venerdì 25 febbraio 2011

Ma tu quante mostre hai fatto?


La frase che ho scelto come titolo mi tormenta da non meno di due decenni... in realtà quasi tre, ahimè. Ero al primo o secondo anno di università e la maggior libertà acquisita nella gestione del tempo da dedicare allo studio mi aveva indotto a frequentare con maggiore e immatura assiduità il mondo della fotografia cui potevo avere accesso all’epoca. Il che significa che ero abbastanza impegnato nella pratica dell’agonismo fotografico e partecipavo a un numero relativamente alto di concorsi. In quell’occasione risultai essere, per ragioni che mi sfuggivano allora come oggi, essere il miglior autore in assoluto... in una competizione astigiana.
Ora sorvolando sulla roboante definizione, ne fui come è facile intuire particolarmente orgoglioso all’epoca, tanto da indurmi ad affrontare un viaggio in treno di una decina di ore nel corso del quale ho maturato con chiara determinazione quell’avversione verso treni e ferrovie che tutt’ora alimento anche in questo momento scrivendo queste righe dal posto 16 della carrozza 9 del Frecciarossa diretto a Bologna. Stremato, ancorché poco più che ventenne, dal viaggio andai all’inaugurazione della mostra delle opere partecipanti al concorso e mi ritrovai attorniato da strani personaggi più simili a espositori ambulanti di macchine fotografiche che a esseri umani. Nonostante all’epoca fossi assai meno incline alla socializzazione di quanto non avvenga al giorno d’oggi, a un certo punto venni assalito da uno dei tanti appassionati sciamanti all’interno dei locali espositivi che brandeggiava un costoso quanto voluminoso obiettivo tele zoom incredibilmente inappropriato in quel contesto. Mentre cercavo di schivare i fendenti che il brandeggiante assestava a destra e a manca, venni definitivamente abbattuto dalla domanda da cui ha preso gli esordi questa riflessione. La mia prima reazione fu di sgomento di fronte a una domande che prevedeva come unica risposta un’interrogativa di ritorno del tipo «E perché mai avrei dovuto fare una mostra?». Peraltro allo sgomento segui una specie di senso di colpa indotto dall’espressione piuttosto critica che esplicitava la valutazione piuttosto scarsa della mia persona per via di quello spazio vuoto alla voce mostre fatte.
Perché ho ritirato fuori questa vecchia e non particolarmente interessante storia? Forse in memoria del luogo in cui siedo e del viaggio che all’epoca ritenni epico, ma più probabilmente perché il tema continua a riproporsi nella mia vita professionale. Tanto nel corso dell’insegnamento quanto in quello inerente il ruolo di direttore di una testata che tenta di occuparsi di fotografia. In entrambi i casi mi trovo a confrontarmi in una misura o nell’altra con la sindrome da ansia espositiva che sembra affliggere il mondo della fotografia italiana. Intendiamoci non penso che in assoluto ci sia qualcosa di male nel sottoporsi al confronto implicito nella realizzazione di una mostra. Anzi trovo che sotto questo profilo si tratti proprio di un passaggio fondamentale nella crescita personale. Ma mi chiedo è mai possibile che tutti abbiano realmente qualcosa da dire con le proprie fotografie? Siamo sicuri che il profluvio di mostre inaugurate ogni giorno nel nostro paese sia davvero motivato e non sia invece piuttosto frutto del teorema warholiano del quarto d’ora di celebrità declinato in chiave fotografica? Quando lo strano guerriero con il mega telezoom mi investì con il suo interrogativo, non potei fare a meno di chiedermi perché a me non fosse mai passato nemmeno per l’anticamera del cervello di fare una mostra. Quello che mi risposi è che oltre a  non considerarmi all’altezza (e oggi posso tranquillamente dichiarare con oggettività che non lo ero affatto), non mi sembrava di avere nulla da dire al mondo con le mie immagini. Se dovessi giudicare dal numero di mostre che pubblichiamo ogni mese su questo giornale (provate a contarle...) dovrei concludere che evidentemente altrettanto non possono dire i tanti che espongono un po’ ovunque. Credo che alla base ci sia una concezione molto superficiale di cosa sia una mostra, intesa spesso come il mero appendere al muro una selezione del presunto best of della propria produzione.
Ma fare una mostra o, peggio ancora, un libro non significa questo. Vuol dire avere un progetto e svilupparlo in forma coerente, nel tempo, per poter raccontare qualcosa davvero e non solo appagare in qualche modo più o meno posticcio il proprio desiderio di fama a basso prezzo. A proposito di tempo ricordo l’ironia con la quale venne accolta parecchio tempo fa il progetto di un professionista, peraltro noto e molto bravo, il quale aveva deciso di celebrare suoi primi dieci anni di attività con un libro. Il volume che ne venne fuori ovviamente si teneva in piedi con lo sputo perché molto banalmente non c’era dietro alcuna idea, se non quella dell’autocompiacimento. Dopo appena dieci anni di professione si vedeva come al termine della carriera e cercava la consacrazione invita, mentre invece avrebbe dovuto ancora affrontare il meglio della sua produzione. 
È proprio questo lo stimolo che tutti noi dovremmo cercare di combattere a favore della qualità progettuale, in generale foriera di approfondimento e miglioramento. Smettere di farsi prendere dall’ansia di fare qualcosa per cui non necessariamente siamo pronti. Mettersi in discussione. Chiedersi continuamente se abbiamo davvero qualcosa da dire agli altri per cui valga la pena di mettere su una maledetta mostra. Credo che se ci ponessimo più spesso domande di questo tipo avremmo molte meno esposizioni in giro, ma molta più qualità.
Sento già agitarsi nella mente di chi mi legge la certezza di quello che nelle prime righe era solo un sospetto di volontà censoria. No, no, tranquilli di censure per l’aria ne abbiamo già abbastanza, tanto più pericolose quanto meno sembrano essere percepite dai più. Non è questo che mi interessa. Non dico che debbano esporre solo quelli bravi. Dico che prima di porci il problema di offrire al pubblico il nostro lavoro dovremmo provare a chiederci se davvero ha senso quello che abbiamo intenzione di fare. Confrontarci con chi ha qualche strumento in più per valutare ed essere disposti ad accettare le eventuali critiche ricevute. Compresa quella sulla totale inopportunità di realizzare l’agognata mostra.



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43 commenti:

Giulio Nerographer Baldi ha detto...

Come al solito i Suoi interventi sono preziosa fonte di riflessione. Grazie, G. Baldi

Anonimo ha detto...

...e poi esistono anche quelli che hanno da raccontare qualcosa.. ma passeranno il resto della vita nell'ombra, per emergere solo quando non ci saranno più.

drmauro ha detto...

Sandro però dopo questa "tiratina d'orecchie", il mio lavoro fotografico vedrà la luce nel 2031... farò una comparativa dei miei ritratti ora e tra vent'anni allora, sperando di arrivare finalmente all'essenza di quello che sto facendo!

Giancarlo Parisi ha detto...

Dopo immani tentativi consumati inoperosi nel tentativo di risollevarmi dal pavimento - luogo dove mi ritrovai per forza di cose in seguito alla lettura di questo episodio, che non mi ha risparmiato l'immaginazione di uno Iovine ventenne impegnato allo stesso modo di un cavaliere medioevale a schivare i fendenti ottici e allo stesso tempo cercare di rispondere all'inquisizione - ci sono riuscito e ho maturato una consapevolezza in merito a quello che è un reale problema.
Non tanto perchè sia riprovevole il fare mostre, quanto per il fatto che fare mostre senza aver nulla da mostrare è più becero (si può?) del comprare "mila" e "mila" euro di attrezzatura per fotografare il proprio gatto...

compagnia dei fotografi ha detto...

Pienamente d’accordo. Ogni mostra (o libro) dovrebbe essere il racconto di una visione consapevole del mondo. Consapevolezza progettuale e linguistica: solo così una mostra diventa discorso e, non, balbettìo confuso e senza spessore.

TMax ha detto...

OH finalmente!!!!
Grazie Sandro...

Ho sempre pensato che mettere in mostra le proprie foto rappresentasse un passo molto importante della propria carriera fotografica ( indipendentemente dalla qualifica di professionista o amatore) ...
un passo da compiere dopo che qualcuno competente in critica fotografica presa visione del progetto/lavoro fatto e della storia dell'Autore in qualche modo mettesse una sorta d'imprimatur..
OK sei pronto per 'mostrare' il tuo lavoro...

mi pare che invece sia molto semplice (sbattendosi un pò) trovare uno spazio verticale in cui appiccicare le proprie foto...
un minimo di autocritica no?

beh grazie ancora per il tuo intervento!!

TMax

Anonimo ha detto...

Concordo pienamente sull'inopportunità di fare mostre senza avere nulla da raccontare, però mi chiedo anche quando un autore che ha seguito un suo progetto può sentirsi "pronto" per essere giustificato dalla scelta di esporre?
In base a che cosa un progetto fotogradico maturato dopo una scelta di linguaggio e di ricerca da parte dell'autore diventa "qualcosa da raccontare"? Si deve tenere in considerazione anche a chi vuole rivolgersi l'esposizione se a una nicchia ben precisa o ad un pubblico più vasto e (purtroppo)con una capacità di lettura talvolta carente.'

compagnia dei fotografi ha detto...

@Anonimo
In base a cosa? Credo valgano le parole di Rilke (Lettere a un giovane poeta): "C'è una sola via. Penetrare in voi stesso. Ricercate la ragione che vi chiama a scrivere; esaminate s'essa estenda le sue radici nel più profondo luogo del vostro cuore, confessatevi se sareste costretto a morire, quando vi si negasse di scrivere ..."

Basta sostiruire "scrivere" con "fotografare" e allora esporre diventa una necessità, quasi un dovere verso se stessi (senza preoccuparsi del pubblico)

Unknown ha detto...

Riflessione molto interessante.
Al di là dello specifico argomento fotografico credo che ci induca a riflettere sul fatto che oggi il numero (quante mostre fai, quanti libri pubblichi, quanti articoli hai scritto, quanti kilometri di corsa hai fatto, in quanti minuti, quanti posti hai visitato, quanti contatti facebook, flickr hai) sia diventato uno strumento di rassicurazione personale.
Essere misurati e misurarsi sempre in base alla quantità. E purtroppo non sempre questa quantità è sinonimo di qualità e profondità di ricerca, come nell'esempio che riporta nel post.
Concordo con l'ultimo commento; mostrare il proprio lavoro diventa un dovere verso sè stessi, indipendentemente dal numero di persone, dal pubblico.
Potremmo poi aprire un dibattito sul fatto che le istituzioni innovano poco, preferiscono non rischiare e gli autori più innovativi rimangono nell'ombra.
Ma non mi sembra questo il luogo.
Grazie, perchè i suoi post stimolano sempre a riflettere, a fermarsi e pensare.

Anonimo ha detto...

Sono d' accordo con la sua risposta ma ho paura possa essere fraintesa.
Siamo in un tempo in cui la fotografia, è considerata "Una forma d'arte" "a portata di tutti", dove il proliferare di mostre, autori o pseudo-tali, espongono indiscriminatamente, materiale di qualità e puro macero cartaceo, senza, appunto, preoccuparsi del pubblico*, assieme alla mancanza di ricerca, progettualità e conoscenza del linguaggio, credo sia questo, uno dei punti a favore, per la decadenza della qualità delle esposizioni in circolazione.
Se fosse proprio quel "dovere verso se stessi", a spingere autori, a non confrontarsi con chi ha strumenti in più per esporre critiche, che potrebbero rivelarsi costruttive o potrebbero indurci, a ricominciare da principio, il nostro percorso fotografico e magari ci facessero prendere atto che da quelle "radici estese nel nostro cuore" traiamo scarso nutrimento per far maturare un idea.
*Propinare alla gente materiale di dubbia qualità e viceversa senza alcuna differenza forse è un passo per "avvicinarci" a una sorta di "ignoranza fotografica" e spingere la fotografia a livelli più bassi.

Giancarlo Parisi ha detto...

Fraintendere è sempre facile, ahimè...
Fare una mostra è senza dubbio un momento personale e non ci sono regole prestabilite che ci dicono quando è il momento di farlo.

Il punto è che i ritmi della fotografia di oggi sono talmente alti che anche il momento della mostra è valutato in modo sommario.

Cos'è la pubblicazione su Flickr se non una mostra? Certo, è un pò diverso, ma il succo è sempre quello: "piazzo le foto all'attenzione degli altri e vediamo che esce, tanto lo fanno tutti".

Ecco, io credo che il "mostrare" oggi sia talmente immanente da non poterne prescindere, e quindi da non poter discernere. E' diventato talmente automatico che sta perdendo la sua ragion d'essere. Se uno non mostra non è fotografo.

Succedeva già 20-25 anni fa che non c'era internet nè flickr nè facebook, figuriamoci oggi.

Ergo, seguire l'istinto va bene, ma il punto fermo è sempre quello di curare la cultura fotografica, l'unica cosa che può fungere da vero filtro.

Anonimo ha detto...

eugeniosinatrapalermo
Si vedono in giro mostriciattole di tanti fotografi parvenue che a un certo punto uno dice: faccio una mostra pure io. Se pago io, perche' mi si deve rompere, se a qualcuno non piacciono le mie foto in mostra, vada via, invece di bere il vino offerto con le pizzette o i biscottini.
E poi, se il pubblico previsto e' costituito da amici e parenti, o di di quelli che fotografano in 100 pose il gatto di casa, che problema c'e'.
Ma piu' seriamente : far girare il proprio nome con le mostre non conta, quello che conta e' quello che uno fa e dice sulla fotografia, il suo credito e' quello.
Penso che le mostre a tutti i costi siano come le pubblicazioni "scientifiche" che i titolari di cattedra all'universita' debbono per obbligo fare ogni tanto, per mantenere la cattedra, per dimostrare di "fare ricerca", perche' dicono che si fa ricerca anche qui in Italia : molti scrivono un libercolo con tante sciocchezze dentro, tanto paga l'universita', cioe' noi cittadini, se ne fanno un tot di copie, che andranno presto al macero tranne quelle comprate per obbligo dagli studenti che seguono quella materia e quel professore. E quando vanno all'esame e' ovvio che per prima cosa insieme con il libretto si posi sulla scrivania del professore la copia del libercolo di cui sopra, ben sgualcito per dimostrare di averci studiato, e con il proprio nome in seconda di copertina, per dimostrare la proprieta' e non far sospettare che sia una copia che passa di mano in mano.
Per finire un'altra cosa seria : se un fotoamatore attende il momento "maturo" per esporsi, cioe' per fare una mostra, e si affida a un critico di professione, puo' attendere l'ottava decade di vita, se ci arriva, perche' il suo "progetto" sara' sempre giudicato solo come base di inizio di un viaggio lunghissimo. Meglio levarci mano, e far la mostra per conto proprio, stando attenti solo ai commenti di quei colleghi fotografi che ritieni in grado di darti un giudizio e un consiglio se e' il caso.
Insomma bisogna distinguere tra mostre allestite nella propria citta', dove ci sono tanti luoghi che offrono spazio, perche' oggi e' di moda fare mostre di fotografia - e mostre a cui invitano istituzioni di benaltra levatura, allorche' il nome, il linguaggio, lo stile ed il messaggio del fotografo in questione sia ormai riconosciuto.
Pero' c'e' sempre quest'altra possibilita' : se un critico di professione ha lanciato, per incompetenza, per interesse personale, per stravaganza, un fotografo che fotografa solo ciofeche, anche in questo caso il numero di mostre altisonanti aiuta a costruire il nome, la mostra importante "fa" il fotografo.
Quindi per concludere, un colpo al cerchio e un colpo al martello.
eugeniosinatrapalermo

francesco peluso ha detto...

copio il commento di Marina
"... a riflettere sul fatto che oggi il numero (quante mostre fai, quanti libri pubblichi, quanti articoli hai scritto, quanti kilometri di corsa hai fatto, in quanti minuti, quanti posti hai visitato, quanti contatti facebook, flickr hai) sia diventato uno strumento di rassicurazione personale."

sono pienamente d'accordo con questo commento.

E infatti forse il rischio maggiore non è tanto fare una mostra (che può essere un momento di crescita e di confronto) ma fare una mostra proponendo (in modo anche inconscio) qualcosa che che non rappresenti il pensiero espressivo dell'autore bensì quello dell'immaginario pubblico.

E tutto questo proprio nel tentativo di aumentare il "numero" di visitatori e dunque in modo transitivo anche il "successo" della mostra.

Ecco correre dietro alla quantità, al numero (che siano poi visitatori, contatti, fav non importa) credo sia il vero pericolo, un pericolo che può portare ad un uniformarsi, ad un appiattimento ed in definitiva ad una spersonalizzazione dell'autore stesso.

danilogiuso ha detto...

Io nessuna !
Schopenhauer spiega come il nostro onore non consiste nelle opinioni che gli altri hanno di cio' che valiamo, ma esclusivamente nelle sue manifestazioni esteriori.
Attraverso una mostra personale, ma semplicemente con la pubblicazione di nostre foto sulla rivista preferita, si cerca appunto il giudizio, positivo, degli altri.
Spesso per una mostra fotografica puo' essere complicato. Perche' non basta lo "scatto consapevole", ma e' necessaria una progettualita' che, almeno per qunto mi riguarda, manca.
Puo' allora essere interessante a fronte di progetti piu' ampi altrui, contribuire e condividere magari con la presenza anche di mie fotografie, a mostre che hanno temi e finalita' ben precisi e studiati a monte.
allora i tuoi scatti sono condivisi con scatti altrui e l'insieme mira all'obiettivo di catturare l'interesse dei visitatori sui temi perseguiti dagli organizzatori.
Per sgomberare il campo da equivoci discorso diverso e' essere contento nel vedere pubblicate mie foto sulla rivista preferita. Qui' hai la soddisfazione di interagire con persone che stimi, i cui giudizi negativi o positivi che siano, per te sono importanti
Cordialita'
Danilo Giuso

VitaPotenziale2.0 ha detto...

Il sonno della ragione genera mostre.

Giancarlo Parisi ha detto...

Alcuni concetti espressi da Eugenio Sinatra sono interessanti. In particolare mi interessa il discorso sul "tipo" di mostra.

Perchè arrivare a fare una mostra di spessore, sponsorizzata da determinate istituzioni e con la presenza di critici di spessore non è cosa da tutti, e sebbene possa succedere per la "follia" di un critico le probabilità che si realizzi una mostra del genere per un "ciofeca" sono molto, molto inferiori a quelle relative all'organizzazione di una personale di provincia.

In tal senso, le mostre autoallestite e quelle allestite nell'ambito di circoli fotografici non hanno molto di diverso, nella loro essenza, rispetto la ricerca di consensi che avviene sui vari portali internet, con tutto il lecchinaggio che ne segue: guai ad avanzare critiche!! Ed ancora, ammesso che io abbia un bel qualcosa da raccontare con un bel progetto fotografico, se lo esponessi in una bella mostra al mio paese al 99,99% non verrebbe capito, quindi etichettato come becero.

Fare una mostra significa anche e soprattutto scegliere dove mostrare e a chi, per evidenza di cose. Rieferendomi ancora al mio Paese, mi chiedo perchè nessun noto fotografo abbia mai chiesto di esporre, o perchè l'amministrazione comunale non abbia mai invitato ad esporre qualche noto fotografo. Proprio non capisco! :-)

Anonimo ha detto...

Quando parlo di pubblico non intendo numeri cioè quanti la verranno a vedere ma parlo della qualità che gli si riserva, come ho già scritto nei commenti precedenti, proporre mostre di dubbio spessore e altre con un certo "valore" senza alcuna distinzione legate dal semplice fatto di "essere delle mostre" porta la il livello culturale della fotografia a perdersi dentro le stesse esposizioni.
Quello che ha detto Giancarlo è molto interessante e sotto certi aspetti un amara verità anche al di fuori del suo paese...tragicamente ironico.

FOTOCLUB LUCINICO ha detto...

E' una domanda che personalmente, l'ho sentita fare in tutt'Italia e che, francamente, non l'ho mai capita.
Il bello è che uno potrebbe pensare sia una domanda tipica del mondo amatoriale, invece, la stessa viene fatta anche nel mondo di quelli che si ritengono "affermati o arrivati" (dove??? chiedo io...) e dei professionisti.
La riflessione di Sandro non è nuova neanche da noi a livello di associazione; quante volte abbiamo almeno tentato di affrontare l'argomento, quante volte qualcuno di noi ha sempre sostenuto che "sul muro ci sei tu" e che se hai appeso qualcosa devi essere pronto a ricevere tutti i complimenti, ma anche un sacco di "pomodori marci".
Ritengo che non è il numero di mostre che sia importante, quanto la qualità di ciò che si espone. Qualità diverse se vogliamo in base a quella che sarà la finalità della mostra che andremo ad allestire.
Provo a fare un esempio: se allestiamo una mostra storica sulla prima Guerra Mondiale, penso che la devi allestire cercando di creare dei percorsi, quali ad esempio, il susseguirsi delle azioni di guerra nel tempo, un confronto del paese prima e dopo la guerra, ma le foto non te le puoi inventare, devi solo metterti a cercare in giro per trovare una foto che magari era rimasta sepolta sotto un metro di polvere dentro un cassetto abbandonato in soffitta e cercare di trovare qualcos'altro per rendere ancora di più stimolante l'esposizione.
Diverso è il discorso di quando pensiamo ad allestire una nuova mostra. Come ho sempre sostenuto lì bisogna invece impegnarsi di più al fine di arrivare ad un risultato di un certo livello e non appendere quattro foto e basta.
Certo, si può anche dire che all'interno di un'associazione non sono tutti uguali da un punto di vista fotografico; c'è chi ha più esperienza e chi non ha mai stampato una foto 20x30 in vita sua.
A maggior ragione, quelli che hanno più esperienza la devono travasare sugli altri, solo così si può tentare di crescere come singoli e come associazione. Visitare mostre aiuta a capire tante cose, abituarci ad osservare in giro a "sentire" quello che ci circonda ci aiuta molto a migliorare.
Quante volte vi ho detto andate a vedere cosa succede in giro per l'Italia, ne vedrete delle belle.
Mostre che fanno raddrizzare i capelli ad un persona riccia o mostre che non sai neanche cosa dire perchè ...non c'è niente da dire.
Enzo

FOTOCLUB LUCINICO ha detto...

Ritengo che le mostre fotografiche di autori di valore come le ultime che ho visitato (Bresson, Newton, etc) siano molto stimolanti,
quando esco dalla mostra mi sento contento, appagato e gratificato. Certo sto riferendomi ad un alto livello fotografico,
ma non e' forse questa l' utilita' di un esposizione fotografica?
Credo che frequentare eventi di questo tipo non puo' che far crescere la cultura visiva, e stimolare la voglia di scattare qualche
foto decente.
Quanto alla domanda quante mostre hai fatto? rispondo che non credo sia obbligatorio fare una mostra se non hai niente da
dire. I muri delle sale espositive sono gia' pieni di scatti insignificanti....
Personalmente prima di poter anche solo pensare ad una eventuale mostra bisognerebbe prima chiedersi, le mie foto valgono
qualcosa? o semplicemente hanno qualche cosa da dire ?
credo che le mostre " amatoriali" (che brutta parola) siano comunque un' occasione per passare una bella serata
e divertirsi parlando di fotografia (a proposito avete notato che alle mostre ci sono sempre le stesse facce?)
l' importante e' non prendersi troppo sul serio!

saluti daniele

FOTOCLUB LUCINICO ha detto...

Andare a visitare mostre di autori famosi serve sempre, soprattutto per imparare ad osservare e "leggere" un'immagine e cercare di capire come, magari con due cosette quasi insignificanti, si riesce a trasmettere delle sensazioni nel visitatore.
E' qui sta il bello, cioè, come ha scritto Daniele, visitare queste mostre serve anche per "...stimolare la voglia di scattare qualche foto decente".
Molti, invece, all'uscita di queste mostre ragionano all'incontrario quasi a dire: "mi è passata la voglia di fotografare, non riuscirò mai a fare una foto come questa". SBAGLIATO!!!
E' proprio da un'osservazione attenta di quelle foto che possiamo trovare gli stimoli per scattare qualcosa di valido. Certo, non si può pretendere di fare tutto in 5 secondi, ma almeno provare a cominciare, se non altro, a pensare a cosa fare.
Parlando in giro, qualcuno dice di non conoscere bene le tecniche, i vari pulsantini che ci sono nella sua macchina fotografica.
"E chi se ne frega della tecnica", ti viene spontaneo rispondere.
Hai un'idea, parti da lì e poi vai a studiarti come realizzarla, se non sai come fare.
E qui entra in ballo il fatto di far parte di un'associazione; parlando con gli altri, una o più risposte di tipo tecnico, e non solo, salteranno fuori, ma alla fine sei sempre tu che deciderai cosa, come e quando scattare.
Voglio poi far vedere le mie foto???
Bene, cominciamo a far vedere un prototipo a qualcuno per sentire le prime opinioni, le recepisci, le mediti, poi usi il tuo cervello e continui a lavorarci sopra fino ad arrivare al prodotto finito possibilmente frutto di un lavoro pensato in precedenza.
Tra l'altro bisogna anche capire di dimezzare i tempi davanti ad un PC a giocare con Photoshop e parlare di più con la gente e chiedere i loro commenti, seri, non quelli decisamente banali che si leggono in internet per poter migliorare.
Ci sono autori che hanno foto pubblicate su Flickr, ad esempio, ma poi in separata sede ti chiedono un commento scritto alle loro foto.
Come mai ne ho già dati diversi e da alcuni mi sono sentito rispondere "non ci avevo pensato..."
Quindi, chiunque di noi ha un cervello da utilizzare, basta togliere le ragnatele e la polvere dalla scatola cranica.

Condivido questa frase di Daniele: "non credo sia obbligatorio fare una mostra se non hai niente da dire. I muri delle sale espositive sono gia' pieni di scatti insignificanti....."
Il numero di mostre fatte a cosa serve??? solo per aumentare il tuo curriculum??? Se non hai fatto cento mostre cosa significa??? che non sei nessuno???

Interessante anche questo spunto per riflettere: "...prima di poter anche solo pensare ad una eventuale mostra bisognerebbe prima chiedersi, le mie foto valgono qualcosa? o semplicemente hanno qualche cosa da dire?"

"credo che le mostre " amatoriali" (che brutta parola) siano comunque un' occasione per passare una bella serata e divertirsi parlando di fotografia..."
Già, brutta parola, perchè le mostre "amatoriali" in certi casi sono meglio di quelle fatte da tanti "presunti" professionisti, così definiti solo perchè hanno la partita IVA, non perchè sanno usare le attrezzature o hanno delle idee da sviluppare.
Il fatto di essere "fotoamatori" che, se letto bene, è positivo e non negativo, cioè "amanti della fotografia" non significa che tutte le mostre "amatoriali", siano da buttare, anzi.
Bisogna capire a chi, prima di tutto ti vuoi rivolgere e poi tarare il tutto. Non si può far leggere un saggio universitario ad un bambino che ha iniziato ieri la prima elementare (ops, non si chiama più così...). A quel bambino farai leggere e vedere cose che vanno bene a lui, poi crescendo si arriverà al testo universitario. Non so se mi sono spiegato.
Condivido il pensiero di Daniele che sono comunque delle occasioni per parlare di fotografia.

Salutoni.
Enzo

FOTOCLUB LUCINICO ha detto...

il mio riferimento a non prendersi troppo sul serio e' rivolto a quei fotografi o fotoamatori che magari
per il solo fatto di aver esposto delle foto si sentono gia' "arrivati" o peggio ancora "artisti"....
un po' di leggerezza ed ironia non guastano mai.....
citando scianna : "dopo quarant' anni mestiere e di riflessione sono arrivato alla convinzione
che la massima ambizione per una fotografia e' di finire in un album di famiglia."....

saluti daniele

FOTOCLUB LUCINICO ha detto...

Mostrare è sinonimo di esibire. Mostra uguale esibizione. Non sempre un'esibizione si pone come obiettivo quello di dire qualcosa agli altri, ma anzi spesso, l'esibizione si trasforma in puro esibizionismo fine a se stesso. Se poi a ciò aggiungiamo anche un altro aspetto deteriore che è quello di far introdurre l'esibizione da una recensione cosidetta autorevole, ma che ha il solo scopo di dare al lavoro mostrato un significato che nessuno riesce a vedere se non dietro suggerimento, il gioco è fatto.
Io credo che abbia ragione Daniele quando dice che i muri sono pieni di foto insignificanti, però è anche vero che una foto insignificante possa servire a capire come si può fare una foto che abbia un significato. Mi viene da dire che senza foto brutte non ci sarebbero neanche foto belle oppure, detto in altro modo, le foto ben fatte si riconoscono mettendole in rapporto a quelle fatte male.
Tornando all'oggetto del contendere e cioè se e quando vale la pena di esibirsi in una mostra, credo che la domanda sia puramente retorica. La risposta è se e quando ci sentiamo pronti a dire qualcosa agli altri attraverso le nostre immagini. Ciò non vuol dire che riusciremo realmente a dire qualcosa ma già il fatto di volerci provare costituisce un buon esercizio, ovviamente sempre che, come dicevo all'inizio, il tutto non venga ricondotto a pura esibizione.

felice

Giancarlo Parisi ha detto...

Condivisibile l'intervento di Fotoclub Lucinico che mi dà spunto per una piccolissima considerazione.

Anche io, quando esco dalla mostra di un noto fotografo, mi sento appagato; ricordo la bellissima sensazione di due anni fa quando uscì dalla MEP a Parigi: avevo finalmente visto dal vivo quel che fino ad ora avevo solo visto su libri, riviste e internet... Bello!

Ma con il tempo e l'esperienza ho maturato una consapevolezza: se mi trascinassero a vedere una mostra di un famosissimo fotografo, del pari di Bresson ad esempio, ma che NON conosco e del quale non mi dicessero nulla prima di vedere la mostra, avrei la stessa reazione? Magari riconoscerei la validità di quegli scatti, ma li classificherei allo stesso modo? Darei loro la stessa riverenza?

Il perchè di questa considerazione si spiega, ancora una volta, nel peso della cultura dell'immagine e del modo in cui il potenziale pubblico di una mostra si approccia ad essa. Il che, ancora, si ricollega alla "selezione" a monte della mostra, relative al "come, chi, perchè" la vedrà.

Salvatore Ambrosi ha detto...

Un mio amico pittore, col quale mi complimentavo per il successo della sua mostra, che aveva ottenuto un notevole numero di visitatori e di consensi, rispose: Ma quale successo... non ho venduto neppure un quadro.
E' chiaro che ognuno è libero di
fare tutte le mostre che vuole nell'illusione di essere un artista, tanto più grande quanto maggiore è il numero dei righi del suo curriculum, ma osservando onestamente che le opere fotografiche non si vendono come il pane, ma nemmeno come i grissini, quale è il metro per valutarne il successo o l'insuccesso ?

Adriano ha detto...

Il concetto di competizione legato ai concorsi mi pare anche peggiore di quello legato alle mostre.

Luca L. ha detto...

Sandro, in questo momento sono totalmente in linea con lo spirito del tuo articolo, talmente in linea che non scatto da quasi 4 mesi, perché mi sono reso conto che non avevo nulla da "raccontare", né da esplorare. Ho guardato le mie foto degli ultimi due anni, sia le "istantanee" che quelle più progettuali e pensate, e mi sono reso conto che in realtà non avevo saputo (potuto?) illustrare niente di quel che volevo.
E allora, macchina al chiodo, e periodo di riflessione. Poi ti capita che proprio in un periodo così, un amico fotografo nonché regista in erba mi viene a chiedere se voglio partecipare ad una mostra "collettiva", con altri 2 fotografi amici suoi.
Gli ho risposto semplicemente che non ne vedevo il motivo, visto che non ero un fotografo :D

Luca Andrini fotografia ha detto...

sei veramente un grande uomo, Sandro! l'editoriale di questo mese mi ha aperto veramente la testa: ne avevo bisogno ( sento la pressione stupida anche io della competizione). E' un po' di tempo che mi sento sconfortato dalla pressione dell'...autocelebrazione che ci induce più verso una guerra che verso una crescita e questo mi rende triste! penso sempre che avrei bisogno di parlarne con qualcuno, tanto per capire da che parte bisognerebbe andare ,sempre cercando di rimanere onesti con se stessi e con ci ci osserva tramite le nostre fotografie! reputo che sia importante, specialmente all'inizio, improntare il discorso con noi stessi cercando di non cadere in tranelli inutili come il guadagno a tutti i costi o la mera mercificazione di noi stessi attraverso immagini sterili e inopportune! Sento che la strada è lunga e che la maturazione debba essere prima metabolizzata e poi condotta verso un linguaggio fotografico onesto e trasparente. ti ringrazio ancora per il tuo apporto fondamentale teso a tendere le mani verso tutti noi che pensiamo ( spero ) di amare la fotografia.

Zefram ha detto...

D'accordissimo.
Estenderei il concetto di base anche alle pubblicazioni sul web. Ormai troppi, ma veramente troppi "fotoamatori compulsivi" pubblicano nei vari siti e forum ogni nefandezza che esce dalla fotocamera.
Studio, autocritica, ponderazione e modestia appaiono come bestie rare in via di estinzione irreversibile.

Giorgio Cecca ha detto...

Se uno è onesto con sè stesso e con gli altri può fare tutte le mostre che vuole.
Certo, se uno è onesto con sè stesso avrà anche meno voglia di esporsi (al pubblico ludibrio?).

Partecipare a piccole mostre, soprattutto per chi è alle prime armi, può essere fonte di gratificazione e di incoraggiamento per chi comincia a dimostrare una qualche inclinazione.

Una mostra può essere l'unica occasione in cui il fotoamatore costringe sè stesso ad una cernita. Se la mostra è una collettiva può essere l'occasione vera di confronto.

Poi man mano, si dovrebbe crescere...

Penso ci siam passati quasi tutti.
Purtroppo tocca far da sè, tocca autoeducarsi, per la maggioranza degli appassionati.

Anonimo ha detto...

si probabilmente il 90 % delle mostre sono inutili (e non parlo solo di fotografia). Mi piacerebbe invece capire se c'è un ritorno economico, questo giustificherebbe la smania di fare una mostra.

About A Photo ha detto...

E' terribile parlare e non dire niente, fotografare e non vedere... è la paura di tutti noi...
Complimenti per l'umiltà, davvero

Maristella Campolunghi ha detto...

Sono tra quelle persone che ritengono che ognuno ha un percorso da compiere.
Ogni individuo ha un passo personale quindi, a volte, c'è chi raggiunge la meta con solo tre passi e chi ne deve compiere ventitré.
Per semplificare il discorso credo che si debba avere il coraggio di presentare le proprie fotografie. Un lavoro espresso al meglio in quel momento della propria vita ed esporsi a commenti.
Solo così si cresce.
Così si può capire, riflettere e prendere coscienza di ciò che si è.
Una mostra serve per mettere un Punto. Serve a terminare un percorso e a iniziarne un altro.
Se chi ha poca stima di sé e del proprio lavoro non si espone non lo conosceremo mai e forse avremo perso qualcosa.
Quando una immagine colpisce non ti domandi "di chi è" ma ne godranno prima il cuore, gli occhi e solo in un secondo momento appagherai la tua curiosità nel conoscerne l'autore.
Nel frattempo il fotografo sarà cresciuto e tu con lui poiché avrete condiviso un sentimento.

Giancarlo Parisi ha detto...

Mariastella, sei assolutamente convinta che una mostra sia il luogo migliore per ricevere dei commenti e crescere?

Maristella Campolunghi ha detto...

Ovvio che no! Anche le rivoluzioni hanno cambiato forma di aggregazione. E' la storia moderna delle ultime settimane che lo insegna!
Penso alla fotografia anche come una espressione artistica. La sua presentazione ad un "pubblico" è un modo per esprimere il proprio pensiero. Non interessano i giudizi in sé. Può piacere o non piacere. Qui il discorso è ampio, quindi sorvolo.
Posso suggerirti di pensare ad un cantante?
Un cantante organizza i concerti per esprimere la sua musica.
Potrebbe benissimo incidere un cd e metterlo su di uno scaffale o regalarlo agli amici.Ed invece...
Cosa c'è di meglio di una scarica di adrenalina pura?!

Giorgio Cecca ha detto...

Concordo con Maristella e ribadisco: non c'è nulla di male se si ha il senso delle cose, se si rimane con i piedi per terra.

Tornando al paragone con il musicista, è imprortante per la propria crescita anche la tournée del nordbarese purchè non ci si senta, per questo, uno dei Fab Four.

Giancarlo Parisi ha detto...

Si Mariastella ma tu tralasci un passaggio fondamentale: l'autocritica!

Il vero artista, colui che segue davvero un percorso euristico, nella fotografia e nelle arti in genere, se ne infischia se il suo lavoro non piace, perchè è suo! Ecco che la mostra diventa davvero un momento di presentazione ma non di richiesta di pareri in funzione di una crescita, non direttamente almeno (nel senso che la crescita artistica personale è comunque data dall'insieme delle esperienze di vita, mostre comprese).

Quindi fare una mostra va bene, con il coraggio, talvolta, di superare la propria timidezza, ma con il giusto spirito che non è quello di cercare pareri sul proprio lavoro allo scopo di crescere. Il senso vero di una mostra è il mero mostrare, far vedere, il che senz'altro indurrà i fruitori ad esprimere dei giudizi, ma non è per quei giudizi che si dovrebbe mostrare.

Alla luce di tale ragionamento si dovrebbe comprendere il senso dell'editoriale: se non hai nulla da mostrare che mostra fai?

Anonimo ha detto...

Io faccio fotografie da quando avevo 16 anni , non sono un fotografo e neanche un fotoamatore , penso che l'essenza della fotografia sia come dice wim wenders :"attraverso il mirino colui che fotogrfa può uscire da sè ed essere dall'"altra parte" , nel mondo , può meglio comprendere, vedere meglio,sentire meglio, amare di più.

fotografare è una cosa che si fà quindi prima di tutto per sè stessi . io le foto le faccio vedere solo a chi me lo chiede , ma me lo deve chiedere più di una volta .
Vado vedere da sempre tutte le mostre fotografiche mi è possibile sia di grandi fotografi, o presunti tali , sia di principianti balbuzienti , e in entrambi i casi molto spesso mi chiedo chi e perchè puo averli spinti se non la smania del famoso quarto d'ora di celebrità o un contorto onanismo mentale .io per precauzione continuo a gurdare da solo le mie foto e a farle vedere solo agli amici senza per altro perdere neanche un bricilo della passione che mi ha portato quaranta anni fà a cominciare a guardare il mondo da un rettangolino e a dover giustificare tutto lo spazio all'inerno di esso .

Giancarlo Parisi ha detto...

Onestamente non capisco il tenore di questo intervento di "anonimo". A parte la contraddizione tra l'affermare di non essere un fotoamatore e quella di continuare con la stessa passione dell'inizio. Ma il fotoamatore non è colui che ama la fotografia? E nell'amore non c'è passione?

A parte questo e a parte gli apoftegmi, ciò che emerge da questo intervento è una sorta di aprioristica avversione verso le altrui mostre, caratterizzata da un velo di presunzione a sua volta dettata dal timore (che l'autore maschera con il termine "precauzione") del confronto.

Ribadisco che la mostra non è necessariamente un momento di confronto, ma può benissimo essere dettata dal desiderio del quarto d'ora di celebrità, ma attenzione a non generalizzare.

Anonimo ha detto...

giancarlo , (se posso darti del tu ?) guarda che ti sbagli io non emetto ne enuncio nessuna sentenza , me ne guarderei bene ! Io cerco solo di testimoniare quanto sia difficile oggi trovare in italia una mostra fotografica di un livello artistico rilevante , e sopratutto innovativo .a fronte di recensioni dove qualsiasi cosa appesa a un muro la si descrive come "poetica" trascendentale e via dicendo , ma siccome la poesia è da sempre merce molto piu rara di quello che si pensa forse sarebbe meglio lasciarla ai poeti, (tutti i poeti, quelli che usano la parola, quelli che usano le immagini , quelli che usano il corpo e via elencando ), che come disse moravia ai funerali di Pasolini , ne nascono 3/4 in un secolo in un paese come il nostro .
Io poi non mi definisco fotoamatore perchè ritengo che i vari circoli di fotoamatori sparsi in giro per l'italia sono i veri responsabili della arretratezza della nostra fotografia , sempre intenti a organizzare competizioni, gare , gigantesche mostre collettive dove 2/3 autori meritevoli ne giustificano una ventina impresentabili solo per tenere aperto il circolo, e per organizzare corsi infarciti di tecnica , dove si parla troppo spesso di macchine fotografiche , carta , stampanti , pixel , e quasi mai di fotografia , di arte , di poesia , sono dei centri culturali dove la cultura non è mai entrata e si fà tutto il possibile per non farla entrare .

ciao alvaro

Maristella Campolunghi ha detto...

Sono più buone le f... fragole con la panna o quelle con il limone, con lo zucchero o senza zucchero, al naturale o gustate con un buon prosecco, quelle selvatiche piccoline piccoline o quelle di serra grosse e carnose?
Acc... c'è anche chi è allergico alle fragole.
A me le fragole non piacciono.
Bel problema!
però....

Maristella Campolunghi ha detto...

però...
oltre alle fragole ora avrei un altro pensiero non prettamente fotografico: l'importanza della pratica dell'ascolto. Anzitutto dell'altro, perchè l'ascolto, meglio espresso la consapevolezza portata alla parola dell'altro, facilita molto la comprensione e il dialogo..
Detto ciò, che non vuole essere una "enciclica" vorrei chiedere a Giannicarlo di rileggere con più attenzione a quanto scritto precedentemente.
Non parlo di giudizio, ma di confronto. Di scambio di incontro. L'accogliere e il fermare.
Mi "espongo" per dire quello che "penso" fino a quel dato momento. Lo condivido. Per gloria, per voglia di protagonismo, per desidero di farmi sentire... forse ma anche.
Mi espongo per mettere "un punto" al mio processo interiore.
Oggi sono arrivata qui! Domani avrò altri tipi di esperienze, avrò incontrato te e molte altre persone e quindi avrò un approccio nuovo con il mondo esterno.E allora avrò altro da dire.
L'artista esprime il suo mondo ma non è sordo. Elabora quello che vede, che sente, anela, agogna, percepisce.
Certo, come hai fatto notare, non esistono solo "le mostre" ci sono molti altri modi per far vedere le proprie immagini. E chi lo nega!
Ben vengano tutte le esperienze purchè si continui a far fotografie... anche se poi lasciate nei cassetti o fatte vedere a qualche amico. Qui si parla di scelte personali e non possiamo sindacare sul desiderio del singolo individuo.

Non conosco le realtà dei circoli, ma sono certa che essere promotori di iniziative può recar giovamento a tutti. Quindi esorto il nostro amico Alvaro a prendere le sue fotografie e a parlare della sua poetica, sono certa che troverà qualcuno disposto ad ascoltarlo.
Prova...

Giancarlo Parisi ha detto...

Ciao Alvaro, in questi termini le tue idee sono molto più chiare e mi trovano completamente d'accordo.

Danx ha detto...

Vorrei scrivere alcune cose ma preferisco dirti che sei un grande!