sabato 25 ottobre 2008

Being able to observe - Saper osservare

A while ago I shared on these pages my doubts about the reasons that motivate us to work with photography. The question rose some discussion, and it took some time to end, amidst countless diversions with little or no pertinence. At the time I was surprised that such a trivial question (I call it trivial in its essence and not in its infinite possible answers) could cause so much interest. Thinking about the answers I received at the time, I am under the impression that at the core of the discussion lies the usual misunderstanding that leads us to get confused even in the simplest reasoning. Probably, before dealing with the problem of why we work with something, we should try and understand what that something really is. So maybe we should first ask ourselves: what do we mean when we speak about photography? Probably, to many of us photography is a corpus of technical knowledge that, in the best case scenario, allows us to express ourselves creatively. For most it is just a bunch of small prints left in a drawer (or files to archive in a DVD or a hard disk just to be forgotten) for family and friends. For others it is Art… and on this I prefer to gloss over, because the term art is misused and wrongly referred to photography, and often those who call photography art do so just to feel “artistic” themselves, in order to shine of its reflected light. Personally I believe (well aware that I am not being original) that photography is something profoundly connected to what the human being really is and his way of relating to the world outside himself. Photography cannot exist without the ability to observe the world around us. And to do so it is not enough to see and to watch: you need to think, to study and to learn to bear the weight of facing what is outside the protection of our skin. To photograph we need to expose ourselves and to learn and appreciate when others do the same. The act of shooting a photograph is linked to our everyday ethical stance. But maybe this is just the problem, in an age in which ethical differences are far less important than ethnical ones.

Un po’ di tempo fa condivisi da queste pagine alcune perplessità sulle motivazioni che ci spingono ad occuparci di fotografia. La questione suscitò una serie di discussioni che impiegarono un po’ di tempo a esaurirsi tra quasi infinite derive più o meno per nulla attinenti. A suo tempo mi stupì parecchio come una questione (nella sua essenza non nelle infinite possibili risposte) così banale potesse suscitare tanto interesse. Ripensando alle repliche ricevute a suo tempo ho come l’impressione che alla base della discussione ci sia il solito equivoco che ci porta spesso a confondere i termini di un ragionamento anche semplice. Probabilmente prima di porsi il problema delle ragioni per le quali ci occupiamo di qualcosa avremmo dovuto chiederci cosa fosse realmente la cosa di cui abbiamo deciso di occuparci. Quindi forse è il caso di domandarci innanzitutto cosa intendiamo quando parliamo di fotografia? Probabilmente per molti di noi è un insieme di cognizioni tecniche che, nei casi più illuminati, portano ad esprimersi in modo creativo. Per la maggioranza sarà solo una serie di stampine che si tengono in un cassetto (o file da archiviare e dimenticare in un DVD o in hard disc) per ricordarsi di parenti e amici. Per altri ancora sarà Arte... e su questo preferisco sorvolare a causa dell’abuso che si fa di questo termine riferito in modo improprio alla fotografia, spesso per godere di quel riflesso di artisticità che da esso scaturisce illuminando chi se ne fa sostenitore. A livello del tutto personale sono convinto, cosciente di essere tutt’altro che originale, che la fotografia non sia altro che qualcosa che inerisce profondamente le caratteristiche dell’essere umano e la sua volontà di rapportarsi con il mondo a lui esterno. La fotografia non può esistere senza la capacità di osservare il mondo che ci circonda. E per farlo non basta solamente vedere o guardare, occorre riflettere, studiare, imparare sostenere il peso dell’incontro con ciò che si trova al di fuori dello strato protettivo costituito dalla nostra epidermide. Per fotografare dobbiamo metterci in gioco, imparare a conoscere e apprezzare il mettersi in gioco altrui. Fotografare non è un gesto svincolato dalla nostra dimensione etica quotidiana. Ma forse è proprio questo il problema in un’epoca poco incline alla pulizia etica, ma facile al ricorso di quella etnica.

Sandro Iovine

n.199 - novembre 2008




Compatibilmente con i tempi redazionali, i commenti più interessanti a questo post potranno essere pubblicati all'interno della rubrica FOTOGRAFIA: PARLIAMONE! nel numero di dicembre de IL FOTOGRAFO.



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24 commenti:

Anonimo ha detto...

sono profondamente d'accordo che la fotografia inerisca all'umano... la fotografia è per me un modo di guardare il mondo. ma la nostra visione del mondo varia in base a chi noi siamo, cosa conosciamo, cosa pensiamo, cosa sentiamo... non siamo capaci di vedere qualcosa se ad esempio non siamo capaci di riconoscerla.. ci rendiamo conto delle cose solo se ne abbiamo almeno un pre-conoscenza. e il nostro sguardo cambierà ancora se di quella stessa cosa non ne abbiamo solo una pre-coscienza, ma se ne siamo addirittura coscienti...
ma in quanto sguardo sul mondo è singolare (dove per singolare non intendo esclusivamente della singola persona, ma anche di un determinata epoca o di un determinato modo di pensare)... ognuno di noi ha un suo sguardo, e oggi in un mondo multiculturale bisognerebbe imparare ad accettare lo sguardo altrui.. (senza fare la pulizia etnica di cui lei parla...) perchè accettare lo sguardo altrui legittima anche il nostro. Forse la realtà altro non è che l'insieme di tutti i nostri sguardi...forse questo è l'unico modo per salvare la varietà del reale e dell'umano...

marta

Sandro Bini ha detto...

Carissimo Sandro

Ho sempre sostenuto con i nostri studenti che la fotografia è un medium relazionale, qualcosa di intrensicamente "mondano" (inteso nel senso di apertura verso il mondo verso l'esterno e l'altro da se), occasione di crescita sociale e pesonale, condivido quindi in pieno la tua visione etica e quella della commentatrice Marta. Troppo spesso invece certa fotografia diventa specchio narcisistico dei cultori del sè per immagine o del feticismo tecnologico più malsano e fine a se stesso. Per questo noi come Associazione diamo ampio valore al carattere sociale della sua pratica, cercando di farne un mezzo e non un fine. Penso che oggi giorno la gente abbia bisogno piu che altro di aprirsi e di confrontarsi e sono convinto che in tutto questo la Fotografia, se correttamente intesa e praticata, possa essere veramente utile.

Con stima
Sandro Bini / Deaphoto

promenadeur ha detto...

"To photograph we need to expose ourselves and to learn and appreciate when others do the same." a very important an vital sentence.
What we see every day is, how easy it is to talk about all technical aspects of photography and how difficult it is to expose ourselves, both in talking about pictures as in presenting our own work in public.

Andrea il "Fuso" ha detto...

Bhe se non ci fosse l’essere umano e la sua volontà di rapportarsi con il mondo a lui esterno avrei problemi di esposizione e di messa a fuoco!

Andrea il "Fuso" ha detto...

Buonanotte a tutti

vedo cose che altri non vedono per questo che sono quì, insieme ad altri che vedono cose che altri non vedono.

Scusate ma anche questa sera ho dimenticato di prendere la pastiglia, la mia pastiglia è e sicura tiene tutti lontani...........

In ogni caso ho bisogno di raccontarmi quello che mi circonda di dargli un senso per sfuocato che sia di mettermelo sotto una luce che me lo faccia apparire più comprensibile nella sua incomprensibilità.
Ho bisogno di ridurlo ad una formula evocativa di mettere tutto dentro al sicuro in un cassaforte bidimensionale, la mia non è stata una scelta ma una necessità.
Nulla contro la tecnopornotecnoligia, nulla contro l'interpretazione fallica del teleobiettivo e la pratica onanistica del super chip o la bulimia da megapixel.

Vorrei non avere bisogno della macchina fotografica e neppure della penna o del mio strumento musicale o del pennello o della lingua o...... del mondo.

Vorrei non avere necessità delle mie pastiglie.

Danx ha detto...

Leggendo il tuo ultimo post ti dico che penso spesso cos'è per me la fotografia.
Innanzitutto quando leggo e sento dire: "fermare l'attimo" o "cogliere la bellezza" e altre frasi fatte simili, beh, un pò mi vien da vomitare...in senso simpatico ovviamente!

Sto notando che sempre più spesso fotografo ciò che può rappresentare il mio stato d'animo e cerco di far trasparire sia me stesso sia un verità piuttosto oggettiva in una stessa inquadratura. Non è detto che ci riesca e che l'abbia mai fatto ma se un tempo badavo a ciò che si vedeva ora bado ad un messaggio.

Viaggio col cervello, lascio da parte le ottiche da dover comprare, le discussioni a riguardo. Preferisco pensare ai miei obiettivi (non ottiche, eheh) che mi son preposto e ad avere ciò che ho immaginato prima di uscire da casa.
Da quando son piccolo mi guardo intorno a penso al perchè di certe cose, di com'era e come sarà. E ci vedo sentimenti. Se sono sentimenti che perdurano cerco atmosfere che possano ricondurre ad una fissità del tempo, ad una atemporalità. Come fosse un mondo a parte, che esiste solo per far riflettere. Spero di essermi spiegato!
Ma come detto prima magari non ci sono mai riuscito!!

Cari saluti,
Daniele

Gualtiero 'BigG' Tronconi ha detto...

"Imparare ad ascoltare le parole degli altri a leggere i libri e a sospendere il giudizio. Sono questi gli strumenti per conseguire la capacità di giudizio degli antichi."
Yamamoto Tsunetomo (1659 – 1721), samurai e filosofo giapponese

Anonimo ha detto...

Prima di intervenire vorrei ringraziare Marta, che ha aperto i commenti, dando un taglio così civile e riflessivo alla "discussione".
Da parte mia credo profondamente (come altri qui) che la fotografia abbia uno straordinario potere su chi la pratica. Oserei dire un potere maieutico. Ma perché questo potere si esplichi in tutta la sua sorprendente lucidità, nella mia esperienza è stato fondamentale che la fotografia fosse condivisa con altri nelle mie stesse condizioni e con qualcuno che sapesse orientare il nostro sguardo ed allenare la nostra capacità analitica. Forse, accanto all'entusiasmo che la fotografia può portare in chi la scopre, è necessario arrivi presto anche un pensiero ulteriore, una forma di analisi appunto, che cominci ad operare già nel momento in cui si pensa di fare una foto e che si concluda (senza chiudersi) con un'osservazione cosciente e non condiscendente del risultato.
Questa analisi stimola autocoscienza e l'autocoscienza dovrebbe aprire in noi, prima o poi, anche un sentimento etico. E successivamente un fare etico. Perché una fotografia è una sorta di rappresentazione del nostro sguardo sul mondo, più che del mondo in sé. Questo credo siamo costretti ad ammetterlo. Ma, essendo nella nostra incoscienza anche un tentativo di rappresentare il mondo, ci conduce ad una sorta di cortocircuito che inevitabilmente dovrebbe momentaneamente catapultarci in un confronto tra la possibilità di rispettare il mondo e quella di rappresentarlo attraverso il nostro sguardo.
È così che la fotografia può renderci capaci di vedere nuovamente il mondo... ma ci vuole molto lavoro, molta pazienza, molta disponibilità a mettersi in discussione, come tutti stiamo ammettendo in questa pagina.

Unknown ha detto...

Sono convinto che la fotografia è come un grande ed immenso foglio bianco, che attraverso ad un mezzo magnifico come la macchina fotografica ( spesso mal utilizzata), si possa disegnare modellare a proprio piacimento. Insomma è come dipingere.
La diferenza è che disegni,scrivi,dipingi con la luce e ombre e tante altre cose stupende.
Definire fotografia arte? Perchè mai non dovrebbe esserlo? Non vedo ragioni per non definirla cosi.Ed è assolutamente vero che la parola ARTE ormai l'appiccicano ovunque, senza pensare minimamente al significato.

Andrea il "Fuso" ha detto...

Cari miei ascetici blognauti
spero mi perdonerete e filtrerete sempre i miei commenti che sono frutto della massiccia dose di psicofarmaci.
Una buona ottica è meglio di un ottica mediocre una d3 è meglio di una d80 se sappiamo cosa dire.
La mamma non mi ha mai comprato una bella macchina fotografica ( forse è per questo che sono in manicomio) e ho dovuto rinunciare al Topolino prima e ai tex willer poi per mettere via le mancette e comprarmi quanto di meglio le mie tasche potevano permettersi, ho rivissuto a pieno la fase fallica quando ho potuto comprare il mio 80/200 2,8.
Amo l'attegiamento ascetic,o ma fotografare con la macchina dell' esselunga per quanto sia bhoemien (si scrive così?) ha senso se lo faccio con la consapevolezza dello strumento che uso.

Scusatemi ma questa sera mi sento bastian contrario ( ho detto che non avevo nulla contro la bulimia da megapixel, ed era vero)ed era solo un piccolo chiarimento che avevo bisogno di fare


sogni inquieti a tutti

Fulvio Bortolozzo ha detto...

Siamo alla solita questione del sesso degli angeli.
La fotografia è questo, no è quello.
Mi dispiace Sandro, ma trovo che cercare di definire una volta per tutte cosa significhi la parola "fotografia" sia un tentativo nominalistico sterile e inutile.
Mi sembra che non si possa andare oltre alla constatazione di avere per le mani uno strumento ottico, basato su un fatto fisico, che consente di ricavare delle tracce visive durevoli dalla luminosità che lo attraversa.
Il resto è storia, quotidiana e molteplice, nella quale la fotografia può essere tutto ciò che ogni uomo riesce a pensare e "fare" che sia.

Un caro saluto.

:: haku :: ha detto...

benritrovato, Fulvio :)

rinunciare alla pratica fotografica per un po' di tempo matura una bruciante nostalgia.
d'altra parte costringe ad una riflessione quasi ossessiva su cosa sia fotografia, sul perché si fotografi, sul "perché ci si occupi di fotografia".
la riflessione, rimanendo spesso particolarmente astratta, tendenzialmente non va a colpire qualcuno/cosa in particolare se non la propria stessa pratica fotografica, riducendola ulteriormente, per onestà. soprattutto se intanto (ancora una volta) "ci si occupa di fotografia" e si constata quale sia il rapporto quotidiano con la fotografia da parte di tutti: amatori, professionisti, pubblicità, persone...
non credo questo riflettere a voce più o meno alta sia un desiderio di parlare delle parole, piuttosto un desiderio di comprendere i risultati e osservare le conseguenze di una pratica straordinariamente diffusa. e, inevitabilmente, il desiderio di reperirne finalmente le motivazioni.
a me pare che la riflessione suggerita qui sia esattamente sulla storia, ma non La Storia (come non La Fotografia), bensì "la storia quotidiana e molteplice" ma singolare, del singolo uomo, non la storia astratta né generalizzata, bensì la storia di ognuno. di ognuno che scatti fotografie. proprio perché quelle "tracce visibili", nonostante tutto (nonostante la velocità del mondo, nonostante l'abbondanza delle immagini), sono davvero anche "durevoli", proprio come tu dici, Fulvio.

sandroiovine ha detto...

Fulvio è sempre un piacere ospitarti in queste pagine, anche quando mi attribuisci intenzioni che so di non aver mai avuto, come cercare di definire una volta per tutte cosa significhi la parola "fotografia", e che sono altrettanto certo di non aver espresso. Pur potendomisi universalmente riconoscere un livello di stupidità e ignoranza di considerevole levatura, mi piacerebbe che questo non fosse sovrastimato al punto da potermi attribuirmi l'intenzione di risolvere, e tanto meno dalle pagine di un blog o di una rivista questioni dibattute da quando questa benedetta fotografia esiste.
Non offro soluzioni e non intendo farlo. Suggerisco solo di fermarci, io per primo, a pensare cosa stiamo facendo e perché, con il sottinteso che il concetto sia valido per qualunque attività umana. E questa sciocca pulsione scaturisce nel mio animo dall'aver dovuto constatare, troppo spesso, come molte delle nostre azioni non siano sempre certificate e garantite dalla coscienza della loro origine e del loro significato.
È sterile e inutile tutto questo? Probabilmente sì, Fulvio, di questo convengo con te volentieri.
Non di meno ho difficoltà ad accostare questo al nominalismo, se parliamo della stessa cosa.
Aggiungerei inoltre che probabilmente è un peccato di presunzione, nemmeno di poco conto, sperare le proprie parole possano indurre un potenziale lettore a porsi qualche domanda su quello che fa. Ma purtroppo non riesco a fare a meno di cedere alla tentazione provare a suscitare qualche domanda in chi ha la bontà e pazienza di leggermi. In questo mi considero vittima e figlio della concezione propositiva del ruolo che ognuno di noi, in quanto essere umano, dovrebbe esercitare in rapporto agli altri durante il veloce transito in questo mondo.
Mi trovi poi perfettamente concorde con il tuo pensiero quando sostieni che la fotografia può essere tutto ciò che ogni uomo riesce a pensare e "fare" che sia. E noto, con piacere, anche tu non ometti il verbo pensare nella formulazione della tua idea, anche se affermarlo nel momento in cui il concetto non viene minimamente sottoposto a un processo dubitativo assomiglia all'involontario innesco di nuove discussioni sul sesso degli angeli.
A presto e un grazie sincero per il tuo contributo.

A proposito da... maledetto eterosessuale ho sempre amato l'idea che gli angeli fossero di sesso femminile... tu cosa ne pensi? :-)

Anonimo ha detto...

Sento decisamente di dovermi allineare con gli ultimi due interventi.

Fulvio, cosa intendi per nominalismo?
Perché il linguaggio in fondo è una convenzione e accordarci sul significato di cui riempiamo la nostra scelta di vocaboli è il passo primo e necessario per provare a comprenderci.
Ti riferisci al Nominalismo scolastico?
Non mi pare che Iovine abbia professato la necessità di impegnarsi nella ricerca di un ente-fotografia che esista indipendentemente dalla realtà fenomenica in cui si esplicita? Nemmeno che abbia suggerito che sia un universale e che come tale non abbia bisogno di concretizzarsi per avere statuto di realtà?

Sinceramente non mi sembra che la definizione classica di nominalismo possa adattarsi a Iovine, che non suggerisce nemmeno una definizione univoca di Fotografia, non prende alcuna posizione, ma chiede a noi che di fotografia ci occupiamo per lavoro o passione, cosa pensiamo di fare quando lo stiamo facendo?
E questa non è una domanda filosofica, nemmeno una domanda retorica, questa dovrebbe essere, a mio avviso, la cifra umana che definisce ogni azione consapevole: Perché.

Certo la domanda viene prima dei contenuti-immagini, ma il nostro fotografare non può essere declinato solo come un gesto irrazionale, no davvero, esige un pensiero, quanto meno una scelta, sia essa pure quella di relegare il pensiero in un angolo e agire di impulso... ma la domanda resta: perché esprimiamo il reale proprio con questo medium, perché lo raccontiamo con uno “strumento ottico, basato su un fatto fisico, che consente di ricavare delle tracce visive durevoli dalla luminosità che lo attraversa”.

Sono alla quarta rilettura dell’editoriale di Iovine e continuo a non trovare nessun punto in cui venga affermato che il concetto di Fotografia è più importante di ciò che ne fa ogni singolo uomo, quanto piuttosto insistentemente mi pare si chiede perché un individuo decide di occuparsi di fotografia e qual è il suo sguardo sul mondo.
Nemmeno suggerisce che esista una fotografia più fotografia di altro, quanto piuttosto se sia un momento inserito nella nostra quotidianità, se la inseriamo nel nostro vissuto etico, se è parte della nostra storia umana.

Claudia M.

Andrea il "Fuso" ha detto...

Buona sera a tutti mi sono perso qualche intervento interessante... si parlava di sesso? .....A ma di sesso degli angeli in ogni caso per rimanere in tema qui si parla un sacco di sesso ma di fare sesso non se ne parla!
In ogni caso è meglio parlare di sesso piuttosto che della legge Garfagna o di politica nazionale (meglio sarebbe fare sesso con la Garfagna per scordare la politica nazionale).
In ogni caso parliamone, parliamone, parliamone anche se poi ci si rifugia in adolescenziali pratiche onanistiche.
Buona notte e sogni.........metaforici atutti

Fulvio Bortolozzo ha detto...

Ehilà amici!
Qui potrebbe cominciare un bel "flame" vecchio stile!!

Abbiamo anche il troll "fuso" che si finge pazzo pur di sparare le sue divertenti cazzate :)

Tornando a bomba, ribadisco che non è mia intenzione occuparmi del "sesso della fotografia" (trovo davvero interessante la metafora asessuata dell'angelo per rappresentarla, che ne dite?).

Piuttosto, posso aver equivocato e se così fosse me ne scuso con Sandro, ma quando leggo: "A livello del tutto personale sono convinto, cosciente di essere tutt’altro che originale, che la fotografia non sia altro che qualcosa che inerisce profondamente le caratteristiche dell’essere umano e la sua volontà di rapportarsi con il mondo a lui esterno" penso di ritrovarmi di fronte ad un tentativo di definire "che cosa sia la fotografia". Tra l'altro, si innesta poi alla fine del post persino una connessione con il fattore più pericoloso di tutti: quello etico!

In ogni caso, il mio intervento vuole essere un appello alla sospensione (una sorta di moratoria...) di ogni tentativo di definizione, anche se strettamente personale, di che cosa sia la fotografia. Sono dell'idea che un silenzio operativo, sia decisamente più produttivo di senso che non uno scambiare parole.

Per rispondere a Claudia M.
Per nominalismo non intendo quello scolastico, ma proprio il reificare qualcosa attribuendogli un nome univoco. In altri termini: la FOTOGRAFIA, in quanto tale, semplicemente non esiste, è un'invenzione puramente discorsiva. Esistono semmai degli oggetti che chiamiamo "fotografie" ed un processo per ottenerli che chiamiamo "fotografico". Cosa essi siano nella loro essenza è talmente ambiguo da non potersi scostare di un millimetro dalla definizione tecnico-minimale che ho suggerito (uno strumento ottico, basato su un fatto fisico, che consente di ricavare delle tracce visive durevoli dalla luminosità che lo attraversa) senza correre il rischio di dare un nome solo a cose ed azioni diversissime tra di loro e senza altra relazione tra di esse che il nome unitario loro attribuito: FOTOGRAFIA.

A voi la palla, specie al "Fuso" ;)

sandroiovine ha detto...

Fulvio in tutta sincerità trovo che tu non abbia proprio nulla di cui scusarti. Mi auguro che questo sia ancora un luogo dove vige la libertà di opinione... e non sarò certo io, ne qui ne altrove, a proporti una moratoria sul silenzio operativo perché credo sia in ogni caso doveroso rispettare le tue idee in merito. A questo proposito vorrei sottolineare che mi fa estremamente piacere accogliere il tuo pensiero che mi offre spunti di confronto interessanti e profondi, che d'altronde non implicano una rinuncia a quelli che ritengo valori fondamentali del mio modo di concepire l'essere umano. Rivendicando e difendendo la tua libertà di interpretare le mie parole, contemporaneamente rivendico e difendo la mia. Per questo se ritieni che io stia cercando di definire cosa sia la fotografia, sei, ovviamente, libero di farlo, come io, un po' turbato dalla stupidità che si presuppone implicita nei miei pensieri e nelle mie azioni, spero di essere libero di continuare a pormi delle domande su ciò di cui mi occupo. Questo con tutti i rischi che, saggiamente sottolinei, relativamente al coinvolgimento della sfera etica e affrontando tutte le conseguenze del prendere una posizione che ritengo corretta, senza, spero sia ovvio, presumere aprioristicamente che sia l'unica possibile. Concludo ribadendo che sono assolutamente fiero di poterti leggere qui, pur provando per certi passaggi del tuo ragionamento un turbamento e una sensazione di pericolosità non dissimili da quelli che le tue parole suggeriscono che tu possa aver provato rispetto a quanto ho scritto.
Spero infine che l'intelligenza e la maturità di tutti non ci conducano a ulteriori spargimenti di sangue retorico in sterili guerre di trincea.

Fulvio Bortolozzo ha detto...

Grazie Sandro per la tua accoglienza sensibile e attenta, seppur giustamente ferma nel tuo pensiero.

Direi solo di sgombrare il campo dal discorso sulla stupidità implicita. Se entrambi pensassimo dell'altro in questi termini, non staremmo certo qui a digitar parole. Direi quindi di sentirci liberi di pensarla in modo differente, e persino di fraintenderci, senza che il cerino dello stupido debba restare in mano a nessuno.

Un caro saluto.

sandroiovine ha detto...

Certo che se per arrivare a una conclusione così tautologica ci abbiamo messo un paio di giorni, l'unica proposta che mi viene da fare è quella di scambiarci un paio di scatole di cerini a testa approfittando del Natale non troppo lontano... :-D
Battute a parte (uno dei miei tanti problemi è che in genere non riesco a trattenermi dal farne, generando spesso fraintendimenti che se non fossero sgradevoli sarebbero ben più esilaranti delle battute stesse), spero di incontrarti presto di persona per poterci scambiare idee, che non so perché, ma sono quasi certo scopriremo essere molto meno distanti di quanto non possa essere apparso in questo scambio di opinioni che ho molto apprezzato.

massimo schuster ha detto...

Quello che condivido di pù nell'articolo è l'idea che la parola ARTE non è ormai praticamente più utilizzabile. E infatti la usano tutti, dai ragazzotti e ragazzotte che diventano cantanti in qualche settimana, a quelli che pubblicano una poesia sulla rivista parrocchiale, a quelli che taggano un vagone della metropolitana. Marcel Duchamp diceva che "E' lo spettatore che fa l'opera (d'arte)" e a me va bene cosi. Certe volte mi dico che i soli per i quali mi sento di continuare ad usare la parola ARTISTA sono proprio quelli (Michelangelo, Leonardo, ecc.) che vivevano in tempi in cui la parola significava qualcosa di completamente diverso. Quindi, continuiamo pure a fotografare, a guardare il mondo, a restituirlo e a deformarlo: che poi qualcuno voglia definire questo o quello scatto "opera d'arte", beh, se gli fa piacere, meglio per lui.

Andrea il "Fuso" ha detto...

I l bello della pazzia che anche quando si parla di sesso degli angeli tutto ha un senso, sopratutto se si riuscisse a traslitterare la parola sesso......ma i pazzi come la fotografia non hanno bisogno di spiegarsi perchè semplicemente si manifestano,
ad altri l'arduo compito di interpretarli.
I pazzi come la fotografia non offendono nessuno e alla controparte il lavoro di sentirsi offesi .
In qualche religione "definere" qualcosa, dargli un nome vuol dire dare atto alla sua esistenza, in qualche modo compiere un azione "creatrice".
I pazzi non "sparano cazzate" semplicemente dicono la loro verità (come tutti, in fondo ognuno ha la propria), bisogna avere la pazienza come per la fotografia di leggerla.

I pazzi sanno che ci sono tanti mondi.....
abitati da pazzi

Fulvio Bortolozzo ha detto...

Su dai Andrea, non fare cosi.
Non era mia intenzione offenderti. Pensavo davvero che facessi il pazzo per gioco.

Un abbraccio.

TrecceNere ha detto...

Saper osservare è la prima fase, indispensabile. Ma la fotografia (per me ovviamente) è un saper dire. Ed è un dire sempre e comunque una BUGIA.
http://treccenere.blogspot.com/2008/11/avvertenze-solo-per-fotodipendenti.html

Paolo Del Signore ha detto...

Proprio all'inizio dei tempi i primi uomini disegnavano sulle rocce figure di animali e di uomini, diciamo l'analogo di una serie di ritratti e di paesaggi naturali. Quasi certamente l'espressione grafica ha preceduto anche la parola compiuta, ossia il linguaggio. L'immagine è prima quasi del pensiero, basta chiudere gli occhi, cercare di smettere di pensare ed anche nel silenzio delle nostre menti vedremo tenue immagini , finché il buio non prevalga. Certo, tutto è un fenomeno fisico, anche il nostro pensare, qualsiasi nostra emozione o pensiero o espressione di volontà. Maree di segnali biochimici ed elettrici ci pervadono, ma non ci sentiamo per nulla simili a mere macchine. Noi (noi esseri umani, tutti insieme) sappiamo modellare la roccia, il marmo, muoverci a trecentotrenta Km all'ora, andare sulla luna, ucciderci, amarci, consolarci, progredire, collaborare... Sappiamo fare tutto. Ma non ha senso più sapere cosa sappiamo fare, ma, come ci suggerisce Sandro, importa il perché. Se agiamo senza davvero capire, non siamo nella condizione di esprimerci liberamente, anche se crediamo di farlo. La fotografia è un qualcosa che inerisce l'animo umano in quanto la poniamo noi su questo piano, le diamo la possibilità di farci da tramite (medium) tra l'esterno e ciò che è in noi e di comunicarlo nuovamente indietro, a tutta l'umanità. Ogni mezzo espressivo (sicuramente anche la musica, ma non esistevano strumenti per registrare il suono, mentre invece esistevano rocce per disegnare) ci ha accompagnato in varie forme dagli albori dell'umanità. Il cinema, la televisione, ogni strumento contemporaneo erano già in embrione a quel tempo. Tanti sono gli esempi che mi vengono in mente (uno per tutti: l'Odissea come prima enciclopedia orale) che ci fanno capire che l'uomo aspetta sempre e solo che esista uno strumento per esprimere qualcosa che ha già dentro. Ma se questo qualcosa dentro di noi si perde? Se si contamina? Se si falsifica? Se non ha più l'energia per venire alla luce?