sabato 16 aprile 2011

Istantanee alla borsa di Parigi: prezzi favolosi e migliaia di persone rovinate

«Nel 1933, andando in biblioteca, passavo a volte vicino alla Borsa. Un giorno, incuriosita dalle voci che ne uscivano, ci andai. Armata della mia Leica, mi avvicinai ai portici e mi unii alla folla che ascoltava le offerte degli agenti di cambio, che poi le scrivevano sulle lavagne alle loro spalle. A quei tempi tutte quelle attività che oggi si svolgono all'interno avvenivano all'aperto in un frastuono di vendita all'asta. Vidi un agente che gesticolava forsennatamente. Senza dubbio un meridionale: la pelle scura, i capelli neri e una ciocca che ricadeva sulla fronte. Ora sorridendo, ora con aria angosciata, asciugandosi la faccia rotonda, imboniva il pubblico. Ecco il mio uomo, pensai. Puntai il mio apparecchio e scattai una serie di foto.
Inviai queste foto a diverse riviste uropee con il titolo Istantanee alla borsa di Parigi. Un po' di tempo dopo ricevetti dei ritagli di un giornale belga. Quale non fu la mia sorpresa quando scoprii le mie foto sotto un titolo a caratteri cubitali che diceva: "Rialzo alla borsa di Parigi. Le azioni raggiungono prezzi favolosi". Grazie ai sottotioli ingegnosi, il mio innocente servizio assumeva il senso di uno scandalo finanziario. Il mio stupore toccò il culmine quando trovai, qualche giorno dopo, le stesse foto questa volta sotto il titolo: "Panico alla borsa di Parigi. Patrimoni che crollano, migliaia di persone rovinate".
  Le mie immagini illustravano perfettamente la disperazione del venditore e lo smarrimento dello speculatore sul punto di andare in rovina. Cominciai a capire che l'obiettività dell'immagine non è che un'illusione. Le didascalie che la commentano possono  stravolgerne completamente il significato.»* 
L'immagine della borsa di Parigi cui fa riferimento il racconto di Gisèle Freund pubblicata a pag. 30-31 del volume Il mondo e il mio obiettivo di Gisèle Freund, Carte d'Artisti - Abscondita, MIlano 2011.


 







*tratto da Il mondo e il mio obiettivo di Gisèle Freund, Carte d'Artisti - Abscondita, MIlano 2011, pag. 28-29.



5 commenti:

Giorgio Cecca ha detto...

A quanto pare anche il furto dell'immagine non è stata un' invenzione del digitale...

Unknown ha detto...

Assolutamente d'accordo sulla impossibilità di potere considerare delle immagini "obiettive". Forse lo sono per chi scatta, ma nel momento in cui vengono lette o anche solo guardate da un'altra persona smettono di esserlo. E poi, come ho avuto modo di vedere, una fotografia che sembra raffigurare una scena innocente, se guardata allo specchio può dare percezioni inquietanti. Come si può parlare di obiettività dell'immagine?

francesco peluso ha detto...

In pochi centimetri di pellicola (materiale sensibile) non si può rappresentare il mondo esterno.
E' un problema di spazio.
Si può invece benissimo rappresentare la propria visione, la propria interpretazione.
E questo forse è il limite della fotografia ma anche il suo potenziale, il suo enorme potenziale.
Pochi cm dove ognuno può esprimere il suo pensiero e ognuno può "leggere ed estrarre" la propria interpretazione.
Il problema delle didascalie (quando esistono) e che non viaggiano "insieme" al supporto.
Non sono intrinseche ad esso.
Secondo me sarebbe bello che qualora ci fossero fossero obbligatoriamente rappresentare sui media, insieme.
Come compendio indissolubile all'immagine stessa.

Anonimo ha detto...

eugeniosinatrapalermo
Una didascalia associata ad una immagine fotografica, didascalia scritta di proprio pugno dal fotografo, non e' sinonimo di verita'. Faccio un esempio : io fotografo uno scontro urbano tra un poliziotto armato di manganello e un civile ; la mia didascalia potrebbe essere : un poliziotto malmena un manifestante in tale occasione in tale data. Ma potrei anche scrivere : un manifestante aggredisce un poliziotto in tale occasione e in tale data. In entrambi i casi, il fatto che l'interpretazione della scena fissata in immagine fotografica sia la mia e venga rispettata in sede di diffusione mediatica dell'immagine, non costituisce verita' , l'aderenza al vero dipende dalla credibilita' del fotografo e dalla sua assoluta imparzialita' nel registrare i fatti.
Ma possiamo mettere la mano sul fuoco su questa imparzialita' ? favole, il discorso non e' sulla obiettivita' presunta delle fotografie, ma sulla onesta' di chi diffonde le notizie creando o disfacendo consenso. E la massa ci casca.
Il libro di Gisella e la proposta del Direttore sono esempio di educazione all'immagine, non solo in termini di fotografia ma sopratutto di vita e di pensiero liberale. Ma la massa e' sottoposta ai media che creano ottundimento e faziosita' improduttiva.
E' il solito dilemma ( discusso gia' in epoca postunitaria italiana ) tra istruzione e educazione.
eugeniosinatrapalermo

francesco peluso ha detto...

Caro Eugenio in qualsiasi discorso bisogna pur partire da qualche verità, da qualche certezza.
Almeno una didascalia autografa sarebbe la verità, o meglio l'interpretazione della realtà da parte dell'autore.
La sua verità.
Un punto di partenza.