Non è vero e non ci credo. Anzi non ci voglio credere. Parafrasando a mio uso e consumo il titolo di una commedia di Peppino De Filippo potrei riassumere con queste parole la sensazione provata nei giorni scorsi a seguito dell’incontro professionale (forse sarebbe più opportuno parlare di sfioramento) con Nino Migliori. Parlo di un brevissimo scambio di e-mail avvenuto per completare la raccolta di materiali da pubblicare in allegato all’intervista realizzata da Pio Tarantini pubblicata sul numero 218 de IL FOTOGRAFO.
Prima di questa occasione il mio rapporto con Nino Migliori era stato quello che può avere uno dei tanti estimatori che si limitano a seguire a distanza la sua ricerca, conservandone traccia nella propria libreria grazie a sei o sette volumi a lui dedicati. Il massimo della... vicinanza era stato realizzare, su richiesta di Francesca Vitale, un intervento audio per il sito web Nuove Tendenze su un’immagine della serie Ossidazioni. È stata quindi una piacevole sorpresa scoprire il garbo e la professionalità di un uomo che, vuoi per diritto di anagrafe, vuoi per risultati conseguiti nella vita, potrebbe avere motivo di esternare una qual certa alterigia nei confronti del consorzio umano. Al contrario Nino Migliori si è proposto nello scambio epistolare con un atteggiamento di grande disponibilità, ringraziando perfino per lo spazio dedicatogli e fornendo un materiale impeccabile in funzione dell’impiego cui era destinato.
Atteggiamento per altro coerente con quanto dichiarato nell’intervista: «Mi piace sempre ricordare una delle definizioni di cultura, cioè è ciò che resta quando abbiamo dimenticato tutto quello che avevamo imparato». Credo infatti che già in queste parole sia possibile ritrovare un messaggio fondamentale che lega in qualche modo la Cultura a un’umiltà che, grazie alla metabolizzazione e all’oblio delle fonti intese come oggetto di citazionismo, permette di non aver più qualcosa da ostentare declamando a gran voce, bensì consente di dire sussurrando, esponendo la propria faticosa e caleidoscopica curiosità per la conoscenza umana.
Sì, d’accordo Nino Migliori è una persona garbata e gentile, ma vi potreste a ragione chiedere perché mi soffermo a raccontarvi queste cose. Il motivo è l’associazione, impossibile da evitare, tra i modi di un autore che a buon titolo può essere annoverato tra i maestri della fotografia contemporanea e quelli di tanti giovani che aspirano ad emergere o, peggio ancora, di tanti appassionati armati, più che di idee e capacità, di un’arroganza non sempre commensurabile. Con questo ovviamente non intendo generalizzare affermando che in questa descrizione si debbano riconoscere tutti i giovani emergenti e tanto meno tutti gli appassionati. Certo è però che, di fronte al ringraziamento di un autore cui probabilmente sarebbe semplicemente dovuta, honoris causa, la visibilità che ho ritenuto giusto accordargli, c’è frequentemente la pretesa di molti di ottenere la pubblicazione. Mi chiedo poi perché persone senza alcun trascorso nel campo non si peritino quasi mai in frangenti analoghi di esprimere almeno un feedback sul lavoro svolto insieme, mentre un ultraottuagenario autore internazionalmente acclamato, si sente in dovere di ringraziare ancora prima della pubblicazione. O peggio, come è accaduto più di una volta, ritengono di poter minacciare una sorta di rappresaglia rivolgendosi a testate concorrenti qualora non pubblicati. Per non parlare di chi, essendo abbonato, ritiene di aver acquistato, oltre al diritto di ricevere la rivista in casa, anche una pubblicazione dovuta.
Mi chiedo anche perché professionisti dichiarati, e che di fatto si guadagnano da vivere con la fotografia, forniscano tanto spesso un materiale che richiede ore di lavorazione per poter essere utilizzato. Ricordo foto su cui abbiamo dovuto passare letteralmente ore per ripulire la scansione dalla polvere presente sul vetro dello scanner non ripulito o immagini di professionisti che hanno dato vita a una piccola lotteria redazionale, in cui il vincitore era colui o colei che indovinava per prima in quale campo dei metadati sarebbe stata rinvenuta la didascalia, dal momento che non c’erano due immagini dello stesso fotografo in cui i dati comparivano nello stesso posto. Per non parlare poi delle dimensioni creative in cui vengono fornite le immagini. A fronte di questa routine lavorativa, come fare a non stupirsi se un uomo, lo ripeto, di oltre ottanta anni ti invia dei file perfettamente didascalizzati, convertiti in quadricromia (indispensabile per stampare) e addirittura rinominati in funzione della sequenza di utilizzo da noi prevista? Eppure sarebbe logico pensare che essendo nati nel 1926 si possa avere qualche problema in più rispetto a un venti/trentenne nel confrontarsi con la tecnologia informatica…
Gli anziani sono quindi meglio dei giovani? Le nuove generazioni non ci danno più garanzia di futuro in questo come in altri campi?
Non è vero e non ci credo. Anzi non ci voglio credere, come affermato all’inizio.
Credo che la risposta sia semplicemente che esistono persone come Nino Migliori che ancora guardano con professionalità alla sostanza delle cose e non mirano solo all’apparire, come ci ha insegnato a fare la società attuale. Concretezza e capacità di fare, avendo cose da raccontare, a fronte dell’apparire per l’apparire in ossequio a un modello fin troppo passivamente adottato dalla maggioranza. Ma il substrato di tutto questo è il rispetto nei confronti del proprio lavoro e di quello degli altri. Se faccio una fotografia che deve essere pubblicata, devo tenere presente anche a cosa serve e come verrà utilizzata. Oltre che per motivi etici anche per rispetto nei confronti di chi, con il suo lavoro, porterà a nuova forma quello che io ho già fatto. Sono convinto che oltre a una lezione di professionalità Nino Migliori ci abbia regalato anche una lezione di rispetto per gli altri oltre che per se stesso.
E di questo mi permetto di ringraziarlo pubblicamente, con la speranza che il messaggio implicito nelle sue opere e nel modo in cui sono state e sono realizzate nonché rese fruibili agli altri, arrivi come un esempio a chi oggi si avvicina alle immagini per professione o per passione. Grazie Nino.
Dall'alto:
La doppia pagina di apertura dell'intervista a Nino Migliori realizzata da Pio Tarantini e pubblicata sul numero 218 de IL FOTOGRAFO.
L'intervento audio di Sandro realizzato per il sito web Nuove Tendenze.
Ossidazione 1984, © Nino Migliori.
La Home page del sito personale di Nino Migliori.
La pagina dedicata alla didattica nel sito personale di Nino Migliori.
Il volume Segni, edito da Damiani Editore.
8 commenti:
Caro Sandro, ho la grandissima fortuna di poter dire di aver conosciuto personalmente Nino Migliori e di rivederlo con enorme piacere in molte occasioni fotografiche, e le tue parole trovano puntualmente riscontro ogni volta. Posso anche aggiungere che persone come Migliori (ma tra questi potremmo tranquillamente annoverare Gianni Berengo Gardin, Letizia Battaglia ... e decine di altri Grandi Maestri) sono grandi proprio perchè sanno rapportarsi agli altri. Sanno ascoltare e, cosa fondamentale, non smettono mai di imparare... non si sentono arrivati. Mi entusiasma ascoltare Nino quando racconta gli innumerevoli aneddoti della sua vita, le motivazioni che stanno dietro i suoi lavori, le idee che uno della sua età riesce ancora a sfornare e non mi è difficile fare il confronto con quanti, magari all'interno di un misero circolo fotografico, magari solo perchè hanno vinto un concorso, cominciano ad assumere atteggiamenti altezzosi.
Prima di imparare la fotografia, da Nino Migliori, bisognerebbe imparare la sua umanità, la sua modestia e la sua disponibilità, specie verso i giovani.
Penso che la questione centrale sia proprio l'umilità e il rispetto per gli altri, già sottolineato alla fine dell'editoriale. Quando si lavora si dovrebbe fare lo sforzo di pensare che il nostro lavoro non si conclude dopo di noi, ma continua. Rispetto e umilità significa anche semplificare e non complicare ulteriormente il lavoro altrui (o la fruizione del nostro lavoro). Ritengo che sia qualcosa che va oltre la professionalità.
Eppure la maggior parte delle persone sembra non lavorare (e vivere) nel rispetto dell'alterità. La "scusa" è sempre che c'è troppo lavoro e poco tempo. Ma il rispetto dell'altro e del suo lavoro (e mi verrebbe da aggiungere anche delle regole)non dovrebbe dipendere dal tempo.
Leggo con piacere l’intervento di Sandro Iovine sulla figura professionale e umana di Nino Migliori e, come autore dell’intervista in questione, mi sento un po’ coinvolto nella vicenda che ha portato il direttore de IL FOTOGRAFO a esprimere questa testimonianza. Nulla da dire innanzitutto e pieno accordo con Iovine su quanto scrive a proposito di Nino Migliori: e non aggiungo altro perché altrimenti si ha l’impressione di una esagerata serenata nei suoi confronti. Ma prendo spunto dalle considerazioni di Iovine per aggiungere qualche riflessione sui meccanismi comportamentali di una intera categoria di operatori del settore fotografia alla quale, appunto, appartengo. Parlo di operatori e non solo di fotografi perché i meccanismi che portano a determinati atteggiamenti – alcuni squisiti, altri irritanti, altri scorretti o esecrabili e così via – dei protagonisti della fotografia italiana sono probabilmente il risultato della personalità di ognuno ma anche di un mondo, quello abbastanza angusto della fotografia, in perenne lotta, almeno nel nostro Paese, per una più spedita uscita dalla secolare marginalità e che coinvolge non solo i fotografi ma anche i critici, i giornalisti, i curatori, i galleristi, le case editrici e così via.
Non voglio addentrarmi, per carità, nell’esausto discorso-lamentela sui mali dei ritardi italiani nel campo della fotografia rispetto alle altre nazioni economicamente più avanzate: anzi, personalmente, sono portato a vedere più il bicchiere mezzo pieno anziché mezzo vuoto, alla luce di molti progressi realizzati nel corso degli ultimi anni. Restano da colmare ancora molti ritardi; per inciso, molto velocemente e solo per dare un’idea: il poco rispetto che ha buona parte della stampa italiana nei confronti della fotografia di reportage (ancora, quasi sempre, sulla stampa quotidiana, non si pubblica, accanto alla fotografia, il nome del fotografo); l’annoso dibattito tra fotografia di documentazione e fotografia d’arte che porta il mercato a valorizzare e riconoscere, anche economicamente, l’artista che si serve della fotografia a scapito del puro fotografo che fa documentazione e ricerca; la totale, o quasi, assenza di una solida tradizione didattica specifica (non esistono ancora corsi istituzionalizzati di fotografia nelle università italiane). Insomma questi pochi esempi per dire che c’è ancora una grande confusione sotto il cielo italiano della fotografia e questo stato di relativa precarietà porta allo sfilacciamento, alle divisioni, alle parrocchiette, in un gran calderone in cui ognuno difende il suo orticello.
Accade così, per tornare al discorso iniziale, che alle caratteristiche personalità di ognuno di noi si somma l’atteggiamento egoistico dovuto a un istinto di sopravvivenza, data la relativa scarsità di risorse specifiche: in tutti i campi ci sono gli umili e i superbi, gli intelligenti e gli stupidi, i disponibili e gli egoisti, e tutti questi tratti e altri ancora attraversano un po’ tutti gli uomini; il problema è la prevalenza di un tratto sull’altro. Se i lettori di queste note mi consentono un’autocitazione, da più di venti anni, negli scritti che accompagnano le mie pubblicazioni, spesso sottolineo gli aspetti che rasentano il ridicolo in protagonisti della fotografia italiana molto pieni di sé. Ma, scrivevo per esempio nel 1995: cari amici, non stiamo affrescando la Cappella Sistina.
Per chi ha la fortuna di conoscere personalmente Nino Migliori credo sia pressoché impossibile analizzare l’essenza del fotografo senza farsi inconsapevolmente condizionare dalla personalità dell’uomo. Nino è una figura speciale, un personaggio dalla simpatia innata, un entusiasta, un innamorato della vita e di tutto ciò che, in positivo, essa è in grado di offrire. È difficile scindere il suo “essere” dal suo “fare”. Nino è un grande che palesa ancora lo spirito e le passioni di un ragazzo, un uomo al quale la fotografia italiana deve davvero molto.
In un'ottica di autocritica leggo e faccio tesoro di quanto scritto da Iovine senza bisogno di commentare.
Volendo analizzare più obiettivamente la situazione della fotografia italiana non posso che appoggiare (anche) quanto scrive il Sig. Tarantini.
Soprattutto quando parla della non istituzionalizzazione/"tradizionalizzazione" della didattica, delle "parrocchiette" e degli orticelli.
Nella difficoltà di individuare una qualche entità di riferimento (il più possibile oggetivo e autorevole) che non siano FIAF, TauVisual eccetera cerco, in parte anche istintivamente, di cogliere il buono della fotografia (nazionale e internazionale) per poi interfacciarlo con la mia personale ricerca.
I risultati saranno visibili nel mio sito web alla cui visita inviterò "qualcuno" sperando voglia esprimere la sua critica.
Termine Critica
c. costruttiva 2 Disciplina che studia i particolari caratteri storico-culturali ed estetici di opere d'arte, letterarie, musicali ecc.: c. d'arte, letteraria, musicale
1 Analisi razionale applicabile a qualsiasi oggetto di pensiero, concreto o astratto, e volta all'approfondimento della conoscenza e alla formazione di un giudizio autonomo.
Se son rose fioriranno...
Caro Sandro,
ho letto la nota su Nino Migliori che è impossibile non condividere. Io continuo a difendere le posizioni generazionali, tra l'altro, da un foglio irriverente che si chiama DossierDomani, diffuso on-line, come vuole la realtà attuale.
Sul numero di giugno - se ti va di leggerlo, sono in tutto 4 pagine - troverai un'apertura dal titolo Sic! dove tra gli altri casi di presunzione autoriale cito una virgulta della critica fotografica la quale afferma che il fotografo Pasquale De Antonis approdò a Roma nel 1939 in tempo per assistere (sic!, appunto) alla nascita del fascismo. Evidentemente la virgulta non sarà mai
incappata, neppure facendo zapping, in una delle poche buone tasmissioni che la
Rai ci concede, altrimenti avrebbe appreso, almeno da quella fonte, che quel 1939, nel quale lo "zio Adolfo" puntò i cannoni verso la Polonia, forzando il corridoio di Danzica, segnò invece la fine del fascismo. A questo punto mi verrebbe da dire "o tempora, o more",... ma non so se la virgulta sia bionda!
Migliori combatte la sua battaglia contro questo disarmante stato di cose con la signorilità e la correttezza che hanno sempre contraddistinto la sua persona e, vorrei dire, buona parte della sua generazione.
Un caro saluto
Gianfranco
Per chi, come noi, è abituato a lavorare con altri fotografi è spesso deludente ed imbrarazzante trovarsi di fronte interlocutori a cui tutto sembra dovuto per un qualche insano diritto.
Ho conosciuto Nino e tanti altri "vecchi" con cui ho avuto il priacere di organizzare mostre ed aventi vari e sostanzialmente ho notato oltre una grande cortesia una assoluta professionalità. Credo sia quest'ultima a fare la differenza.
Carissimo direttore, dalle sue parole traspare quello che è quotidianamente sotto gli occhi di tutti noi nella vita comune: arroganza fino al limite della maleducazione, completo disinteresse del prossimo, ed ogni azione sembra debba essere fatta esclusivamente solo se in grado di generare un ritorno (di qualsiasi tipo) personale (egoismo). Capire quale sia la causa scatenante di questi atteggiamenti penso sia molto complesso e personalmente non sarei in grado di dare una risposta che vada oltre a quelle che sono le solite frasi fatte. Sicuramente la parola e il concetto "umiltà" vengono sempre più accantonate nelle coscenze umane. Ovviamente non è corretto generalizzare, ci sono sempre stati (forse una minoranza) e sempre ci saranno (mi auguro) artisti come Nino Migliori, intelligenti, capaci e rispettosi sia dell'altrui lavoro che dei loro estimatori (i primi perchè permettono la pubblicazione e i secondi che comprando riviste e libri, permettono all'artista di proseguire nella sua ricerca).
Posta un commento