va cambiato, migliorato, adeguato per essere quanto più simile all’ideale, altrimenti meglio nasconderlo, quando non distruggerlo.

(...segue)
Claudia

Anonimo ha detto...

Ma poiché nessuno ha il coraggio di dirlo il focus centrale dei commenti si è concentrato sull’immagine più difficile da accettare: la seconda copertina e il rimando al ciclo mestruale. Lo confesso la prima volta che ho visto quella fotografia ho voltato il capo a disagio, poi l’ho guardata ancora e ha continuato a darmi fastidio, ma nemmeno per un istante ho pensato che il limite fosse di chi ha scattato la foto o di chi ha deciso di pubblicarla. Il problema è mio, di chi mi ha impresso in mente che sono 5 giorni di disagio fisico e limitazioni, di pastiglie e cattivo umore e lamenti vari, passati ad aspettare che passi il più in fretta possibile perché senza vivo meglio.

Così guardandola una terza volta mi è venuto il dubbio che si potesse raccontare in modo diverso dalle mie idiosincrasie e dai suggerimenti pubblicitari. Il disagio resta, ma lo accetto, lo accolgo e ringrazio che qualcuno ogni tanto vada oltre il convenzionale “senso del pudore”, troppo spesso una scusa per controllare coscienze quiescenti e intorpidite.

Ci sono culture in cui la donna durante il suo ciclo mensile è considerata impura ed intoccabile, dove è suo dovere nascondersi e non contaminare il mondo maschile, se alcuni dei commenti qui riportati sono uno specchio della società, se il comportamento dei suoi illuminati inserzionisti benpensanti (ma chi definisce un “buon” pensiero) è un indizio, la nostra è una di quelle culture, solo non è disposta a dirlo ad alta voce. O forse sì.

Claudia

sandroiovine ha detto...

Per bizzarri percorsi associativi, le parole di Claudia mi han fatto tornare in mente un passo di una vecchia lettura che ho un po' faticato a ritrovare. Pur generata in altro contesto, mi pare adatta a suggerire qualche riflessione strutturale su tu tutto il dibattito sviluppatosi in queste pagine:

«Le mele mi provocano eruzioni cutanee, dunque sono cattive. Cosa sia una mela, e quali sostanze contenga, non mi interessa. Se altri mangiano mele e stanne bene, vuol dire che sono degenerati.»*

* Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa di Umberto Eco, Bompiani, Milano, 2005.

Anonimo ha detto...

Si continua a parlare di mestruo, e la debora gia' 100 volte ha specificato che non e' questo il suo tema. E' chiaro dalle sue foto, che pur non essendo di grande levatura e originalita' come dice Salvo veneziano, da me stimato, escono tuttavia dalla routine degli scattini con tramonti donne scollacciate e girasoli. Ma questo e' il punto, il progetto e' interessante, ma la reralizzazione non comunica quello chge le belle parole di debora ci spiegano; col tempo ci riuscira', glielo auguro, ma finora ci sono immagini che non sconcertano il Veneziano, ma me si', e sono libero di sconcertarmi quanto mi pare alla faccia dell'amico salvuccio.
Non che mi scandalizzino, io non mi scandalizzo ormai piu' di niente, e ho visto di peggio nella vita, non in fotografia, vi assicuro.
Ma se Iovine ha scelto questa autrice e' per saggiare le reazioni del pubblico, e poi perche' sicuramente il panorama odierno offre ben poco di progettuale forse.
Il progetto di debora e' chiaro sentendola parlare, a lungo andare si capisce pure dalle foto del suo sito, ma la comunicazione e' un0'altra cosa.

Anonimo ha detto...

eugeniosinatrapalermo
Si continua a parlare di mestruo, e la debora gia' 100 volte ha specificato che non e' questo il suo tema. E' chiaro dalle sue foto, che pur non essendo di grande levatura e originalita' come dice Salvo veneziano, da me stimato, escono tuttavia dalla routine degli scattini con tramonti donne scollacciate e girasoli. Ma questo e' il punto, il progetto e' interessante, ma la reralizzazione non comunica quello chge le belle parole di debora ci spiegano; col tempo ci riuscira', glielo auguro, ma finora ci sono immagini che non sconcertano il Veneziano, ma me si', e sono libero di sconcertarmi quanto mi pare alla faccia dell'amico salvuccio.
Non che mi scandalizzino, io non mi scandalizzo ormai piu' di niente, e ho visto di peggio nella vita, non in fotografia, vi assicuro.
Ma se Iovine ha scelto questa autrice e' per saggiare le reazioni del pubblico, e poi perche' sicuramente il panorama odierno offre ben poco di progettuale forse.
Il progetto di debora e' chiaro sentendola parlare, a lungo andare si capisce pure dalle foto del suo sito, ma la comunicazione e' un0'altra cosa.
eugeniosinatrapalermo

Anonimo ha detto...

In ogni caso il quesito posto da Iovine e' altro : assodato che lui ha scelto questa autrice per la coverstory ( e legittimamente sceglie quel che ritiene secondo i suoi criteri, poi se la canta e se la suona ed e' inutile dirgli che a uno quelle foto non piacciono ) Iovine ci chiede :
quale secondo voi era da mettere in prima copertina? Io gli ho gia' risposto piu' sopra nel mio primo intervento, 50 commenti fa.
Una cosa non capisco : sul sito di debora la foto di copertina 1 con il dente sporco di rossetto non fa parte della serie del pube rossettato, Iovine stesso dice di aver fatto una sintesi tra le serie di debora, e io questa del dente non la ho trovato tra le foto del sito. Allora mi chiedo : perche', iovine, fai tu la simbiosi tra varie serie quando l'autrice aveva distinto le immagini in serie diverse? Non e' uno stravolgere gli intendimenti dell'autore?
In questo modo sei tu che costruisci un lavoro, non l'autore. o no?
L'autrice allora ha le idee confuse sulle varie sequenze, e tu rimetti ordine? Quindi e' vero che c'e' un problema di comunicazione.
Spero che debora impari da te a mettere ordine nelle sue realizzazioni, e a estrinsecare in maniera piu' comunicativa i suoi buoni progetti.
Mi sembra come il caso delle foto della nebbia di Taddei.
eugeniosinatrapalermo

rijeka ha detto...

Gli ultimi post (soprattutto quello di Claudia che condivido quasi completamente) e l'ultima citazione riportata da Iovine, mi hanno fatto tornare alla mente la questione della "stereotipizzazione" trattata durante un corso di comunicazione di massa. Si tratta, in breve, di un fenomeno che Adorno definiva come essenziale per l'organizzazione della realtà sociale, ma allo stesso tempo come profondamente stravolto, negli anni, dalle necessità dell'industria culturale. Sono andata così a ricercare il testo in questione (datato 1954!)e mi permetto di riportarvi un passaggio:

"quanto più gli stereotipi si materializzano e si irrigidiscono(...), tanto meno probabilmente le persone cambieranno le loro idee preconcette col progresso della loro esperienza. Quanto più si fa ottusa e complicata la vita moderna, tanto più le persone si sentono tentate ad attaccarsi a cliché che sembrano portare un certo ordine in ciò che sarebbe altrimenti incomprensibile. Così la gente può non solo perdere la vera comprensione della realtà, ma può avere fondamentalmente indebolita la capacità di intendere l'esperienza della vita dal costante uso di occhiali fumé"

Naturalmente è un discorso che andrebbe sviscerato con più attenzione, tuttavia penso sia calzante sotto vari punti di vista.
Rileggendo infatti tutti i commenti utilizzando questa chiave interpretativa, viene alla luce sia come l'atteggiamento degli inserzionisti altro non sia che il riflesso di quella strategia manipolatoria messa in atto dall'industria culturale fin dalle sue origini (e utile a canalizzarci e riunirci attorno a un certo rassicurante ordine di idee, drammaticamente funzionale ai bisogni commerciali indotti dalla società), sia come, per ciò che concerne lo stereotipo "donna", le cose siano andate ben oltre i peggiori timori di Adorno.

Aldilà del dato estetico(sempre soggettivo e su cui non voglio discutere), le osservazioni fatte su queste immagini rivelano il nostro elevato tasso di "contaminazione mediatica", la nostra perdita di lucidità nei confronti della realtà in cui viviamo. Portiamo probabilmente occhiali fumè da troppo tempo.
Aderiamo perciò acriticamente, pur convincendoci del contrario, a una serie di stereotipi che sono ormai talmente radicati da diventare invisibili. Cambia la pelle, insomma, ma la sostanza è sempre la stessa: "donna" è prima di tutto un ruolo sociale, imposto da un genere sessuale, poi semmai un ideale (di bellezza, di delicatezza o di quel che volete), ma difficilmente è un'"essere sensibile".
Per questo non mi stupisce più di tanto il rifiuto di queste immagini da parte di molti(come hanno detto in tanti rappresentano una concezione di donna troppo "umana e carnale" per poter essere accettata da una maggioranza che la vorrebbe appunto perfetta, angelicata, oltre che travestita da "vogliosa regina del focolare"...)
Quello che mi rattrista davvero è vedere come la distanza tra la realtà e la sua simulazione sia ormai diventata, soprattutto trattando questa tematica, talmente sottile da renderne indistinguibili i confini, anche per le stesse donne. "Strappare il velo di Maya" non serve quindi più in questa società. Non servono "rivelazioni epifaniche", perché non ci sono più individui, donne o uomini che siano, preparati a recepirne il messaggio. Occorre quindi "ri-educare" le nostre menti, riappropriarci lentamente della nostre facoltà percettive, del nostro corpo e dei suoi bisogni reali (o dei nostri "stereotipi" intesi nell'accezione originaria), ma questo è uno sforzo che, come ci ha insegnato Adorno, può rivelarsi molto faticoso e complicato (e sono convinta che molti degli intervenuti lo abbiano già sperimentato).
Esercitare la propria attitudine all'ascolto e all'analisi critica può allora diventare davvero un atto rivoluzionario oggi..o almeno fortemente sovversivo... e l'industria culturale purtroppo lo sa bene.

enrico_gabbi ha detto...

Il racconto fotografico di Debora è forte, è bello, mi piace, mi sento dentro alle sue immagini che, per quanto di potente impatto emotivo, sono fresche e vive.
Queste foto parlano di Debora, prima che del suo corpo, del suo modo di pensare, delle sue scoperte di vita, del suo essere Donna, delle cose vere e non delle convenzioni e per questo decide di rappresentare se stessa, di raccontarsi in prima persona, di appropriarsi del suo corpo ma di condividere con tutti questa esperienza; se si fosse rivolta ad una modella, per quanto brava, si sarebbe creata una frattura insanabile, un crepa invalicabile tra il processo di creazione e la condivisione, ci sarebbe stata una falsità stonata tra raccontarsi e presentare una persona diversa; penso, sono convinto, che per mettersi tanto in gioco occorra essere coraggiosi e Debora la è.

Per ogni immagine, Debora è stata capace di dare un valore aggiunto che rende ogni immagine unica: per tutte il ritratto di copertina, un bel volto, già interessante così, ma la smorfia antipatica di rabbia e dolore, l’enorme sbavatura di rossetto sono uno strappo, uno sfregio sulla tela che catalizzano il mio sguardo e la rendono esclusiva e irripetibile, altrimenti banalmente bella. Personalmente l’immagine che mi disturba, l’unica, è quella di pagina 12, un altro ritratto, richiamo alla mente di “altro” sangue, questa volta non quello di un fatto naturale, di un meccanismo biologico che per quanto possa essere vissuto come dramma mensile rappresenta la via obbligata per la Vita, qui sangue dal naso, dalla bocca, è una violenza: penso ai soprusi domestici, alle violenze sulle donne, alle coercizioni terribili che sussistono quasi indisturbate nella maggior parte del mondo.

Ringrazio Debora per il lavoro che ha fatto e la possibilità di discussione che ne è derivata; ringrazio Sandro Iovine per il rispetto dimostrato e dichiarato verso chi può provare disagio davanti ad una fotografia, a fronte di tante altre situazioni “urlate”: porsi il problema è di per sé un ottimo insegnamento.
Cordialmente.
Enrico Gabbi

andreailfuso ha detto...

Premessa se trovate errori o parole starne non sono errori di battitura è che non sono capace di scrive scusatemi!!!
e tutto quello che leggerete è vero o forse no l'ultima riga sicuramente!

Da sempre il sangue ha delimitato e limitato l'universo femminile e "spaventato" quello maschile portandolo a rifiutare relegare la femmina mestruata a portare un velo a stare al di fuori della tribù etc… il sangue non è solo mestruo è guerra è morte è vita è Religione o religione a secondo dei gusti
Se per le donne il passaggio all'età matura e chiaramente definito il maschio si è dovuto inventare il rituale dell'iniziazione presente in qualsivoglia cultura guarda caso quasi sempre accompagnato da un gesto vero o simbolico che porta lo spargimento del sangue beh se siete arrivati a leggere fino a qui è un bene perché mi ero rotto di scrivere "antropologicate"….
la natura in nessuna forma e delicata neanche Debora nel suo baciarsi.
Certo che se una persona che trova scritto "cazzo" in libro trova volgare il libro beh magari non si è accorto che è un libro di vela dove cazzo fa riferimento al verbo cazzare …………
Ora al di la di vedere una delle foto che va composta in lavoro che si rifà ad una ricerca di Debora (sicuramente tutti avrete visto il suo sito…) ma questo sono sicuro è stato fatto e poi lo avete già scritto….

Forse non sono i tempi a dover essere maturi e se aspettiamo che lo siano hai voglia quante generazioni e cicli mestruali dovranno passare
Però non sarà ora di partecipare ad un rito di iniziazione doloroso e purificante che ci porti all'età matura?


A proposito di maturità,
Debora è ufficiale mi sono innamorato di te!

sandroiovine ha detto...

Che lo sviluppo di un lavoro sia effettuato o meno in collaborazione e accordo con un curatore francamente non mi pare costituire una problematica fondamentale. Né mi sembra che tolga o aggiunga valore a quanto fatto dall’autore. Capita per altro che il lavoro di un curatore, quale che sia la finalità operativa che lo anima, consista proprio in questo. Ma ovviamente non pretendo che venga condiviso un concetto, tanto... astratto da non meritare che se ne discuta.

Per riconciliarmi con il mondo di prima mattina mi regalerò un’altra citazione della serie a buon intenditor...

«[...]Orbene, anche qui, e più che mai, la certezza ingenua del mondo, l’anticipazione di un mondo intelligibile, è tanto debole allorché vuole convertirsi in tesi quanto è forte nella pratica. Quando si tratta del visibile, una massa di fatti viene a sostenerla: al di là della divergenza delle testimonianze, è spesso facile ristabilire l’unità e la concordanza nel mondo. Viceversa, non appena superato il circolo delle opinioni istituite, che sono indivise fra noi come la Madeleine o il Palazzo di Giustizia, e che sono monumenti del nostro paesaggio storico molto più che pensieri, non appena si accede al vero, cioè all’invisibile, sembra piuttosto che gli uomini abitino ognuno il proprio isolotto, senza che ci sia transizione dall’uno all’altro, e anzi ci si stupirebbe che talvolta essi si accordino su alcunché. Dopo tutto, ciascuno di loro ha cominciato con l’essere un fragile ammasso di gelatina vivente, ed è già molto che essi abbiano seguito lo stesso sviluppo ontogenetico, è ancora molto di più che tutti, dal fondo del loro ritiro, si siano lasciati coinvolgere dallo stesso funzionamento sociale e dallo stesso linguaggio; ma che, quando si tratta di farne uso a loro piacimento e dire ciò che nessuno vede, essi giungano a proposizioni compatibili, non lo garantisce né il tipo della specie né quello della società. Quando si pensa alla massa delle contingenze che possono alterare l’uno e l’altro, nulla è più improbabile dell’estrapolazione che tratta a sua volta come un mondo, senza spaccature e senza incompossibili, l’universo della verità.»*

Il visibile e l’invisibile di Maurice Merleau-Ponty, Bompiani 2003.

Daniele Pol ha detto...

Mi ricresce di non avere il tempo (e lo spazio) per fare un commento appofondito... molti dei temi che sono emersi nel dibattito meriterebbero approfondimento.

Mi limito a dire che mi ha molto colpito la citazione riportata da Sandro Iovine. «Le mele mi provocano eruzioni cutanee, dunque sono cattive. Cosa sia una mela, e quali sostanze contenga, non mi interessa. Se altri mangiano mele e stanne bene, vuol dire che sono degenerati.»

Ritengo sia quantomai adeguata e che esprima al meglio la situazione che si è venuta a creare. Il nodo di tutta questa discussione, a mio avviso, dovrebbe stare proprio nel RISPETTO della sensibilità altrui e dei diversi percorsi che ci portano ad essere ciò che siamo, a pensare ciò che pensiamo e, di conseguenza, ad esprimerci.

Questo discorso però dovrebbe valere in tutti e due i sensi: l'artista (e in questo caso specifico anche l'editore) dovrebbe infatti rispettare la sensibilità di chi fruisce l'opera che viene proposta, cercando di non banalizzare e minimizzare con giustificazioni sociologiche o culturali il punto di vista e le scelte di chi non solo non è "pronto", o "maturo" per una comunicazione di un certo tipo, ma magari per scelta cosciente e razionale derivante da un percorso personale, non vuole ritenersi "pronta" o "matura" per un tipo di comunicazione che non condivide.
Dall'altra parte il "pubblico" dovrebbe cercare di evitare di giudicare un'opera solo in base a ciò che sa, e sforzarsi invece di capirne il senso (che, a mio avviso, molte volte è stato completamente travisato in questa discussione), di vedere il percorso espressivo che ha portato a quello che si ha davanti agli occhi.

Per riprendere il tema della discussione, quindi, i tempi non saranno mai maturi per questo genere di cose! Questo perché da una parte ci sarà sempre l'arroganza dell'Arte che è sempre "ars gratia artis" e pretende di essere originale (e, in quanto tale, diversa dal pensiero comune); mentre dall'altra parte ci sarà sempre "la massa" che, con altrettanta arroganza, pretende di giudicare l'arte per quello che sembra, non per quello che è.

Ed è giusto che sia così. Cosa sarebbe l'Arte se tutti la fruissero ed accettassero passivamente? A cosa si ribellerebbero gli artisti? Quali conquiste potrebbero ottenere se tutto fosse scontatamente bello ed accettabile? L'Arte si ridurrebbe ad essere una natura morta: un dipinto tecnicamente pregevole ma che non trasmette molto più di un'stantanea.
E cosa sarebbe il mondo senza il genio dell'Arte? Senza qualcosa che, a volte anche brutalmente, spinga a rimettere in discussione (ma non necessariamente a cambiare) le proprie convinzioni ed i propri valori?

Forse non dovremmo chiederci se "i tempi sono maturi", ma quanto noi, intimamente, siamo maturi. Artisti e fruitori, poniamoci questa domanda: quanto profondamente riusciamo a cogliere qualcosa che non venga da dentro noi stessi? Quanto riusciamo a capire e valorizzare le idee degli altri?

QUESTO farebbe maturare molto sia l'Arte che il Pubblico. Questo consentirebbe di pubblicare in copertina (quasi) qualsiasi cosa...

Claudio ha detto...

In fondo l'aspetto più spiacevole che ho colto dal dibattito svoltosi finora è che il metro per valutare la liceità di questa pubblicazione non è stata la risposta diretta del pubblico (dubito siano giunte in redazione telefonate o lettere da parte di lettori scandalizzati per le immagini pubblicate). Il senso di pudore si è invece palesato per conto terzi da parte degli inserzionisti. In difesa di un immaginario pubblico idealizzato considerato ingenuo e non "pronto o maturo" per un lavoro di questa natura, si sono levati gli scudi moralizzatori della pubblicità.. Io dubito fortemente che il "pubblico" non sia pronto per questo servizio fotografico, perchè ho provato a mostrare le immagini ad alcune persone con esperienze e vissuti molto differenti tra loro e nessuno ne è rimasto sgradevolmente impressionato, e mi lascia piuttosto perplesso l'atteggiamento di superiorità che si esplicita nel considerare gli altri più ingenui, e culturalmente arretrati rispetto a sè..
E' chiaro che non tutti possiedono lo stesso livello culturale e la stessa sensibilità, ma mi pare che si stereotipi un pò troppo il lettore medio e con questo atteggiamento si rischia di non pubblicare nulla di veramente interessante per il timore, non sempre giustificato, che ne vengano travisate intenzioni e significati. In fondo siamo noi, tra gli altri, il pubblico di questi lavori.

Claudio

Cristina Giusti ha detto...

Chiedo scusa se passo di nuovo ad un argomento che è stato appena toccato in questa sede., ma proprio stamattina mi sono imbattuta per puro caso in un’intervista televisiva in un contenitore generalista a Luigi Contu attuale direttore dell’Ansa,figlio di un altro giornalista Ignazio Contu, di grande fama nel settore . Ha parlato della responsabilità di una posizione come la sua , quella dei giornalisti in genere e dei fotoreporters Ha mantenuto un profilo piuttosto asettico/formale, celebrando con grande soddisfazione l’attività dell’Agenzia Ansa,che in tempo reale copre l’intero pianeta, cui non sfugge niente, grazie all’alacre lavoro sul campo dei 400 giornalisti e i 100 fotografi di cui dispone, dell’ importanza che Ansa ha nella divulgazione delle notizie e della loro utilizzazione sistematica da parte di tutti gli altri networks addetti alla comunicazione…Ha accennato anche alla necessaria “correttezza” , “obiettività”, ed imparzialità del lavoro di ogni inviato sul campo , che deve solo documentare e mai “personalizzare” o “interpretare” ciò che vede e racconta..Ne è uscito un quadro che mi ha immediatamente fatto pensare alle difficoltà che invece sono state poste in luce da Sandro in occasione degli Appunti sul fotogiornalismo italiano e alle problematiche che gli operatori del settore possono incontrare nel momento della “commercializzazione” della notizia, dei media che sono disposti ad accettarla o meno a seconda dell’argomento, dei ricatti degli inserzionisti etc, fino ad arrivare al tema della “reale” completezza d’informazione di cui noi utenti finali possiamo davvero usufruire sui giornali o in televisione o altrove.. Questo “lato oscuro” è stato completamente taciuto , probabilmente per motivi facilmente intuibili tipo disponibilità relativa di tempo, contenitore televisivo poco adatto a questioni così specifiche e difficili, o forse , scelta consapevole della rete di non porre l’accento sull’altro lato della medaglia …. Comunque sia, mi ha dato un po’ fastidio quest’immagine assolutamente rosea dell’informazione di oggi, di cui pare sono tutti contenti, dei premi internazionali che l’Ansa si è guadagnata ( questo sicuramente è più che giusto ) e della perfetta organizzazione di un lavoro a tutti i livelli. E’ stata sottolineata l’importanza del loro sito Web e del suo aggiornamento continuo ,fruibile da tutti, e assolutamente onnicomprensivo dei fatti planetari… Ma …allora … a quanto pare per superare tutti i problemi che pensavo esistessero in tema di fotogiornalismo , oggi basta cliccare il sito dell’Ansa e si potrà trovare tutto senza carenze d’informazione,censure, o “strumentalizzazioni” varie di quanto accade, potremmo probabilmente anche prescindere dalla carta stampata o dai TG televisivi … che ,comunque, a detta di Contu, utilizzano quasi completamente materiale Ansa per la loro “confezione” e lo stesso dicasi per l’editoria… In che rapporto sta una piattaforma d’informazione Web con tutto il resto dei media…? Semplicemente convivono, si aiutano, si creano reciproci danni, e i guai dell’una non sono i guai anche delle altre … o forse il Web ne è immune …. I giornalisti che lavorano per un’Agenzia come l’Ansa sono in qualche modo “privilegiati”e “garantiti” rispetto a coloro che lavorano come “free lance” o per altre Agenzie…? Sandro spero che tu mi dia un aiutino…. Buona giornata a tutti….!

laura marcolini ha detto...

Vorrei ringraziare Claudio per il suo intervento, perché ricorda a tutti noi che l'espressione di un'opinione non è (o non dovrebbe essere) una mera esternazione, ma piuttosto una tensione a scambiarsi un messaggio, dunque presumibilmente anche all'attesa di una ricezione. Questo comporta inevitabilmente una reciprocità... e qualche volta, passatemi la battuta, un "difetto di reciprocità". 
Questo fenomeno può essere percepito come frustrante o stimolante, ma l'aspetto che dovrebbe assumere più importanza è invece la forza centripeta che può scatenare nella comune tensione ad una ricerca di senso. O, se preferite rimanere dentro una metafora vagamente fotografica, ad una ricerca finalizzata a sfruttare il difetto di reciprocità per ottenere una più soddisfacente illuminazione... e qui illuminazione è volutamente un termine ambivalente. 
:-)

laura marcolini ha detto...

A proposito di quanto stiamo cercando di dirci mi piace condividere con voi il testo che segue (purtroppo devo dividerlo in due):

«Io volevo chiedere se quelli che hanno commentato hanno visto il giornale e che la tipa della storia ha un faccia. Non solo ci ha messo la faccia ma ce ne ha proprio una. E si vede davvero e anche tre volte, in tre foto. E che sta pure sulla copertina e alla fine dell'articolo. A me sono rimaste impresse.
No, lo chiedo perché gli altri mi pare che non le hanno viste. Allora mi è venuta voglia di scrivervi.
E poi questa tipa ha pure un corpo. Cioè voglio dire che si vede che ha un corpo proprio intero, non è che sia mutilata, o uscita male da una di quelle scatole di maghi che tagliano i corpi. No no, è proprio tutta intera, e non è nemmeno un totem, e si vede bene in tre delle foto! No, davvero, avete visto? Sono 3 le foto con il corpo e 3 con la faccia.
Sì, beh... è davvero un casino uscire da quell'idea che una donna è un pube... anche per tante donne, infatti continuano a parlare di quello, ma ci si può provare, no?
Poi c'è una cosa che dà proprio fastidio a quasi tutti: cioè quel rosso lì vicino, sopra, intorno al mitico triangolo di pelo... è una storia strana. Dà proprio fastidio a tutti e, non so, ma mi sa che è perché tutti quando vedono quel triangolo lì pensano a qualcosa che lì non si vede (no, non si vede mica, avete guardato bene?) e pensano al piacere (mica solo gli uomini, eh, che vi credete?) e magari si eccitano pure un po', ma quel rosso lì non glielo permette, li frega perché li lascia lì di sasso, e questo proprio li fa impazzire tutti e allora pensano le peggio cose. Alla violenza, all'aborto, a un qualche piacere sbagliato (che poi qual è non lo sanno neanche loro).» segue...

laura marcolini ha detto...

segue dal testo appena sopra

«È che a leggere sul blog uno pensa che questi del giornale hanno fatto un vero casino. Che hanno messo tutto in disordine. Ma proprio tutto. Ma io sono andata a prendermi il giornale e l'ho guardato e dico: forse no. Per me no. Io dico... a me sembra che questa storia che si chiama 'Kissing me' ce l'abbia una faccia, anzi due! Eppure nessuno ne parla di quella faccia che fa due facce. E la penultima è bella distrutta e ti vien voglia di andarle incontro, e sembra un po' una ragazzina un po' un bambino che ti chiede qualcosa senza la voce. E a me fa venire in mente quando non puoi dire le cose perché sai che tanto non ti capiscono. Allora metti su una maschera e fai le smorfie e via dicendo.
Eppure, davvero, nessuno ne parla di quella faccia lì che fa due facce.
Infatti mi ricordo che quando avevo dodici anni e avevo i capelli a spazzola e i jeans e il maglione da ragazzino, una mattina durante la ricreazione il paninaro che dicevano che era il più figo della scuola media, anche se non ci eravamo mai parlati mi disse per sfottermi: «ma tu ce l'hai la figa lì sotto?» Dev'essere per questo che nessuno qui vede la faccia della Debora, che poi è quella faccia con due facce che abbiamo tutti, no? Oh! Ho detto la faccia, lo so che vi siete già distratti e state pensando al triangolo... LA FACCIA, capito?
Sì (ecco vedete com'è?), mi sa che è per quello che nessuno la vede, la faccia, perché anche a un ragazzino di 14 anni negli anni 80 già interessava di più cosa c'era dentro i pantaloni che su una faccia e anche alle ragazze interessa di più, così possono sapere bene con chi prendersela e come.
È per quello che da allora (che già lo pensavo) avrei sempre voluto essere una roba a metà e così fottervi tutti: i maschi con le vostre paternali vomitevoli e melense e le femmine con le vostre ribellioni finte in bilico sui tacchi. E poter parlare con una testa che faceva tutt'uno con un corpo che mi faceva sentire più cose per pensare più allargato.
Sì, lo so che non sembra che pensi molto per come scrivo, ma... ecco io credevo che questa storia sul giornale volesse dire qualcosa del genere, qualcosa che è più avanti, e che quando l'hanno messa insieme non gliene fregava già più niente di maschi e femmine e dei loro genitali perché non pensavano che avremmo guardato le foto con quelli (che è anche un po' scomodo).»

Anonimo ha detto...

Grandissima Laura ... sei fantastica, condivido in pieno...
Mirko

Anonimo ha detto...

Commento mitico :D
Angela Potenza

Unknown ha detto...

Mi permetto di consigliare ai più volenterosi un salto sul sito Il corpo delle donne...
Chissà che non risulti interessante provare ad ampliare lo spazio di riflessione...

Debora Barnaba ha detto...

Leggendo alcuni post dal sito il corpo delle donne, sono rimasta colpita da uno in particolare, che ritengo purtroppo molto comune, ma che ne se ne parli, non ci si accorga. Dice così:
"Il problema comincia proprio in casa, nella famiglia. E le donne portano avanti il gioco educando i figli maschi ad avere privilegi rispetto alle sorelle. La mia famiglia mi ha buttata fuori di casa varie volte. L’ultimo e definitivo ripudio, a Natale, si è messo in moto perché non ho immediatamente rigovernato la cucina dopo il cenone, benché avessi fatto loro da cameriera tutta la sera (servito il vino, la carne, cucinato). Io ero appena uscita dall’ospedale per un aborto ed ero in convalescenza, ma mia madre ha detto che dovevo stare zitta e non dire niente (naturalmente non ho detto che era un aborto…). Mio fratello maschio intanto stava in camera sua a guardare la televisione. Per coronare il processo contro di me mio padre mi ha rinfacciato che da adolescente sono stata un’ingrata perché non stiravo per la famiglia. Mia madre e mia sorella, le due altre donne della famiglia, mi hanno detto che non potevo restare e mi hanno “gentilmente” riaccompagnato alla citta dove vivo, a un’ora da lì, nel cuore della notte.
Madri, sorelle, smettiamola di fare il loro gioco!!"
purtroppo conosco molte persone che vivono in questo modo in casa propria. Prima di parlare di politica, credo che l'aspetto famigliare del problema sia fondamentale. Conosco ragazze che pensano di non saper fare nulla senza l'aiuto di un uomo, di non poter piantare un chiodo, di non saper guidare o parcheggiare, ecc, tutto solo perchè nella loro famiglia l'esempio di madre e padre sono questi. E sono più di quanto si pensi.
Alcune persone invece, partendo da una famiglia di questo tipo, hanno messo in atto una ribellione, per la quale sono autonome, e con rabbia non devono nulla a nessuno, men che meno all'uomo. Ma nemmeno questo è giusto. Non sono maschilista, ma nemmeno femminista, sono per il rispetto e l'aiuto reciproci. Non credo nei ruoli (donna cura i bambini, lavora, lava, stira, cucina, apparecchia, sparecchia, lava i piatti, etc), credo che in una coppia l'importante sia aiutarsi, dividersi i compiti. E l'Uomo vero è proprio quello che accetta di lavare, stirare, o sbrigare quelle pratiche di solito definite femminili. Altrimenti il rapporto non è più COPPIA, ma schiavo-padrone. (segue)

Debora Barnaba ha detto...

Per quel che riguarda invece, tornando in argomento corpo, l'ideale femminile che ci viene continuamente proposto, sono profondamente rattristata nel vedere uomini che apprezzano donne "intercambiabili", tutte con la stessa faccia, con gli stessi corpi, con le stesse movenze e lo stesso modo di ammiccare (sembra che cambi solo il nome). E mi rattrista vedere che le donne si paragonano proprio a queste donne, ma questo perchè il mondo televisivo, dello spettacolo in genere, ci ha fatto credere che si ha valore solo se si fa parte di quel mondo. E credo che soprattutto venga vissuto da molte come una cosa "semplice": si è belline, si ha un bel corpo, si impara ad ammiccare in quel modo, ci si fa come loro, e basta questo per avere fama, apprezzamenti, stima, e soldi. Senza fare nulla. Ritengo sia questo il vero problema nostro. E lo possiamo constatare anche dalla reazione alla crisi: invece di inventare qualcosa di nuovo per uscirne, si inventa il metodo migliore per fregare gli altri. Il lavoro perde di valore, gli studi, i sacrifici, le passioni, lasciano indifferenti se non si hanno conoscenze e bellezza.
Ma ancora una volta, non si parla del modo di vivere e di sentire il corpo da parte della donna. Ma solo di ideali di donna nella società. Del rapporto tra il corpo della donna e il mondo. E del rapporto tra la donna e sè stessa? chi se ne occupa? cos'è una donna? è un affare puramente sessuale? o c'è di più? e cos'è? cosa rende donna e non solo "essere di sesso femminile"? Riappropriarsi del proprio corpo, è riappropriarsi dell'idea di sè, di CHI si è, di chi si vuole diventare, e del perchè. Ma a questo punto allargherei la discussione al corpo in generale, perchè ritengo che sia una domanda che si dovrebbero porre tutti, non solo le donne, che troppo spesso hanno scambiato per parità dei sessi il comportarsi come un uomo e il prendere il loro posto.
Denigrando il valore della donna, in realtà, denigriamo anche gli uomini, pensando che vogliano tutti la stessa cosa, lo stesso tipo di donna, non quella delle favole, da conquistare, per cui vale la pena di lottare, ma quella che è disponibile. Facendo così denigriamo anche la capacità dell'uomo di andare oltre, non gliela concediamo, come se non l'avessero a prescindere, come se l'uomo fosse solo un ammasso di ormoni che hanno bisogno di sfogarsi.

Anonimo ha detto...

Solo da poco mi sono avvicinato alla fotografia e alla comunicazione delle immagini, dunque il mio parere non è ancora maturo. Certo rimane il fatto che è un piacere guardare scatti e leggere editoriali da persone che amichevolmente identifico come " locomotive del pensiero", parlo naturalmente di Sandro Iovine e Debora Barbara.Essere portati a guardare e porsi domande non è poco in questo periodo.
Per i tempi, penso che purtroppo non siano ancora maturi e forse per molte cose non matureranno abbastanza velocemente da vederne il risultato.
Grazie Paride Nava

Paride Nava ha detto...

Ops...chiedo scusa per l'errore e correggo, Debora Barnaba.

Anonimo ha detto...

Caro Sandro,
mi permetto di fare un “j’accuse” sulla posizione da te assunta in merito alla questione succitata; parto dal presupposto che usando i termini Tempi e Maturi tu abbia voluto scaricare la responsabilità di una scelta che era tua ed esclusivamente tua a qualcosa di astratto (tempi) ed usando un termine secondo me sbagliato (maturi) perché i veri soggetti che sono il tuo prossimo e quindi persone concrete non dimostrano la loro maturità nel saper apprezzare o meno, o saper giudicare una tua proposta. Avrei usato, piuttosto, il termine “Pronti” ed in questo nel tuo editoriale mi dispiace dirlo hai dimostrato di non essere tu pronto ad affrontare una tale situazione. Ti ricordo infatti che esempi di questo genere, nel campo dell’ arte come nel campo della scienza, hanno mostrato situazioni differenti di personaggi che pur di portar avanti le proprie idee sono arrivati all’estrema conseguenza di rimetterci la vita (Giordano Bruno), e invece altri hanno ritrattato, come per esempio Galileo Galilei.
Naturalmente apprezzo molto il tuo lavoro e sono consapevole che per dare continuità allo stesso tu abbia fatto una scelta che non ci impedisce di vederti nella medesima dimensione di… con le dovute proporzioni, un Galileo Galilei.
Ciao, Clemente

Anonimo ha detto...

Non condivido la discussione
che si è accesa su questo blog
in merito al lavoro di Deobra Barnaba apparso sulle pagine de IL FOTOGRAFO,
prima di tutto perchè il direttore
di questa rivista qui ci mette
la propria faccia e non mi risulta
che altre riviste dello stesso settore abbiano attivato un canale di confronto così diretto
e poi per la possibilità di un sano contraddittorio
con l'autrice in questione,
cosa assai pregevole visto che ciò non succede tutti i giorni.
Personalmente dopo aver letto
l'editoriale e aver visto il lavoro di Debora,
mi è apparso subito chiaro
il tassello che manca ad una mia ricerca fotografica
iniziata qualche anno fa.
Probabilmente su di me ha prevalso una riflessione più profonda sul concetto che Debora ha voluto esprimere per cui propongo di spostare l'attenzione sui motivi
che hanno spinto questa autrice a mettersi in discussione scegliendo il linguaggio fotografico
come veicolo per trasmettere il proprio modo di vedere un mondo...


Mario Iovino

Claudia M. ha detto...

Buongiorno Clemente, è giusto che sia il Direttore a rispondere al suo intervento, se ne avrà voglia, ma, che lei ci creda o meno, aspettavo la sua “accusa” da almeno una decina di commenti.
 
Leggevo e intanto mi chiedevo quando qualcuno avrebbe argomentato che presentare due copertine rappresenta una sospensione di giudizio. Quando la domanda che apre l’editoriale sarebbe stata accusata di non prendere una posizione, di una mancanza di responsabilità?
 
Sa perché lo sapevo? Perché dopo aver risposto punto per punto a chi ha accusato la direzione della rivista che non avrebbe dovuto osare tanto, che ci sono pudori che vanno difesi, che ci sono tabù e misteri da non svelare… che le foto mettono a “disagio”. Dopo gli inserzionisti che lamentano una posizione troppo forte, tanto da giustificare il rifiuto della rivista stessa, mi sono detta: a questo punto manca solo qualcuno che dica che non si è osato abbastanza. Appunto.

E non riesco davvero a condividere i suoi assunti, per esempio: il termine “tempi maturi”, dove tempi io non l’ho affatto inteso come un momento astratto, ma il nostro hic et nunc, il primo lunedì di agosto 2010, il tempo in cui leggo e scrivo è il tempo in cui ci si chiede: siamo abbastanza grandi, responsabili e certo pronti, maturi quindi, da poter guardare una donna che non ammicca, ma che ci guarda attraverso la sua storia, il suo volto, il suo corpo? In fondo esiste “l’esame di maturità” e nessuno invoca l’esame di “prontità” al suo posto. Grazie al cielo.
 
Io credo che Iovine non si sia nascosto dietro questa domanda, credo abbia preso una posizione, e che ne abbia accettato rischi e conseguenze (ma li ha letti gli oltre novanta interventi?), né gli sarà risparmiato il rogo (oggi è da leggersi come ritiro della pubblicità).
 
Se si fosse limitato al “suo particulare” non avrebbe investito la sua faccia sulla seconda copertina, ma ci avrebbe mostrato una selezione edulcorata delle serie di Debora Barnaba, che sarebbe stata accolta senza scossoni, senza domande, senza rimostranze. Lo so, non è ciò che auspicava lei, che si aspettava il coraggio, qualcuno direbbe la prepotenza, di imporre una sola lettura, una sola copertina, quella che avrebbe dato scandalo appunto, ma evidentemente lo scopo della domanda e della copertina alternativa non era questo, lo scopo era suscitare una domanda, far venire un dubbio, portarci sulla soglia di una scelta.
 
In realtà Iovine ha proposto una sola linea editoriale, una sola storia… ha solo giustapposto due immagini, ha messo davanti agli occhi quella prevedibilmente più accettabile per “fanciulli innocenti” e a tutti gli altri ha lanciato una sfida, ci ha messo alla prova, senza schermirsi ha dichiarato quale fosse la sua posizione, lasciando ai suoi interlocutori, al suo prossimo, la possibilità di esprimere un’opinione matura appunto.
 
Quindi non riesco a leggere in questa operazione gli estremi che giustifichino la sua “accusa”.

Claudia M. ha detto...

Nota a margine: quando Giordano Bruno viene arrestato a Venezia sa cosa sta rischiando e si difende dalle accuse dell'Inquisizione con tutte le sue forze: nega, tace, omette e mente confidando che i suoi inquisitori non abbiano letto tutto quanto ha scritto, giustifica le accuse di eresia affermando che talvolta teologia e filosofia, usando l’una la fede e l’altra la ragione possano arrivare a conclusioni diverse, basta riconoscere il primato della fede (non le ricorda la lettera di Galilei A Madama Cristina di Lorena Granduchessa di Toscana? Ha presente, signor Clemente, quella in cui specifica che l’intenzione dello Spirito Santo è d’insegnare “come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo”? Bene, Bruno chiede perdono per gli “errori” commessi, è pronto a ritrattare, ma arriva prima l’estradizione a Roma, dove nuovi nemici, nuove accuse, nuove torture e nuove richieste di abiura sui fondamenti stessi della sua dottrina fanno sì che dopo vari ripensamenti egli decida di non ritrattare e ascolta la condanna a morte e la sentenza stessa, con la forza che conosciamo. Galileo ha dovuto affrontare accuse diverse, accusatori diversi con una storia diversa, le circostanze hanno deciso per loro più che il coraggio temo, senza nulla togliere al mio amatissimo Bruno non ne farei una bandiera di coerenza estrema, anche se alla fine di fronte all’ignoranza cieca e brutale ha scelto che avrebbe perso di meno se non avesse tradito se stesso.

Unknown ha detto...

i tempi sono maturi? no. trovo l'immagine del pube quella dal messaggio più diretto, più aperto, il corpo femminile già questione dibattuta etc. etc., mentre trovo molto più interessante scoprire, e colgo l'occasione per girare la domanda all'autrice degli scatti, tutto ciò che si nasconde dietro quel dente sporco di rossetto e quell'espressione piena di provocazione.

sandroiovine ha detto...

Cara Claudia M. non vedo alcun motivo per ribattere l’autoconclusivo intervento di Clemente. Nel momento in cui possiamo verificare l’esistenza di chi crede negli Ufo attribuendogli connotati più o mistici, è evidente che ognuno sia libero di credere e pensare ciò che meglio ritiene opportuno.
Quello che invece desidero fare è ringraziare di cuore Clemente per avermi offerto un’inaspettata giustificazione da opporre al mio editore nel momento in cui mi dovesse convocare per rendergli conto dell’eventuale cancellazione di pianificazioni pubblicitarie o di un calo di vendite in conseguenza della pubblicazione delle immagini di Debora Barnaba. Ora so che potrò dirgli che la responsabilità non è mia, ma è tutta colpa di astratti tempi e soggetti che, essendo il mio prossimo e quindi persone concrete, non hanno dimostrato maturità nel saper apprezzare o meno, o saper giudicare la mia proposta. Sono certo che l’editore rimarrà ammaliato da questa geniale interpretazione dei fatti e mi proporrà anche un aumento di stipendio.
E per fortuna che qualcuno ha ben compreso e chiarito il senso del titolo dell’editoriale e tutto il suo sviluppo argomentativo… pensate cosa avrei potuto rischiare se qualcuno avesse ipotizzato che io mi fossi assunto la responsabilità delle mie decisioni...

Debora Barnaba ha detto...

Giovanni, ti ringrazio per la domanda. Ti confesso che non è facile per me risponderti, quella foto mi è venuta in mente in un attimo, non fa parte di alcuna serie, è stata un'immagine balenata alla mia mente, per rappresentare forse quello che sentivo in quel momento.
Quello che volevo era il rosso sui denti, l'idea di sporco, di qualcosa che disturba. E la smorfia, che rivela al di là di una "situazione da beauty", quel qualcosa che non funziona, che stona. Ma lo rivela non velatamente, accentuando l'idea di disgusto quasi, facendo capire che vuole proprio che si veda quel particolare di rottura. Gli occhi sono diretti, e uno metà coperto dai capelli, sempre a mostrare ma non proprio tutto.
Lo sguardo è diverso da quelli degli altri ritratti che si possono vedere sempre nella rivista, è più deciso, meno ricettivo, vuole "sbattere" in faccia a chi guarda un'idea.
Di come mi sento, di come mi vedo, di come vedo il mondo riflettersi in me. Stufa, quasi disgustata, con un moto di stizza e provocazione.

Anonimo ha detto...

Buongiorno, io devo dire che a "prima vista" sono andata in totale confusione. La prima copertina, la seconda..l'editoriale.. ho chiuso tutto, ripromettendomi di riaprire il giornale con più tranquillita'.
Ho "maledetto" Iovine. Si..non lo nascondo...l'ho maledetto perchè, in tre pagine tre, ha messo in discussione tutto quello che per me era la fotografia. Mi sono detta...perche' ci chiede se sono tempi maturi...insomma di fotografie di nudi, di corpi straziati, violati, abusati, esibiti e così via ne è piena la tv, i giornali, il web...
Ho chiuso il giornale incavolata e confusa, decisa a dimenticarmi di questo numero "provocatorio". Poi nei giorni scorsi sono stata alla mostra fotografica di Francesca Woodman. Ci sono andata completamente impreparata, nn sapevo chi fosse e cosa aspettarmi (ho letto poi l'articolo su IL FOTOGRAFO).
Mi attraeva la foto che pubblicizzava la mostra.
Un corpo di donna appeso allo stipite di una porta.
Sono uscita da questa mostra, e mi è ritornata in mente la domanda di Iovine.
Non saranno mai tempi maturi. Non lo sono per le foto di Francesca e nemmeno per le foto di Debora. Non perche' ci siano nudi o sangue o mestruo. Ma perchè ognuno di noi vive il proprio corpo come una cosa strettamente privata intima. Il nostro corpo e' inteso come "io". Vederlo fotografato ed esposto mette in discussione la parte piu' intima di noi, ci obbliga al confronto con noi stessi. Con tutto quello che ne deriva poi... non tutti siamo pronti ad accettare consapevolezze, e non lo nascondo nemmeno io.
Insomma non so se sono stata capace di esporre nel modo giusto quello che avevo in mente.
Ho citato Franceca Woodman solo per l'esperienza visiva e intima che mi ha lasciato e che cullo dentro di me, in assoluto non volevo paragonare le sue visioni a quelle di Debora Barnaba. Che in altro modo porto dentro.
Grazie per questo spazio.
Anna Montuori

Unknown ha detto...

Anna dici che i tempi non sono maturi, al contrario le tue parole mi danno invece una minima speranza che almeno per qualcuno lo siano o lo stiano diventando.

Hai perfettamente compreso dopo un primo comprensibile disagio il senso di quello che abbiamo cercato di fare: offrire l’occasione per provare a mettersi in discussione, proprio come ha fatto Debora Barnaba.

La speranza non era di trovare un pubblico plaudente. Questo lavoro e il modo in cui l’ho/abbiamo voluto presentare vuole far pensare anche noi tutti che guardiamo quanto Debora ci ha esposto. Non è importante che ne condividiamo le posizioni, che ci piaccia o l’esatto contrario. L’importante è che ci soffermiamo a riflettere con la mente aperta e disposta a mettere in discussione ciò che siamo per capire se ci appartiene davvero o se è frutto di sovrastrutture.

Tu mi pare proprio che lo abbia fatto e con coraggio, anche se forse non te ne sei pienamente resa conto.

E grazie anche per aver trovato un’attinenza tra le fotografie di Francesca Woodman e quelle di Debora Barnaba…

Maria Adele ha detto...

Ho guardato tutti i lavori di Debora Barnaba, alcuni li ho apprezzati davvero tantissimo, quello utilizzato per la rivista non mi ha assolutamente emozionato, a mio parere è confuso, sembra, non dico è, sembra che l'artista volesse trattare un argomento (l'Amore per sè) che poi è sfociato in altro (condizione femminile).. A volte la semplicità è la strada migliore..
Con questo non voglio togliere nulla alle ottime capacità dell'Artista che si evincono da altri suoi lavori... Maria Adele

barbara ha detto...

Ho trovato più che giusto la pubblicazione di una copertina meno allusiva e dai toni più smorzati, rispetto a quello che possiamo trovare sfogliando le immagini presentate del lavoro di Debora Barnaba: del resto, sarò superficiale, ma non trovo corretto che immagini dai temi così forti come quella della seconda copertina vengano indiscriminatamente offerti agli occhi di chiunque nelle vetrine di un'edicola senza una presentazione e una consequenzialità che spieghi le ragioni di quel determinato scatto; è vero che nemmeno il lettore de IL FOTOGRAFO si era cimentato prima con immagini di questo tipo nella rivista (come mi sembra dagli ultimi anni), ma del resto si presuppone che il pubblico che aprirà questa rivista sia adulto e interessato ai temi dell'Arte, per cui non dovrebbe rimanere scandalizzato di fronte a idee che in varie epoche della storia dell'arte si sono manifestate per rivendicarsi contro i limiti di una visione che vorrebbe vedere il corpo perfetto all'interno della morale perfetta.
Mi sono confrontata con una mia amica, fotografa e artista, sulle immagini di Debora, sulla scelta della copertina, sulla scelta editoriale delle immagini e insieme abbiamo approfondito guardandoci il sito. Il lavoro in sé non è originalissimo nei suoi obiettivi, ma ha dalla sua parte una forte tecnica e una buona comunicazione che sicuramente, con gli anni e con l'esperienza, matureranno in un linguaggio artistico e fotografico di tutto rispetto. Devo dire che dalle immagini del sito ho letto una certa ambivalenza da parte di Debora nel porsi di fronte all'obiettivo: da una parte c'è indubbiamente un certo disagio, tecnicamente magistralmente eseguito, ma su altri versanti – a cominciare dal lavoro Kissing Me – ho percepito invece una sensazione di carnalità, di forte piacere che si allontana dal voler esprimere tale sensazione di sofferenza; sicuramente questo rientra nel più ampio discorso dell'accettazione di sé, ma sinceramente un po' di autocelebrazione l'ho anche avvertita, nella luce, così neutra, e nell'atto stesso di baciarsi con un rossetto così vivamente rosso e quindi così ardente. (segue …)

barbara ha detto...

(… segue) Non sono contraria ad esprimere l'amore per il proprio corpo in forma narcisistica e perfino esibizionistica, purché venga dichiarato e consapevolizzato in un discorso coerente: questo non mi sembra accada sempre scorrendo il sito di Debora Barnaba perché sinceramente mi ha un po' disturbato un'immagine presente nella parte riservata al Contact, che se esamino nella sua eccezione si ricollega alla parte del Personal, ma secondo me stride un po' nell'insieme di un sito che si propone di un fotografo che lavora in ambito commerciale, e mi ha fatto decadere tutta l'interpretazione che avevo dato in un primo momento al lavoro, perché il disagio interiore può essere espresso in mille modi, e quando ci si chiama in causa in prima persona, con tutto quello che comporta l'intimità resa pubblica, le motivazioni dovrebbero essere assolutamente valide.
Sfogliando le pagine della rivista, ammetto di essermi in un primo momento spaesata di fronte alle immagini rappresentate, ma penso che questa emozione che ho provato sia indice di una comunicazione comunque forte e schietta e, tutto sommato, del mio tentativo di naturalizzare, attraverso le immagini che vedevo, un concetto, quello del linguaggio del corpo, che anche da parte mia, in quanto donna, è stato spesso diseducato in un intrigo di regole e oppressioni. Anche nella sequenza scelta e pubblicata da IL FOTOGRAFO ho letto lo stesso tipo di ambivalenza che citavo sopra, da una parte una visione innocente e pulita della propria sessualità, con richiami espliciti alla fisiologia femminile, ma dall'altra uno sguardo più impudico e pubblicamente più audace, mentre la cornice rossa dell'ultima immagine (quella della copertina) l'ho letta appunto come una marcatura, che guarda caso è anche il colore della passione, per una fotografia che mi da la sensazione di un richiamo fisico più che di una richiesta di aiuto.

Anonimo ha detto...

Sandro (mi permetta) volevo asserire che i tempi non sono maturi in quanto secondo me la questione non è "temporale". Io intendevo dire che ognuno di noi rifugia, le accettazioni e le non accettazioni, nelle proprie storie personali. Il "lavoro" di Debora, io l'ho vissuto (ed ancora oggi è cosi') come uno schiaffo. A prima vista, e da come lei ce la presenta, pare un'espressione intima, sua, personale...insomma è di Debora, e' lei che ricerca. Poi, riguardando le fotografie e riguardandole ancora, cresce il disagio. E' lei che guarda me. Come forse io dovrei imparare a guardare me stessa.
Forse sono eccessiva, ma dico quello che sento.
Quindi, forse la questione non è dei tempi. Ma di quanto siamo pronti noi, ad andare piu' a fondo, a non fermarci al primo strato della ns pelle
Anna Montuori

Sarah Corti ha detto...

Anna ti capisco perché anche io sono un po' "uterina" talvolta, parto, lancia in resta senza guardarmi intorno, ma la tua risposta perentoria non la comprendo, anzi mi fa sorridere che proprio tu ti metta sulla difensiva quando hai ricevuto una risposta da Iovine piena attenzione, plauso, comprensione e delicatezza.

Ti è appena stato detto che hai saputo guardare con mente aperta al lavoro di Debora, che hai saputo comprenderlo e accettarlo senza lasciarti fermare dal primo impulso e rispondi con stizza?

Quantomeno bizzarro, eri appena riuscita nell'impresa di ridare speranza al Direttore che almeno uno spirito illuminato ci fosse, per poi smentirti e tornare tra noi massa grigia di scandalizzati spettatori... beh per fortuna chissà che ripercussioni avrebbe avuto sulle certezze di Iovine scoprire un autentico e aperto uditore.

Sono sollevata anche io dopo la tua replica. E' tutto regolare.

Istruzioni per l'uso: quelli di Iovine erano complimenti, i miei no (chiaro?!)

Sarah Corti

I

Anonimo ha detto...

Il mio era un voler andare piu' a fondo. Sandro (mi permetta) mi ha dato la possibilità di farlo, non solo con lo spazio sul suo blog, ma rispondendo ad un mio commento.
Sinceramente i suoi (di Sandro, mi permetta) apprezzamenti li andrei a "ricercare" in altri spazi (anche se per il Direttore, come forse Lui si ricorderà, io provo un "amore-odio"). Non m'interessa fare parte di una massa o restarne fuori. M'interessa capire cosa c'e' dietro una fotografia, perche' una mi smuove invece un'altra mi lascia indifferente, e oggi ancora piu di ieri, mi rendo conto che il mio percorso personale è lungo ed arduo .
Detto cio' non rubo piu' spazio per vicende personali. Il blog e' di Sandro (mi permetta), forse certe considerazioni, bisognerebbe prendere coraggio e porle direttamente a Lui.
Auguri
Anna Montuori

Angelo Nesci ha detto...

Carissimo direttore, personalmente penso che l'idea della doppia copertina e la scelta della seconda immagine sia stata una genialata.
E' riuscito ad ottenere l'attenzione di tutti i lettori andandoci a stimolare
nella sfera più profonda delle nostre anime.
Nostro "malgrado" è riuscito a catturaci, non le nascondo che senza questa discussione
avrei saltato brutalmente le prime pagine per andare oltre ...
"L’importante è che ci soffermiamo
a riflettere con la mente aperta e disposta a mettere in discussione
ciò che siamo per capire se ci appartiene davvero o se è frutto di sovrastrutture"

Che abbia utilizzato mezzi al limite del lecito (sto sorridendo mentre scrivo) per raggiungere il suo scopo questo penso sia evidente (quel bordo rosso è una vera chicca!).
Ma possiamo lamentarci? Assolutamente no ... anzi (tocca anche ringraziarla!!). Ci si lamenta sempre sul fatto che non venga dato spazio sia ai giovani fotografi che all'analisi oltre la tecnica delle immagini, e Lei lo ha fatto prendendosene tutta la responsabilità.
Se le immagini della brava fotografa Debora Barnaba vadano, nel mio limitatissimo e
acerbo sistema percettivo, oltre il livello denotativo per raggiungere il livello connotativo da lei esposto, questo non sono in grado di dirlo, ma una cosa
ho imparato: facciamo attenzione nell'affermare che la nostra è una civiltà visiva, potrebbe essere pericoloso.
Con stima
Nesci Angelo
ps
io la rivista continuo a comprarla.

Bruno Taddei ha detto...

Ho provato a prestare attenzione non solo all'immagine che ha creato tanto scalpore, ma a tutta la cover story.
La sensazione che le immagini mi rimandano è quella di profonda inquietudine, vissuta in modo solitario. L'impressione è di un amore conflittuale denso di aggressività rivolta sia verso se stessa, che verso le persone affettivamente vicine che forse non hanno compreso l'entità di tanto dolore e di tanta inquietudine.
Riappropriarsi di un sè corporeo e mentale, seppur nel dolore della consapevolezza della propria solitudine, forse permette di stemperare quelle tensioni esistenziali che alle volte paralizzano e impediscono l'individuo.
Ecco quello che ho pensato di questo lavoro. Forse ho capito male, forse ho attribuito all'autrice significati non propri , ma ho provato ad andare oltre l'immagine che richiama fortemente il ciclo mestruale, ritenendola sì parte importante del racconto, ma non unica.

Questo lavoro ha provocato anche una lunga e, in alcuni momenti, accesa discussione con mia moglie. Si è sentita offesa nella propria intimità che, a suo parere, può essere intesa in due modi, uno relativo, legato a tutto ciò che è socialmente condiviso, l'altro assoluto che prescinde da tutto e da tutti, che è personale e in quanto personale, intimo e da non esibire. A suo parere l'intenzione di questo lavoro può essere solo provocatoria.

Seppur con opinioni diverse questa cover story ci ha permesso di confrontarci su un tema che ci ha consentito di capire meglio alcuni aspetti reciproci. Questo non ha cambiato di una virgola la diversa opinione che avevamo sul lavoro di Debora, ma ha creato i presupposti di un confronto molto costruttivo che ha fatto riflettere entrambi.

Valentina Cusano Photographer ha detto...

Si è già detto tanto, lo so. Ma io ho preferito riflettere prima e ho trovato alcuni punti chiave. Prima cosa chi se ne frega del "Grande Fratello Planetario"? Se dovessimo arenare la nostra possibilità di espressione guardando a ciò che i media passano o non passano saremmo soltanto puerili e scontati concetti di moda che inseguono una tendenza piuttosto che un'altra. E poi perchè "shoccare" deve essere necessariamente un intento malsano? Quante correnti artistiche hanno utilizzato proprio questo metodo per richiamare l'attenzione su temi fondamentali, sociali, antropologici e culturali? Mi ricordo bene di Marcel Duchamp che espose un orinataio in una galleria d'arte ed era il lontano 1917. Che clamore, che scandalo! Ma poi si capì l'importanza artistica del suo GESTO: si chiudeva un stagione dell'arte - ormai morta e strozzata fino al soffocamento - e se ne apriva un'altra, nuova, filosofica, apparentemente distruttiva ma volta invece al recupero di un senso nell'arte stessa e a un suo rinnovamento. Così sono passati i dadaisti e i surrealisti fino ad arrivare all'Action Painting americana, al dripping e alla Body Art. Shoccare era un comandamento per mascherare un furente bisogno di comunicazione. Ma parliamo di arte e non di fotografia. Parliamo di una pratica che necessita creatività, originalità, comunicazione, intenzione, e ricerca. E se il gesto di Duchamp ci ha dato tanto, forse allora possiamo sganciare il lavoro di Debora Barnaba dal contesto fotografico ed inserirlo nel tentativo di fare un piccolo passo nel mondo dell'arte e della ricerca sfruttando il metodo della performance. Credo infatti, che l'esperienza fotografica vissuta dall'autrice abbia dato molto di più a lei stessa che non ad un lettore/fruitore che magari certi meccanismi non li ha presenti. Ma non siamo tutti uguali e nemmeno ci piace esserlo. Ma ci piace pensare che il timido tentativo di approccio alla creatività artistica da parte di una giovane autrice possa già essere un buon motivo per autofotografarsi e autoritrarsi, se poi quello che ne nasce è più o meno originale, questo è un altro discorso, un altro percorso che ogni autore deve tenere a mente quando produce. Intanto il gesto è fatto e l'esperienza è stata vissuta. Magari la prossima volta avremo anche occasione di parlare di fotografia e non soltanto di un corpo nudo sporco di rossetto.

danilogiuso ha detto...

Ho letto con molto interesse le Vs. risposte ed ho apprezzato il lavoro di Debora. Sono d'accordo con Laura Marcolini quando sostiene che per arrivare a lavori di questo genere Debora deve aver compiuto un percorso da poter interfacciare l'aspetto interiore con quello esteriore. Per questa fatica ammiro ancora di piu' Debora. Per quanto attiene i rapporti tra Rivista ed inserzionisti non dobbiamo stupirci della reazione di questi ultimi. Viviamo un mondo artefatto fatto in larga misura di superficialita' ed esteriorita'. I canoni di bellezza, si misura al metro delle veline. Articoli e programmi intelligenti sono sempre da seconda serata.
Per quanto mi riguarda ribadisco il apprezzamento alla linea editoriale di Sandro, confermando che due giorni fa' ho rinnovato l'abbonamento annuale al Fotografo.
Forza e coraggio. Ciao Danilo Giuso

Anonimo ha detto...

L'artista ha il dovere di osare. La ricerca deve rompere gli schemi per poter andare avanti. Il popolo accetta o non accetta il prodotto dell'ingegno dell'artista e ne decreta il successo o l'insuccesso ma non può giudicarlo perché non è l'artista. L'artista ha il DOVERE di esprimere se stesso senza limitazioni di sorta perchè è unico e il suo messaggio deve giungere puro com'è stato concepito.

Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie

erc temple ha detto...

Ho pensato molto prima di analizzare la serie kissing e scrivere un personale commento a questa, per cui mi scuso con Sandro e gli altri, ma ho deciso prima di guardare le immagini, scrivere quella che era la mia analisi e solo successivamente leggere sia l'editoriale sia tutta la discussione nata, da cui discosto molto. Per non perdere nulla mi sono poi basato sulla totalità della serie pubblicata da debora nel proprio sito. Ringrazio comunque Sandro per l'audacia dimostrata nella pubblicazione della doppia copertina. Ora partiamo. Mi riferirò direttamente all'autrice degli scatti per comodita, visto che interviene nel blog.

Kissing la cui traduzione è baci. un nome senza aggettivo appresso e un'icona che preannuncia già l'assenza della dolcezza. Pensare al bacio, come termine, senza aggettivazione mi ricorda scene molto contrastanti. Dracula, la madre, gli amanti, la dannazione e così via.

Nella prima immagine il focus per me cade sul rossetto, come i suoi occhi sembrano sottolineare. Un rosso acceso quanto la passione in contrasto con il suo corpo pudico segnato solo sul ginocchio. La scena inizia ad evolversi con baci morbosi sul proprio corpo, il braccio ricade inerme con la mano aperta e senza tensione. Il baciarsi è un compiacimento di sè o una assenza di affetto? Baciandosi si ha una doppia sensazione quella delle labbra e della zona che si sfiora o si incide e la parte più naturale è quella delle braccia. Ci si chiude in sè ed ai baci si affiancano le carezza, anche in questo caso c'è la doppia sensazione: la mano che sfiora la gamba.
Nella quarte immagine c'è il completamento di quanto si era iniziato e il risultato: il viso è inespressivo. Non c'è stato ne dolore ne piacere. Poteva essere necessario, ma non per questo doveva dare un finale di emozioni: apatia. Riprendersi e riguardarsi, le mani che si perdono nel vuoto, la gamba piegata alta, il busto in lieve torsione e lo sguardo con il viso che si allontana sembra un rinnegare l'atto appena compiuto. Il primo piano poi con le labbra socchiuse mi mostra che c'è ancora qualcosa da esprimere, se non ci fosse nulla sarebbero chiuse. Tutto in questo costante altalena di sentimenti di cui il massimo positivo è l'apatia o l'acettazione.
Una nuova fase, più carnale e più possessiva della precedente. Al tatto e alla duplice sensazione si aggiunge la saliva umida e calda che sente i sapori della pelle e del rossetto che ha marcato i punti toccati e baciati. Nell'ottava immagine passa nuovamente dal corpo al volto, salti e cambi di prospettiva, quasi di emozioni, in questo momento il volto è inclinato, ma frontale, il busto non diretto all'obiettivo, ma leggermente spostato quasi a sottolineare l'intimità dell'atto. Mi risluta molto difficile interpretare questa immagine: determinazione direi, ma verso cosa? Se stessi? Quello che segue è un increscendo sempre ma in netto contrasto: le due metà. L'impossibilità stessa del baciarsi e del toccarsi ovunque: il fatto stesso di baciarsi la spalla protesa in avanti e il collo dietro. Il limite fisico di tutta l'azione. Gli occhi chiusi riportano all'ntimità della scena. La mano poi è inerme, sporca dalle carezze: ha sporcato ovunque. Il corpo si muove, ma il braccio è statico. Ora il passaggio è sul corpo interno che si libera di qualcosa sottolineato dalla forma ad esse sinuosa che accentua il movimento. Infine una ricaduta, ma con il mento alzato quasi di sfida e la mano a protezione, non tesa, ma che scende. L'altra invece inerme. E' una serie dai sentimenti bivalenti. Molto complessa, non immediata, facile da fraintendere per la portata emotiva.
Non credo che serva aggiugere altro alla discussione. Grazie a tutti.