martedì 17 gennaio 2012

Il piacere della radio

Giampaolo Musumeci e Riccardo Poli nella redazione di Nessun luogo è lontanoRadio 24 mettono
a punto gli ultimi dettagli della scaletta della trasmissione pochi minuti prima di andare in onda.
Devo ammettere che quando mi chiamano a dire qualcosa in radio mi diverto un bel po'. E per parecchi motivi. Il primo probabilmente è che mi piace la radio in quanto strumento di comunicazione, con tutta la libertà che concede alla fantasia dell'ascoltatore di immaginare e ricostruire gli scenari che gli vengono proposti. Il tutto corredato, in genere, da tempi di riflessione che la televisione ci ha fatto dimenticare. In secondo luogo l'aspetto piacevole per quanto mi riguarda è che per una volta tanto stai contribuendo a realizzare un prodotto professionale senza averne la responsabilità diretta. Il che significa che ti puoi affidare al conduttore e lasciarti andare limitandoti a fornire il tuo contributo avendo come unica preoccupazione quella di allineare le parole in modo che risultino comprensibili. Per quanto mi riguarda c'è poi anche un aspetto neanche troppo velatamente edonistico relativo al riascolto della mia stessa voce nel ritorno in cuffia. 
Nello studio di Radio 24 durante la diretta del 2 gennaio 2012 di Nessun luogo è lontano.
© Giampaolo Musumeci. 
Come credo capiti a molti, se non addirittura alla maggioranza, ho un pessimo rapporto tanto con con la mia immagine quanto con la mia voce. Tanto che mi risulta  quest'ultima mi risulta assolutamente sgradevole nella quotidianità e la sua sopportazione deriva solo dall'impossibilità di confrontarmici a meno di non scegliere il mutismo come opzione di vita. Ancor peggio quando si tratta di riascoltarla in forma registrata. Lì credo di sfiorare il patologico nel rifiuto totale della possibilità di riascoltarmi. Per questo riesco a stupirmi ogni volta che mi capita di transitare per una radio per il miracolo messo in atto  dagli ingegneri del suono che mi restituiscono in cuffia una voce piena e arrotondata a suon di compressori. La percepisco talmente differente da come sono abituato a sentirla che alla fine riesco a trovarla gradevolmente rassicurante fintanto che mi trovo in studio. Altro fattore fondamentale per rendere piacevoli le escursioni radiofoniche è il rapporto che si crea con il conduttore. In questo devo dire di essere stato sempre piuttosto fortunato incontrando persone come Francesca Vitale di Radio RAI o Giampaolo Musumeci di Radio 24 con le quali si è creato un rapporto di stima e fiducia che ha consentito di trasformare un impegno di lavoro in un momento di divertimento intelligente. A completare il quadro c'è poi indubbiamente la scelta degli argomenti e il modo in cui vengono trattati. E ancora un volta nella mia limitata esperienza posso dire di essere stato molto fortunato. Tutto questo per dire che anche partecipare alla trasmissione del 2 gennaio di Nessun luogo è lontano, il programma di Radio 24 dedicato ai grandi avvenimenti internazionali, è stata un'esperienza quantomai piacevole. La puntata era dedicata agli Sterotipi africani e si proponeva di analizzare attraverso testimonianze sonore in quale modo si forma l'immaginario collettivo degli occidentali sull'Africa, sottolineando quanto questo sia spesso lontano dalla realtà dei fatti. Per quanto mi riguarda il mio piccolo contributo è stato relativo all'impiego della fotografia, in particolar modo di quella giornalistica per effettuare il racconto del Continente Nero. Un racconto che molto spesso prescinde dalle testimonianze di chi vi è nato e ci vive, ma si affida alla lettura di chi viene da fuori, con tutte le conseguenze, spesso fuorvianti del caso. Per chi fosse interessato, la puntata può essere ascolta dal podcast di Radio 24 oppure utilizzando il player presente a questo indirizzo (una volta aperta la pagina scorrere in basso e cliccare utilizzare l'ultimo player seguendo le indicazioni con il nome e la data della puntata).

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2 commenti:

Stelassa ha detto...

In Africa ho vissuto buona parte della mia infanzia e ancora la ricordo con gli occhi di una bambina. La percezione che invece ne ho oggi attraverso la fotografia e, più estensivamente, il giornalismo, ha solo in parte a che vedere con le immagini e le storie che mi sono rimaste impresse. Il mio punto di vista era inoltre "privilegiato" perchè mio padre vi operava come medico, pertanto ho avuto modo di confrontarmi più direttamente con alcune realtà: credo di aver "visto" di più attraverso i suoi racconti che in centinaia di fotografie di reportage, che come giustamente osservato si concentrano prevalentemente su certi stereotipi (sia nelle forme che nei contenuti). Certo, quello che è stato nel tempo detto con le parole e le immagini è accaduto, però c'è una complessità - che è una ricchezza e anche una bellezza - che è davvero un peccato si perda in favore quasi esclusivo dei temi di maggior peso. La denuncia/racconto di fatti e problematiche indubbiamente esistenti e importanti non rende giustizia a una cultura, anzi a decine di culture così diverse e degne di un'attenzione più rotonda. Il problema forse è se questo interesse esista davvero: e intendo quello più profondamente umano, oltre a quello storico-politico o sociale che pare essere la matrice più ampiamente esplorata e che paradossalmente finisce con l'allontanare lo spettatore perchè si propone sempre con gli stessi codici. E' come se ci fosse una divisione in compartimenti stagni tra due filoni: guerre, ingiustizie sociali, sangue e povertà da un lato, il tutto documentato con le immagini di cui parli. Il resto diventa nella percezione comune una specie di scarto di quella che mi viene da chiamare "materia da Superquark", ovvero la fetta più attinente agli aspetti etnico-culturali. Ciò che non è curioso/esotico/insolito, la vita vera di tutti i giorni e di tutti i posti, quella della sadza cucinata sul falò, seduti sulla terra rossa... che fine fa? Interessa a qualcuno? Quello che critico non è soltanto il modo (stereotipato, abbiamo detto) in cui questi due mondi vengono rappresentati, ma anche la mancanza di un vero nesso, una continuità circolare tra le due cose. Che non sono due cose, ma sono la stessa! E' questo che secondo me non viene percepito: c'è come uno scollamento all'interno dell'identità percepita di un intero continente.
Immagino/spero che ci sia stato o ci sia più di un tentativo di superare il problema, magari potrebbe essere utile ampliare il discorso trovando qualche esempio di "voce fuori dal coro", per lo meno in fotografia.

Giampaolo Musumeci ha detto...

tutto condivisibile. è il retaggio colonialista o neocolonialista, fatto di arroganza intellettuale e miopia di noi bianchi quando ci approcciamo all'africa. o nella migliore delle ipotesi, di benevola commiserazione. cmq il ragionamento vale per tutta la realtà che viene raccontata attraverso semplificazioni e riduzioni giornalistiche o mediatiche (anche quella italiana). è un problema di economia in senso lato. economia di attenzione del lettore/ascoltatore, per esempio. che se gli parli di africa per due puntate di seguito, ti scrive: "ancora i negri?!"