mercoledì 20 aprile 2011

Libia: muore Tim Hetherington

L'ultimo messaggio su Twitter del 19 aprile 2011 di Tim Hetherington: «Nella città assediata di Misurata. Bombardamenti indiscriminati delle forze di Gheddafi. Nessun segno della Nato». (clicca per ingrandire)
 «Ti dovrei raccontare un po' di cose, ma magari ti richiamo un altro giorno... oggi sono proprio distrutto... sono morti due colleghi a Misurata...  Tim Hetherington e Chris Hondros»
«Oddio, ma quando?» chiedo.
«Nel pomeriggio... era anche un amico...»
Guardo l'ora sull'orologio del computer, istintivamente... le 21,48...dall'altra parte del telefono Francesco Zizola. Dovevamo sentirci per paralre un po' di un lavoro, ma evidentemente non è il momento. Il destino tragico che ha accompagnato la fine di tanti, troppi, giornalisti si è ripetuto per l'ennesima una volta. È terribile pensare di essere tranquillamente seduti davanti al proprio computer mentre la gente muore, ma in genere si fa Herrington finta di non sapere che dall'altra parte del mare c'è una guerra in corso. E in guerra si muore.
Saluto Francesco... ci sentiremo nei prossimi giorni per parlare...
L'immagine del soldato che si riposa nel bunker a Restrepo in Afghanistan, realizzata in assignment
per Vanity Fair, con cui
Tim Hetherington ha vinto il World Press Photo of the Year nel 2007.
Mi viene in mente che un paio di settimane fa anche quelli del collettivo Shabel Reporter Associati hanno rischiato grosso a Bengasi. Su Skype Ugo Lucio Borga, che a suo tempo era stato mio studente al corso di fotogiornalismo, mi aveva raccontato che lui, Matteo Fagotto e  Giampaolo Musumeci erano rimasti sotto il fuoco per una decina di minuti... i più lunghi della sua vita. «Stavolta ce l'avevano proprio con noi» aveva scritto in chat la sera. Ma per fortuna sono tornati tutti e tre senza un graffio.
Tim Hetherington
Apro La Repubblica.it  che annuncia la morte di Tim Hetherington e ricorda che era stato nominato all'Oscar per un documentario sull'Afghanistan e nel 2007 aveva vinto li World Press Photo of the Year. Chris Hondros è dato per gravissimo. Inoltre sono feriti anche Michael Christopher Brown e Guy Martin. I quattro pare siano stati colpiti da un mortaio in Tripoli Street, nella strada principale della città di Misurata. Purtroppo sia nella parte finale dell'articolo di La Repubblica.it sia in quella de Corriere della Sera.it si parla di Hondros al passato, cosa che sembrerebbe suggerire che l'informazione di Francesco Zizola fosse più aggiornata. Possiamo solo sperare che non sia così al momento, anche se il video pubblicato da Corriere della Sera.it non lascia certo adito a grandissime speranze.
Chris Hondros
Nel suo ultimo messaggio su Twitter «In besieged Libyan city of Misrata. Indiscriminate shelling by Qaddafi forces. No sign of NATO.» (Nella città assediata di Misurata. Bombardamenti indiscriminati delle forze di Gheddafi. Nessun segno della Nato).
Verrebbe da dire molte cose in questi momenti. Ma in realtà quaunque parola in più venisse aggiunta a questo punto non potrebbe che risultare inutilmente superflua.




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5 commenti:

Anonimo ha detto...

eugeniosinatrapalermo
Ovviamente dispiacere per i giornalisti morti, e anche per tutti i morti di tutte le guerre in corso.
Ma se vai sul campo di battaglia sai che puoi morire o restare ferito o essere preso prigioniero. Se non ci fossero le guerre questi fotoreporters cosa farebbero? laverebbero le scale dei palazzi o farebbero i badanti per i vecchietti? o raccoglierebbero pomodori nelle campagne?, . No, quelli sono lavori indecenti, li lasciamo agli extracomunitari e poi ci lamentiamo che mancano posti e opportunita' di lavoro. A parte il cordoglio dovuto, la loro e' stata una scelta di vita, non so dire pero' per quale utilita' sociale. La foto, bellissima, con cui il fotografo in questione ha vinto il premio, il soldato che si riposa, quale grande rivelazione ci da' della guerra, se gia' sappiamo che ogni guerra e' una pazzia umana che produce solo vittime? serve solo a farci fare bei discorsi sulla fotografia, la scelta dell'attimo, la composizione dell'immagine,il sapere entrare nella scena, il pathos ripreso fedelmente, ecc. Tutte balle: sempre e solo estetizzazione delle brutture umane.
Ovviamente, pace all'anima loro
eugeniosinatrapalermo

Giulia ha detto...

Che dire, c'è poco da dire, sono morti in due e non erano lì per uccidere....non si può morire nemmeno così.

Anonimo ha detto...

Io non ne so tanto, ma quel poco che so è che il fotoreporter è uno dei lavori più difficili, estenuanti e nemmeno troppo remunerativi (specie negli ultimi anni) che esistano... ed è chiaro che serve tanta volontà per farlo. E i rischi li conoscono. L'utilità sociale? Dare a tutti un'informazione visiva di quel che accade: cosa scontata per la generazione di Facebook, ma mica tanto per quelle precedenti. E magari, la signora che legge Vanity Fair dalla parrucchiera in centro a Milano ha anche un sussulto di coscienza quando vede per due secondi una fotografia che le ricorda quel che accade laggiù ...
Perché si sa: noi esseri umani abbiamo la memoria breve (ormai brevissima!) delle nostre stesse brutture!...

Anonimo ha detto...

In questi momenti penso sia saggio lasciar spazio al cordoglio e alla tristezza per due fotogiornalisti che ci aiutavano a ricordare che come in tutte le guerre muoiono persone innocenti.. il fatto che fossero consapevoli dei loro rischi non toglie nulla a questa tragedia che e' la tragedia anche delle migliaia di morti di questa guerra. forse non serve a niente come dice eugenio? io non sono d'accordo, oggi forse il lavoro dei fotogiornalisti non cambiera' il corso degli eventi come e' successo per il vietnam (pero' ricordiamoci che i social network che sono comunicazione hanno innescato la rivoluzione in egitto!!), ma credo nel valore di questo lavoro per non addormentare definitivamente le nostre coscienze e per cercare di scuotere la nostra assuefazione a tutti gli orrori, le ingiustizie e le brutture. non ci fosse questo non sapremmo nemmeno che esiste la guerra in libia...che poi esistono fotografi che vanno al fronte per motivi estetizzanti non lo mettono in dubbio (ma quanto resistono?), non e' certo il caso di questi due (e tanti altri) grandi professionisti. un'ultima cosa: per fare questo lavoro da professionisti ci vuole una grande cultura, preparazione umana e sensibilita'.. se non ci fossero le guerre non so cosa farebbero questi fotoreporters ma con tutto il rispetto non credo laverebbero le scale dei palazzi. alessandroiasevoli da roma

francesco peluso ha detto...

La cosa per me ancora più drammatica è il dubbio che tale barbarie possa essere stata architettata e realizzata al solo scopo di attirare di nuovo l'attenzione dei media sulla Libia.
(insieme ad un'altra scarica di bombe...)

Sia insomma un fatto strumentale. un'operazione di killeraggio che ha fatto si che i due fotoreporter fossero vittime due volte.

Ed è triste pensare al salto indietro che l'uomo ha fatto, un salto di centinaia d'anni riportando l'essere umano ad un elemento spendibile, ad una cosa.

Come se la rivoluzione francese e le battaglie sociali successive non fossero servite a nulla.

Di nuovo i barbari.