giovedì 29 novembre 2007

La fotografia nelle Università


Parlare di fotografia e Università è sempre abbastanza imbarazzante in questo magnifico Paese. La fotografia, parente povera di altre forma di espressione, ha sempre avuto poco spazio nelle Università italiane, fatte salve lodevoli e molto meno lodevoli eccezioni in qualche ateneo italiano. In ogni caso si è quasi sempre trattato di una materia secondaria intesa in modo prevalentemente umanistico e trattata per lo più alla stregua di un appendice a uno dei tanti insegnamenti storici disponibili. Le cose sono cambiate un po’ con l’introduzione delle facoltà di Scienze della Comunicazione dove però l’impianto rimane teorico pur spostandosi su speculazioni semiotiche. Uno dei pochi esperimenti di cui sono a conoscenza, anche per aver avuto il piacere di parteciparvi, rimane quello del Mifav dell’Università di Tor Vergata a Roma, dove sia pure con qualche improvvisazione inevitabile si era cercato di realizzare un percorso concreto di formazione multidisciplinare inerente la fotografia. Ma da quel giorno, al di là di informazioni sporadiche che mi sono giunte su qualche incontro o dibattito più o meno interessante o più meno trasformato in una passerella, spesso assai scivolosa, per il docente di turno, niente di davvero significativo. Mi fa piacere invece dedicare uno spazio al Seminario dell’Università di Palermo che con le facoltà di Architettura e Ingegneria, ha realizzato un percorso di quasi una settimana in cui la fotografia ha trovato applicazione nell’ambito di una ricognizione sul territorio. La fotografia insomma è entrata all’università come strumento e non in facoltà prettamente umanistiche, ma in luoghi dove la progettazione parte dall’analisi effettuata anche attraverso le immagini. Un gesto tutto sommato coraggioso da parte dei promotori che si sono preoccupati di creare un’esperienza vivace e reale, preceduta da una breve fase di formazione anche tecnica, per consentire agli studenti di operare al meglio pur non disponendo nella quasi totalità dei casi di conoscenze fotografiche particolari. I risultati potete valutarli nella piccola selezione di immagini che pubblichiamo nelle pagine dedicate da IL FOTOGRAFO al Seminario e alla mostra che seguirà questo mese a Palermo e Santo Stefano Quisquina. A seguire in questa stessa pagina il lavoro svolto dagli studenti che hanno seguito il corso dedicato al linguaggio del reportage che ho avuto l'onore di tenere. Avendo partecipato come docente e in qualità di responsabile de IL FOTOGRAFO, sento il dovere di esprimere un ringraziamento a tutti quelli che all’interno dell’Istituto universitario hanno voluto accettare la scommessa di introdurre la fotografia tra gli strumenti didattici, con la speranza che l’esempio non rimanga isolato e anzi possa venir seguito anche da altri atenei.
n.188 - dicembre 2007




LE MOSTRE

Palermo
Steri Chiaramontano
piazza Marina
18-22 dicembre 2007

Santo Stefano Quisquina
Biblioteca Comunale
29 dicembre 2007-6 gennaio 2008







Accaduto il lavoro svolto a Santo Stefano Quisquina in provincia di Agrigento (26 e il 28 settembre 2007) dagli studenti delle facoltà di Architettura e Ingegneria dell'Università di Palermo sotto la supervisione di Sandro Iovine nell'ambito dell'analisi del linguaggio del reportage all'interno del seminario L’architettura e l'immagine dei luoghi. Il lavoro si propone di analizzare il rapporto tra la popolazione di Santo Stefano Quisquina e l'acqua in un territorio straordinariamente ricco di questa risorsa al contrario della maggioranza della Sicilia. Le immagini sono state realizzate da Manuela Ciccarello, Maria Teresa Enna, Enrico Flores, Paolo Manzella, Alessandro Navetta, Francesco Paolo Testagrossa e Michele Tinnirello.





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13 commenti:

Anonimo ha detto...

Nelal facoltà di Scienze della Comunicazione di Sora, pur non addentrandosi nel campo tecnico, il corso del prof. Curtis su storia del cinema e dell'audiovisivo è ricco di approfondimenti sull'arte della fotografia, con particolare attenzione alla fotografia di Giacomelli.
A me è piciuto molto.

Pietro Ricciardi
www.comunedipignataro.it

Anonimo ha detto...

Sì, ma stiamo sempre parlando di un corso di storia del cinema e dell'audiovisivo in cui solo la buona volotà del citato professore fa rientrare la fotografia... a quanto sembra di poter capire... e siamo a Scineze della Comunicazione...

Anonimo ha detto...

Ho letto dell'esperienza su Il Fotografo, ho conosciuto, solo in foto, finalmente il dott.Iovine, ho visto alcune delle fotografie realizzate dagli studenti sui territori in oggetto. Quello che mi lascia molto perplessa è il fatto che in alcune facoltà, in particolare in Architettura ed inIngegneria, non si avverta il bisogno di approfondire il discorso fotografico. Secondo la mia modesta opinione, la fotografia dovrebbe diventare materia curriculare in determinate Facoltà (sto pensando ad una mia ragazza che sta facendo Archeologia, ad altre che hanno fatto Architettura, e a chissà quante altre facoltà, terminate le quali gli ex studenti, una volta laureati dovranno usare la macchina fotografica per il loro lavoro..)Fotografia non come semplice e sporadico esperimento ad opera di pochi insegnanti volenterosi. Personalmente, a livello primario mi ero posta questo obiettivo e con mie macchine scattavo io stessa o facevo scattare ai bambini. Poi dovevo far sviluppare il prodotto ed ovviamente ognuno voleva le sue foto "da portare a casa".Certo, i bambini piccoli sono gelosi delle loro produzioni. E' risultato un esperimento troppo dispendioso per le mie magre finanze.Non c'era ancora il digitale! Ho ripiegato sugli Impressionisti per educarli all'immagine, mi è rimasto però il cruccio di non aver potuto continuare l'esperienza che pure avevo programmato con tanta passione. Sarà per un'altra vita.
Gabri

Anonimo ha detto...

durante la frequenza del corso di laurea in "Pianificazione Territoriale, Urbanistica e Ambientale" ho studiato per anni accanto alla porta di Guido Guidi: il suo studio, la sua CO, il suo archivio.
in tutti quegli anni mai a nessuno è venuto in mente che si potesse seguire l'esempio di Stefano Boeri, architetto pianificatore, che per primo ha usato la fotografia come mezzo indagatore ideale per la progettazione della città e del paesaggio.
nella mia modesta esperienza di pianificatore cerco sempre di proporre e far capire l'importanza del mezzo fotografico, sì di indagine e sì anche solamente per archivio, ma nella maggior parte dei casi i costi tagliano qualsiasi iniziativa in tal senso, e se interviene il privato ecco che di nuovo arriva il solito grande nome che fa tanta "cultura" ma di cui delle immagini importa a veramente pochi.

gioVanni

Anonimo ha detto...

Mi piacerebbe conoscere i retroscena di questa collaborazione di Sandro con l'universita' di palermo, perche' non ho avuto modo di chiederglielo dettagliatamente prima. Fatta salva ovviamente l'onesta' intellettuale del direttore, mi chiedo cui prodest, cioe' chissa' perche' questa lungimiranza del siculo ateneo. qualcosa sotto ci sara'. dico questo perche' qui, anche se ormai qualcosa si muove bene, tuttavia quando si tratta di fotografia ormai c'e' il monopolio di 3 o 4 intoccabili santoni , sempre gli stessi, in un'escalation che sa di vecchio e stantio e si ricicla e prospera come un blob.
melominnella, con le sue solite vecchissime foto di casette sdirrupate in mezzo agli ulivi, giovannipepi che si e' scoperto artista fotografo e riproduce nelle sue immagini della citta' prese da occhio di giornalista la stessa miope visione della citta' che propone sul suo giornale, cioe' il rumoroso riflesso rinviato dalle vetrine, senza lo sforzo di guardare dentro, oltre il vetro. e certi altri nati morti su cui sorvolo per pieta'.

Daniele Alamia ha detto...

Caro sig. Iovine
La mia esperienza è di qualche anno addietro, quando, nel 1994 frequentavo il corso del prof. Filippo Terranova, il quale ci portò a Gibellina a guardare la città, il territorio, le sue (per me allucinanti) architetture moderne attraverso la fotografia e l'aiuto di un fotografo palermitano di cui aimè non ricordo il nome.
Ricordo anche una lezione tenuta dal bravo Giovanni Chiaramonte, fotografo di indiscussa fama, cui poi la facoltà ha addirittura concesso una "laurea ad honorem in Architettura".
Gli spazi per lo studio della fotografia ci sarebbero ed anche in molte facoltà, inquanto il mestiere di fotografo o l'uso della "fotografia applicata" (come la chimica) hanno poliedrici aspetti e sarebbe di grande importanza (basti pensare a collaborazioni stabili come quella tra Gianni Berengo Gardin e Renzo Piano).
Ci sono gli spazi.... io spero ci siano anche le vere sensibilità da parte dei docenti che sono troppo spesso disinteressati.
L'istituzione di alcuni corsi stabili potrebe essere una risposta alla domanda che esiste sicuramente da parte degli studenti, soprattutto in facoltà in cui la cultura dell'immagine, qualunque essa sia, ha un rilievo così forte nello svolgersi della professione. Spero quindi come lei che nel paese dell'immobilismo finalmente qualcosa si muova (e non per lasciare tutto com'è).
Saluti
Daniele Alamia

Daniele Alamia ha detto...

per Oratore,
questa cosa dei santoni della fotografia mi ricorda qualche famiglia di fotografe che andava in giro per Palermo dando mille lire a qualche bimbo dei quartieri poveri per fargli le foto di REPORTAGE e fare corsi sulla ALTA FOTOGRAFIA, perchè come le facevano loro... nessuno!
Oppure quando suonavo il jazz nei locali della città dove,tra un panino una birra ed un sigaro, sedicenti appassionati si davano un tono di saccenza non capendo assolutamente nulla di musica (tanto meno di Jazz) ma fieri di poter dire "IO CERO" (senza apostrofo!).
Per motivi di lavoro non abito più a Palermo da 10 anni, e la bellezza della città mi manca molto...... quasi tutto il resto no!
Saluti
Daniele Alamia

Anonimo ha detto...

caro Daniele, ti riferisci forse a... lo dico io per te, non ho problemi ( non che tu ne abbia, ma sei educato e non fai nomi di assenti alla discussione, io invece sono ineducato e i nomi li faccio) :
Letizia e Shobba e i loro accoliti.
Se leggi i post piu' vecchi ( ma che noia) troverai nei miei commenti qualche gutoso riferimento a quell'ALTA fotografia e ai reportage sui poveri sicilianeddi.
Ma ha ragione quello di cui si fa sempre il nome, nel bene e nel male, mentre di me non puo' parlare nessuno perche' sono nessuno
.Salutero' domattina Palermo per te.

:: haku :: ha detto...

Gli studenti di architettura ora architetti che mi è capitato di conoscere mostravano un rapporto naturale con il mezzo fotografico. Il digitale non aveva ancora diffuso questo strumento come oggi, ma difficilmente in caso di escursione questi ragazzi non avevano con sé una fotocamera, per portarsi a casa qualcosa che ricordasse loro un certo senso dello spazio che avevano percepito nel luogo visitato. Tutti avevano una preparazione almeno generale in storia dell'arte e molti uno spiccato allenamento ad un tipo di osservazione "organizzante", intendo dire un modo di osservare che intravedeva già il progetto che organizzava gli spazi di una struttura o di un giardino, o addirittura attribuiva un ordine a qualcosa di non progettato. Ho sempre trovato affascinante e talvolta però anche riduttivo questo modo di guardare e vedere. Di fatto la loro educazione, il loro allenamento a vedere in questi termini influiva molto chiaramente sul loro modo di fotografare: qualcuno riusciva ad organizzare una microarchitettura nel fotogramma da scene in cui una tale strutturazione non esisteva, proprio come se esponesse un concetto da parole in disordine. Mi è sempre parsa un'operazione estetica sorprendente, un seducente esercizio di stile. Posso credere che se agli studenti di queste facoltà venissero forniti altri elementi relativi al linguaggio della fotografia, il passo sarebbe breve per rendere le loro immagini qualcosa di più vicino alla presenza dell'uomo quotidiano anziché dell'uomo rinascimentale che organizza il mondo... e la loro possibilità di vedere sarebbe accresciuta esponenzialmente di pari passo con la loro possibilità concreta di calare i progetti entro il tessersi quotidiano, anziché in una quasi costante visione dall'alto come in presenza di un modellino ideale. La fotografia può cambiare il modo di vedere; conoscerne maggiormente il linguaggio e provare ad utilizzarlo per definire un luogo e non solo uno spazio non può che essere formativo di uno sguardo e dunque di un pensiero e infine di una progettualità. I linguaggi prima di poter essere utilizzati come strumenti di espressione, formano la mente umana, la modificano. Credo che attraverso una fotografia che conosca i modi e le finalità del reportage, gli architetti potrebbero avere una ulteriore chiave per la lettura dei luoghi e prima di pensare di introdurre una riorganizzazione ideale dello spazio potrebbero accedere alla «costruzione concreta e simbolica dello spazio» che ha creato un «luogo antropologico» [Marc Augé], decifrarla e introdursi con i propri progetti ad altezza d'uomo anziché a volo d'uccello.

ps
A proposito di Giovanni Chiaramonte, trovo emblematico della differenza di sguardo su un luogo confrontare alcune sue foto di architetture con la serie su Venezia raccolta in Come un enigma_Venezia. Se fotografando l'architettura ritrae (nel senso di ritratto, sì) gli spazi straordinari che una sola mente umana ha saputo organizzare e prefigurarsi, nelle foto su Venezia trovo che egli abbia invece ritratto il luogo, ossia lo spazio umanamente vissuto nel tempo, lo spazio in cui l'uomo lascia costantemente tracce cambiandone l'essenza, attribuendogli senso, oltre che funzione, e mutandone così l'energia complessiva che si percepisce attraversandolo o anche solo osservandolo.

Anonimo ha detto...

ok haku, dici benissimo come al solito, pero' mi chiedo perche' si debba costringere tutti ad usare la fotografia nel senso che tu esponi e che mi trova concorde ( sempre ho sostenuto, anche su questo blog, l'importanza dell'educazione a saper vedere e guardare, gia' durante la scuola dell'obbligo) : perche' quegli architetti di cui tu parli dovrebbero per forza sentire questo obbligo di fare reportage umano, quando a loro interessa solo lo spazio da organizzare attorno e per l'uomo. Saperle certe cose e' giusto, ma non si puo' lasciare in pace chi fotografa per conto suo felicemente? senza per forza fargli balenare questo totem della progettualita', della presenza umana ecc.
Ormai la parola progetto e' sulla bocca di tutti, anche i cretini, quindi usiamola poco.
Un botanico che fotografa i fiori e le piante, deve per forza immettere nei suoi fotogrammi l'uomo? se non lo fa e' un cretino che non progetta? uno puo' esprimersi come vuole, ed essere lasciato in pace da questa mania del reportage a tutti i costi?
Diverso e' il discorso poi quando uno senza progettualita' mi si presenta come artista, allora mi adiro, ma lasciamo in pace chi fotografa e non disturba.

Daniele Alamia ha detto...

cari amici,
per H.C.B. la macchina fotografica era uno schizzo di appunti... lui infatti amava disegnare.
Le Corbusier faceva schizzi architettonici in cui immaginava lo spazio (disegni bellissimi).
Un architetto fotografa architetture e luoghi (con o senza persone) con intenti di memoria (il tacquino degli schizzi) o di composizione spaziale.
Vorrei citare Bruno Zevi dicendo che l'architettura è spazio, spazialità, e lo spazio non può essere rappresentato "bidimensionalmente", inquanto fatto di tempo, suoni, rumori, sensazioni..... che forse neanche un filmato riesce a trasmettere.
In soldoni: quando guardo una bellissima fotografia, di un luogo qualsiasi, che mi è piaciuta tanto e poi vado a visitare quel luogo.... magari quello non mi piace per nulla!!!!
E questo vale anche per gli schizzi architettonici.
Allora la foto (disegno) mi ha tradito? No!
E' l'architetto che deve conoscere la "distanza effettiva" tra foto(disegno) e realtà.
Quindi ogniuno fotografi come crede più giusto e traduca nel suo personale modo di vedere il luogo. Anch'io penso che l'elemento umano possa essere un valore aggiunto nello studio dello spazio "antropologico" (alla Auget) ma non forzatamente, visto che ogniuno di noi fa un percorso personale di analisi arrivando a risultati diversi dagli altri.
Ciò rafforza comunque la mia idea che il linguaggio fotografico vada studiato comunque, non foss'altro che per saper leggere un'immagine con una maggiore cognizione di causa. E poi.... non ci siamo mica solo noi architetti.... ci sono i botanici che fotografano le piante, gli zoologi che fotografano gli insetti, gli etologi gli animali, i pasticceri, i fruttivendoli, gli assicuratori, i politici... HE NO! PROPRIO QUELLI NO!!!!!
cari amici, caro haku, il tuo riferimento ad Augè ed .. alla «costruzione concreta e simbolica dello spazio» , ad un «luogo antropologico».. mi ha fatto tristemente porre una domanda:
"che paese è il nostro, che non riconosce all'architettura un ruolo sociale? Una importanza nello sviluppo delle nostre comunità?"
un saluti a tutti.
Daniele

:: haku :: ha detto...

Caro oratore, devo essermi spiegata male cercando di inseguire un pensiero che forse ho voluto esporre troppo presto rispetto alla sue precisa formazione nella mia testa :-)
Avrei voluto dire che l'acquisizione di un linguaggio differente è educativo e fare foto non significa necessariamente saper usare il linguaggio delle fotografia... il quale credo si divida in realtà in più linguaggi... o se preferisci in linguaggi specifici, relativi ad ogni "genere" fotografico (spero nessuno inorridisca per questa categorizzazione un po' superficiale). Sono perfettamente d'accordo con te che non sia il caso di chiedere di fare reportage a tutti, anzi... per carità... e nemmeno agli architetti, ma credo che vedere del reportage ed essere introdotti al linguaggio del reportage, che più di altri generi fotografici dovrebbe avvicinarsi all'uomo inserito nel suo contesto vitale, credo possa essere illuminante per chi come gli architetti dice di lavorare per il benessere dell'uomo...
Le parole progetto e progettualità, per quanto io stessa le possa sentire distanti dalla mia indole, sono inevitabili quando si argomenta intorno all'architettura... l'architettura non esiste senza progetto. Iovine direbbe, credo, che nemmeno un reportage esiste senza progetto e questo avvicina, se possibile, almeno metodologicamente, due materie apparentemente distanti. L'altro elemento in comune è proprio la loro dedizione (perlomeno quella dichiarata) all'uomo, e più precisamente all'uomo dentro un contesto che lo ha in-formato e che egli stesso in-forma per il fatto stesso di occuparlo. Gli architetti danno spesso motivazioni filosofiche ai loro interventi, gli architetti parlano spesso attraverso parole di filosofi, ma la filosofia non è detto li avvicini alla quotidianità, alla frequentazione ed all'uso quotidiano che gli uomini faranno del loro lavoro finito. Credo che un esercizio di indagine del territorio e dell'uomo nel territorio, impostato sulla struttura e le modalità di esecuzione di un lavoro reportagistico possano portare ad un notevole approfondimento (se non alla rivelazione) di elementi sia reali, sia di valore simbolico utilizzabili per l'elaborazione di progetti architettonici e urbanistici, di piani regolatori più consoni alle necessità reali. Il tentativo di fare un reportage (re-portage) di uno "stato di fatto" non può che rivelare molto più dei dati statistici, delle visite di rito, delle analisi dei terreni, le analisi degli spazi, delle analisi dei disegni tecnici, ecc, costringe ad esempio ad entrare in contatto con chi già vive quel territorio e a comprendere come lo vive, costringe ad incontrare il suo quotidiano reale e simbolico.
Ripeto, però, un esercizio... dopo l'esercizio e l'acquisizione delle basi del linguaggio sarà auspicabile che un architetto pensi di fare l'architetto e se vuole un reportage si rivolga ad un professionista... ma senza l'acquisizione di quel linguaggio potrebbe non poter accedere ad una modalità di indagine utile a comprendere il territorio in cui sta per intervenire.

Anonimo ha detto...

sempre tutto ok e condiviso, ma dovresti ormai aver compreso che oratore non ribatte per bisticciare o prevalere ideologicamente, ho solo un modo irruente ma non ipocrita di dire la mia, e la parola progetto, per caso scritta a proposito da te, mi ricorda quanto oggi tutti, per aver sentito qualche volta Iovine, per aver letto qualche cosa seria sulla fotografia, si mettono in bocca quasi atteggiando le labbra a labbro di Armstrong nel passare dalla O alla G.
Tipo i novelli critici d'arte e fotografia che pullulano tra i nostri piedi.
Ecco : quegli architetti che scattavano intorno a te quella volta, lo facevano per acquisire una base...ora ci vuole progettuale di un loro successivo lavoro, oppure fotografavano per divertimento, per esprimere il loro modo di vedere spazialmente un territorio indipendentemente dalla destinazione futura?
non voglio la risposta ci mancherebbe, spiego il mio dire.
Ricorda haku che ho sempre letto tutto quello che scrivi, e non mi permetterei di alzare il tono con te, quindi non fraintendermi mai attribuendomi una rivalsa verso le tue parole.
A Daniele vorrei dire che gli architetti non sono affatto il male come quel cretino o finto tale di celentano viol inculcare, pero' riconoscerai che ce ne sono molti che in nome della modernita' combinano certe str... avveniristiche che si possono ammirare nelle case bene degli arricchiti ignoranti. quelli si' sono il male. ciao