domenica 28 giugno 2009

20 luglio 1969



Impronte di calzature umane sono visibili in moltissime immagini scattate a partire dal 20 luglio 1969 sul suolo lunare e rese pubbliche per testimoniare che l’Uomo aveva realmente posato il proprio piede al di fuori del suo pianeta d’origine. Le impronte sono in primo piano o defilate sullo sfondo di bandiere, ritratti a figura intera degli astronauti che espongono il loro corpo alla contestualizzazione dell’ambiente, sono intorno al modulo lunare, intorno al veicolo utilizzato per il trasporto, più evidenti di quelle delle ruote stesse. Sono segni di piccoli passi di uomo, giganteschi passi per l’umanità, per mutuare la ben studiata frase di Armstrong, e ci accompagnano nell’opera di convincimento e dimostrazione, incarnano il valore probatorio dell’immagine fotografica che testimonia che davvero l’essere umano è stato sulla Luna. Non va dimenticato che l’esplorazione della Luna si è svolta in un clima di Guerra fredda. Uno scontro in cui entrambe le due Nazioni volevano dimostrare la propria superiorità al mondo. Motivo principale per cui i detrattori dell’esplorazione lunare hanno saputo o voluto riconoscere nelle immagini fotografiche le prove certe della colossale truffa intentata dalla Nasa e dal Governo degli Stati Uniti nei confronti dell’umanità. Non intendo ora entrare nel merito delle tesi dei sostenitori o dei detrattori del grande complotto. Spesso le stesse immagini possono essere lette sia a favore sia contro entrambe le tesi, senza contare che probabilmente per poter esprimere un giudizio degno di una qualche attendibilità si dovrebbe poter avere accesso ai negativi originali, cosa che indubbiamente non è appannaggio di molti per ovvi motivi. Ma più che perdersi in diatribe più o meno sterili mi sembra più interessante analizzare l’iconografia proposta. Le immagini diffuse, che ci risparmiano i numerosi scatti tecnicamente improponibili, presentano l’uomo sulla superficie lunare, le sue impronte e gli strumenti della tecnologia che hanno permesso l’impresa, oltre ovviamente all’inversione di visione dovuta che ci presenta un cielo in cui al posto della Luna compare la nostra vecchia cara Terra. Mi pare interessante a questo punto della riflessione fare un salto nell’analisi iconologica abbandonando per un attimo quella iconografica, per altro ampiamente compiuta e dibattuta tanto dai detrattori-colpevolisti quanto dai sostenitori della tesi dell’avvenuto sbarco sul Satellite. Se si giudica cioè in base alle immagini note, si ha l’impressione che la selezione operata abbia cercato di introdurre quante più certezze fosse possibile. La rappresentazione è fatta spessissimo di movimenti finiti e non in divenire o in fase iniziale. È come se il gesto volesse rafforzare attraverso l’immagine il messaggio introducendo una quasi puerile certezza sugli esiti. Non ci devono essere dubbi su cosa è successo perché non si deve poter dubitare che è accaduto. L’impronta del piede per definizione indica la contiguità tra il qualcosa che la produce e il risultato di tale contiguità sul terreno. La luce radente e dura rinforza, grazie anche agli opportuni ancoraggi massmediatici, il senso di alterità rispetto al contesto che si prova osservando l’immagine. I segni si sommano, la ridondanza impera: la forma dell’impronta, l’aspetto polveroso del suolo, le ombre dure sintomatiche di una luce per nulla diffusa dalla presenza di atmosfera. Non a caso la prima immagine della terza parte di The first Lunar Landing, ovvero la sezione in cui si parla più diffusamente dell’attività umana sul suolo lunare nel corso della missione Apollo 11, si apre proprio con la fotografia di un’impronta di astronauta, peraltro estrapolata con estrema probabilità da un fotogramma di dimensioni maggiori.


C’è poi la bandiera per antonomasia quando si parla di America: quella Stars and Stripes, il simbolo attorno al quale si riesce ad adunare una popolazione fornendole un elemento tangibile per mezzo del quale possa riconoscere una comunanza di intenti, ideali e valori. Sotto il profilo iconologico, Robert Frank ha costruito intorno a questo iridescente pezzo di stoffa l’ossatura del suo The Americans, sovvertendone i valori istituzionali e trasformandoli in un simbolo negativo della onnipresenza condizionante dello stato. Ma nell’accezione comune rimane simbolo di valori positivi. Nelle foto della prima missione lunare la bandiera è importante perché sottolinea il successo: l’uomo è arrivato sulla Luna, ma non un uomo qualsiasi è l’Americano con la sua cultura di libertà per la cui difesa la tecnologia di successo, quella che gli ha consentito di arrivare fin lì, potrebbe, trasformarsi in tecnologia di distruzione. Nel gesto compiuto del piantare la bandiera in un suolo calpestato per la prima volta dall’uomo, c’è anche l’antica memoria coloniale di presa di possesso del territorio in nome della Nazione, che in questo caso si propone non tanto la Nazione Stati Uniti d’America, quanto piuttosto come latrice dei valori dell’Umanità intera («That’s just a small step for a man, one giant leap for mankind»). Ci troviamo contemporaneamente di fronte all’antico gesto dei conquistadores e a quello emulato il 23 febbraio 1945 dai marines per l’obiettivo di Joseph Joe Rosenthal, autore della celeberrima Raising the Flag on Iwo Jima, una delle icone del secondo conflitto mondiale. Non si può poi non rimarcare il modo in cui l’iconografia classica sull’argomento sia stata ricalcata, attingendo da una parte alla letteratura di fantascienza, assai sviluppata tra gli anni Cinquanta e Sessanta, dall’altra a tradizioni ben più diffuse, come la letteratura fantastica. Basti pensare ai viaggi ipotizzati da Jules Verne o alla tradizione fumettistica.
Proprio in questi giorni ad esempio mi è capitato sotto gli occhi un vecchio albo di Tin Tin, il noto personaggio del belga Hergé intitolato
Uomini sulla Luna e pubblicato quindici anni prima dello sbarco sul Satellite. A eccezione della bandiera, gli altri elementi sono tutti presenti: le impronte, il momento della discesa sul suolo lunare, la terra vista dal satellite, il rapporto con la macchina simbolo di tecnologia che ha permesso il viaggio. Insomma l’iconografia sull’argomento non ha fatto altro che percorrere territori consolidati e certi nell’immaginario collettivo.



Territori stabilizzati in immagini da almeno settantina di anni come si verifica andando a rivedere Le Voyage dans la Lune di Maries-Georges-Jean Méliès dove ritroviamo sia pure in forma grezza (e sempre in assenza della bandiera), i soliti elementi della rappresentazione dell’arrivo su un nuovo mondo e dell’inversione di prospettiva tra Terra e Luna. Ed eravamo nel 1902, ben 67 anni prima del 20 luglio 1969.

n. 207 - luglio 2009





Dall'alto:
La
terza pagina dedicata alla prima esplorazione Lunare dal sito della Nasa.

Armstrong e Aldrin piantano la Bandiera statunitense sul suolo lunare
.

Parade, Hoboken, New jersey © Robert Frank.

Il saluto alla bandiera di Buzz Aldrin.

Raising the Flag on Iwo Jima, © Joseph Joe Rosenthal.

La visione della Terra dalla Luna in Uomini sulla Luna, © Hergé.

Le impronte dei primi esploratori in Uomini sulla Luna, © Hergé


Compatibilmente con i tempi redazionali, i commenti più interessanti a questo post potranno essere pubblicati all'interno della rubrica FOTOGRAFIA: PARLIAMONE! nel numero di agosto de IL FOTOGRAFO.



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