giovedì 17 gennaio 2008

Nelle camere obscure di Abelardo




L’origine ideale dei lavori di Abelardo Morell è il concetto stesso di fotografia intesa come qualcosa che ha origine all’interno di una camera obscura, e si può far risalire a un’immagine del 1991, Lampadina, nata per offrire ai propri studenti un'illustrazione relativa al principio di funzionamento della camera obscura all’interno di una fotocamera.La macchina fotografica è sostituita da un banalissimo imballo in cartone aperto, con un obiettivo fissato su un lato con del nastro adesivo e una lampadina da 25W posta davanti all’obiettivo. Nel fondo interno della scatola di cartone si vede proiettata l’immagine rovesciata della lampadina. Il gioco dell’immagine, apparentemente semplice, è in realtà assai raffinato. Quello che mostra la fotografia è quanto sta accadendo all’interno dello stesso apparecchio che effettua la ripresa. Ma, Morell si inserisce all’interno del procedimento stesso di formazione dell’immagine fotografica. L’evoluzione scaturita da questa immagine, si concretizza nella serie che va sotto il titolo di Camera obscura. In queste immagini Morell porta semplicemente alle estreme conseguenze il proprio introdursi all’interno del concetto di camera obscura e di produzione dell'immagine fotografica. Dopo aver sigillato le finestre di una stanza con dei teli di plastica nera che impediscono alla luce di penetrare, Morell pratica, in corrispondenza di una finestra, un foro del diametro di circa un centimetro in uno dei teli, creando niente di più e niente di meno che un foro stenopeico che trasforma l’intero ambiente in una gigantesca camera obscura in cui l’immagine del mondo esterno viene proiettata a lati invertiti sulla parete opposta a quella in cui è stato praticato il buco. L’immagine, creata in questo modo, è poi ripresa con una fotocamera. Rispetto alla Lampadina del 1991 la fotocamera di Morell è ora anche fisicamente all’interno del processo stesso di creazione dell’immagine. Ne consegue un duplice livello di lettura, in cui la sovrapposizione dell’immagine del reale esterno creata dalla camera obscura sul reale concreto della stanza, si fonde in unicum con la visione dell’autore attraverso una seconda camera obscura, quella della fotocamera. Il tutto si sviluppa all’interno di una serie di rimandi circolari che evidentemente mettono in discussione l’idea stessa di fotografia non senza un certo senso dell’ironia.
Nei lavori più recenti, ispirati a questo stesso principio, Morell va ancora oltre portando la camera obscura all’interno di spazi museali e introducendo un ulteriore livello costituito dall’opera e dalla sua esposizione. Riassumendo quindi ci troviamo di fronte ad un’opera che porta in sé il processo creativo dell’autore, sul quale si sovrappone quello più o meno dell’allestitore dello spazio, cui si aggiungono la proiezione della camera obscura e l'interpretazione dell’autore Morell che si trova all’interno del processo creativo e produttivo di una nuova immagine e utilizza uno strumento, la propria macchina fotografica, che riproduce il meccanismo stesso della ben più grande camera obscura al cui interno l'autore stesso si trova.


Dall’alto:
La pagina dedicata ai lavori più recenti sul sito di Abelardo Morell.

Lampadina. © Abelardo Morell, 1991.

Camera Obscura Image of The Philadelphia Museum of Art East Entrance in Gallery #171 with a De Chirico Painting, © Abelardo Morell, 2005.









di Richard B. Woodward, ed. Phaidon, 2005




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11 commenti:

Unknown ha detto...

E' veramente un gran bel lavoro.
Mi fa tornare in mente come si possa ancora apprezzare il calore della luce e delle immagini prodotte attraverso la camera obscura, uno strumento che guida fisicamente la luce dentro di sè e la proietta rendendola percepibile ai sensi. Oggi siamo ormai abituati all'immagine elettronica che, pur rimanendo molto interessante per molti dei sui caratteri, non è fisica ma virtuale, manca della componente viva della luce diretta, cosa che nessun apparecchio elettronico sarà mai in grado di per sè di produrre.

Marco

Anonimo ha detto...

>Oggi siamo ormai abituati all'immagine elettronica che, pur rimanendo molto interessante per molti dei sui caratteri, non è fisica ma virtuale

Spiacente ma dissento.
La luce è luce e basta. Inutile ridisquisire qui i concetti detti e ripetuti da decenni nei circoli fotografici.
Ezio Turus

Anonimo ha detto...

d'accordissimo con Ezio. dovremmo essere noi "vecchi" nati con l'analogico a mitizzare la pellicola e la camera oscura che si forma quando si chiude il dorso della fotocamera, ed invece puntualizziamo insieme il concetto di luce, senza la quale non ci sarebbe immagine. Che forse interagire su PS con i livelli non significa entrare nello specifico dell'immagine che offriremo alla visione?
Avrei sorvolato perche' non mi interessano queste foto di arcibaldo o come si chiama, gia' questi esperimenti sullo "specifico fotografico" li hanno fatti Migliori, Mulas, Gioli e prima ancora ManRay. Continuiamo ad esaltarci per una prova, ripetitiva come qurgli alberidinatale tutti uguali, di uno che vuole fare arte con un piccolo esperimento per studenti di tecnica fotografica?
"arcibaldo entra nella camera oscura con la sua fotocamera, a sua volta fornita di un'altra camera oscura ecc ecc ecc.. ...troppa filosofia.
Mi chiedo che idea si possa fare della fotografia un giovane aa cui vengano proposti positivamente questi modelli. La fede negli effetti speciali funziona ancora a quanto pare.
vorrei sentire il parere di Ezio

Anonimo ha detto...

... certo che oggi pensare è una vera disgrazia. ti insultano puntualmente dandoti del filosofo, che in Italia dev'essere il mestiere considerato più inutile tra gli inutili lavori intellettuali. Improduttivo oltretutto.
poi ammettere che qualcuno sta facendo una cosa che costringe a pensare senza stordire, questo è davvero inaccettabile, almeno in Italia.
però è accettabilissimo cambiare sponda all'occorrenza pur di fare contestazione. questo pare essere un vero intento, anzi forse una "missione". sembra di essere in Parlamento.
nemmeno dove un post non porta in sé motivi di contestazione ma solo spunti di riflessione sulla fotografia in sé, con una proposta e un'occasione di vedere qualcosa che non si conosce, nemmeno qui si può essere onesti e dire quello che si vede senza dover dimostrare qualcosa?
in ogni caso, dalla mia profonda ignoranza, dico grazie a Iovine per questo post.

Anonimo ha detto...

e' proprio questo l'errore : non abbiamo bisogno di Iovine per cercare sul web milioni di fotografi nuovi.
Pero' quando lui ce ne propone qualcuno, e' gia evidente dal suo commento il rilievo che da' ad ognuno, e il giudizio positivo o negativo. Cio', mi dispiace Sandro, equivale a un plagio nei confronti di chi come questo che ha scritto per ultimo guarda e ringrazia , difende la liberta' di pensiero ma non pensa autonomamente e non accetta il libero pensiero degli altri. In Italia e' proprio cosi', che sia uno studente della Sapienza ?

:: haku :: ha detto...

Chi abbia letto la dettagliata ricerca di David Hockney (Il segreto svelato, Electa) sulle antiche tecniche dei pittori per riprodurre porzioni di realtà in modo più fedele e ingannevole (permettete il lecito gioco di parole) non può non rimanere affascinato dai lavori di Abelardo Morell. E non può non sorridere compiaciuto percependo la poesia del disvelamento che non altera il fascino della scena e continua ad attrarre in un pensiero che si specchia in se stesso.
E la presenza degli oggetti in scena pare accorta, mirata ad una suggestione più complessa e completa, che personalmente trovo molto teatrale e molto coinvolgente. Trovo anche ci sia un certo potere in queste foto, nel non far sentire il loro essere fotografie e nel dare allo spettatore l'illusione sconcertante di essere davvero all'interno della camera obscura. Forse di essere dentro ad una scena fatta di luce. Trovo abbiano qualcosa di sorprendente.
Fossi un fotografo mi piacerebbe averci pensato.

Anonimo ha detto...

era impossibile che la tua sensibilita' non si soffermasse a notare i particolare dell' arredamento interno delle sale usate come camera oscura . E' suggestivo infatti il particolare per esempio che il quadro di De Chirico sia collocato in maniera che il frontone sopra il colonnato si inscriva dentro lo spazio metafisico della piazza : l'apice e' sovrapposta quasi perfettamente allo spigolo dx del quadro.
Similmente, e' interessante che la cupola della chiesa si proietti su una parete doce e' appesa una litografia o forse un quadro forse della stessa chiesa.
ma che c'entra quella scaletta a forbice piedi piedi?
Il PROGETTO, come dite voi c'e' stato, lui ha pensato ad una cosa che trasmettesse queste sensazioni, e ben venga che tali foto possano emozionare qualcuno, oltre ad Haku, i gusti sono gusti.
Io ho il dubbio che le foto siano state ottenute proiettando delle immagini dentro una stanza, con un proiettore per diapositive.
La visione per altro di tutti gli altri portfoli di abelardo mi convince sempre piu' che ha voluto riprendere vecchi lavori di altri autori, quindi con poca originalita' li spaccia per ricerca con erre maiuscola. Se copiare e' pensare...

:: haku :: ha detto...

Concedimi, oratore, di non poter chiamare (parlo per me) "arredamento" quello presente in queste scene.
Nella cultura Fiamminga gli oggetti rappresentati minuziosamente nei quadri a olio (il primo ad arrivare in Italia fu un trittico di Van Der Goes per la famiglia Portinari, a Firenze) che sorpresero tanto i pittori Veneti e Toscani del nostro Quattrocento, avevano un valore legato ad una filosofia e da una estetica, non erano decorativi. La cultura Fiamminga è attraversata e condotta da uno sguardo sul reale a noi estraneo. Lo sguardo grazie a cui più tardi si svilupparono il pensiero e le opere di Vermeer e Spinoza: e Vermeer usava strumenti ottici per dipingere, mentre Spinoza dopo la scomunica decise di guadagnarsi da vivere come tornitore di lenti... anche dopo l'offerta di una cattedra universitaria.
Per tornare alle fotografie, dubito che il signor Morell abbia a disposizione un De Chirico con cornice identico a quello esposto al Museo citato in didascalia e se lo avesse si faticherebbe a capire il contorsionismo di andare fuori dal museo, fare una foto e poi proiettarla in una stanza. Per quanto concettoso e concettuale penso persino lui finirebbe per annoiarsi. Ma sarà forse un mio limite non accettare di esser costretta a diffidare fino a questo punto.
Per quanto riguarda la scaletta invece, trovo sia un elemento particolarmente importante per trasmettere quella dimensione di precarietà teatrale di cui volevo dire. La condizione dell'effimero còlto e reso persistente in un'immagine fissata, ma anche l'allusione al passaggio umano. Senza scala queste immagini sarebbero molto più estetizzanti e quindi sospette, e nel particolare caso del De Chirico, la scala oltre ad essere un elemento compositivo evidente, trovo sia uno, l'unico appiglio alla stanza come spazio reale. In tutta la serie a colori non è nascosto il gioco di piani, né quello di realtà e proiezione luminosa, nemmeno quando quest'ultima è ribaltata e l'illusione avrebbe potuto essere sfruttata in modo anche più accattivante. La scaletta mi dice: siamo in una sala dove è appena stato spostato qualcosa, dove è passato un uomo: è una traccia, come nel teatro un oggetto allusivo che racconta una scena che non verrà mai rappresentata in tutti i particolari, ma per segni. E mi dice anche siamo oltre il postmoderno e lo citiamo. Citiamo l'arte povera e il teatro. Citiamo almeno tre epoche (forse persino 5) in una sola immagine e con due soli oggetti... Quasi una sfida all'aritmetica.

Anonimo ha detto...

Scusate l'intrusione in un confronto di opinioni peraltro molto interessante.Guardando queste foto,lì per lì non mi raccappezzavo,poi ho letto l'articolo e si è acceso un flash perso nella notte dei tempi: mi sono ritrovata bambina, nel mio letto la sera, in camera buia al piano terreno. Le finestre oscurate da persiane lasciavano filtrare lamine di luce dell'illuminazione stradale. Sulla parete di fronte al mio letto vedevo proiettate le auto che transitavano sulla strada, come pure i passanti. Le auto si muovevano sul soffitto, capovolte, i passanti sulla parete ( o viceversa)a gambe in su e tutti in direzione inversa al senso di marcia. Mi pareva un miraggio e mi domandavo perchè non cadessero, mi piacevano moltissimo. Ogni sera aspettavo la magia...Molto più tardi, alle superiori, ho scoperto il perchè studiando l'occhio, la vista, e la magia è andata in frantumi. Queste foto hanno richiamato alla memoria con un po' di nostalgia quel gioco di bambina, fatto di niente....e pure in bianco e nero. Grazie Iovine!

Anonimo ha detto...

>vorrei sentire il parere di Ezio
Il mio parere, carissimo Eugenio oratore, conta ben poco.
La filosofia, in ogni caso, è una degna compagna della fotografia, specie se, come spesso si fa in questo spazio, si cerca di leggerla oltre l'apparenza dei pochi pixel messi qui a disposizione.
Il lavoro proposto da Iovine sulla camera oscura, oltre gli "illustri" già da te citati, può trovare molti altri adepti, per esempio, semplicemente sfogliando il sito del pinholeday, dove anche il mio vicino di casa triestino, Tommasoni, ha creato opere analoghe nella sua stanza, o dove abbiamo autori che girano su un camper con "buchino", al cui interno ci mettono un foglio di carta sensibile da impressionare.
Importante poi l'osservazione "infantile" dell'ultima anonima (ma costa così tanto firmarsi?, Solo per sapere a chi ci si riferisce) sull'immagine che ogni sera si formava nella sua cameretta (molto meglio della TV, vero?).
Non sarei così drastico riguardo le impressioni che farebbero in un giovane allievo queste considerazioni.
Come ho detto nel precedente intervento, "la luce è luce e basta". Cosa ci possiamo fare sta solo a noi.
ciao
Ezio

Anonimo ha detto...

Hai ragione Ezio e mi scuso. La mia infanzia è stata così, semplice e costruttiva, se vogliamo, molto ma molto serena e appagante. Grazie per il richiamo alla firma.Saluti
Gabri