Viaggiare, sosteneva poco più di mezzo secolo fa Guido Piovene nel suo De America, dovrebbe essere sempre un atto di umiltà. Un gesto di conoscenza, qualcosa che dovrebbe condurre all’incontro con realtà desuete alla quotidianità. Ma umiltà e conoscenza sono parole che non hanno mai avuto un grande carisma, se non per pochi. Lo testimonia l’iconografica più popolare, nel senso di più diffusa, che si accompagna alla rappresentazione di quanto sfugge al dato esperienziale diretto e continuativo. Si tratta di un fenomeno che affonda le proprie radici nel sentimento di rassicurazione che offre la conferma di uno stereotipo. Soprattutto nel rapporto con l’alterità sociale, politica, economica e geografica. In un’epoca come questa caratterizzata da trasformazioni feroci per la velocità con cui si compiono, il contatto con la balbuzie del barbaro risveglia il terrore mai sopito del diverso e favorisce la ricerca di rassicuranti conferme della superiorità della stirpe di appartenenza. È il tentativo dello struzzo sapiens di arginare il senso di instabilità che lo pervade negando a se stesso la visione di prossimità indesiderabili. È il manifestarsi in tutta la sua evidenza della derealizzazione operata dal turismo massificato teorizzata da Marc Augé. È lo spostarsi fisicamente, rimanendo ancorati saldamente con l’intelletto alle proprie convinzioni. È l’esperire il rifiuto dell’incontro nella sua essenza. Oggi l’India si propone al mondo come potenza economica e industriale, come motore informatico del pianeta. E così ci viene raccontata dai mezzi di informazione. Ma cosa sappiamo noi occidentali dell’India? Poco, forse nulla. Eppure parte della nostra cultura viene dall’India, a iniziare dalle radici della nostra lingua. Gli echi mediatici che descrivono un paese in ascesa silenziosa e inquietante, si confondono con ricordi scolastici di un passato recente all’ombra del colonialismo inglese. Ma cosa incontra l’occhio dell’occidentale proiettato nel cuore di Calcutta? Un territorio dove non è possibile riferirci ai nostri parametri anche spaziali, un luogo dove il concetto di confine, come siamo abituati a intenderlo si perde, dove casa e strada si confondono nel fluire di un continuum che rimanda ai raffinati estetismi del quotidiano del pachistano Raghu Rai che attinge a piene mani alla tradizione iconografica di quella parte di mondo. Ma, voltato un metaforico angolo, ecco apparire spazi e luoghi che si definiscono in modalità più note, più semplici da accettare per il nostro occhio. I luoghi di un lavoro, fortemente manuale, a conferma dell’intuizione salgadiana, che rimandano a tratti alla rappresentazione tramandata del fotografo americano Lewis Hine all’inizio del ventesimo secolo. In equilibrio tra realtà e preconcetto la Gente di Calcutta rimane sospesa nell’equilibrio stabile della visione, mentre emerge dai meandri della memoria il monito di Voltaire: «Quando si viaggia troppo in fretta, si prendono gli abusi per le leggi del Paese».
La mostra
Gente di calcutta foto di Giorgio Bacciocchi
Castello di Vigevano
Strada sotterranea - tratto nuovo, Vigevano PV
Curatore: Sandro Iovine
Date: Fino al 11 maggio 2008
Orari: dalle 9,00 alle 18,30
Ingresso: libero
Tel. 0381-77424
E-mail: fotomarket.fotomarket@fastwebnet.it
Dall'alto:
Gente di Calcutta foto di Giorgio Bacciocchi.
Gente di Calcutta foto di Giorgio Bacciocchi.
Gente di Calcutta foto di Giorgio Bacciocchi.
Gente di Calcutta foto di Giorgio Bacciocchi.
Gente di Calcutta foto di Giorgio Bacciocchi.
Gente di Calcutta foto di Giorgio Bacciocchi.
Gente di Calcutta foto di Giorgio Bacciocchi.
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1 commento:
Viaggiare, sosteneva poco più di mezzo secolo fa Guido Piovene nel suo De America, dovrebbe essere sempre un atto di umiltà. Un gesto di conoscenza. Queste poche ma semplici parole dicono tutto, mi trovano pienamente d'accordo. Avere la possibilità di viaggiare ti porta un qualcosa in più, ti fa migliorare come persona,ti da un Imput in più. Dovrebbe aprirti la mente dovrebbe essere cosi ma purtroppo al giorno d'oggi non lo è più.....
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