sabato 1 agosto 2009

Not a crime



Amongst your friends is there by any chance any professional photographer? Maybe someone working as a photo-journalist? Well, if you are that lucky you can ask him (or her) how important the campaign promoted by his albionese colleagues from the British Journal of Photography is. Most of our readers live photography as a part playful, part self-referential activity, without realizing how serious the real challenges met (every day and on many levels) by professional photographers are. Actually, in addition to the present crisis in the publishing industry and the plummeting price of photographs (due to many different factors), in countries such as the UK many factions advocate new laws, meant to increase security with regulations targeting terrorism and pedophilia or aiming at protecting people’s privacy, but that, as a matter of fact, end up penalizing photographers, be they professionals or not. According to the British Journal of Photography, during demonstrations (of a political nature or otherwise) and concerts, authorities are actually filing attending professional and amateur photographers. According to the British Journal of Photography we have reached a point when even foreign tourists are targeted, as happened in the case of an Austrian father who, with his son, has been caught by the police in the act of shooting an important strategic target: Walthamstow bus station… So it seems the authorities are creating an ever-growing database. As to it being actually useful against terrorism, though, I am not so sure. A proof that our English colleagues are not being paranoid is the fact that, among the first to join the campaign denouncing this situation, are two photographers from Magnum photography agency, Stewart Franklin and Chris Steele Perkins. But what have these two photographic sons of the perfidious Albion come up with? First of all, they started with a sound and realistic consideration: if we concede that the issue raised by British Photographers is real, there is no use in working on a petition to be brought to the attention of the British Government, as they are responsible for the filing process in the first place. So they decided to make the general public aware using the Internet. That is why the British Journal of Photography is encouraging professional and amateurs photographers all over the word to participate in creating a collection of self-portraits with the captions I am not a terrorist and Not a crime. Will this accomplish anything? Probably nothing practical. When National interest is involved, no petition or campaign has ever or will ever change the stated safety concerns or any unstated hidden agenda. I do not feel overly confident about this project, however I believe whomever thinks you should be free to take pictures should give his or her contribution to this campaign, of course provided he or she approves of its goal. Even if I do not fool myself into thinking this kind of project can actually change the situation, I believe we should try and do something, at least to make as many people as possible aware of what is happening or could happen.

This kind of concern cannot, nowadays, be restricted to your own country. The fact this is happening in the UK does not mean it does not concern us. Freedom of expression (and it does not take too deep an analysis to realize that this is what we are talking about when we worriedly observe the government trying to limit our freedom to take pictures) is a privilege we all share. If we look at the world around us it is easy to see how such ideas could grow strong anywhere. Maybe we cannot stop them, but at least we can do our part in making people aware of what is happening or could happen. When someone is trying to force a Nation into a course of action, just exposing their plan can be a powerful defense. I encourage all of you to join the British Journal of Photographys campaign by loading a self-portrait with the abovementioned caption on your Flickr account and then join the Not a Crime group and load your self-portrait there too. I already did.



Tra i vostri amici c’è per caso qualcuno che fa il fotografo professionista? Magari dedicandosi allo specifico al fotogiornalismo… Beh se avete questa fortuna potete chiedere a lui quanto sia importante la campagna che stanno promuovendo gli albionici colleghi di British Journal of Photography. La maggior parte dei nostri lettori vive la fotografia come un’attività a metà strada tra il ludico e l’autoreferenziale senza rendersi conto della gravità delle problematiche reali che i professionisti sono costretti a vari livelli ad affrontare quotidianamente. Di fatto oltre alla crisi dell’editoria, al crollo dei prezzi delle immagini dovuto a svariate concause, in paesi come il Regno Unito vengono da più parte invocati provvedimenti legislativi, che mirano a incrementare il livello di sicurezza con leggi e regolamenti anti-terrorismo piuttosto che contro la pedofilia o a difesa della privacy dei singoli, che di fatto finiscono per penalizzare i fotografi professionisti e non. Secondo quanto denuncia il British Journal of Photography, in occasione di eventi come manifestazioni, sia politiche sia di altra natura, o concerti si procederebbe a una schedatura di fatto dei fotografi presenti, professionisti e non. Secondo il British Journal of Photography si sarebbe arrivati al punto di prendere di mira perfino i turisti stranieri, come nel caso di un padre austriaco che, in compagnia del figlio, sarebbe stato sorpreso dalla polizia a fotografare un importante obiettivo strategico, ovvero la stazione dei bus di Walthamstow… In questo modo si verrebbe creando giorno dopo giorno un archivio sempre più consistente della cui utilità antiterrorismo, mi sia consentito di dubitare. A riprova che non si tratti di un atteggiamento paranoico dei colleghi inglesi il fatto che tra i primi ad aderire alla campagna di denuncia contro questa situazione ci sono due fotografi dell’Agenzia Magnum, Stewart Franklin e Chris Steele Perkins. Ma cosa si sono inventati questi fotografici figli della perfida Albione? Innanzitutto sono partiti da una sana e realistica considerazione: se si assume per vero il contenuto della denuncia dei fotografi inglesi, va da sé che sarebbe perfettamente inutile impegnarsi in una petizione da presentare al governo, essendo questo il mandante della schedatura. Per cui avrebbero deciso di operare in direzione della sensibilizzazione di massa effettuata per mezzo della rete. Per questo motivo il British Journal of Photography ha chiesto ai professionisti e agli appassionati di tutto il mondo di partecipare a una campagna finalizzata alla creazione di una sorta di archivio di immagini di autoritratto in cui compaiono le scritte I am not a terrorist e Not a crime (Non sono un terrorista e Non è un crimine). Servirà a qualcosa? Di pratico probabilmente no. Di fronte al richiamo alla ragion di stato non ci sono mai state e mai ci saranno petizioni o campagne di sorta in grado di alterare evidenti motivazioni di sicurezza o più celati interessi di altro genere. Non mi sento di essere insomma particolarmente fiducioso nei confronti di questa iniziativa, ciò non di meno ritengo sia dovere di chiunque abbia a cuore la libertà di poter fotografare, partecipare con il proprio contributo, qualora ovviamente ne condivida le finalità. Pur non illudendomi che operazioni del genere siano infatti in grado di cambiare lo stato delle cose, credo che si debba tentare di far qualcosa, come minimo per rendere il maggior numero di persone possibili coscienti di quanto accade o c’è il rischio che accada. E questo discorso al giorno d’oggi non può essere fondato su valutazioni di tipo nazionale. Non si può pensare che se accade nel Regno Unito non ci riguarda. La libertà di espressione, perché se scaviamo nemmeno troppo in profondità di questo stiamo parlando quando osserviamo con preoccupazione manovre tese a limitare l’esercizio della fotografia, è un bene di tutti. E se ci guardiamo intorno non è difficile comprendere che idee del genere potrebbero attecchire facilmente ovunque. Forse non possiamo fermarle, ma almeno possiamo contribuire a che si abbia coscienza di ciò che accade o potrebbe accadere. E ci sono poche cose in grado di deprivare un’azione di coercizione, come la coscienza della sua natura. L’invito è quindi quello a partecipare alla campagna del British Journal of Photography, caricando un autoritratto con la relativa scritta sul proprio account di Flickr, per poi iscriversi al gruppo Not a Crime) e caricare anche qui l’autoritratto. Io l’ho già fatto.





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31 commenti:

Anonimo ha detto...

1- "Come si chiama una persona che parla 3 lingue?".

2- "Trilingue!".

1- "e una che ne parla due?".

2- "Bilingue!".

1- "e uno che ne parla solo una?".

2- "inglese..."

E questo alla lunga determina anelasticità mentale, ma lo sappiamo: gli inglesi sono mucche violente che guardano il treno passare. E non è con il mio ritratto che capiscono la loro idiozia.
Ciao!
f.

Unknown ha detto...

Ciao f. nella crociata per la purificazione del mondo dal cancro inglese mi troverai sempre in prima fila, peccato non sia questo l'argomento del contendere e che a rischio non ci sia solo l'odiato Regno Unito e i suoi sgradevolmente bovini sudditi...

Unknown ha detto...

Ciao Sandro,
perdona l'anonimato, mi è scappato in jet lag.
Io questo lo considero più un brutale attacco alla libertà di tutti (gli inglesi la fanno sempre pagare molto cara) non solo dei fotogiornalisti.
Quanto alla campagna io preferisco non affermare nulla riguardo il terrorismo: quello è una roba seria, non lo ritengo adatto ad una protesta colorata.
Mi spaventa invece la deriva che ha subito la definizione di "fotogiornalista", sulla quale piuttosto cercherei un affrancamento preciso, monolinguistico.
Imbarazzante è trovare nella stessa definizione professionisti che rischiano vita e salute per istanze etiche e paparazzi che le ignorano per denaro.
Ma questa è una deriva culturale dell'intero sistema occidentale, si parla più di questa notizia:

http://www.corriere.it/politica/09_agosto_02/patrizia_daddario_escort_francesca_basso_da549f64-7f36-11de-9b97-00144f02aabc.shtml

Che di tutte le crisi dimenticate.
Alla faccia del bove.
Buona giornata.

Fabiano Avancini

sandroiovine ha detto...

Fabiano, ovviamente nessun problema per l'anonimato e ancora una volta mi trovi perfettamente concorde con le tue affermazioni, solo che non riesco a trovarle particolarmente pertinenti se riferite a questo post. Mi sembrava abbastanza chiaro che il discorso non fosse legato ai professionisti o allo specifico dei fotogiornalisti. Qui il discorso riguarda tutti noi ed relativo in ultima analisi anche alla libertà di visione di ciascuno. Come ho detto non mi illudo che un'iniziativa come quella proposta da BJP possa cambiare realmente alcun che, ma va presa per quello che è: una provocazione che se accolta potrebbe portare qualcuno che mai si era posto il problema a prenderlo in considerazione come tale assumendo quindi una posizione personale sull'argomento... e se mi guardo intorno non mi pare poco...

Claudia M. ha detto...

F. io di solito frequento il blog come lettrice, non scrivo spesso per timore che le mie parole suonino inadeguate, fuori luogo, troppo poco competenti. Aspetto che le voci di altri si alzino a commentare gli interventi di Iovine, e naturalmente abbraccio le opinioni di alcuni e da altri prendo le distanze, intanto la mia consapevolezza cresce.
Poi, per fortuna di rado, ci sono contributi come i tuoi, per i quali o riempiamo il termine INUTILE di altri significati o ne coniamo uno nuovo. Non solo inutile, ma fastidioso e sciocco, e pieno di una violenza verbale che molte mucche albioniche invidierebbero.

Ma soprattutto: Cosa c'entra, di cosa stai parlando? Ritieni sia inutile l'iniziativa, ok, spiegaci per quale motivo, senza rifilarci il tuo cieco razzismo anti-inglese. Forse davvero non hai capito che la posta in gioco è alta, altissima e niente affatto rinchiusa nel mero confine dell'isola, niente affatto risibile.Perchè non è tanto dove il problema è stato sollevato, ma che forze mette in campo: forse, anzi certamente, non hai capito che la questione inerisce la difesa di ciò che di più inviolabile esiste nella questione umana: la libertà e l'autocoscienza. E questi non sono concetti che possiamo definire e confinare come problemi di altri.

Restare a guardare quando dall'alto si decide che è lecito schedarmi, controllarmi, inseguirmi e archiviarmi perchè io scatto una foto, scrivo un testo, volgo lo sguardo verso un "obiettivo", presumendo che io abbia "cattive" intenzioni, beh vuole dire accettare di esserne complici, accettare che forse è lecito, che qualcuno ha il diritto di farlo.

Se a qualcosa può servire questa iniziativa è la possibilità di affermare con forza un No, poter dire "io so cosa stai facendo e non sono d'accordo". Iovine dice che non avrà valenza pratica, forse, ma in realtà è un atto di coscienza, di libertà, di affermazione di sè e sì, di ribellione, senza violenza e scevro di commenti inutili e vuoti per una volta... strano mentre leggevo il post mi sembrava chiaro il messaggio.

Consiglio al Direttore: per favorire l'elasticità mentale proporrei di sostituire la traduzione dell'Inglese moderno, con il greco antico, certo questo blog, rifugio di molti, perderebbe il suo respiro Europeo, ma verrebbe incontro alle esigenze di chi effettivamente non ha bisogno di alcun ritratto per manifestare la propria idiozia.

Claudia M.

Unknown ha detto...

Claudia, ti ringrazio di avermi insultato così apertamente. Esci cortesemente dall'anonimato così almeno so chi mi offende.
Mi chiedo per provocare una risposta simile che post hai letto, o se hai capito solo quanto ti interessa capire: davvero. Questo è uno dei problemi dei blog, per cui intervengo di rado.
L'ho detto apertamente: qui è in gioco la libertà personale di tutti e non solo quella professionale dei fotogiornalisti (perchè sono tirati in causa?).
Dalle torri gemelle in avanti, nel mondo occidentale, abbiamo tutti ceduto la privacy per la sicurezza (in parte a ragione e con benefici), siamo disposti ad accettare tutto in nome della "lotta al terrorismo". Ma credo, e non sono il solo, sia una parola ormai abusata. Io non sdogano quindi un termine così aberrante, per qualsiasi cultura, in nome di una (finta) democrazia mediatica (credi basti dire il tuo no in un blog?).
Non scrivo sotto la mia faccia "terrorista", per nessuna protesta, per rispetto alle vittime e per rispetto alla verità (occhio: un terrorista è un "assassino", e c'è l'anniversario di Bologna in questi giorni).
Se vuoi puoi approfondire con diverse letture, parti da qui:
http://www.ibs.it/code/9788845919541/hillman-james/terribile-amore-per-la.html

Ti ringrazio per le perle di disprezzo.
Cordialmente, l'idiota.
f.
P.s. Non c'entra nulla il mio post se non colleghi lo slittamento dell'attenzione mediatica in pochi elementi giornalistici legati come sempre a eros e thanatos (greco?) leggendoli come, comunque, strumenti di controllo. La libertà è molto più a rischio di quanto credi e non basta dire un no ogni tanto in un blog o dare dell'idiota a gratis a gente che non conosci. No, non basta.

Gualtiero 'BigG' Tronconi ha detto...

Mi fa piacere, dopo tanto vagare nella rete tornare ogni tanto nei luoghi della mia origine (qualcuno direbbe tornare sul luogo del delitto) e trovare come sempre qualcuno che evidentemente non sa leggere ma crede di saper scrivere... Sandro, certo che tu li attiri come il miele e ti faccio il solito generosissimo applauso per l'autocontrollo dimostrato (stavo per scriverlo all'inglese ma non volevo attirare gli strali di qualche "lettore").
Comunque mi permetto, se Sandro sarà d'accordo se no è autorizzato a bannarmi senza pietà, a far notare che di luoghi di inutilità, banalità, micragnosità, razzismo, qualunquismo, e altri "ismi" che ora non mi vengono ce ne siano già a bizzeffe, forse sarebbe carino che chi, come dicevamo prima, non sa leggere prendesse ripetizioni durante l'estate (come si faceva con gli esami a settembre) e con il fresco autunnale tornasse... sempre che abbia qualcosa di intelligente da dire se no... beh... faremo a meno...

Con immutata stima

BigG

PS: se fossi in te F. continuerei con l'anonimato, sai mai che l'M6 ti mandi 007...
PPS: informati meglio, la battuta che citi riguarda gli americani...

sandroiovine ha detto...

Presumo che tutti noi dovremmo essere abbastanza grandi da renderci conto che ogni nostra azione comporta una reazione. Che Fabiano si risenta per un intervento che elargisce a suo detrimento perle di disprezzo è legittimo e giusto. Ma invito a meditare che qualcun altro potrebbe risentirsi e reagire in conseguenza per l’altrettanto munifica diffusione di perle di disprezzo espresse in modo indiscriminato e senza possibilità di appello nei confronti dei sudditi di sua maestà britannica… Anche se a livello strettamente personale reputo che non esistano termini sufficientemente ingiuriosi per avvicinarsi, sia pur vagamente, alla definizione delle qualità intrinseche che mediamente definiscono suddetti sudditi (mi si perdoni la terrificante allitterazione).
Detto questo credo che, al di là del fatto che sia la nostra professione o meno, quando decidiamo di scrivere qualcosa pubblicamente dobbiamo cercare di renderla comprensibile a tutti e non solo a noi stessi. Francamente, Fabiano, i tuoi primi due interventi anche a me sono risultati poco comprensibili e scarsamente attinenti e solo alla luce del terzo credo di aver compreso lo sviluppo del tuo pensiero. Come già detto più di una volta sono convinto che non sia un'iniziativa del genere a cambiare le cose. Concordo anche sul fatto che non basti dire no su un blog o da qualche altra parte per cambiare le cose. Ritengo però doveroso cercare di fare qualcosa perché il maggior numero di persone possibile si renda conto a un livello molto più ampio di quali siano i rischi alla libertà di espressione che stiamo correndo. Non credo che nascondendo la testa sotto la sabbia si migliorino infatti le cose, nemmeno credo che la cosa si possa liquidare con qualche battuta. Rispetto la tua posizione e sono sinceramente felice che tu possa esprimerla, ma consentimi di nutrire qualche dubbio circa il fatto che non utilizzare la parola terrorista significhi davvero nutrire reale rispetto nei confronti di chi vittima del terrorismo lo è stata davvero. Mi sembra evidente che il valore deliberatamente provocatorio sia implicito proprio nel mettere sullo stesso piano chi fa una fotografia e chi mina le radici di una condizione di democrazia ricorrendo anche all’omicidio su scala più o meno estesa. Per concludere ti ringrazio a nome di tutti per la segnalazione di Un terribile amore per la guerra di James Hillman che non mancherò di leggere.

Claudia M. ha detto...

Quasi mi spiace che tu te la sia presa tanto, per il termine idiota ti rimando all'ultima frase del tuo primo intervendo, a cui mi sono direttamente ispirata, che ho letto con attenzione e il cui senso e astio ancora non capisco, ho scritto la mia risposta prima di leggere il secondo intervento.

Magari l'idiota sono io, anzi certamente, dal momento che non sono riuscita a spiegare quanto sia consapevole che la differenza non venga dall'intervento in un blog, ma non riposa qui la mia pretesa, non è quello che dico, forse se parlassimo in inglese ci comprenderemmo meglio.

Io dico solo che è ancora e nonostante tutto importante schierarsi, che proprio perchè la nostra libertà non solo è a rischio, ma è quasi già perduta che ogni gesto, ogni provocazione, ogni urlo fuori dal coro è una voce che dice che non ci siamo ancora arresi.
Certo puoi dire che alla fine anche questo è funzionale al sistema, illuderci solo di avere la parola, tenerci buoni e farci marciare ai loro ritmi, forse, ma trovo anche questo un percorso pericoloso e preferisco la retorica del prevedibile all'immobilismo del "tanto non cambia niente".

E ancora nè io, nè credo Iovine, nè chi ha aderito all'iniziativa ignora cosa e chi sia un terrorista, sì termine che fa paura, che facilmente richiama orrori che rendono giustificabile ogni repressione, e proprio questo è il punto, non sono i promotori dell'iniziativa ad abusarne, ma chi cavalca l'incubo di questo inizio secolo per controllare la nostra capacità di espressione, chi fa leva sulle nostre paure affinchè barattiamo la nostra sicurezza per la libertà.
Chi ci convince che una camionetta dell'esercito sotto casa terrà lontano il male.

Grazie per il consiglio di lettura, ne farò tesoro e scusa, davvero, la violenza dell'attacco, hai ragione sono stata troppo veemente e offensiva in modo ingiustificato.(Iovine è autorizzato, mmh... invitato a rimuoverlo se crede opportuno).
Insomma mi scuso "per le perle di disprezzo" inutili certo, tanto più che continuo a pensare che il tuo primo intervento avesse già raggiunto da solo l'obiettivo.

Unknown ha detto...

Ciao Sandro,
chiedo scusa per la presunzione con cui ho iniziato tutto il discorso: è una battuta che faccio spesso ad amici o colleghi inglesi (assieme a "the frog with the large mouth":).
Purtroppo spiace sentirsi dare del razzista, idiota, da scranni anonimi (purtroppo credo legittimi codardia, non sono abituato e per questo mi ero scusato) con interventi poco costruttivi e retorici, ad attaccare la persona e non l'idea.
Ma giustamente hai detto che siamo adulti e allora andiamo avanti nel ragionamento. Quel libro di Hillman è molto interessante lo lessi in inglese (si, lo studio e lo parlo da quando ho 12 anni) nel 2006 e avverte di come si sottovaluti la profondità di rimozione inconscia provocata dall'abuso di certi termini (pnl). Hillman ne parla per la guerra ma il parallelo è presto fatto con il terrore. Assimilare il terrorismo ad una attività che possiamo fare seduti dal nostro computer, per difendere un nostro diritto, "distrae" da quella che è una realtà molto più cruda ed efferata. E nella rappresentazione giornalistica del reale (la verità lasciamola ad altri) si arrivano a perdere i termini linguistici appropriati ed efficaci per tradurre l'esperienza diretta.
Comunque tutte le iniziative per la difesa della libertà sono apprezzabili, conoscendone i costi.
Buona serata.
f.

sandroiovine ha detto...

Mi riservo, come anticipato di leggere, il libro che segnali. Sicuramente l'abuso di un termine finisce deprivarlo di significato, ma credo che purtroppo, per quanto tu possa avere ragione, la lettura della situazione richieda un approccio di maggiore stratificazione. Se infatti il rischio che tratteggi è ben più che concreto, temo che si debba anche fare i conti con una massa disabituata, non certo per caso, al ragionamento e all'uso corretto della lingua. Il che pur non giustificandola può spiegare la scelta di ricorrere a operazioni demagogiche che, con tutti i rischi del caso, possono stimolare l'insorgere di qualche dubbio o riflessione nella mente delle persone. Se posso esprimere un parere personale, l'impiego strumentale dello spauracchio terrorismo non è altro che uno dei tanti mezzi di coinvolgimento al potere delle masse. Un meccanismo che affonda in una tradizione millenaria ampiamente consolidata: creare un nemico esterno per compattare una popolazione contro un nemico comune. Storia vecchia, che continua a funzionare sempre e consente a chi detiene di potere di farne l'utilizzo che più ritiene opportuno. Del resto non occorre nemmeno andare troppo lontano nella storia, anche di questo Paese per ritrovare le tracce evidenti dell'applicazione di questo tipo di metodologie. Credo, o forse voglio credere in un eccesso di idealismo, che l'unico modo per difendersi sia la conoscenza che passa ad esempio attraverso la condivisione del testo che ci hai suggerito e forse anche attraverso questa discussione distanza, nonostante i discutibili cedimenti di stile che l'hanno caratterizzata nella fase iniziale.

Unknown ha detto...

Ciao Sandro, purtroppo quel libro va oltre: l'effetto non si limita alla cauterizzazione del senso e del termine ma anche all'accettazione dell'atteggiamento psicologico derivante. Con la "guerra alla forfora" legittimiamo l'opzione guerra (ovvio che semplifico, è molto più complesso).
Concordo sull'unico modo di agire legale che ci è concesso per rispondere a questo tipo di demagogia (per passato recente: intendi giorni, vero?). L'intelligenza condivisa e la creazione di coscienza critica deve passare attraverso la responsabilità per quello che afferma, attraverso il nome. Io mi sono preso dell'idiota (ed è un privilegio di pochi) da persone anonime quando sono stato "smargiasso" (altro che caduta di stile!:) con gli inglesi. Nella realtà li rispetto ma sono anche più cafone nel ricordare loro che, per loro fortuna, sono stati romanizzati.
A proposito di condivisione d'intelligenza, qui puoi trovare citati altri testi interessanti, se condividi il ragionamento sui bisogni sostenibili.

http://www.labo.it/zero/etica/dobro.html

Ciao e grazie, buona serata.

f.

P.s. Claudia perdonami se sono esploso diretto, ma non ho mai subito un attacco simile per una barzelletta, sugli inglesi poi! (scherzo ancora, era carina dai!)
P.p.s. Big G: gli 007 hanno messo le mani sulla Leica M6? Mi tocca cambiare macchina o si chiamano ancora Mi6? Quando esce l'M9?

barbara ha detto...

Leggendo l’articolo mi viene da riflettere sul rapporto che le persone intrattengono con la fotografia: da una parte qualcosa di cui ci si sente l’esigenza di farsi fare, per un motivo o per l’altro, più o meno edificante o nostalgico; dall’altra la paura pompata e propagandata dai sistemi di comunicazione attuali, ovvero: “mi chiedo con abbastanza preoccupazione della fine che faranno le foto che quel tipo lì mi ha scattato? Mi ritroverò, come minimo, su Internet scontornato dal mio contesto, in situazioni lesive la mia identità?”. In pratica si dà molta importanza all’immagine che ci rappresenta come se tutto il nostro io ruotasse attorno a quell’immagine stessa, dimenticandoci che, a meno che non sia volutamente un ritratto, la fotografia rappresenta solo un momento di noi, il genere umano è in costante mutamento ed evoluzione e il numero crescente di immagini scattate ne annulla l’identità (quindi alla fine un’immagine è solo un’immagine); inoltre la probabilità di ritrovarsi su Internet è in realtà più scarsa di quello che si può pensare.
La commercializzazione delle macchine digitali alla portata di tutti ha rovinato la coscienza umana di cosa sia la fotografia: scendendo sul terra-terra, al livello fotografico più commerciale, quello per il vasto pubblico, le persone si rivolgono sempre meno a specialisti del settore convinti che con la loro super-compatta faranno miracoli, senza minimante essere a conoscenza di come si fa un’immagine, e/o convinti che tanto per fare un’immagine banale come una foto di famiglia non sia necessario “pensare”, men che meno sia necessario chiamare un professionista. Anzi, la figura del “professionista” in materia d’immagine fotografica nemmeno la si concepisce più, quindi qualsiasi fotografo può essere un attentatore terrorista alla nostra persona: “cosa vuole quell’uomo con quella macchina fotografica da me? Perché devo rientrare nel suo obiettivo? Sicuramente è un pervertito che scontornerà il mio viso e lo appiccicherà sul corpo di una donna indecente da pubblicare su Internet!”. AAARGH!
(e questo è solo l'inizio ...)

barbara ha detto...

scusate, credo ci sia stato un errore: mi chiamo barbara, non "schizogene" ... il commento di cui sopra l'ho pubblicato io.

Stormy ha detto...

trovo che sia giusto manifestare il proprio dissenso, anche con queste (seppur inutili) iniziative.
E vorrei ricordare che in Italia non è che siamo messi tanto meglio, provate a fotografare in aeroporto, o peggio nei pressi della villa di Arcore, o addirittura a fotografare bambini che giocano al parco...

Unknown ha detto...

La questione come alcuni dicono é seria, al di la degli inglesi. D'accordo sul manifestare un dissenso, ma la modalità mi lascia un pò perplesso. Mi piacerebbe vedere qualche proposta collettiva, che so andare in trecento a fotografare un luogo particolare...o cose del genere, allora li si che uno slogan del tipo non siamo terroristi ci sta anche. Almeno per me.
E poi c'è l'uso della fotografia per affermare una verità. Curiosa questa cosa, ormai si sa la fotografia non dice la "verità", quando va bene é credibile perchè in grado di produrre effetti di realtà (scomodando ma solo un pochino Bordieu e la semiotica contemporana) e qui la proposta é quella di usare un mezzo facilmente falsificabile come la fotografia per dire chi sono o chi non sono, con l'artificio dell'istantanea "criminale". Curiosa faccenda, e mi sembra che Iovine sia sensibile a certe tematiche.
a risentirci
marco

Unknown ha detto...

Noto da più parti che la fiducia in quanto la fotografia riprende, la verità fattuale, è venuta meno.
E' un bene: finalmente molti si accorgeranno che ci sono dei testimoni oculari professionisti e che non è solo la foto ad avere valenza, ma il fotografo e il motivo per cui ha scattato la foto. E ritorniamo a bomba alla responsabilità personale: al nome.
L'anonimato è comodo, per chi vuole manipolare la realtà o darne le sue interpretazioni. Per chi si pone come obiettivo etico la franchezza d'interpretazione nella testimonianza: poco cambia essere schedati.
Anzi, che mi schedino pure e buon lavoro.
Ma che mi schedino come fotografo, non come terrorista: ben inteso.
Poi che il livello di paranoia di personaggi (mogli su facebook incluse) che tengono il lavoro coi denti (e l'anima, come direbbero in alcuni film) li porti a promulgare leggi o applicazioni di norme deliranti, questo si è sempre visto e Italia docet da qualche secolo.
La protesta potrebbe essere spedire all'Mi6 e a HSM un sacco di cartoline (tanto si trovano) raffiguranti i palazzi che vorrebbero proteggere (come se un terrorista professionista avesse bisogno della foto col bobby!).
Comunque: chiediamoci perchè certi fotografi sono "autori" e non utenti improvvisati. Se io affermo di aver scattato una foto in un luogo, di un soggetto: sono disposto a difendere legalmente la mia affermazione, e ho testimonianze, prove documentali e fattuali. Non è la verità, è una realtà vissuta e trasmessa, con le ovvie interpretazioni possibili. La verità è un prodotto di più fattori.
L'intelligenza condivisa, con responsabilità personale, anche per evitare "l'appropriazione" che tanto va di moda nell'arte contemporanea, è uno strumento utile per raggiungere la costruzione di una verità, possibile e non solo plausibile.
La pluralità delle fonti è necessaria quanto la loro identità.
Quanto al problema del post: facciamo un acquisto collettivo di cartoline di obiettivi strategici? A chi le spediamo? God save the Queen, and the Rolling Stones.
Ciao!
f.
P.s. In Italia non si possono fotografare le stazioni ferroviarie per una legge antiterrorismo del 1977. Nel 2 agosto 1980 hanno fatto una strage a Bologna. Sveglia.

Unknown ha detto...

Onestamente, la questione della documentazione "fattuale" apre files forse un pò OT rispetto al tema. ma forse anche no. Allo stesso tempo non riesco a capire bene cosa stai dicendo. Mi pare però strano cercare una verità nella testimonianza di altre prove o di altre testimonianze, tutte d'altra parte costruite atraverso linguaggi. Come dire, "io ti dico che li c'ero e ho fatto quella foto" ma te lo dico io e devo essere io ad essere credibile per essere creduto. Perchè se ti limiti a quello che viene detto, auguri. Ogni linguaggio é un operazione di costruzione del senso e dunque...
Vi segnalo anche quetso link, inetressante su questi temi http://www.fotoinfo.net/articoli/detail.php?ID=814. Se volete si va avanti a discuterne.
marco

Fulvio Bortolozzo ha detto...

Divertente la deriva che sta prendendo questa discussione. Si torna inevitabilmente a parlare di verità e a dire che la fotografia è falsa, perché è un linguaggio, perché lo dice la semiologia, ecc. ecc.
Verrebbe da domandarsi cosa aspettino le autorità di polizia a diffondere la buona novella presso i loro agenti, magari con un bel corso obbligatorio di semiotica e arte contemporanea. Potremmo così finalmente fotografare in santa pace gli obiettivi strategici, esattamente come già ora possiamo passare nei loro pressi pensando a ciò che vogliamo senza che nessuno ci chieda conto di tali pensieri.
Evidentemente, con santa pace dei brillanti studenti d'arte e dei loro professori, un qualche straccio di utilità, e quindi pericolosità, una fotografia deve pur averla se praticarla rischia di essere assimilato ad un atto di terrorismo.
Scendendo giù dall'empireo della filosofia della percezione e tornando lì, nella strada, dove tanta eccellente fotografia d'autore è stata fatta, bisogna avere il coraggio, tutto conservatore e tradizionalista, di dirci che la fotografia consente di acquisire, e diffondere, informazioni visive ricavate dal passaggio della luce attraverso un sistema ottico e conservate su un supporto durevole. Oggi come nel 1839. Queste informazioni sono ancora dannatamente UTILI a chi se ne serva per qualche scopo preciso perché rispecchiano in modo ampiamente verosimile quanto avrebbe potuto essere osservato ad occhio nudo da una persona messa nella stessa situazione della fotocamera. Ovviamente questo accade se si rispettano delle procedure specifiche. Quindi un gruppo terroristico, così come un medico (raggi X, ecografie, TAC, ecc.), un astronomo, un militare e persino un artista contemporaneo, continuano ad ottenere da una fotografia dati visivi affidabili e utilissimi per le loro attività di conoscenza.
Ecco di cosa vanno a caccia le polizie inglesi e internazionali. Ed ecco perché fa tanto comodo ai poteri forti che la gente smetta di fotografare ciò che vede e si metta a giocare con Second Life o a fare fotorealismo con photoshop seguendo gli insegnamenti dei guru filosofici, che un mio antico amico tedesco con la barba avrebbe definito "borghesi".
La fotografia è davvero un crimine, ma lo è contro l'ignoranza sociale in cui fa tanto comodo che oggi tutti si sia sempre più immersi. La sua sempre maggiore criminalizzazione, accompagnata di pari passo dalle filosofie "negazioniste" dei soloni contemporanei, hanno l'unico scopo di ACCECARE definitivamente l'homus photographicus e consegnarlo così definitivamente all'industria del consenso mediatico globalizzato.
Su questo punto politico e sociale fortissimo meriterebbe davvero fare una mobilitazione delle coscienze (altra parolina desueta rimastami in testa dai discorsi che faceva nonno Karl...).
"Donne e uomini fotografanti di tutto il mondo: unitevi!!" ;-)

Unknown ha detto...

SI Marco (ci conosciamo?), è OT infatti ho chiuso l'intervento proponendo una serie di cartoline (con scritto "Bingo!!"?). Mi accredito come giornalista ma non come terrorista.
Se vogliamo andare avanti a discuterne chiediamo permesso o ci troviamo ma comunque: si, è corretto quanto dici. Partendo dalla credibilità dell'autore si afferma, assieme alle strutture presenti, i testimoni ed eventuali vari legali, che quella foto non è manipolata ed è aderente alla realtà. Poi come dicevamo la verità esiste nella sua rappresentazione ma, per capirsi: credo di più a un Nachtway che a un Corona.
Comunque, bello il pezzo della Nardini:
http://www.fotoinfo.net/articoli/detail.php?ID=217
Buona serata.
f.

Unknown ha detto...

Ciao Fulvio, credo che il titolo del blog sia quanto mai importante per capire la necessità epocale, di tutti, di uscire dal ristretto ambiente mediatico visivo.
E' perfetto quanto dice Sandro con "fotografia: parliamone!".

Unknown ha detto...

Mi permetto - dato che sono l'unico ad aver parlato di semiotica e dunque mi sento tirato in ballo - di informare Fulvio che l'uso della semiotica non riguarda solo i brillanti studenti e i loro professori, o l'arte contemporanea. Riguarda, guarda un po, diversa gente che la usa nel suo lavoro e riguarda anche chi usa la fotografia (in entrambi i casi il sottoscritto) e che hanno voglia di capire cosa stanno facendo. E che toccano quotidianamente con mano la realtà, ormai da diversi anni, tanti, con il lavoro e con la fotografia. Purtroppo siamo di fronte semplicemente alla consunta categorie del tipo "di qui chi capisce veramente la realtà di la i cervelloni che studiano". E vabbè. Aggiungerei che parlare di alcune cose non é deriva. Iovine ha postato una sua immagine con scritto che non é un terrorista, spiegandoci che quell'immagine é la forma di protesta consigliata nella situazione che raccontato. Ho provato a sottolineare come l'uso dell'immagine per attestare la verità ha, quantomeno, qualcosa che scricchiola, aggingndo che se si vuole si può approfondire. Questione questa che lo stesso Iovine ha in altre occasioni sottolineato e che anima il dibattito sulla fotografia. La prossima volta posto una mia foto con scritto sopra terrorista. Vale quanto quella di Iovine.
E spero che a questo punto si capisca che sto cercando di ragionare sul senso comunicativo di questo tipo di foto, anzi dell'uso di un dispostivo comunicativo come quello della foto criminale, senza per questo mettere in discussione la validità della proposta/contestazione. Se non lo si capisce é perchè non lo si vuole capire, ma si preferisce fare la manfrina ideologica su questo e quell'altro, scomodando anche il nonno Marx (e lasciatelo in pace che già per decenni in troppi l'hanno tirato per la giacchetta da una parte e dall'altra).
Provo ancora a dire queste cose perchè credo che in un dibattito sarebbe più interssante chiedere invece di continuare ad affermare, oppure affermare e provare a spiegare. Poi ognuno faccia come crede.
Fabiano, se sei quello che gestisce uno dei blog più interessanti del momento, si ci conosciamo, sempre per web (ovviamente non si saprà se ho detto la verità sul tuo blog..).
Alla prossima,
marco

Unknown ha detto...

Caro Marco,
io non gestisco blog, se ti riferisci a fotoinfo ne ho fatto parte e ne faccio parte, come professionista, e negli anni ho scritto cose che mi dicono studiate.
La professione dal campo impone scelte e atteggiamenti che spesso non sono comprensibili ma, oggettivamente, che un foto amatore in vacanza (e mi viene in mente mio padre, 75 enne colla Contax rts1) sia assimilabile per risultato a schiere di professionisti mi viene la pelle d'oca (accappona la pelle, ndr). Non è vero: mio padre non ha idea di cosa voglia dire un press-pass e neppure di cosa voglia dire il permesso di fotografare con un ak47 puntato al femore.
E' un'emotività diversa. Un gioco diverso, è un maledetto campo di gioco diverso.
Se un bobby mi chiede il passaporto gli cito a memoria il numero and that's it: una scampagnata.
Per il fotogiornalista poco cambia, tra embedded and cover up il lavoro è diventato di ufficio stampa. L'artista che crede di trovare un'immagine particolarmente pregnante, indice della sua arte
(ma che c'avevi da dì?), facendo un ritratto della morosa davanti ad una stazione di bobby, o a un target terroristico: è uno scoppiato, e che non venga a rompere le balle a chi lavora. Scusate la franchezza ma ci sono diritti reali da difendere senza distrazioni demagogiche.
L'informazione prima di tutto, il diritto di difenderla per averla veritiera: secondo, il diritto alla pluiralità delle fonti. Il diritto di parola.
Io non mi dichiaro terrorista, uso una sintassi diversa. Che il bobby mi schedi come fotografo, che poi ci pensiamo. Io non sono terrorista, neppure per scherzo. Perdonate franchezza e fermezza.
Buona serata.
f.

Fulvio Bortolozzo ha detto...

Ciao Fabiano,
come dicevo altrove a Sandro, trovo che la cosa più interessante del suo blog sia proprio che consente di dialogare a persone altrimenti distanti per formazione ed esperienza. Devo anche dire che non trovo importante il fatto che si possa finire per non capirsi l'un l'altro o andare "alla deriva" (che per me non è per niente una brutta cosa, ma anzi la forma più alta di navigazione verso la conoscenza) rispetto al tema in discussione.
Mantenere un contatto, interloquire, è per me una cosa comunque e sempre positiva. Ti ringrazio quindi del tuo contributo, su cui sto meditando, portato dall'interno di una professione sempre più aggredita da vari fronti.

Fulvio Bortolozzo ha detto...

Eccomi qui Marco,
per capire, ovviamente con l'unica testa che mi ritrovo :-)

Sollecitato dal tuo intervento che mi è parso leggermente piccato (posso dirlo senza alzare il tono polemico del nostro dialogo?), sono andato a rileggermi tutto il thread.

Per quel che ne ricavo, mi pare che Sandro abbia invitato ad aderire ad un'iniziativa che pone una questione di libertà civile: la libertà di praticare la fotografia senza che questa attività debba essere sottoposta ad una qualche forma di schedatura governativa con la scusa dell'antiterrorismo, quasi fosse una pratica criminale o criminogena.

Su questo tronco, è poi subito nato il ramo di Fabiano che da un ironico germoglio antianglosassone (che poteva in effetti essere inizialmente scambiato per un atteggiamento di stampo razzistico di ascendenza fascista, sul genere: "la perfida Albione") ha poi sviluppato una sua posizione che riassumerei in una presa di distanza netta dall'uso di ogni riferimento alla parola "terrorismo" per iniziative come quella descritta e nella sua non così eccessiva preoccupazione professionale per una schedatura in quanto fotografo.

In seguito tu hai allargato la questione ponendo l'interrogativo sul senso concettuale di usare uno stile "schedatura poliziesca" per l'immagine adottata da Sandro nell'aderire all'iniziativa. Con il corollario seguente di ragionamenti sulla verità in fotografia, ecc. ecc.

Per mia parte, ho voluto rimarcare che le questioni intellettualmente più sottili, ben lungi dal non avre senso, distraggono però l'attenzione da un aspetto che ritengo più pertinente e fondante: il diritto alla pluralità della pratica fotografica come forma di "coscienza collettiva" autoprodotta dai singoli.

In altri termini, poco m'importa se questa pratica è destituita di ogni "veridicità intrinseca", come fino a qualche anno fa veniva creduto dai più. M'importa invece che ogni persona possa fare nel suo privato l'esperienza del fotografare senza che nessuno glielo impedisca, con scuse varie, perché la ritengo un'ottima forma diretta di educazione alla visione.

Detto diversamente: se fotografo, ho l'opportunità di capire direttamente come funziona una fotografia e quindi posso anche imparare più facilmente a guardare con occhio più critico le fotografie pubblicate sui media.

Un saluto da mio nonno, che, volente o nolente, è anche il tuo :-)

Unknown ha detto...

Fulvio, la deriva è l'unico modo di trovare qualcosa senza cercarlo.
Quanto dici sull'atto della fotografia è vero, l'anno scorso se non sbaglio hanno venduto 2,5mni di macchine digitali e la gente ora comincia a capire cosa c'è dietro una fotografia. Ed è un bene.
Pian piano la coscienza si sposterà anche sull'uso che se ne fa, e allora cominceranno dibattiti anche divertenti. Aspettiamo. Non vedo attacchi alla professione, anzi.
Tornando alla libertà di fotografare la ritengo un bene, vero, e io tendenzialmente mi dichiaro.
E se fotografo persone non rubo loro l'anima.
In certi paesi se scatti una foto si arrabbiano e hanno ragione, e non perchè siano arretrati.
Se vieni a farmi la foto e te ne vai: mi rubi l'anima. Se vieni, fai la foto e quattro chiacchiere con me: mi lasci una parte di te. E spesso basta un sorriso per raccontare una cultura millenaria.
Non mi hai rubato nulla, c'è uno scambio.
Questo elemento socializzante intrinseco nella fotografia è importante e spero si diffonda.
Se il bobby mi ferma: ci faccio la foto insieme.
Fotografia: parliamone!
Ciao!
f.
P.s. E come diceva Napoleone:-"fuoco agli inglesi!"
Scusate se sono guascone e smargiasso! :P

Unknown ha detto...

Direi che così ci si capisce un po di più. Detto questo trovo che la questione che ho posto la trovo altrettanto fondante, soprattutto per il contesto nel quale viene postata: un sito di fotografia, che talvolta si pone domande che hanno a che fare con questo aspetto. Lo dico anche a partire dall'esperienza personale di gestione di laboratori sulla fotografia centrati proprio sulla visione, sulla dimensione di una ricerca personale (ma anche politica nel senso più sano del termine) del rapporto con il mondo.
Poi mi troverete sempre d'accordo sulla libertà di fotografare, ecc, ecc. Sebbene allo stesso tempo dovremmo anche partire dal fatto che fotografare, come ogni azione umana ha dei confini, costruisce relazioni le quali si fondono su meccanismi di potere, ecc, ecc. Insomma il fotografare non é un azione in assoluto priva di doveri. Il caso trattato da Iovine pone questioni su un piano rispetto al quale é difficile non essere d'accordo. Sottoscrivo l'intento dell'associazione che ha iniziato la protesta (sebbene come ho provato a spiegare mi lascia perplesso il modo), ma la stessa libertà invocata per quelle situazioni descritte trova vincoli diversi in altre situazioni. E il diritto a fotografare va conquistato, condiviso, negoziato. Ho due progetti gia iniziati e verso la conclusione, uno in carcere e l'altro con un caro amico disabile. Un carcerato (di lungo corso), durante la presentazione del progetto mi si é avvicinato e mi ha fatto capire a chiare lettere che appartenevo ad una categoria di falsi e stronzi, che non avevano nemmeno la gentilezza di fargli vedere le foto fatte. Veniva da quella esperienza; fotografi che entravano nel suo mondo e poi se ne andavano, con le fotografie e lui restava con la sua solitudine, nemmeno un immagine come testimonianza di quell'esperienza. Dove sta in questo caso il diritto a fotografare? e possiamo fare diversi altri esempi. (nel caso citato é finita bene). Scusate la tiritera ma il tema del diritto a fotografare a me, oltre al giusto diritto di esprimersi attraverso la propria visione, mi riporta più ai limiti, ai vincoli di questo diritto.
Prendetelo come un contributo che guarda ad una altra faccia della questione.
alla prossima
marco

Rosa Maria ha detto...

Ciao. Quella che porto qui è una testimonianza indiretta, che apre risvolti piuttosto inquietanti.

Visto il dipanarsi dei commenti a questo articolo e l'affermazione di Sandro circa la difficoltà che incontri "anche solo a far capire di cosa stiamo realmente parlando", qualche giorno fa mi sono presa la briga di tentare una piccola indagine personale riguardo a come viene appunto percepita la questione in un ambito internazionale.

Per farlo non ho trovato di meglio che propagandare la campagna della testata inglese su Flickr, aprendo una discussione all'interno di un gruppo molto eterogeneo quanto ad aree geografiche di provenienza dei componenti, frequentato da gente che mi è solitamente parsa piuttosto aperta, e di solito propensa agli scambi d'opinione.
Il risultato è stato un mezzo fallimento, ma con dei risvolti - come dicevo - per me inattesi.

Accennerò soltanto - per quanto sarebbe cosa degna di riflessione - al fatto che ci sono state solo quattro reazioni alla mia segnalazione. Tutte da parte di persone, incidentalmente di sesso femminile, con le quali ho scambi amichevoli al di là del gruppo; cosa che magari fa anche pensare ad un atto di cortesia nei miei confronti.
Tre hanno aderito al gruppo NOT A CRIME, ed una di loro, statunitense, ha anche raccontato che a New York City solo di recente è passata una legge, che disciplina la materia (possibilità e limiti delle riprese in luoghi pubblici)fin nei dettagli, definendola una vittoria; aggiungendo però che queste regole, pur molto utili, non sempre fermano gli "harassment" di polizia e guardie di sicurezza.

Fin qui, solo la delusione per l'apparente disinteresse. Niente di strano... se non che mi sono resa conto che la quarta amica - che vive in Canada - aveva scritto, e cancellato nel giro di pochi minuti(!), un commento molto partecipe dove affermava che, viaggiando molto per il mondo, si era più volte trovata in luoghi dove aveva persino corso qualche serio rischio nell'impugnare la sua fotocamera e quindi considerava questa iniziativa davvero importante. Perché cancellare un simile commento?

Dopo aver atteso qualche tempo una rettifica che non arrivava, essendo curiosa, ho inviato una email interna dove chiedevo stupita i motivi che l'avevano indotta a tale strano comportamento.

In ben tre messaggi (poiché io all'inizio mi son mostrata un po' incredula) mi ha detto e ribadito che il motivo era il seguente: cautela! in quanto facendo molti viaggi sente di persone detenute senza alcuna colpa, e pensa pure di trovarsi già insieme al suo partner in qualche lista nera, in quanto hanno avuto "tendenze politiche di sinistra" in passato.
Ha spiegato come, se sei noto come impegnato in quella particolare area politica, sei "sotto osservazione". Per questi motivi si è detta favorevole a firmare una petizione, ma giammai invierà la sua faccia (che non pubblica neanche su flickr).
Pur considerando "molto importante" l'iniziativa e augurandosi che risulti efficace.

Non so come suoni ai lettori di questo blog la faccenda...
Per quanto mi riguarda, sono rimasta strabiliata tanto dall'equivalenza fra "richiesta del diritto di fotografare liberamente" e "tendenze politiche di sinistra", quanto dall'idea di un pericolo soggiacente.

Forse in Italia non siamo davvero messi tanto male al paragone... oppure non ce ne accorgiamo?
A voi giudicare.

Unknown ha detto...

Non credo sia una questione prettamente britannica e nemmeno inerente esclusivamente all'ambito fotogiornalistico;Durante un viaggio, a Monaco di baviera ad un controllo del cek-in mi hanno fatto smontare l'obiettivo dalla reflex per ispezionarla dentro;Ci sono dei luoghi in Italia dove non posso fotografare mia figlia per presunte regole anti pornografia; Io, amante della foto di strada, sono stato spesso avvicinato da forze dell'ordine che mi chiedevano cosa fotografassi; Ho visto le stesse allontanare un turista in piazza S. pietro a Roma, allontanare un turista perchè aveva montato il treppiede.
Il paradosso è che siamo filmati ad ogni angolo di strada per giustissimi motivi di sicurezza.
Non sono un criminale e non faccio male a nessuno, voglio solo fotografare in pace per esprimermi co la fotografia

Anonimo ha detto...

Non credo che l'iniziativa inglese avrà un valido esito e lo dico al di fuori della mia scarsa simpatia per "l'inglesizzazione nel mondo". Ad ogni modo, i divieti si riferiscono a leggi che tutelavano le installazioni militari dallo spionaggio. Questa è una cosa di cui al 50% se ne potrebbe fare a meno.
Attenzione però, la legge dice che non si possono scattare foto all'interno delle strutture, non dall'esterno se rientrano nel campo del soggetto fotografato. O almeno così mi è stato detto fotografando un faro, dall'autorità che gestisce i fari in Calabria.
Voglio invece citare la mia esperienza. In più di una volta, mi sono ritrovato a non poter scattare una foto, o meglio addirittura a dover consegnare la mia borsa agli addetti alla sorveglianza. Per poi scoprire, come mi è capitato a Castel del Monte, di vedere persone che scattavano foto a tutto spiano in totale assenza di controlli..
Io penso che se giustificati, è giusto che ci siano dei divieti, ma è altrettanto giusto che la legge venga efficacemente applicata per tutti.
Con stima
Gianluca

danilogiuso ha detto...

E' di questi giorni l'idea di oscurare siti internet che, io non li ho mai praticati, permettono di "non amare" parte della nostra classe politica. Direi che io dilettante fotografo ho la possibilita' di scalare la classe sociale di pericolosita', diventando a tutti gli effetti un poco di buono. Come al solito aveva ragione mia madre.
Amo la fotografia di strada e per questo alcune volte mi sono trovato davanti al quesito: Ma ne vale la pena ? inteso se scattare o meno una foto. Ritengo che se intorno a me gira troppa adrenalina o si e' rischio di far passate come scappato di casa il soggetto fotografato allora e' meglio non scattare. Diversi gli altri casi, dove la fotografia puo' infastidire solo perche' rappresenta qualche cosa di non conosciuto. E qui dobbiamo chiaramente dire che quasi sempre, se siamo fermati coloro che ci fermano non sanno assolutamente quello che noi possiamo fare e, soprattutto, quello che loro stessi possono fare. Non saremo terroristi ma in ogni caso siamo vissuti come "rompiscatole". Ma torno all'inizio. E' possibile che vengano presi seri provvedimenti per limitare il germoglio dell'odio. Qesta situazione potrebbe aiutarci. Non piu' terroristi, ma fotografi di regime che, attraverso le regole imposte potranno non solo fotografare ma, aiutare con i propri scatti l'amore verso il prossimo ed ahime' forse anche verso i politici a cui non e' sufficiente il consenso. ciao danilo giuso