mercoledì 28 novembre 2007

Digigraphie: arriva la certificazione di tiratura per le stampe fotografiche


Quanto sareste disposti a spendere per una stampa che nessuno può assicurarvi che duri abbastanza da poter essere vista dai vostri figli? Visto che oggi la diffusione sul mercato del collezionismo delle fotografie stampate con tecnologie a getto d’inchiostro è un dato di fatto, il problema non è certo di piccolo conto e a ben vedere può essere in parte responsabile del mancato sviluppo del settore nel nostro settore. O meglio che in parte ha frenato fino ad oggi. La novità in questo senso viene dalla Epson che ha messo a punto Digigraphie, un sistema di certificazione di autenticità, qualità, durata e tiratura delle stampe eseguite da autori riconosciuti attraverso attraverso una procedura che prevede la registrazione on-line e la la firma di un documento definito Carta dell’Artista Digigraphie. Al ricevimento di una copia della Carta dell’Artista Digigraphie, che altro non è se non un contratto, farà seguito il ricevimento di un timbro a secco in rilievo per l'autenticazione delle opere tramite il rivenditore grafico. L’artista Digigraphie stampa le sue opere esclusivamente con stampanti Epson stampanti inkjet della serie Epson Stylus Pro a 8 colori - e con gli inchiostri della Epson UltraChrome su supporti certificati; l’opera sarà numerata, firmata dall’artista, identificata da un timbro a secco e accompagnata dal certificato di autenticità. Il tutto permette evidentemente da una parte di offrire delle garanzie all’acquirente e dall’altra di valorizzare il valore unitario delle singole opere a vantaggio di autore e gallerista. La concessione della certificazione Epson Digigraphie prevede anche un corso di formazione da parte degli operatori e la concessione di uno spazio gratuito all’indirizzo www.digigraphie.net con pagine personalizzabili. Il processo di validazione d’eccellenza ha origine nel 2003 con la registrazione da parte di Epson France del nome Digigraphie presso l’INPI (Institute Nationale de la Propriété Industrielle) e l’OHIM (Office of Harmonization for the Internal Market) in 25 paesi europei. Per le specifiche tecniche realtive al progetto si può consultare il sito Digigraphie.
Che influenza avrà la Digigraphie nella formazione delle quotazioni di mercato di opere stampate utilizzando altre tecnologie non altrettanto certificate?




Il timbro a secco che garantisce la certificazione Epson Digigraphie.






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3 commenti:

:: haku :: ha detto...

se capisco bene è un'ulteriore certificazione che oltre alla qualità delle già certificate Fine Art Giclée [=spruzzo] (che in genere utilizzano inchiostri UltraChrome o inchiostri K3, a pigmenti, in caso di bianconero definiti "al carbone") attesta anche l'autenticità e una... eventuale numerazione?
è molto interessante...

p.s.
la numerazione diviene, tocca forse ammetterlo, un fattore palesemente e meramente commerciale, legato alla definizione di stampa "d'arte"...?
p.s.2
qui un pdf scaricabile di un laboratorio già convenzionato, per avere un'idea delle attrezzature usate in acquisizione e in stampa.

Anonimo ha detto...

Non sono convinto che la durata di vita sia il nodo fondamentale , e il valore intrinseco, delle stampe a getto d’inchiostro di nuova generazione. Penso che la caratteristica di lunga durata degli inchiostri delle nuove stampanti sia più una necessità tecnica ed etica (non si può accettare di fare un lavoro serio che si ”evapora” in poco tempo) che un motivo serio di valore aggiunto. Senza contare sul consumismo legato ad una novità che deve sostituire la marea di stampanti precedenti.
Per me, il punto chiave è quello che si evidenzia dall’atteggiamento di grandi collezionisti che comprano scatti simili a quelli già in loro possesso o in possesso di “colleghi”, per valutare “l’originalità” nel senso della unicità dell’opera. Sappiamo tutti che nessun stampatore è capace di riprodurre perfettamente sotto ingranditore due volte una stessa stampa. Ci sono sempre delle variazioni nelle mascherature manuali che rendono uniche le stampe da camera scura. Lemagny sostiene che è per questo motivo che è difficile trovare delle stampe che vanno oltre la serie di 10 se no 5 pezzi.
Perciò, per nascondere il vero problema della facile riproducibilità di un file, ci si inventa una preziosità non basata sul fatto che ogni acquirente possiede un tiraggio unico… ma sulla sua durata quasi illimitata nel tempo! A suo tempo Warhhol si era confrontato con lo stesso problema visto che con la serigrafia, almeno per un certo quantitativo, le stampe erano molto simili. Per ovviare, Warhol interveniva manualmente su ogni pezzo che sfornava dai telai per permettere una chiara distinzione grafica o di colore fra di loro…
Sono anni che sostengo questa posizione e vedo solo tanti aggrappati agli specchi che mi rispondono che si può fare delle variazioni al file (che dopo rimangono riproducibili….), o che la temperatura nella stanza può modificare la solidificazione dell’inchiostro… etc. Queste sono, se ci sono, variazioni tecnologiche, non di interpretazione.

Questo, a parer mio, non significa che si deve rimanere inchiodati alle baccinelle. Assolutamente no! Si deve semplicemente, nel caso del collezionismo, trovare una soluzione che produca unicità, approfittando delle nuove tecnologie che sarebbe da imbecille rifiutare.
Personalmente ricerco questa via che mi deve fare partorire dei tiraggi digitali che non siano assolutamente riproducibili da file, dal momento che una sostanziale parte del lavoro è eseguito con intervento esclusivamente manuale. Con tanto di inchiostri Vivera garantiti due secoli...
Il problema non è però semplice. In effetti, tanti “nuovi collezionisti” o i galleristi non ragionano in questo modo. Per esempio, la FLATFILEgalleries che mi rappresenta negli USA mi chiede o delle stampe classiche in BW o delle stampe digitali stampate su sopporto “Archival”. In sostanza preferiscono vendere una foto stampata su carta cotone, riproducibile all’infinito senza alcuna variazione se non il numero progressivo fino a dieci o cento… piuttosto di una immagine stampata su tela, con gli stessi inchiostri garantiti, ma assolutamente impossibile da riprodurre, perciò pezzo unico per ogni acquirente. Invece, fortunatamente, la Millenium Images di Londra si rivela decisamente meno ortodossa nei miei confronti....
Come vedi, anche l’arte non ha sempre delle ragioni che la ragione contempla.
Cordialmente,

Claudio Andreini

Anonimo ha detto...

la complessita' del rapporto tra fotografo e tecnologia e' aumentata esponenzialmente e l'apparente limite della totale riproducibilita' del supporto digitale per me e' solo un nuovo falso limite.
l'interessante novita' e' la relazione tra autore-fotografo ed autore-fotoritoccatore.
E' un'interazione nuova fatta di tecnologia e cultura che paradossalmente riporta la fotografia ad una dimensione artigianale.
la possibilita' di curare ogni microscopico dettaglio, la totale liberta' di manipolazione del colore, i nuovi tempi di interpretazione sono novita' eccitanti.
l'apparente serialita' del mezzo digitale in effetti non contempla l'enorme incontro creativo tra fotografo e fotoritoccatore.
la testa, l'occhio e il cuore sono anche li.
e una foto, un file per dirla brutalmente, lavorato due volte non e' lo stesso file.
quel file e' il nuovo negativo.
unico e non riproducibile.
e un negativo in una macchina da stampa automatica, un minilab, produce stampe sempre uguali.
il plotter e' come un minilab, che non sbaglia mai, se non per difetti meccanici.
l'emozione di una grande stampa "tradizionale" non arriva dalle mascherature un po diverse tra una stampa e l'altra ma da due visioni che si uniscono.
questo e' il bello.
se poi, il mercato dell'arte, fondato su regole che niente hanno a che fare con l'arte stessa, necessita di "bollini" di qualita' e unicita' ben venga la ricerca in questo senso.
nikon, canon, epson, apple o adobe sono dei brand.
il loro mestiere e' il "mercato", esattamente lo stesso mestiere dei collezionisti.
e' quindi logico che siano i primi a cercare una soluzione.
un produttore cinematografico o discografico si preoccupano della pirateria solo per il mancato guadagno.
ma chi ama il cinema o la musica gli mp3 non li ascolta perche' si sentono male e non guarda divx perche' si vedono male.
un cd o un dvd di qualita' pero' lo possono comprare tutti, perche' non dovrebbe essere cosi' anche con una stampa ?
una stampa che il fotografo conosce, ha guardato, toccato ed approvato.
e che si "vede" bene, proprio come gli autori volevano.
questa e' la parte che mi interessa.
lascio poi la parte del mercato a chi di brand si occupa.
che si chiami epson, nikon o magnum.