Tokyo, 23 agosto 2007 - Una delle cose che mi colpiscono sempre ogni volta che metto piede in Giappone è il contrasto tra la raffinatezza della tradizione iconografica locale è la violenza nell’utilizzo delle immagini nella quotidianità. Dalla strada ai giornali ai semplici fogli pubblicitari che pubblicizzano le offerte della grande distribuzione, l’utilizzo delle immagini è caratterizzato da toni in cui l’impatto visivo viene costantemente accentuato. Il bombardamento di immagini è ovunque pesante e si accompagna ad una ritualità al limite dell’ossessione nella produzione di nuove immagini per mezzo di fotocamere digitali compatte e telefonini. Solo ieri pomeriggio nell’arco di uno spazio non superiore a cinquecento metri lineari mi è capitato di imbattermi in qualche decina di persone delle età più svariate che si ritraevano in pose e sfondi improbabili. Nell’imperscrutabilità della mentalità giapponese le motivazioni che spingono alla produzione di queste immagini sembra siano differenti da quelle cui siamo abituati in Occidente, dove un atteggiamento analogo ancorché molto meno compulsivo sarebbe giustificato solo dalla volontà di cristallizzare il ricordo del proprio passaggio in un luogo che non appartiene alla nostra quotidianità. In pratica il turista che vuole lasciare traccia e/o testimonianza del fatto che è realmente stato in un determinato luogo. Le persone incontrate ieri invece non potevano essere collocate certamente nella categoria turisti, vuoi per il discorsi che facevano, vuoi per l’inflessione che non denunciava provenienze differenti dalla stessa Tokyo, vuoi per l’abbigliamento e gli atteggiamenti posturali che denunciavano un discreta familiarità con i luoghi.
Altro aspetto interessante la ritualità che porta a replicare atteggiamenti che sembrano svolgere più una sorta di ruolo di rassicurante cementificazione sociale che altro.
Mi riferisco al fotografarsi mentre si mostra la mano raccolta con indice e medio distesi e divaricati. In pratica il movimento con cui in occidente indichiamo la vittoria e che invece per i giapponesi dovrebbe avere un significato in qualche modo connesso con un augurio di pace se ricordo bene spiegazioni di qualche anno fa. Altro aspetto interessante è che questo tipo di immagini non si concretizza solo nel gesto già citato, ma anche nell’assunzione di una postura che prevede un’inclinazione particolare della colonna vertebrale che produce una convergenza delle teste verso un ipotetico punto, grosso modo centrale all’interno della composizione, come a formare una simbolica cupola protettiva all’interno. L’immagine che ne deriva presenta quindi un baricentro centrale, un po’ spostato in alto, da cui deriva un forte senso di stabilità e unione che esprime in qualche modo a livello iconografico un fortissimo bisogno di coesione sociale.
Mentre scrivo la televisione trasmette i programmi del primo mattino, non troppo differenti per concezione da quelli che si possono vedere in Italia, quello che cambia è la forma. A parte gli improbabili sfondi messi dietro ai presentatori con i pesci che nuotano sullo sfondo della città, quello che colpisce è la sovrapposizione di segni e linguaggi che sembra mirare prevalentemente a negare le possibilità di interpretazione alternativa da parte dello spettatore.
Altro aspetto interessante la ritualità che porta a replicare atteggiamenti che sembrano svolgere più una sorta di ruolo di rassicurante cementificazione sociale che altro.
Mi riferisco al fotografarsi mentre si mostra la mano raccolta con indice e medio distesi e divaricati. In pratica il movimento con cui in occidente indichiamo la vittoria e che invece per i giapponesi dovrebbe avere un significato in qualche modo connesso con un augurio di pace se ricordo bene spiegazioni di qualche anno fa. Altro aspetto interessante è che questo tipo di immagini non si concretizza solo nel gesto già citato, ma anche nell’assunzione di una postura che prevede un’inclinazione particolare della colonna vertebrale che produce una convergenza delle teste verso un ipotetico punto, grosso modo centrale all’interno della composizione, come a formare una simbolica cupola protettiva all’interno. L’immagine che ne deriva presenta quindi un baricentro centrale, un po’ spostato in alto, da cui deriva un forte senso di stabilità e unione che esprime in qualche modo a livello iconografico un fortissimo bisogno di coesione sociale.
Mentre scrivo la televisione trasmette i programmi del primo mattino, non troppo differenti per concezione da quelli che si possono vedere in Italia, quello che cambia è la forma. A parte gli improbabili sfondi messi dietro ai presentatori con i pesci che nuotano sullo sfondo della città, quello che colpisce è la sovrapposizione di segni e linguaggi che sembra mirare prevalentemente a negare le possibilità di interpretazione alternativa da parte dello spettatore.
Dall'alto:
Tokyo, Shinjuku, le insegne di una sala di Pacinko, © Sandro Iovine, 2004.
Tokyo, Ebisu, ingresso di una sala di Pacinko, © Sandro Iovine, 2007.
Tokyo, Palazzo imperiale, © Sandro Iovine, 2004.
Tokyo, Palazzo imperiale, © Sandro Iovine, 2004.
Matsushima, foto ricordo di famiglia, © Sandro Iovine, 2007.
Tokyo, trasmissioni televisive del mattino, © Sandro Iovine, 2007.
4 commenti:
Il segno della V non dovrebbe stare a significare pace ma l'origine deriva dalla guerra dei 100 anni. Quando gli inglesi venivano catturati dai francesi questi tagliavano le dita della mano per evitare che i nemici potessero continuare a combattere scoccando frecce.
Tornando al discorso della postura, anche i cinesi hanno un comportamento molto simile e per certi aspetti forse peggiore. Oltre a scimmiottare i giapponesi facendo segno di vittori acon le dita di indentificano ancora di più con la massa occupando le stesse posizioni e che occupano tutti quando si fanno fotografare. Anche l'inquadratura è sempre la stessa. Davanti alla Città Proibita di Pechino fanno a turno per farsi fotografare sotto l'immagine di Mao. Al palazzo d'estate ( Yi He Yuan), sempre di Pechino, i cinesi si mettono in posa davanti al lago, tutti nello stesso punto. Probabilmente questo tipo di comportamento è frutto di un messaggio sociale che tende ad appiattire le individualità. Che porta nell'identificarsi con i propri vicini. Avendo notato questa cosa spesso mi domandavo: ma se due cinesi, uomo e donna, sui 30 anni si dovessero conoscere ed una sera decidessero di stare in casa e si mostrassero gli album dei ricordi, le uniche differenze nelle foto sarebbero le facce dei soggetti, perchè alla fine anche nel modo di vestirsi sono molto simili.
Nigula
Dimenticavo, quando gli inglesi tornavano a casa mostravano di avere ancora le dita facendo il segno della V. Scusate mi ero dimenticato di scrivere la fine della storiella :-)
Nigula
Mi affascina molto questo discorso sulle differenze culturali dell'uso dell'immagine che, essendo immagine, quindi un qualcosa di fermo e definito, mi verrebbe da pensare abbia un unico significato in tutto il mondo.
Ed invece no !
Spero che l'argomento venga affrontato da chi ha viaggiato più di me e quindi ha materiale su cui scrivere ...
Per quel che mi riguarda mi sono sempre chiesta, vedendoli in qualche città, cosa fotografassero sempre tutti insieme i gruppi di turisti giapponesi/cinesi.
Mi colpiva vederli scendere dal pulman, fare tutti la medesima foto e risalire di corsa ...
In Islanda una sera stavo gurdando l'aurora boreale, è arrivato il solito gruppo di giapponesi, sono scesci dal pulmino, hanno fatto un pò di foto e poi sono scappati ...
Io ero incatata davanti allo spettacolo della natura tanto da dimenticare di fotografare, quello spettacolo era comunque dentro di me, non mi interessava mostrarlo ad altri, non in quel momento che aveva qualcosa di spirituale.
Ma allora mi chiedo quale scopo abbia la fotografia in Giappone ... voglio dire, mostrare che ho visto o ricordare di aver visto ?
Un pò la differenza fra il turista e il viaggiatore, il primo è felice di tornare a casa per raccontare e mostrare foto e filmini, il secondo dimentica la casa e si immerge nella cultura locale, spesso, a me è successo, dimenticando di poter poi mostrare.
Insomma la differenza fra un'esperienza personale con valore di ricerca interiore ed un' esperienza impersonale con valore di mostrarsi agli altri ... un pò il male del nostro tempo forse, il voler mostrasri a tutti i costi.
Forse sono andata fuori tema ...
Saluti Sophia
P.s. scusate ma rileggendo mi rendo conto che scrivere che significato abbia la fotografia in Giappone non ha senso ... ha più senso scrivere che significato ha la fotografia ... perchè in questo senso tutto il mondo è paese.
Posta un commento