Il 15 agosto, sì proprio il giorno di ferragosto, è andata in onda su Radio 24 una puntata di Nessun luogo è lontano, la trasmissione radiofonica ideata e condotta da Giampaolo Musumeci che mi ha voluto ospite in studio, come preannunciato su queste stesse pagine un paio di settimane fa. Per chi fosse interessato ora è possibile ascoltare la trasmissione anche dal blog. Stavolta il titolo della puntata era La guerra dei fatti e Giampaolo Musumeci ha invitato Lorenzo Trombetta, giornalista di Limes, e Franco Pagetti. L'argomento principale della puntata verteva sulla veridicità dei racconti giornalistici e sull'enorme problematica della verifica delle fonti che dovrebbe essere alla base di qualsiasi lavoro in odor di giornalismo per poi spostarsi sulle specificità della fotografia. Consiglio l'ascolto della puntata (e delle altre presenti sul podcast di Radio 24) a tutti quelli che nutrono un minimo di interesse per l'argomento e in particolare a quei miei studenti che dovessero trovarsi a errare per questo blog. Il mio intervento inizia intorno a 28,32 minuti dall'inizio della trasmissione.
Approfitto per segnalare un secondo link radiofonico relativo a un'altra trasmissione che mi ha visto coinvolto. Mi riferisco a Moby Dick, programma culturale della Rete Due della Radio Svizzera Italiana, cui ho partecipatoai primi di giugno sempre per volontà di Giampaolo Musumeci che cura la rubrica Cose dell'altro mondo. La trasmissione prendeva spunto dalla morte di Tim Hetherington e Chris Hondros, cui avevo accennato all'epoca dei tristissimi fatti in questo post. Ospite con me ancora una volta Franco Pagetti che a questo punto mi propongo di incontrare al più presto di persona visto che già per tre volte ci siamo ritrovati ad essere ospiti della stessa trasmissione radiofonica.
I due interventi possono essere ascoltati cliccando qui.
7 commenti:
Come giustamente sottolinei il reportage, oggi, non cambia nulla. Analogamente la dicotomia tra esigenze di mercato della notizia e il porsi delle immagini spesso porta a punti di vista opposti, come nel caso che hai citato del reportage sui malati psichiatrici.
Del resto i media ci hanno abituato a vedere persone che muoiono, soffrono o sono già cadaveri mentre infiliamo bramosi la nostra forchetta nella pastasciutta, durante il telegiornale dell'ora di cena, nella nostra ormai più totale anestesia morale.
Ma allora che senso ha oggi fare del reportage? Io, vecchio romantico, credo che in fondo mostrare una realtà, pur filtrata dalla propria sensibilità e cultura, abbia senso nel momento in cui io stesso ci credo, e soprattutto quando il racconto abbia alla base un rapporto profondamente umano sia in ambito di contatti interpersonali, che di rispetto con le persone che si vuole raccontare.
Un grande saluto, con stima
Pietro Collini
Sicuramente andare su immagini non banali, ricercate e fuori dagli stereotipi rende una giustizia al lavoro, al soggetto. Ma Sandro, lo sai benissimo anche tu che cosa ricercano e vogliono i giornali che pubblicano le foto. Il bambino, il cucciolo sono si banali, (no, non è vero che sono banali, sono solo più facili da capire alla gente che legge quel giornale o rivista) ma sono anche quelle che nella maggior parte porta a casa la pubblicazione. Come hai detto tu, bisogna fare attenzione a quello che accade alla nostra foto anche dopo lo scatto, post produzione, commercializzazione, errato utilizzo ecc, però penso che non tutti si soffermano a guardare reportage cruenti, dove la realtà è come un pugno nello stomaco, e un libro fotografico di guerra non lo acquistano per regalarlo a natale, mentre le foto "facili" fanno acquistare il giornale, fare la donazione all'ONLUS del caso, fanno vedere in superfice quello che magari il fotografo ha realizzato in maniera più approfondita e seria, con delle immagini che difficilmente vedranno la luce su quotidiani, riviste stampate.
Vorrei rispondere prima alla domanda con cui inizia il tuo post: Si può raccontare la guerra? Certo anche se sarebbe meglio non avere nulla da raccontare per "assenza di segnale". Ma dato che le guerre, purtroppo, ci sono allora tirarsi indietro potrebbe essere anche sbagliato.
Ma se raccontare la guerra è solo pubblicare una foto, più o meno cruenta, più o meno enfatizzata dalla post produzione, allora stiamo usando un termine sbagliato, perchè questo non è raccontare ma al massimo, se fatto con certi criteri, testimoniare.
Raccontare prevede una scelta, selezione delle foto, che abbia un filo narrativo che il fotogiornalista sceglie perchè vuole mostrare "quel lato" della storia.
Non si può raccontare una cosa, complessa, come la guerra con una foto e neppure la guerra può essere raccontata solamente con immagini crude.
Circa il gusto di chi poi compra certe foto, spende un sacco di soldi, beh ognuno sui muri di casa sua appende quello che vuole ... io ci metto le mie foto e forse sono orribili lo stesso!
Premessa, non conosco la storia dei due reporter uccisi, la "loro" storia, inoltre non mi permetterei MAI di dare un giudizio su di una persona morta durante lo svolgimento del proprio lavoro.
Le mie considerazioni sulla guerra sono generali ma sicuramente condizionate dagli ultimi (oramai decennali) avvenimenti.
Ecco il mio pensiero.
Raccontare la guerra, rischiando la vita, può essere una cosa epica stile Don Chisciotte o un affare.
Un affare se la visione cercata, catturata,prodotta e venduta è basata sugli aspetti più superficiali, più crudi, più pruriginosi. (e più vendibili)
Aspetti visti e vissuti (embedded?) soprattutto dalla parte dei vincitori. (dei buoni ?)
Una cosa epica raccontare il dolore della povera gente, piccoli (e inconsapevoli) attori di un film che non hanno scritto loro, che non è per loro ma che pradossalmente tutti dicono ideato, sceneggiato e prodotto per loro .
E come al solito non è la fotografia (informazione) il problema ma l'uso che se ne fa e il significato sociale conseguenziale.
Come al solito (per le cose terrene) ci sono sempre almeno due strade.
La risposta è si, si può raccontare una guerra tramite immagini che spiegano tutto da sole. Bisogna però, essere attenti e responsabili, a scegliere le immagini giuste per raccontare quello che bisogna raccontare e non cadere in sentimentalismi banali che non servono a niente!
concordo, non cambia nulla
Perchè ritornare su questo post oggi? Le foto sui principali quotidiani (la morte di Gheddafi) penso siano esemplari. E' necessario mette in prima pagina la foto di un copro sfigurato per raccontare che una persona è morta? Lo stesso vale per la guerra? serve l'immagine cruenta?
La risposta è forse si e forse come dicevano prima di me ... si ma tanto non cambia nulla. Però se si parla di questo ...... forse forse ......
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