mercoledì 30 giugno 2010

Just kids: Patti Smith racconta Mapplethorpe


Per chi si occupa di fotografia, di musica o semplicemente di cultura, Just kids di Patti Smith è un volume che merita attenzione perché permette di scoprire dall'interno la personalità e il rapporto non sempre lineare o semplice tra due autori che hanno segnato fortemente la cultura giovanile e non solo dell'ultimo quarto del XX secolo. Con lucidità e affetto sempre sorretti da una sensibilità spiccatamente poetica, Patti Smith ci introduce nella sua vita dal primo incontro con Robert Mapplethorpe il 3 luglio del 1967 («Entrai nella stanza. Un ragazzo dormiva sopra un semplice letto in ferro. Era pallido e magro, con una massa di riccioli neri; giaceva a petto nudo con fili di perline attorno al collo. Rimasì là. Lui aprì gli occhi e sorrise») fino alla notizia dell'avvenuta morte il 9 marzo del 1989.
A seguire un estratto da Just Kids in cui Patti Smith racconta la realizzazione della foto di copertina copertina del suo primo album Horses del 1975. 

Sarebbe stato Robert a scattare la fotografia per la copertina di Horses, non avrebbe potuto essere altrimenti: la mia spada sonora protetta dall’immagine di Robert. Non avevo idee, sapevo soltanto che avrebbe dovuto essere autentica. L’unica cosa che promisi a Robert fu che avrei indossato una camicia in ordine, senza macchie.
Andai all’Esercito della Salvezza sulla Bowery e comprai una pila di camicie bianche. Alcune erano troppo grandi; quella che mi più mi piacque aveva delle iniziali sotto il taschino. Mi ricordò una fotografia scattata da Brassaï nella quale Jean Genet indossa una camicia bianca monogrammata con le maniche avvoltolate. Sulla mia c’erano ricamato RV - immaginai che la camicia  fosse appartenuta a Roger Vadim, che aveva curato la regia di Barbarella. Tagliai via i polsini per indossarla sotto la giacca nera, che adornai con la spilla a forma di cavallo che mi aveva regalato Allen Lanier. 
Robert voleva scattare la fotografia da Sam Wagstaff, perché nell’attico sulla 1-Quinta Avenue c’era una bella luce naturale. La finestra ad angolo proiettava un’ombra che creava un triangolo di luce, e Robert voleva servirsene per la fotografia.
Rotolai giù dal letto e mmi accorsi che era tardi. Mi lanciai nel mio rituale mattutino: svoltai l’angolo per raggiungere il panificio marocchino, arraffai un panino ben cotto, un  fascio di menta fresca e qualche acciuga. Tornai a casa e misi a bollire dell’acqua, riempiendo la pentola di menta. Versai dell’olio d’oliva nel panino aperto, scolai le alici e le adagiai all’interno cospargendole di peperoncino di cayenna. Infine mi versai una tazza di tè, e siccome ero sicura che avrei sporcato la camicia sul davanti, mi dissi che averla già addosso non era una buona idea.
Robert venne a prendermi. Era agitato perché era molto nuvoloso. Finii di prepararmi: pantaloni neri col risvolto, calze bianche di filo di Scozia, Capezio nere. L’ultimo tocco fu il mio cravattino preferito; Robert mi tolse le briciole dalla giacca.
Scendemmo in strada. Robert aveva fame ma rifiutò il panino alle alici, perciò finimmo per mangiare pappa d’avena e uova al Pink Tea Cup. Chissà come, il giorno si spense. Si rannuvolò e si fece scuro e Robert continuò a scrutare il cielo in attesa del sole. Finalmente nel tardo pomeriggio iniziò a rischiararsi. Attraversammo Washington Square proprio mentre il cielo minacciava di rabbuiarsi di nuovo. Robert temette che potessimo perdere la luce, perciò corremmo per tutto il tragitto fino alla 1-Quinta Avenue.
La luce stava scemando. Robert non aveva un assistente. Non avevamo parlato di ciò che avremmo fatto, o di cosa volessimo ottenere. Lui avrebbe fotografato. Io sarei stata fotografata.
Io avevo in mente il mio aspetto. Lui aveva in mente la luce. Tutto qui.
L’appartamento di Sam era spartano, bianco e quasi sgombro, con una grossa pianta di avocado accanto alla finestra che affacciava sulla Quinta Avenue. Un enorme prisma rifrangeva la luce spaccandola in arcobaleni che ricadevano sulla parete di fronte a un termosifone bianco. Robert mi posizionò nel triangolo con un leggero tremolio alle mani. Scattò qualche fotografia. Abbandonò l’esposimetro. Una nuvola passò e il triangolo svanì. Mi disse: «Sai una cosa, mi piace molto il biancore della camicia. Ti toglieresti la giacca?».
Mi gettai la giacca in spalla, alla Frank Sinatra. Avevo un mucchio di riferimenti visivi. Robert possedeva luce e ombra.
«Eccola» disse.
Scattò qualche altra fotografia.
«Ce l’ho»
«Come fai a saperlo?»
«Lo so e basta»
Quel giorno scattò dodici fotografie in tutto.
Dopo qualche giorno mi mostrò i provini. «Questa è la magia» disse.
Ancora oggi, quando la guardo, non vedo me stessa. Vedo noi.

da Just kids di Patti Smith, Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano, 2010 - pagine 264-267




Dall'alto:
La copertina del volume Just kids di Patti Smith, traduzione di Alessandro Mari, Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano, 2010; 19,00 Euro.

La copertina di Horses (Arista Records, 1975) con al fotografia realizzata da Robert Mapplethorpe.




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2 commenti:

Anonimo ha detto...

Grazie Sig. Iovine,

per questo suggerimento di lettura. Quando ho letto il suo articolo su queste pagine mi ha commosso e incuriosito e ho deciso di seguire il suo consiglio comprando un libro che non avrei mai preso in considerazione altrimenti, per età e confusi pregiudizi.

Mi sono emozionato durante tutta l’operazione, chiedere a mia nipote di trovarlo in città, aspettare che lei tornasse per le vacanze, assaporarne le parole e i ricordi, con il mio passo lento perché i miei occhi e la mia mente pagano il loro dazio al tempo che passa.

Mi ha fatto un regalo inaspettato, mentre tutti quelli che mi circondano credono che non debba più aspettarmi niente e si sbagliano, vede! Io non conosco la Signora Smith come cantante, ma a questo si può porre rimedio, ho trovato nel suo libro un animo delicato e sensibile e una passione così rara da sedurmi almeno un poco.

Mi hanno convinto le ultime righe della citazione e sono quelle più difficili da spiegare a mia nipote, lei che ha sempre in mano la sua macchinetta digitale non capisce come faceva il fotografo a sapere quando la foto scattata era quella giusta e cercata. Come lo spieghiamo che a volte la magia era così perfetta che non avevi bisogno di vederla? Io non trovo le parole, conto su di lei.

Ci tengo a precisare che io volevo scriverle in forma privata, ma mi hanno detto che sui Blog si fa così e mi sono adeguato, le dichiaro che ho ricevuto un aiuto per poterlo fare, la nostra conversazione non può essere considerata privata e io non farò finta di essere più moderno di quanto non sia.

La aspetto in edicola, e la sfido a provare a stupirmi più dell’ultimo numero, trovo la vostra scelta editoriale coraggiosa e vedo che ha suscitato molte reazioni, ma lei che è un uomo saggio non si lasci confondere tutto si riduce a questo noi maschi abbiamo paura delle donne, della loro forza e siamo tranquilli fino a quando loro sono belle e stupide, tutto il resto sono chiacchere.

Giuliano Dessì

sandroiovine ha detto...

Grazie Giuliano le tue parole arrivano come una sferzata di ottimismo in un momento di riflessioni assai cupe sulla voglia di mettersi in gioco della razza umana.
Sono contento tu abbia apprezzato il volume e qualora fossi interessato ad altro mi permetto di lasciare un altro piccolo stimolo di lettura: Presagi d'innocenza di Patti Smith, poesie con testo originale inglese a fronte, Frassinelli,2006.
Nonché un invito a considerare Patti Smith anche come autrice di immagini.
A presto.