lunedì 13 luglio 2009

Arles 2009: «C'est pas grave»



Chi ha la sfortuna di conoscermi personalmente, tramite la rivista attraverso le pagine di questo blog, lo sa perfettamente: Iovine è un gran rompicoglioni. E fin qui niente di nuovo, come non c'è niente da sorprendersi se andando, il suddetto Iovine, a fare un giro ai Rencontres di Arles, ne sia tornato con notevole delusione generale e un bel po' di osservazioni sull'approssimazione generalizzata dell'edizione 2009. C'è anche da dire che su tutto gioca forse anche un umore fortemente condizionato dalle dieci ore di viaggio in coda tra Arles e Milano per il rientro a casa. Premetto quindi che non ho visto solo cose negative, ma solo di queste ultime parlerò, omettendo per il momento altro e accentuando la sensazione di negatività riportata da questa esperienza. A questo proposito si potrebbe iniziare dalla pantomima messa in scena all'ingresso di ogni mostra al momento di controllare con moderni scanner portatili che avrebbero dovuto leggere i codici a barre presenti sul retro dei pass di accredito stampa. Al primo tentativo di ingresso una solerte signorina di colore ha spiegato che l'accesso di quel passi era già avvenuto con quel pass... che era stato ritirato non più di dieci minuti prima all'ufficio stampa... Una collega della solerte signorina di cui appena detto, è intervenuta allora con un salomonica «C'est pas grave» dal momento che con il pass stampa è consentito l'accesso a tutte le mostre per tutte le volte che si desidera. Negli ingressi successivi alle rimanenti sessantacinque mostre in programma la litania del «C'est pas grave» si è ripetuta con poche varianti e qualche suggerimento implicitamente rivolto all'igiene personale in quanto la sozzura trasferita per sfregamento del passi sul torace sarebbe stata responsabile dell'impossibilità di lettura da parte dello scanner... Anche se continuo a pensare che il fatto che le rare volte in cui lo scanner ha funzionato è stato sempre quando veniva tenuto a distanza maggiore dal codice a barre, non fosse del tutto casuale... e che cavoli quella mattina la doccia l'avevo ben fatta prima di uscire dall'albergo!
Ma, a parte la teoria di c'est pas grave disseminata durante i miei tre giorni di permanenza arlesiana, mi hanno colpito gli effetti dei tagli di bilancio sull'organizzazione. Pendent la crise le spectacle continue afferma infatti François Barré presidente dei Rencontres 2009. Premesso che il confronto che posso fare è con l'ultima edizione che ho visitato, ovvero quella del 2007, mi ha fatto davvero impressione il senso di vuoto di molti spazi del centro. Alla povertà degli allestimenti faceva a mio avviso riscontro notevole approssimazione se non proprio... assenza di interventi curatoriali. Mostre come quella dedicata a Willy Ronis non erano altro che una triste accozzaglia di ottime immagini ovviamente già conosciute, stampate in formati relativamente piccoli e senza uno stringente criterio di esposizione, tanto da far apparire di ben maggiore spessore la mostra altrettanto commemorativa dell'autore francese allestita a Cannes nell'ambito del Sony World Photography Award con le stesse immagini. In compenso le mostre allestite al Jardin des Ateliers offrivano mediamente una presentazione migliore in termini di allestimento e di presenza curatoriale essendo infatti possibile riconoscere un senso nella disposizione dei lavori.

Evito di inoltrarmi ulteriormente in considerazioni fin troppo personali sul maggiore o minore gradimento rispetto ad autori o contenuti (non posso però esimermi dal deprecare l'inutile e insensata mostra di immagini che compongono la collezione personale di fotografie di Nan Goldin), quello che mi ha colpito è stata l'intollerabile approssimazione nella realizzazione delle didascalie o nel controllo dello stato delle opere esposte.

La testimonianza fotografica del caos che ha ispirato la redazione delle didascalie che potete vedere in questa pagina, credo sia emblematica del stato di sfascio che ho percepito visitando l'edizione di quest'anno.

Il gioioso pessimismo che mi contraddistingue di fronte a una simile mancanza di rigore congiunta agli effetti della crisi, può suggerirmi che per l'attuale formula dei Rencontres, che giungevano quest'anno al quarantesimo anniversario, potrebbe essere iniziato quel declino che porta al tramonto prima e al buio della morte poi per una delle più importanti manifestazioni dedicate alla fotografia.
Mais, c'et pas grave.



Dall'alto:
Ecco come si presentava al pubblico un'immagine della mostra At dusk (Au crepuscule) di Boris Mikhailov.

Didascalia dalla mostra
Scales, Maquette/light: Tautology of the image di Naoya Hatakeyama.


Cartello all'ingresso della mostra Ça me touche les invites de Nan Goldin.

Una didascalia della mostra On n'a pas tous les jours vingt ans.

Didascalia dalla personale di Marina Berio all'interno della mostra Ça me touche les invites de Nan Goldin.

Didascalia dalla personale di Marina Berio all'interno della mostra Ça me touche les invites de Nan Goldin.






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32 commenti:

guglielmo ha detto...

non ho mai pensato che tu sia un rompicoglioni.


;)

Unknown ha detto...

Vorrei dire che è colpa della crisi globale questa degradazione di buon gusto e buon senso, ma certo, viene da pensare seriamente come è possibile commettere questi generi di errori sperando non siano "voluti". Ne anche fosse un evento a tema. Tanto valeva promuovere questo evento a disneyland.

promenadeur ha detto...

Because I can not read Italian, I have to trust the Google translation.
Nevertheless, I can understand your disappointment about Arles.
I had the impression in 2008 that Arles had changed for worse and that the journey to this really nice little town is not worthwhile.
What a pity!

sandroiovine ha detto...

In effetti non credo sia possibile commettere questo genere, ma non dimentico di aver visto scritte con lettere adesive staccate a Milano o errori nella scrittura di didascalie in Spazi che percepiti sciamanicamente all'interno dell'ignoranza fotografica del nostro paese. Certo in un adeguato contesto le disattenzioni potrebbero anche essere pertinenti e finalizzate ad uno scopo comunicativo. Ma in questi casi dovrebbe essere presente una chiara volontà in questo senso, difficile da dedurre all'interno del contesto in cui erano presenti gli esempi fatti. In questo senso ricordo ad esempio la mostra Without sanctuary dove tutte le didascalie erano scritte a mano con una penna biro direttamente sulla superficie sulla quale erano appese le immagini. Ma in questo caso c'era intanto una coerenza di stile e poi era conseguenziale alla progettualità del curatore. Detto questo rimane il fatto che come ho già accennato nel post, non tutto era da bruciare, ma certo che una manifestazione con lo storico dei Rencontres non può permettersi di mostrare livelli di disattenzione come quelli esemplificati.

sandroiovine ha detto...

Don't worry Martin: you've perfectly understood the mean of this post.

maurizio g. de bonis ha detto...

Caro Sandro,
raccolgo volentieri la tua proposta di dibattito sui Festival di Fotografia. Come sai, è uno degli argomenti che vorrei tanto sviluppare in quell’ipotetico incontro tra addetti ai lavori che avrei voluto organizzare ma che ancora rimane un obiettivo poco raggiungibile. Insomma, sei rimasto deluso da Arles. Io quest’anno non ho visitato il festival francese, dunque non posso esprimermi, ma certo conoscendo la tua serietà non ho ragione di metter in dubbio quanto da te riportato. Mi interesserebbe invece, come ben sai, sviluppare un discorso costruttivo sul senso dei festival di fotografia. Se ci concentriamo sul nostro paese, la mia impressione è che negli ultimi anni si sia diffusa una moda, una specie di bulimia controproducente. È un po’ quello che è successo in ambito cinematografico, dove la proliferazione di festival e festivalini ha finito per generare solo confusione e iniziative a volte veramente poco significative. Ora, nel cinema le cose vanno un po’ meglio, per un semplice fatto: dopo un’impennata paurosa e incontrollata, spesso di stampo dilettantistico, da qualche tempo molti festival di cinema si affidano a curatori di buon livello professionale.
In ambito fotografico, la mia impressione è che festival sia divenuto sinonimo di due elementi: confusione espositiva (cioè mera consequenzialità di mostre, senza capo né coda) e spazio per workshop (spesso didatticamente osceni). E ancora: il tragicomico problema della lettura dei portfolio. Ovviamente, non mi tiro fuori dal problema di cui io sono parte integrante (nel senso che partecipo e ho partecipato, come già detto, a vario titolo a diversi festival). La questione è cercare di cambiare le cose da dentro e non da un piedistallo, peggio se di tipo intellettualistico. Dunque dove posso, con modestia, educazione e rispetto del lavoro altrui, intervengo e partecipo sempre volentieri, con spirito critico ma costruttivo.
Il problema è che a mio avviso, si è completamente smarrito il senso di un Festival di Fotografia. Per me gli elementi importanti sono tre: la ricerca del nuovo, l’approfondimento critico del passato, la riflessione sul presente. Ma a parte la questione “contenutistico-ideologica” (definiamola così), ciò che manca ai festival di oggi è una precisa strutturazione in sezioni ed anche direttori artistici e curatori (a parte pochi casi) che si prendano la briga di dare una linea precisa a un festival, di fare scelte anche difficili e prendersi responsabilità. E tali problemi, non si risolvono neanche costruendo dal nulla eventi basati sul nulla, come di recente è accaduto. Anzi, proprio queste manifestazioni, senza direzione artistica, senza selezione di alcun curatore, senza cura dell’esposizione, senza una linea culturale precisa contribuiscono a generare danni difficilmente riparabili. Nel nostro ambiente si finisce spesso per confondere libertà con caos delirante, democrazia con la logica del “facciamo quel cavolo che ci pare, anche se non ci capiamo un tubo”, ma questo atteggiamento nasconde solo mancanza di cultura. Ricordo un passaggio di un film di Nanni Moretti, in cui lo stesso Moretti, infastidito da un petulante cinefilo che gli chiedeva di fare il suo assistente e ossessionato dai discorsi culturali a 360 gradi di questa persona, urlava nelle orecchie di questo suo interlocutore fastidioso: “io non parlo mai di epigrafia greca”. Ebbene, in ambito fotografico bisognerebbe essere più attenti alle competenze e affidare la direzione e organizzazione di festival a soggetti dotati di idee sulla fotografia contemporanea, o a enti in grado di valorizzare professionalità e competenze. Il discorso è molto lungo e concludo dicendo che in ogni caso rispetto il lavoro di chi si sporca le mani (insomma di chi fa i festival). Solo chi non fa non sbaglia mai. Basta solo riconoscere gli errori che tutto noi commettiamo.

mimmo torrese ha detto...

Caro sandro, tutto ha un inizio e una fine. Probabilmente per Arles questa si sta avvicinando. La formula, ormai logora, sta mostrando le corde come in tanti altri casi. Per quanto riguarda le dida corrette a penna, certo non sono certamente belle, e da una manifestazione di questa portata ci si aspetta di meglio, però penso siano il segno di una minore raccolta di danaro che magari ha sacrificato qualche allestitore. Che i giri di denaro intorno alla fotografia si siano notevolmente ridotti penso sia sotto gli occhi di tutti. A quanto pare anche il fotografo fatto in modo tradizionale è diventato una razza in via di estinzione, bisogna farsene una ragione.

Fulvio Bortolozzo ha detto...

Mi accodo al post di De Bonis, con il quale avevo già discusso di festival e portfolio quando eravamo insieme in giuria a Fotoleggendo 2006.

Sono tre anni quindi che conosco le sue idee, con le quali concordo in parte, e ogni tanto, da me, da lui o altri, viene fuori il tormentone del "troviamoci e parliamone".

Ho anche visto che Maurizio ha convocato in conclave alcuni suoi amici in Toscana un paio di volte, proprio nel tentativo di riflettere meglio.

Approfitto quindi di questo ennesimo "grido di dolore" di Sandro per dirvi che ho messo i piedi a Torino un progetto che si chiama "Osservatorio Gualino". Nelle mie intenzioni vuole essere un luogo di approfondimento e incontro per tutti gli interessati sulle sorti magnifiche e progressive della fotografia (d'autore? di ricerca? artistica?) italiana.

Che ne dite di trovarsi tutti a Torino a Villa Gualino in autunno per parlarci di persona durante una giornata di lavori, potrebbe essere una cosa utile?

Una cosa seria, ma non ristretta a invitare Tizio invece di Caio. Chiunque pensa di aver qualcosa di interessante da dire, sia il benvenuto.

Ditemi la vostra.

http://www.osservatoriogualino.net

Mario Iovino ha detto...

Chi ha la "fortuna" di conoscerti, Sandro si aspetta sempre commenti di questo genere intorno a manifestazioni importanti ma che non funzionano come dovrebbero. Dunque se questo è il grande palcoscenico dove si dovrebbero esibire
i personaggi noti della fotografia, ai giovani autori non si prospetta un gran bel futuro... ahimè!

Maristella Campolunghi ha detto...

La sciatteria di cui parli, Sandro, non mi sorprende affatto perché senza dubbio è un fattore che sta scivolando lentamente lentamente nella realtà del nostro vivere.
Non sappiamo realmente perché sia potuto accadere in un apprezzato contesto e potrebbe anche essere inutile. Non tutte le Cappelle diventano “Sistina”.
Potremmo, forse, allora come suggerito parlare di Festival.

Naturalmente mi rasserena sapere che: non tutto era sciatto! Hai salvato i “Rencontres” o sbaglio?
Credo di aver visto la seconda o terza edizione (non ricordo bene ora) ma senza dubbio ne rimasi affascinata; mi sembrava anche facile avvicinarsi al nucleo garante. Poi con l’andar del tempo, la notorietà, il successo ecco l’innalzare dei muri.

Parliamo di festival!? Sono pro o contro festival? Sono Festival!
Gli elementi vitali, come sintetizza molto bene De Bonis sono essenzialmete tre:
a-la ricerca del nuovo
b-l’approfondimento del passato
c-la riflessione sul presente

Fin qui tutto bene. Poi però, credo che alcune frasi si riferiscano ad un evento da poco consumato per il quale io vorrei spezzare una lancia (spero di non aver frainteso!), mi trova un po’ in disaccordo.
Ho partecipato ad un evento del genere accennato da De Bonis: l’ho vissuto come una esperienza positiva.

Il mio primo festival, 1992, e negli anni a seguire, è stato “Photogrammatica - il mese della fotografia a Roma” Rassegna Internazionale di Arte Fotografica (Per chi non mi conosce, ho vent’anni di esperienza costruita giorno per giorno nella galleria Il Fotogramma di Giovanni Semerano.) dove furono esposte migliaia di fotografie in vari e differenti siti. Non c’erano workshops, divenuti di moda più tardi.
Le letture dei portfolio non erano pubbliche ma private e da questo “sfogliare immagini” nascevano le esposizioni dei singoli fotografi. Tutto auto-sovvenzionato.
Un modo diverso di fare festival? Si!

Poi abbiamo avuto quello più popolare, amato-odiato. Dove tutto è stato messo in gioco. Workshops, incontri, concorsi, libri, egemonia del curatore (mancano solo le magliette; ne comprai una ad Arles che ancora conservo!)

Questa ultima esperienza, vissuta con grande umiltà mia e degli autori che ho portato, una collettiva nella collettiva, è stata una buona e ricaricante esperienza.
Sono rimasta sorpresa quando ho chiesto, prima di iniziare l’avventura, chi fosse il direttore artistico e mi fu risposto che erano tutti responsabili. Mi sono sentita di dover dire che forse era meglio se… ma la compostezza, la determinazione e l’eleganza con cui mi si è fatto notare che non volevano ricalcare dei vecchi passi, i vecchi schemi non ho potuto far altro che accettare e lasciarmi guidare da un gruppo di giovani che amano la fotografia come l’ami tu o come l’amo io.
Il contenuto devo dire, con alcune eccezioni, l’ho trovato promettente. Ma questo vale anche per i più blasonati.
Per carità, non mi si conideri una che lascia passare tutto, non è così.

Dare” visibilità” è il vero scopo del festival. E’ la festa, è l’incontro, è lo scambio di idee.

Esploderà il fare festival? Bene. Si ritornerà a ritessere la ragnatela. La ricerca nei vari campi porta a delle scoperte che possono essere stravolgenti. Dalla “ muffa” cosa ottennero? Vuoi vedere che da tanta umidità possa nascere un …?!

Le competenze, la direzione, gli enti, i curatori, i maestri, i workshops, i portfolio … è bene che esistano, come potrei parlarne male io che vorrei che la fotografia diventasse una materia scolastica alla pari della storia, geografia, matematica e scienze!

Anonimo ha detto...

Si tratta probabilmente di errori dettati dall' emotività scaturita da una situazione globale degenerante.
Saluti.
Leonardo

Unknown ha detto...

Il che non giustifica in ogni caso tanta approssimazione in quella che probabilmente è la più importante manifestazione del genere nel Vecchio Continente. Senza contare che l'aspetto delle didascalie fatiscenti è solo una parte del disastro derivante da un'altrettanto fatiscente situazione curatoriale in moltissime delle mostre.

Maristella Campolunghi ha detto...

"C'è anche da dire che su tutto gioca forse anche un umore fortemente condizionato dalle dieci ore di viaggio in coda tra Arles e Milano per il rientro a casa. Premetto quindi che non ho visto solo cose negative, ma solo di queste ultime parlerò,..."
Ma ora leggo:
... è solo una parte del disastro derivante da un'altrettanto fatiscente situazione curatoriale in moltissime delle mostre....

allora affiora in te la volontà di analizzare il tema del “fare curatoriale” per capire se ad essa si possa legare un metodo od una teoria?

sandroiovine ha detto...

Ribadisco che il problema evidenziato iconograficamente in questo post nasce fondamentalmente da una latitanza curatoriale, di cui il caos nelle didascalie rimane la punta dell'iceberg. L'assenza di forti fili conduttori nell'ambito delle esposizioni viste nelle mostre allestite nel centro della cittadina provenzale (molto meglio le mostre al Jardin des Ateliers) era, anzi è visto che le mostre proseguono fino a settembre, abbastanza lancinante. Che poi ci debba essere, a mio avviso, una netta distinzione tra i ruoli di autore e curatore un fatto inevitabile al 90%. Sono ruoli differenti che devono prendersi cura di aspetti differenti e solo in rarissime occasioni di autori particolarmente consapevoli si può constatare una convergenze delle due figure in un'unica persona. A dire il vero sono abbondantemente perplesso anche dal ruolo curatoriale attribuito a dei fotografi nell'ambito della manifestazione (vedi Nan Goldin quest'anno). Di fatto l'operazione può essere interessante ma in una direzione specifica, che è quella dell'acquisizione di informazioni sull'autore che opera la selezione. Per mezzo di quest'ultima è infatti possibile entrare in contatto con ciò che ha formato il selezionatore e il suo gusto. Il riveste indubbio interesse filologico, ma in assoluto mi pare cosa ben lontana dal prendersi professionalmente cura di una manifestazione espositiva. In altre non vedo contraddizioni tra le due affermazioni citate, semmai qualche implicito di troppo che ti ringrazio di avermi dato l'occasione di chiarire (almeno spero).

Maristella Campolunghi ha detto...

Non vorrei essere stata fraintesa. Non ho trovato incoerenze nelle due affermazioni. Probabilmente non ho afferrato che accennavi semplicemente ad una punta di iceberg… (ghiaccio? Quanto vorrei un po’ di fresco!) Quindi la sciatteria è il carattere generico all’interno di quello che è uno degli appuntamenti più importanti del nostro vecchio continente. Bene.
I mezzi di comunicazione creando un ‘villaggio globale’ hanno reso più complicato il mondo e di conseguenza vivere, con la complessità generata, diventa più difficile. Comunque l’uomo in questo gioco globale è un accidente non un incidente, quello che segna, che incide.
Tutto ciò poteva essere previsto nel divenismo degli eventi e delle cose. L’"avangiuardia" prima o poi doveva essere raggiunta dal resto del corpo sociale a cui si rivolgeva, per il quale, a volte, cessava anche di essere avanguardia, e di essere integrata.
Di conseguenza torno a dire che manca la vera “istruzione”. Permettimi di continuare a riportare, riscrivere, riproporre una frase che a suo tempo toccò le mie corde sensibili:
"L'analfabeta del futuro sarà ignorante sull'uso della macchina fotografica e della penna nello stesso modo."
Questa frase tra virgolette è una profezia di Moholy-Nagy del 1932.
Come siamo messi a profezie? ;)

Anonimo ha detto...

... con la sola differenza che l'analfabeta della macchina fotografica preme un pulsante e scatta (fortunosamente? tecnologicamente?) fotografie, mentre un analfabeta della penna può tracciare solo scarabocchi, per quanto prema con la penna.

chi distingue lo scarabocchio fotografico da una fotografia? lo stesso analfabeta della macchina fotografica potrebbe...
l'analfabeta della macchina potrebbe essere alfabetizzato sulla lettura dei risultati dell'azione fotografica, mentre l'analfabeta della penna non può essere alfabetizzato sul prodotto della penna, altrimenti sarebbe... alfabetizzato (!).
scusate il bisticcio. che pasticcio.

Maristella Campolunghi ha detto...

pasticcio nel pasticcio:

auto-ri-tratto o autori-a-tratto?
di tutte queste terre entro i confini, tra questa e quella linea, ricche assai, Signora ti faccio!
Nel fedele cuor mio tutti ritrovo i fatti dell'amor che descrivi.
Ma a dir quali in me sian, le parole vengon meno, poichè il senso acume più prezioso non posseggo.

Rosa Maria ha detto...

"...in effetti invece è grave!" Mi vien da dire in prima battuta.
In seconda non posso che aggiungere: la crisi economica che si sventola opportunamente, ad ogni piè sospinto serve a coprire un altro tipo di crisi sociale e culturale molto più grave.

Come non indignarsi della sciatteria e del pressappochismo, quando albergano in un luogo che è considerato di riferimento per la fotografia europea?
Che c'entra la crisi economica con la "latitanza curatoriale" e con "'assenza di forti fili conduttori nell'ambito delle esposizioni"?
"Pendant la crise,le spectacle continue", insomma "the show must go on"! La cultura è ridotta a spettacolo e il suo carrozzone tira avanti con tutti i rattoppi del caso, privilegiando - come spesso accade - la quantità.
Non vedo incoerenze purtroppo.
C'è poco da dibattere, questi festival non sono che lo specchio dell'odierna società.
Ma certo... noi vogliamo un cambiamento... e per attuarlo - sembrerebbe - ci sono "almeno" due vie: aggiornare la piattaforma revisionandola e sostituendo gli operatori attuali con operatori più qualificati o quantomeno più motivati (un'operazione compiuta con discrezione da dentro che ricorda un po' certa politica cui ci hanno resi avvezzi negli anni), oppure cercare una rottura col passato (la grande opportunità che si favoleggia offrano le crisi!).
Gli esperimenti "indipendenti" vorrebbero essere la seconda via. Come si risolvono nella concretezza dipende dalla mancanza di esperienza o di cultura? Dipende dai casi probabilmente.
Ma sono davvero così nefasti? Non ne sono così sicura, almeno non quando mi capita di vedere e sentire mischiati alla disorganizzazione un entusiasmo e una vitalità inesistenti, e forse inimmaginabili, nei Festival accreditati, dove comunque si fa da sempre in piena libertà caotica per amor di contatti e d'amicizie, mi pare.
Certo capita pure che i bravi curatori e gli ottimi critici riescano a creare "il caso" da ben poco, e che ci offrano meravigliosi esempi di ermeneutica. Tanto di cappello! La nostra dose di cultura in maniera inattesa e un po' ambigua la riceviamo comunque e quindi non ci si può lamentare.
Ma forse - bisogna ammetterlo - si crea anche qualche fraintendimento in chi non ha gli strumenti per decodificare simili messaggi, un fraintendimento che non è meno disastroso per la fotografia di quello determinato da chi, capendo poco o niente di fotografia, con molta buona fede ed autentica umiltà vuol coinvolgere più gente possibile.
Insomma è un po' difficile capire quale sia la via migliore. Dipende forse dalle nostre aspettative di rinnovamento, dalla nostra capacità di immaginare un futuro diverso (e non è lo stesso in ambito sociale, forse?).

Forse è il caldo che mi fa farneticare, ma trovandomi qui sul web, mi viene da pensare alle opportunità offerte dalla condivisione e da una collaborazione creativa anche un po' naif, se vogliamo, certamente poco professionale (ma l'arte è professione?), ma sicuramente più "vitalistica" e coinvolgente, veramente utile a restituire (o a dare finalmente) all'intera società un apporto vivificante alieno da logiche commerciali e da privilegi vari.
Ridare insomma spazio ad una vera arte popolare, visto che stiamo scivolando inesorabilmente in un nuovo Medioevo. Beninteso: chi conosce l'arte medioevale sa quanto importante e poco "oscura" sia stata!
Un solo dubbio: io sto parlando d'arte, forse i festival non c'entrano niente... forse servono solo a vendere spettacolo!

Unknown ha detto...

L'intenzione era, ed é, quella di andare ad Arles. Dopo tanti anni, finalmente ci provo. E arrivo su questo commento di Iovine e sulle risposte degli altri. Sembra che tutti abbiano capito com'è Arles, dalle cose che Iovine dice. Io non l'ho ben capito. Ho visto alcune piccole disgrazie legate a didascalie mal fatte, che non dovrebbero esserci e ne siamo convinti. Ma se non sbaglio pare, sempre dalle parole di Iovine, che altro c'è e non cosi grave, ma resta sempre nelle sue parole la convinzione che la sciatteria regni sovrana. Ma non è così chiaro e questo che mi sfugge. Com'è Arles, sciatta, bella, interessante, scadente...? ma forse non importa dire qualcosa di preciso su Arles, ma dare il via ad una sequela di commenti critici sui Festival, sul Festival come concetto, come luogo, non più luogo. Rimane forte la sensazione di trovarsi di fronte , in questa come in altre situaizoni, ormai ad un meccnanismo specchio dove qualcuno inizia il gioco, tira fuori uno specchio e gli altri inziano a specchiarsi dicendo semplicemente quello che pensavano prima e che continueranno a pensare dopo. Da qualche brutta didascalia si arriva al medioevo, passando per la crisi globale, ecc, ecc. Ma dato che alcuni nomi sono sempre quelli perchè non date vita a qualcosa di alternativo, che ci faccia capire cosa si intende per festival, fotografia, reportage, arte, ecc, ecc?
sempre vostro attento lettore e prossimo visitatore di Arles (la curiosità me l'avete messa).
marco

Dodo Veneziano ha detto...

Chiedo venia per 'intervento non atteso e probabilmente (a gamba tesa) in piena area di rigore, e non è certamente di mancanza di rigore stesso ne di un eccesso di difetto che voglio parlare, ma bensì di una ormai cronica carenza di idee da mettere in (scena) da parte di tanti di coloro che a causa della forse (eccessiva) esperienza hanno ormai lo scettro di autori di un percorso e dunque di una selezione, non credo che il problema siano i Festival dedicati alla fotografia, (dei quali almeno io potrei farne anche a meno).
Credo aimè che la crisi della Fotografia, sia qualcosa che è gia in atto ed in evoluzione da qualche anno, se Arles ci mostra tutte le sue ferite, lo fa perchè queste domani possano essere evitate o curate.
sono in pieno accordo con Sandro, e so bene che ha scelto di mettere in luce una piccola parte del guaio (Rencontres).
Io da parte mia ho vissuto il periodo d'oro ed oggi quello di sale di Arles, non ho un approccio pragmatico del problema, ma strettamente emotivo e se mi permetto di affermare che Arles nel 2009 ha dato veramente il peggio di se stessa, lo faccio perchè vivo nella speranza di una rinascita, che ripeto, nulla ha a che fare con le crisi di natura economica, ma con quelle di natura estetica e linguistica.
Molte gallerie hanno al loro interno collezioni di immagini spesso prive di valore, che cavalcano le mode e che spazzano via progetti realmente evolutivi non solo di natura strettamente formale o (Psico-Filosofica), la fotografia (esposta) oggi vive un triste loop: (sensazionalismo, disgrazie, apparente non curanza,sensazionalismo, disgrazie, apparente non curanza,sensazionalismo, disgrazie, apparente non curanza,sensazionalismo, disgrazie, apparente non curanza,sensazionalismo, disgrazie, apparente non curanza,)
Chiedo ancora venia per le molte gratuità.

Fulvio Bortolozzo ha detto...

Breve collegamento da fuori sede, giusto per dire due parole a Marco.
Siamo i soliti tre briganti e tre somari a ragionare di queste cose non certo per nostra ossessione, o per un qualche obbligo di legge, ma forse perché ad occuparsi "professionalmente" (ATTENZIONE! intendo il termine come lo intende la Questura quando parla di ladri) di fotografia e festival siamo davvero quattro gatti che ormai si conosco e quindi si dicono cose riferendosi ad altre cose che si sono detti altrove.
Con tutto ciò, vai ad Arles e poi dicci la tua :-)

Per tutti gli altri: ho colto un segnale di forte e incondizionato assenso dal silenzio sulla mia proposta di trovarsi a Torino per ragionare di persona e insieme.

Grazie, ci lavoro su e vi dirò. ;-)

Unknown ha detto...

ciao Fulvio (in realtà ci conosciamo...entrambi torinesi), il riferimento ai "soliti nomi" può sembrare ironico, ma non lo é. E' un invito a chi gestisce blog, informazione, a chi é dentro al settore, a proporre qualcosa che faccia emergere un altro modo di intendere le diverse faccende sulla fotografia. Da diverso tempo leggo sui vari blog, che la cultura in Italia é arretrata, che i Festival non vanno bene, che il reportage fa morire la fotografia, che il fotogiornalismo é alla frutta, che l'arte sta male anche lei, insomma una sequela di critiche che se prese una per una si può anche essere d'accordo ma che prese nel loro insieme fanno emergere uno stato delle cose talmente negativo che alla fin fine vene il dubbio che sia veramente così. Solo la politica sta peggio. E come l'eccesso e l'indigestione di un certo reportage della disgrazia fa allontanare le persone dai problemi, l'eccesso di critica senza qualcosa di tangibile come alternativa fa diventare fine a se staessa la critica. L'invito nasce da queste considerazioni. (ovvio che l'esercizio di critica é sacrosanto e fondamentale, ma non é questo il punto), Spero di essermi spiegato.
marco

Maristella Campolunghi ha detto...

“Ovvio che l’esercizio della critica è sacrosanta e fondamentale, e non è questo il punto” anche per me.
Mi ronza in testa una frase di H.Hesse che cito a braccio, purtroppo, “… più la musica è scrosciante tanto più diventano malinconici gli uomini tanto più il paese è in pericolo. Va perduto anche il senso della musica…” e allora vogliamo, con simpatia e senza sberleffi, guardare al Festival dei Festival: Sanremo, il Festival della Canzone Italiana?!
Cerchiamo ora di andare sopra alla banalità e usciamo da preconcetti.
Pronti?
A questo punto possiamo, forse, passare alla sua funzionalità comunicativa e sviluppare una, probabile, interessante analogia tra i processi comunicativi e gli strumenti i quali, a loro volta, hanno la capacità di svolgere un determinato insieme di funzioni.
Quali sono i nostri in primo luogo? Mah, è difficile stabilire a priori il numero delle possibilità che fanno da sfondo ad ogni comunicazione, lo sappiamo, dato che esse dipendono dagli interlocutori e dal proprio linguaggio. In pratica la stessa parola “fotografia”può essere pensata ora in modo allegro ora con tono triste. Ed il festival?! Organizzare un festival, talvolta con nomi altosonanti, altre volte con nomi emergenti e, perché no, anche sconosciuti può essere un momento di grande “incontro”. Ieri sera in tv ho visto Vasco Rossi che, a proprio a Sanremo, arrivò ultimo con “ voglio una vita spericolata…. ……” Chi di voi non ha mai canticchiato questa frase?! ;)
Sono d’accordo che la cultura in Italia abbia dei problemi, ma non credo che solo da noi … visto che Marco andrà a curiosare in Francia… portaci i tuoi commenti! Scrivi bene tu: oltre la critica bisogna pur far qualcosa! Se nessuno prova a realizzare “qualcosa di concreto” la critica non sarà altro che un cane che cerca di acchiappare la sua coda… E sapete cosa mi viene in mente rileggendo il pezzo di De Bonis, verso la fine, “… direttori artistici e curatori che si prendano la briga di dare una linea precisa….” Si potrebbe inventare un Festival NEL Festival. Si prendono dei settori con altrettani curatori che a loro volta organizzano un festival…. Sono quasi le 11 di un giorno d’estate…. Abbiate pietà di me!

Mauro ha detto...

Ciao a tutti credo che Sandro abbia pienamente ragione rispetto ad Arles che è uno degli eventi più attesi da chi ama la fotografia e vedere certe porcherie, non giustificabili con la mancanza di fondi, mette tristezza.
Ma ci sono anche piccole realtà, come Occhi Rossi a Roma, che con coraggio e davvero pochissimi fondi e con un lavoro enorme di chi ha organizzato, danno spazio e la possibilità di presentarsi a chi si avvicina alla fotografia senza veti di presuntuosi critici in cerca della sacrosanta pagnotta, ma con coraggio propongono i loro lavori, un lavoro enorme fatto solo per il piacere e la passione per la fotografia.
Poi sicuramente ci saranno lavori validi e meno validi ma ognuno di noi che ha visto le foto avrà formulato un suo giudizio in base all’emozione che i lavori gli hanno lasciato e spero che comunque chi ha più qualità andrà avanti almeno spero.
Quindi non credo proprio che questi festival “contribuiscono a generare danni difficilmente riparabili” ma anzi diano possibilità veramente a tutti di espressione e a noi divedere qualcosa non filtrato da i critici, con tutto il rispetto per il loro lavoro.
Grazie mauro

Maristella Campolunghi ha detto...

per come la vedo io: Occhi Rossi Festival è stato un bel progetto. Da limare, certo, ma interessante.

francesco peluso ha detto...

Uno dei problemi secondo me è che non si fanno più le cose per passione ma soprattutto per interesse. E per interesse ci si impegna il minimo necessario. Questo vale per la politica, per lo sport,per la musica, per l'arte e anche nelle cose di tutti i giorni.
Per questo motivo delle operazioni come Occhi Rossi Festival funzionano, perchè la gente capisce che dietro ci sono persone che fanno le cose principalmente per passione.

Vittore Fotografo ha detto...

Il post originario forte e argomentato mi ha lasciato un po' rattristato. Premetto che sono rimasto deluso dal fatto che di tutto il festival ci si ricordassero solo le terribili lancinanti minutaglie... Questo significa che evidentemente è venuto a mancare il filo conduttore (oltre ai finanziamenti ovvimanete) che a livello curatoriale è mancata la forza di fare del proprio meglio e di proporre un progetto coerente e coeso. Un festival che non lascia impresso niente se non le pecche organizzative è un po' pochino. spero che in un prossimo post emerga qualche positività...
Coraggio non tutto è ancora perduto

sara ha detto...

Caro Sandro
ad Arles c'ero anch' io; e devo sinceramente ammettere, che non mi ha sconvolto poi più di tanto la faccenda delle correzioni ( o refusi) che tu qui ci racconti, e soprattutto in qualità di osservatore italiano le tue critiche non mi convincono più di tanto. Onestamente, devo ammettere di aver visto di peggio.

E sempre, come italiano, e da italiano, devo dirti quale a mio parere è la pietra dello scandalo ( il bello dell'espressione "pietra dello scandalo" è che la puoi tirare in testa a qualcuno, e questo, ovviamente non sei tu, perché apprezzo le menti critiche )ecco, lo scandalo, mio parere è un altro: GIORGIA FLORIO ( o Fiorio) figlia di papà italica, il padre, a quanto pare, si è sempre occupato di Ferrari e Formula UNO, e come ogni figlia di papà che si rispetti ha "scelto" i suoi percorsi kharmici: è andata prima a cantare a Sanremo... perché, all'epoca, probabilmente il suo gusto di adolescente viziata consisteva nel chiedere al padre (papà) di andare a Sanremo, e ci andò infatti: con una canzone intitolata "bimbo". Questa bimba poi è scomparsa dalla circolazione, i media comandati da papà non ne hanno più parlato... non ne ho saputo più nulla. Finalmente, quest'anno, ad Arles, me la ritrovo fotografa... che ha girato il mondo: Mongolia, Tibet, e Cina e India e vaffanculo dove cazzo le pare e piace... tanto paga papà, con la Ferrari...

Insomma, avrei avuto una percezione lievemente diversa dei difetti del Festival (che tra l'altro dura e attira pubblico da 40 anni) una concezione un po' meno disastrosa dellas tua: ho visto ad esempio, un tentativo di mescolare fotografia e video art - ma poi, per carità, può essere che mi sbagli, che abbia preso un abbaglio fotografico... oddio, non è che di foto sia proprio una cima, mi definirei piuttosto un modesto "fruitore estetico" e poi, te lo confesso non mi va di criticarti troppo: a me piacciono i "rompicoglioni", per cui, ti perdono.

Ma questa storia della nostra ex cantante di Sanremo, Giorgia Florio, o Fiorio, pardon... adesso non ricordo più: beh, io la terrei in considerazione. L'Italia è un paese di berlusconiani di ex fascisti e di figli di papà, che si fanno chiamare figli d'arte... ma ciò che è peggio, che il resto degli artisti ( senza sangue blu) sono cromosomicamente dei figli di puttana!!!

Un abbraccio
io

(Alfonso Diego Casella)

Fulvio Bortolozzo ha detto...

@Marco
Sì, ti sei spiegato mio concittadino :-) Resta il fatto che all'esercizio della critica non può essere chiesto di arrivare fino ad organizzare un'alternativa all'esistente. Se così fosse, solo chi possiede la forza e i mezzi necessari avrebbe diritto di esprimere le proprie idee. Detto questo, è nelle mie intenzioni provare a fare qualcosa di diverso. Una cosa di sicuro la so già: non lo chiamerò "festival". Non ne posso proprio più di questa parolina sanremese.

@Alfonso Diego Casella
Mi è dispiaciuto leggere il tuo post, perché vorrei che i contributi su questo e altri blog fossero sempre di tutt'altro spessore. Confidando nella tua buona fede, e intelligenza, mi permetto di segnalarti che Giorgia Fiorio (non trovo elegante giochicchiare con i cognomi di chi si critica, mi ricorda troppo Emilio Fede...) sta lavorando sodo e bene nell'ambito della fotografia d'autore da parecchi anni. Fatti un giro sul web e informati. Penso che ogni essere umano abbia il diritto di non vedersi contestare la nascita familiare come una colpa: sia essa una famiglia umile, ricca o altro.
Nella speranza di averti stimolato ad una migliore conoscenza, e ad una riconsiderazione delle tue opinioni sulla Fiorio, mi scuso fin d'ora di un'eventuale irritazione che possa averti provocato il mio intervento.

Anonimo ha detto...

MADONNA CHE PESANTEZZA!!!!!

MA GODETEVI LE COSE CHE OFFRE IL MONDO INVECE DI LAMENTARVI SEMPRE PER IL NEO.

simona bonanno ha detto...

Vorrei sollevare un quesito riguardo ai RIP di quest'anno, ma che è possibile ampliare anche a buona parte della produzione fotografica contemporanea: può chiamarsi Fotografia il prodotto della manipolazione di un'immagine creata da altri? e chi manipola (e non scatta!) è un Fotografo? e che ci fanno in uno spazio dedicato alla Fotografia degli enormi carboncini? Certo la loro idea parte da alcuni negativi.. Ma se dipingo la Venere di Milo, il mio dipinto andrà esposto tra le sculture? MAH.

Diego Casella ha detto...

erdona davvero il ritardo ma incrocio soltanto ora abbastanza casualmente tua risposta al caso Fiorio ( o Affaire Giorgia, come preferisci)
Sì, è vero: non si giochicchia coi nomi - come fa Emilio Fede ( così dici tu).
Purtroppo non so a cosa ti riferisci - credimi - perché non guardo mai Emilio Fede. Allo stesso modo posso tranquillamente fare a meno delle foto della Fiorio.

Mi fermo davanti a ciò che stimola il mio senso estetico. E comunque, sono ritornato sul tuo blog. Mi sa che dovresti ritenerti in vantaggio rispetto ai due.

Ah, su una cosa hai ragione: ho adoperato delle volgarità che mi potevo tranquillamente risparmiare. Questo è vero.

A presto
Alfonso Diego Casella