«All’origine del pittoresco c’è la guerra e il rifiuto di comprendere il nemico. Ci sono fotografi che spingono alla guerra perché fanno della letteratura. Cercano un cinese che abbia l’aria più cinese degli altri e finiscono per trovarlo. Gli fanno assumere un atteggiamento tipicamente cinese e lo circondano di cineserie. Che hanno fissato sulla pellicola? Un cinese? Mai più: l’idea di cinese. Le fotografie di Cartier-Bresson non chiacchierano mai. Non sono affatto delle idee, ma le fanno venire a noi, senza volerlo. I suoi cinesi sono sconcertanti, poiché la maggioranza di essi non ha l’aria abbastanza cinese. Uomo di spirito, il turista si chiede come facciano a riconoscersi tra di loro. Io, dopo aver sfogliato l’album, mi chiedo piuttosto come sarebbe possibile confonderli, classificarli tutti nella medesima categoria. Restano uomini che si rassomigliano in quanto tali, presenze vive, tangibili, cui non sono ancora stati dati dei nomi controllati. Dobbiamo essere grati a Cartier-Bresson per il suo nominalismo».
Jean Paul Sartre
Tratto da Da Cina una Cina all’altra, fotografie di Henri Cartier-Bresson, 1955, citato in Obiettivo Ambiguo di Ferdinando Scianna, Rizzoli, 2001, pag. 20.
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2 commenti:
Infatti bisogna forse invertire l’approccio alle immagini : non contentarsi e limitarsi ad affacciarsi alla finestra del web, della cultura scritta o mostrata, del fotogiornalismo, e stare a guardare quello che passa. Invece decidere quello che si cerca, quello che si vorrebbe vedere e sentire emozionalmente, quello che si vorrebbe ci spiegassero.
Non e’ facile. Perche’ il mondo culturale, e ancor piu’ il mondo del web sono diventati un bene di consumo, un affare che risponde a regole di mercato e cerca di imporsi come modello sociale .
Capisco, credo di condividere, se l’ ho ben compresa, l’ intuizione cui fa cenno HAKU in altra parte del blog, a proposito di fiction e reportage. Cerco di spiegare un mio pensiero.
Da quando la tecnologia permette questo bombardamento, questa esposizione involontaria all’immagine ( foto sul web, mostre itineranti, mostre “murali” come quella di Basilico a Milano), l’interazione fisiologica tra segno e simbolo ( contenuti nell’immagine) – comunicazione tramite le immagini – e consumo visuale – ha generato uno stato di ascolto indifferente ( cito altri ), cioe’ acritico : non c’e’ pausa, non c’e’ intervallo fra uno stimolo visivo e l’altro, quindi non c’e’ tempo per assorbire e fare propri gli stimoli sensoriali, per integrarli a livello superiore e ricevere infine informazione costruttiva. Si perde tra l’altro forse anche la capacita’ di critica estetica.
Faccio un esempio parafrasando quanto gia’ scritto da uno autorevole : se un rumore improvviso irrompe di notte, durante il nostro sonno, allora ci svegliamo di soprassalto. Se pero’ abitiamo vicino una ferrovia, o una fabbrica attiva anche di notte, o in pieno centro storico non chiuso al traffico, il continuo brusio o schiamazzo fatto di sirene, sgommate, frenate brusche e clacson ecc diventa un rumore di fondo cui ci abituiamo dormendo della bella.
Non dovremmo permettere che tutte le immagini che desideriamo trovare, che cerchiamo per spiegarci delle cose ecc diventino un rumore in piu’ nel fracasso dell’offerta visuale contemporanea. Consumo visuale vorace, un mordi e fuggi della fotografia, dell’immagine e della informazione. A volte causa dei ritmi convulsi del mercato, a volte magistralmente voluto (da qualcuno, da lobbies, da partiti o...) per distogliere l’attenzione da questioni piu’ pressanti.
( Vi sembra coincidenza che mentre si parla di mondezza e finalmente tutti stiamo arrivando alla domanda : ma chi ha sbagliato? Ora ci ritroviamo tra i piedi lo scandalo (presunto) Mastella and wife, e ci si e’ dimenticati della mondezza? )
Questa perdita della pausa, dell’intervallo come prima definiti, educa male al consumo visuale, e rischia di diseducare chi credeva di avere idee chiare. Certo , perche’ la corsa frenetica delle immagini, come anche noi facciamo sul blog, continuamente ( ma benevolmente) sollecitati da Iovine a scervellarci e dire la nostra su argomenti subentranti e immagini affastellate)- dicevo questa corsa frenetica puo’ causare uno slittamento tra significante e significato, puo’ farcene carpire solo il contenuto connotativo, assumendolo come “ indizio fondamentale”. Laddove sarebbe tante volte utile cogliere invece l’indizio “fluttuante” , vale a dire il valore che compete alla sfera della semantica immaginifica : superare la banale barriera sensoriale e arrivare a quella cognitiva ed emotiva arricchendosi di denotazioni.
Quindi penso che forse sarebbe meglio che avessimo prima noi una dirittura, un indirizzo da ricercare, e poi indagare quello che nel mondo delle immagini corrisponde alle richieste della coscienza. Evitare che avvenga sulla nostra pelle lo slittamento di cui dicevo.C’e’ una guerra laggiu’? so che ci sono stati tanti morti, ma non cerco le foto dei morti, quelli sono tutti uguali, cerco quelle immagini che mi facciano capire come e’ arrivata la morte in certi posti, immagini per esempio che non mi diano solo “l’idea del morto sparato in conflitto geopolitico “, come “l’idea di cinese” - ma mi facciano vivere la sofferenza del singolo individuo che muovera’ la mia indignazione anziche’ rendermi assuefatto a scene truculente col rischio di considerare tutto con sufficienza. E’ anche questa una intuizione, una larva una sfumatura di concetto che non so rendere per ora a parole meglio di cosi’.
Le parole di Sartre sono molto centrate, rendono l'idea di ciò che si vede nelle foto di Cartier Bresson.
Allo stesso modo si rimane profondamente colpiti osservando le immagini di Steve McCurry. Quello che viene trasmesso dalle sue foto è proprio l'idea, i concetti caratterizzanti concentrati in un ritratto o una scena di vita di un certo posto. La famosa foto della ragazza afghana è sì un bel ritratto, ma negli occhi del soggetto sono raccolte tutte le idee che ci possiamo fare sulla sofferenza di quel luogo e dei suoi abitanti.
Questo è il salto di qualità che porta un bravo fotografo al livello superiore di grande fotografo.
Marco
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