martedì 31 luglio 2007

Quello che la fotografia non dice


La piazza del Municipio di Arles è sempre quella in cui durante i Rencontres si svolgono le mostre dei nomi più prestigiosi per il grande pubblico. Quest’anno l’onore di una della mostre sui prestigiosi palazzi affacciati sulla piazza dell’obelisco era riservato al pakistano Raghu Rai, grandissimo fotogiornalista dell’Agenzia Magnum. L’interessantissima retrospettiva sul suo lavoro, raccolta sotto il titolo di Reflets de l’Inde presentava varie sfaccettature del lavoro del reporter, le cui note di maggior interesse contenutistico si potevano a mio avviso rintracciare proprio in quelle immagini politiche dove le sue prese di posizione critiche emergono in modo forte e indiscutibile.

Per il resto la mostra costituisce un trionfo per lo sguardo, grazie ad immagini in bianconero e colore di straordinaria complessità compositiva.

Soprattutto nelle immagini in formato panorama sono ravvisabili le influenze dell’arte classica indiana da cui Raghu Rai sembra trarre spunto per la gestione dello spazio. Uscendo dalla mostra l’occhio è dunque appagato dai virtuosismi del celebrato maestro che con straordinaria abilità ci porta dentro a quegli aspetti dell’India che abbiamo sempre desiderato conoscere: strade affollate, brulicante di umanità, colori sgargianti, povertà vissuta con una dignità impensabile dalle nostre parti. C’è perfino una citazione a colori di una nota immagine bianconera di Salgado, fatta guarda caso proprio in India: la folla nella stazione confusa in un mosso fluido che contrasta con l’immobilità dei treni. Bello bellissimo, ma soprattutto tranquillizzante dal momento che abbiamo visto un’India lontana e diversa, proprio come ci aspettavamo di vederla. Molto meno rassicurante è invece l’India altra, quotidiana, intimista che indaga la quotidianità familiare, sulla condizione della donna, sui turbamenti dei più piccoli, sull’evoluzione di una classe media così poco esotica, così tanto simile alla realtà che viviamo quotidianamente in occidente.

Un’India attenta alle trasformazioni, alla condizione femminile o a quella omosessuale sofferte come non immaginiamo. L’india di Dayanita e Nony Singh, Sunil Gupta, Anay Mann, Bharat Sikka, Jeetin Sharma, Siya Singh. Nomi che in Italia non conosciamo, sicuramente non gli unici, nomi che non vale nemmeno la pena di ricordare perché sarà difficile che si possano vedere i loro lavori in Italia.




Peccato, se ciò avverrà come probabile, avremo perso un’altra occasione di conoscere qualcosa che non sia l’olegrafica visione Magnum sul mondo.
n.184 - agosto 2007



Dall'alto:
La piazza del Municipio di Arles, sede della mostra di Raghu Rai.
Un laboureur fait la sieste sur un marché animé, Chawri Bazar, Delhi, © Raghu Rai/Magnum Photos, 2005.
Prière du soir, Jama Masjid, Delhi, © Raghu Rai/Magnum Photos, 1982.
Ma chère Nixi dans la suite présidentielle, Oberoi hotel, Srinagar, © Noni Singh, 1961.
Amour & Lumière #3, Candolim, Goa, © Sunil Gupta.
Sans titre, © Anay Mann, 2007.
Place Nehru, © Bharat Sikka, 2004.
Sans titre, © Jeetin Sharma, 2005.





4 commenti:

Unknown ha detto...

ha un modo molto particolare di "illustrare" le situazioni... veramente da non perdere.

ænima

:: haku :: ha detto...

già solo da queste poche immagini degli altri indiani
si respira la polvere del quotidiano.

e la luce opaca che vela la vista,
e il contrasto tra quello che troviamo di "noi" nelle foto e quello che ci aspetteremmo di trovare di "loro"...
e il confondersi delle longitudini per nuovi frammenti di lucidità.

peccato, sì.

Unknown ha detto...

India..... ricordo quando mio nonno tornò a casa, avevo 5 anni, era il 1965. Da qualche parte ho ancora un pacchetto di negativi 6x6 che mio nonno scattò durante la sua permanenza in India ed un libro intitolato "Picturesque India". Da piccolo lo guardavo spesso, con quelle foto strane, di un luogo così lontano in tutti i sensi.
Di Rai ho un libro, sono fotografie molto forti, si percepisce l'anima dell'indiano che fotografa il suo mondo.
Chissà, un giorno magari ci andrò in India.....

Anonimo ha detto...

Quì si parla di fotogiornalismo con la "F" maiuscola e allora, non si possono trascurare autori come Raghu Rai. Non ho visto la mostra, purtroppo, ma conosco il background del fotografo e so che ha fatto ottimi lavori. Ricordo con particolare interesse, quello che ha fatto nei basti di Bhopal, tra il 1984 ed il 2004, raccontando le tragiche conseguenze dell'incidente alla Union Carbide, che intossicò centinaia di migliaia di persone, uccidendone diverse migliaia.
Ricordo molto bene anche il lavoro su Madre Teresa di Calcutta... Insomma, un fotografo con una sensibilità non comune ed autore di immagini davvero complesse. Un'ottima opportunità per riflettere sul senso del fotogiornalismo. GRAZIE