giovedì 3 gennaio 2008

Fiction o reportage?

No, nonostante il titolo non voglio parlare delle grandi tematiche inerenti il fotogiornalismo. Pensavo solo di raccontarvi un episodio che mi ha molto colpito nell’ultima settimana di insegnamento, di reportage lo ammetto. Di fronte a un esercizio di progettazione di un servizio fotografico, mi sono trovato improvvisamente, nel senso che finora non era mai accaduto, davanti a studenti appartenenti a classi differenti che non riuscivano a distinguere tra il concetto di fiction e quello di reportage, inteso evidentemente come testimonianza di avvenimenti realmente accaduti. Non mi sento di risolvere la questione attribuendo un livello di concentrazione particolarmente basso ai ragazzi in questione, che per altro si sono resi velocemente conto che il loro progetto avrebbe potuto anche funzionare per la sceneggiatura di un film, ma sicuramente non si attagliava all’idea di reportage. Credo che ci sia un problema molto più profondo e diffuso se persone che frequentano gruppi differenti, provengono da esperienze personali che non hanno alcun punto di contatto e non si conoscono nemmeno, finiscono per incappare nella stessa errata tipologia interpretativa rispetto a un problematica di per sé evidente. Mi vien da pensare ad esempio che l’attitudine a confondere la realtà con la finzione nella programmazione televisiva, possa essere fortemente responsabile in questo senso, avendo anestetizzato le menti al punto da non permettere più di identificare la linea di confine in cui inizia la distinzione tra le immagini che vengono dal mondo reale e quelle che provengono dal grande universo dell’immaginario. Di fatto e senza fare la solita tirata sterile contra televisione, c’è davvero di che essere preoccupati se persone che nutrono interessi specifici non riescono a discriminare tra il racconto giornalistico e quello di intrattenimento. Anche perché se un meccanismo del genere si attiva in fase di progettazione, dove i tempi di ragionamento sono particolarmente estesi, cosa accadrà mai quando invece che emittenti le stesse persone divengono destinatarie della comunicazione? E a quelli che nemmeno si occupano di giornalismo o di comunicazione in generale? Finiremo tutti per non distinguere più tra un telegiornale e una telenovela? Il rischio mi sembra davvero consistente e le prospettive di controllo socio-politico-economico che si sviluppano a partire da ciò sono decisamente inquietanti. Ecco perché forse dovremmo imparare a leggere meglio le immagini che vediamo o che produciamo… non sono necessariamente innocenti

Sandro Iovine

n.189 - gennaio 2008





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27 commenti:

Anonimo ha detto...

Ragazzi, guardiamo programmi tipo Matrix (mentana, Canale 5) che si dichiarano di approfondimento giornalistico e rendiamoci conto della struttura narrativa che seguono... Guardiamo un telegiornale a caso, ormai abbiamo dei veri e propri serial, storie investigative presentate come fiction di basso livello. Guardiamo invece alcune serie tv, per lo più americane, e qui si potrà vedere lo spirito quasi documentaristico nel raccontare gli avvenimenti... Come stupirsi quindi della difficoltà nello scindere fiction e cronaca??? Mi stupisco che ancora ci sia questa differenza e forse, Sandro, per i tuoi allievi potrebbe essere un bene non riconoscere la differenza visto che il mondo del lavoro sul quale si affacciano chiede proprio questo...
Con ironica mestizia
BigG

Anonimo ha detto...

recentemente ho visto un servizio di studio aperto sulla meningite. il giornalista diceva una cosa del genere: "bene ora andiamo ad intervistare il detective del microbo, l'indiana Jones della meningite, il signor..."

dopo l'intervista il giornalista commenta: "accidenti, roba da dottor house". non scherzo, è successo davvero.

quindi non mi stupisco che ci siano persone che facciano fatica a distinguere realtà e finzione, dato che la stessa informazione di oggi mescola entrambe le cose.

a me mi vien male a pensare ad un ragazzino che cresce vedendo servizi del genere...

Antonino Condorelli ha detto...

Ciao
Innanzitutto grazie per aver linkato la mia pagina al tuo web log.
mi permetto di esordire in questo tuo sito con un commento al post in questione, dicendo che sì, purtroppo hai ragione tu ed hanno ragione le persone che hanno lasciato i commenti prima di me. Penso, purtroppo, che la Tv Italiana, abbia anestetizzato le coscienze, non solo con la programmazione di pessima qualità alla quale ci hanno abituati, vedi grande fratello, isole dei famosi e quant'altro, ma anche, e soprattutto in merito alla qualità del fare il giornalista presso le televisioni italiane. Se guardi un Tg, durante la pagina politica non si dice la notizia, piuttosto si riferisce di come hanno commentato TUTTI i vari esponenti di TUTTI i partiti a cominciare dalla maggioranza a finire all'ultimo esponente dell'opposizione. Mi sembra un teatrino di zitellone che si scagliano l'uno contro l'altro per avere la fettina di apparizione quotidiana...
Se posso permettermi, in una mia ipotetica classe di insegnamento, ammesso che sia in grado di insegnare, io non consiglierei ai miei "alunni" di guardare al giornalismo italiano come esempio per il loro avvenire. Insomma ragazzi, quanti di voi ricordano i reportage, quelli veri, del vecchio TG2 Dossier, mi riferisco a quei reportage di Joe Marrazzo, o il vecchio TV7, o per tornare a noi ai reportage de l'Europeo o Epoca. Non si vedono più. Allora io consiglierei ai miei ragazzi di vedere quello che fanno i loro colleghi in Germania, Francia, Inghilterra, olanda, Stati Uniti. Consiglierei loro di raccogliere informazioni che non vengono dalla Televisione, che si sà, sono manipolate in base al colore ed agli interessi dei governi di turno. Mi preoccuperei di aprire loro gli orizzonti con letture inerenti l'argomento da trattare e con autori vari contemporanei e non. Riporto un fatto realmente accaduto a me di persona, pissonalmente, come direbbe Catarella del commissario Montalbano... Un giorno andai a parlare, portando con me un servizio appena realizzato in Romania, al photo editor di un rinomato supplemento Italiano. Mi accomodai, cominciammo a parlare poi vide le mie foto, si complimentò e mi disse che non era interessato, che per il suo giornale era più indicato unn servizio su un uomo che esporta la mozzarella in Giappone, piuttosto che la situazione precaria che hanno certe "Tribù" in Romania. Nonostante possa essere molto interessante chi esporta la mozzarella in giappone, penso che i reportage veri in italia non hanno vita, perchè gli inserzionisti non mettono la loro pubblicità accanto a foto che mostrano la guerra, la povertà, il degrado umano, la cattiveria dell'uomo, la sua idiozia. Bensì mettono la pubblicità accanto a foto che mosttrano la megalomania umana, e la povertà initeriore. Non sono un moralista, ma lasciatemi dire che la situazione è veramente tragica.
Ciao per ora antonino

Anonimo ha detto...

Credo che i vari "reality" abbiano avuto un grande ruolo nell'anestetizzazione dei cervelli.
Si arriva a definire un Vip un tizio qualsiasi che fà il mestiere di "tronista" e si arriva a non conoscere gravi tragedie umane solo perchè i mass-media non hanno fatto vedere le immagini di quella guerra , di quella carestia o di quel cataclisma naturale. Per cui si è arrivati alla conclusione che "reale" non è ciò che avviene ( o è avvenuto) ma solo ciò che si vede o si è visto in televisione.
Tra l'altro la "memoria Storica" ne esce fortemente inficiata, creando strani connubi e connessioni mentali fra i vari "avvenimenti" visti in TV.
Penso che ciò che ha immaginato Orwell nel suo "Grande Fratello" sia stato ampiamente superato dalla tristissima realtà attuale.
C'è la "moda" sfrenata delle palestre per sviluppare i muscoli, poco importa se i cervelli si atrofizzano ogni giorno di più.

Anonimo ha detto...

Sandro dice: "le prospettive di controllo socio-politico-economico che si sviluppano a partire da ciò sono decisamente inquietanti".
Questo, a mio parere, rappresenta il fulcro di tutta quanta la faccenda. Postiamo commenti di denuncia, offesi come siamo dal perpetuo e sistematico svilimento dell'informazione che ormai nient'altro è che una parola scippata del proprio significato.
Il problema però è raggiungere la consapevolezza più dolorosa, cioè che tutto ciò non è casuale ne riconducibile, perlomeno non esclusivamente, alla logica deculturizzazione avviata da paesi come gli Stati Uniti di cui noi (per quanto riguarda l'informazione)rappresentiamo soltanto l'imitazione degli aspetti peggiori. No,non è casuale, ma ragionato, progettato ed attuato sul popolo attraverso un meccanismo che finisce per autoalimentarsi sfruttandone la conseguenza più ovvia, e cioè che più a lungo una società è sottoposta a disinformazione di ogni genere maggiore è la sua vulnerabilità e di conseguenza la sua malleabilità, il che rende sempre più semplice, di generazione in generazione, l'attuazione di un progetto finalizzato al controllo delle masse da parte di pochi burattinai.
Ho sempre pensato che questo problema, come moltissimi altri, si combatta con l'istruzione, intesa come diffusione e insegnamento dei mezzi necessari per decodificare i messaggi ricevuti dai media.Già, questa è la soluzione reale ma come sempre è anche quella più lunga e dipendente da mille altri fattori. Per questo penso che prima di tutto, prima ancora di saper leggere i gesti del burattino, la gente debba cominciare a diffidare seriamente di chi ne muove i fili.

Anonimo ha detto...

Secondo me, la tirata contro la televisione, anche se scontata, non è sterile, anzi è dovuta. Alla base di tutto sta una sempre più crescente incapacità della gente nel filtrare con il proprio giudizio la realtà che viene vissuta. Per chiunque eserciti un potere, qualunque sia e a qualunque livello, questo stato di cose non può che essere vantaggioso. La televisione è il mezzo che più di tutti ha contribuito a raggiungere questi livelli. Così, chiunque eserciti un minino potere se ne approfitta, considerando anche che i diritti di cui dovrebbe godere un cittadino, in italia, sono esclusivamente apparenti e per nulla reali... Un bel 2008 a tutti!

Anonimo ha detto...

Gentili amici di questo blog, la questione si ripresenta e non posso fare a meno di citare il trafiletto del Direttore
quando alla proposta di visione fotografie di James Nachtwey
i suoi allievi hanno risposto che ricordavano il reality "LA TALPA". Tutti ci indigniamo ma cosa facciamo veramente
per affrontare questo modo di fare Televisione in Italia?
Non è vero che la gente è questo che vuole vedere ma è ciò
che gli è stato insegnato a vedere.
Condivido pienamente ciò che dice Pan quando parla di combattare
questo stato di cose con l'istruzione, anche se, comunque,
si trova tantissima ostilità, da parte della gente, ad accettare che le cose possano essere
diverse da come le ha sempre viste.
Saluti a tutti.


Mario.

Anonimo ha detto...

Purtroppo mi trovo perfettamente d'accordo con gugle.... Non ho visto il servizio di "studio aperto" sulla meningite ma, gli esempi di TgFiction, sono davvero tanti. Anche i programmi di cosiddetto approfondimento lasciano a desiderare parecchio. Ricordiamo, per esempio, le numerose puntate di "Porta a Porta" con il Dott. Crepet e il plastico della villa di Cogne. C'è una spettacolarizzazione degli avvenimenti che, inevitabilbemente, porta la maggior parte della gente a non riflettere sui "contenuti" e a non andare oltre la "forma". Ecco quindi che si tende a vedere tutto come un film, una cosa irreale. Il discorso sarebbe lungo, ma la sostanza è che, forse, il modo di fare INFORMAZIONE, sta andando nella direzione sbagliata e se si proseguirà così, la gente farà molta fatica a ragionare da sola sui fatti che accadono nel mondo che ci circonda. Bisognerebbe leggere i titoli dei Tg e poi spegnere la TV, cercando di fare un dibattito con altre persone, provando a ragionare sulle cose. Insomma, per citare un vecchio consiglio del nostro Sandro: "Si consiglia di spegnere la televisione ed accendere il cervello".

:: haku :: ha detto...

Sandro Iovine dice: «E a quelli che nemmeno si occupano di giornalismo o di comunicazione in generale?»
beh, a quelli, come a tutti noi viene detto:
«non vogliamo farti somigliare alla televisione, vogliamo una televisione che somigli a te!»
che come avrete sentito tutti è il testo degli ultimi spot raitv... il problema è che non è falso, ma il suo essere realistico è quanto di più spaventoso ed offensivo possiamo sentirci dire spiritosamente in faccia.

p.s.
trovo che questo post sia strettamente correlato a quanto si cerca di considerare in L'estasi del 2000... le simulazioni virtuali non fanno che contribuire a questa confusione-sovrapposizione, per eccedere e forse collegare i due post tra loro, pensiamo anche al successo di allucinazioni pseudoiperrealistiche come Second Life.

robie06 ha detto...

Sono assolutamente d'accordo con i commenti che sono stati dati sopra, riguardo la TV italiana che sta appiattendo il livello delle "nostre" capacità mantali.

C'è un ricorso eccessivo al sensazionalismo, tanto che se anche qui ci fosse uno sciopero degli autori/sceneggiatori molti Tg potrebbero anche non andare in onda.

Però invece di criticare come al solito, proporrei a Sandro Iovine di porre lo stesso quisito sul blog (una volta che il compito dei suoi allievi sia finito) in modo che noi stessi possiamo proporre qualcosa di concreto e vedere dove sbagliamo. Perchè a criticare siamo sempre troppo bravi, quando poi ci mettiamo in gioco ci accorgiamo che i nostri limiti sono molti.

Anonimo ha detto...

Che dire in più se non essere assolutamente d'accordo con il nostro direttore?
I danni provocati dalla tv erano già da tempo prevedibili e le generazioni nate e cresciute con questo "specchio" acceso in casa ne sono la diretta conseguenza.
Non è inutile riscagliarsi contro questo pericoloso elettrodomestico e non è inutile ribadire che cervello e televisione sono alimentati dalla stessa presa: uno dei due va staccato per accendere l'altro.
ciao
ezio turus
http://ezioturus.altervista.org/

Anonimo ha detto...

Ah no ezio, assolutamente no!!! mi indigno a questa cosa detta da te : le spine devono restare inserite tutte e due, e' un ottimo allenamento cercare sempre e costantemente di capire quello che ci vogliono propinare, plagiandoci, e invece sforzarci a pensare quello che noi autonomamente pensiamo di ogni cosa. e' un allenamento a saper discernere sempre.
Difficile invece e' spiegare a quelli che ci circondano la nostra teoria, perche' quasi tutti in genere cadono nel trabovvhetto.

Anonimo ha detto...

DUNQUE...
Prima di rispondere, vorrei fare un distinguo. PERSONALMENTE, non credo di arrivare a un punto simile (non distinguere un telegiornale da una telenovela), però E' POSSIBILE che molti ragazzi e persone più giovani di me ci arrivino. SICURAMENTE la televisione influisce molto sul nostro stile di vita (basta vedere le statistiche secondo cui il "mestiere" più ambito tra le ragazzine preadolescenti è la velina / letterina.... aggiungerei... zoccolina.. ma di questo LORO non se ne rendono conto.. e magari finiranno per ADEGUARSI (QUESTO è il vero problema, la perdita del senso morale); tornando al tema, credo che l'improvvisazione di un genere a metà tra la fiction e il reportage, sebbene "sbagliata" per quello che riguarda il compito in sè, non sia più preoccupante di tanto, perchè - prendendosi i propri rischi - voleva essere semplicemente un esperimento diverso, qualcosa da "provare" per non essere TROPPO stereotipati sullo svolgimento dell'esercizio. A torto o a ragione, il fatto stesso di improvvisare vuol dire secondo me che si ha ben chiaro dove finisce la realtà (di per se stessa neutra, sterile, e ben riconoscibile, almeno per me) e dove inizia la finzione. Di più, guardo sempre meno televisione anche per questi motivi (pochi contenuti e visibilmente distorti).
Dino

Anonimo ha detto...

Comprendo, Eugenio (oratore), la tua risposta.
Il mio intervento era, ovviamente provocatorio. L'unica "spina" attaccata dovrebbe essere SOLO quella del nostro cervello che dovrebbe distinguere e decidere che altre spine attaccare e discernere cosa entra nei vari canali ricettivi del suo possessore.
Uso però il condizionale, perchè lo spunto di Iovine ci rammenta che già a monte, probabilmente, la struttura cerebrale è alterata da una manipolazione anteriore la sua connessione alla rete globale dell'informazione.
Meglio staccarlo, quindi, se dobbiamo farci plasmare da sollecitazioni non omologate.
Un po' come staccare dalla rete il computer prima di usarlo, al fine di non rischiare attacchi virali.
Ovvio che alla fine dobbiamo tirare fuori dalla borsa la consapevolezza che la nostra maturità ci dovrebbe aver dotato, in modo da sapere dove sta il limite tra la verità e la sua rappresentazione, tra la fiction e la vita reale, ma nel frattempo meglio non rischiare.
Ciao
ezio

sandroiovine ha detto...

Dino, non è questo il contesto per approfondire la discussione e sarà bene riparlarne in classe. Ma c'è un punto nodale, che in teoria abbiamo chiarito alla prima lezione, che mi pare imprescindibile. A parte il fatto che il riferimento non era a un singolo episodio e quindi non solo al tuo esercizio di progettazione del servizio, il problema non è l'attinenza all'esercizio stesso. Il problema è il concetto alla base di fotogiornalismo. Improvvisare, perdonami, non significa sovrapporre arbitrariamente quella che ritieni sia la possibile evoluzione di una situazione da qui a venti o trenta anni, mostrandola come realtà, quando inevitabilmente è solo qualcosa che possiamo supporre. E per questo il fatto che la supposizione sia corretta o completamente sbagliata è del tutto irrilevante. Noi, se facciamo giornalismo, possiamo e dobbiamo suggerire una possibile evoluzione, ma non spacciare per vere le nostre proiezioni mostrandole come realtà. Ed è proprio questo che tu hai fatto proponendo il salto temporale che hai descritto nel tuo esercizio. Indipendentemente dalla condivisibilità della tesi che portavi avanti, hai perso di vista il fatto che facciamo informazione, non cinema. Il che significa che in una sequenza non possiamo proprio mostrare oggi come sarà ridotta tra venti o trenta anni, la stessa persona che nella fotografia precedente abbiamo mostrato teen-ager. Non foss’altro perché non può essere lo stesso soggetto.

Anonimo ha detto...

Ciao Sandro
no problem, al di là dell'esercizio volevo solo dire che l'ho fatto INTENZIONALMENTE (sbagliando in questo caso) cioè avevo ben presente dove fosse il documentarismo e dove fosse la finzione.

Anonimo ha detto...

Dal momento che e' diventato un discorso a due che non possiamo comprendere appieno ( almeno io, saro' cretino..) perche' non conosciamo bene i retroscena, non come pettegolezzo ma come sostanza del contendere, spiegateci allora come stanno le cose.
Se degli studenti hanno dato quella impressione a Iovine, vorrei che lui mi spiegasse meglio, cioe' compiutamente, qual'era l'esercizio proposto, se si riferiva a fatti reali o a fatti fittizi, proposti appunto per l'esercizio, e quali sono state le soluzioni conretizzatesi con le proposte degli allievi.
Pero' : se tutta la stampa e i Tg ci danno dimostrazione di come sia costume assodato manipolare la notizia, e non da ieri ma da tanto tempo, mi chiedo a cosa serva un corso di reportage che si basi sulla onesta' e correttezza di uno come Sandro.
Non vorrei avvilirti Sandro, ma oggi se uno vuole fare il fotoreporter deve uniformarsi all'andazzo, altrimenti non vende. Quindi gli allievi debbono sapere che se vogliono fare il mestiere non possono fare i paladini dell'onesta' ma abituarsi a manipolare senza farsene accorgere, altrimenti, se gli ripugna, vadano a fare i monaci trappisti o i vigili urbani.
Io mi sono messo in pensione appena possibile perche' non sopportavo piu' di dover badare alla "produttivita'" (leggasi : usare antibiotici poco efficaci ma poco costosi, e sopportare di usare strumentario costosissimo per arricchirele ditte private e gli economati) invece di pensare allasalute dei pazienti. Cioe': se oggi vuoi fare l'ospedaliero devi sapere a che cosa vai incontro, se ci sei dentro devi continuare nell'inganno altrimenti ti fanno saltare in aria o ti finisce come Bruno Contrada.
Sperare di cmbiare il mondo dall'interno e' utopia, o perlomeno io non ci sono mai riuscito, unico risultato raggiunto quello di essere chiamato cavallopazzo perche' dicevo la verita' scomoda, e finora l'ho fatto franca ma la mia dignita' e' indistinguibile dalla cacca dei cani per le strade di Palermo.
Dico tutto cio' ad onta del perbenismo del torroncino condorelli, che si lagna nel suo intimo ma sa che ogni volta che fotografa un nero da' in pasto al pubblico la solita solfa, e continua a farlo per campare.

Anonimo ha detto...

Personalmente, se da una parte è OVVIO che la realtà delle cose è spesso o quasi sempre avversa a quanto uno vorrebbe fare (cambiare il mondo dall'interno) io so che se non ci provo c'è qualcosa, dentro di me, che me lo contesterà ogni giorno finchè campo: la mia coscienza. Sono certo di non avere nè tutte le risposte e neppure i mezzi per risolvere i problemi, ma se un giorno posso spendere una foto, una parola, uno sguardo, un pensiero a favore di qualcuno e non lo faccio, qualcuno che non passa un giorno mi chiederà un conto ben più salato da pagare. C'è molta depressione in giro, è vero, ma di questa, il 99% dipende dall'uomo stesso che gioca a fare Dio (o a usare i suoi poteri) e poi pensa solo al proprio tornaconto, dimenticandosi degli altri. Ma, ancora, ricordatevi che l'uomo, con le sue miserie, passa sempre. Chi non passa sono gli atti d'amore e di cura verso gli altri che vengono ricordati nel tempo, e non solo dall'uomo. Ma questo è un blog fotografico e mi fermo.

Anonimo ha detto...

Un'altra cosa. Può sembrare stupido o controcorrente, ma la verità è che tutti abbiamo problemi a cambiare il mondo perchè tutti vorremmo essere in cima, e farlo allo stesso modo: emergere, parlare con le agenzie più in mostra, fare come vorremmo noi, parlare di grandi temi ecc. ma io credo che anche nel proprio quartiere, nel proprio paese, nella propria comunità - nel momento in cui i "soldi" non diventano l'unico parametro di riferimento - si può fare molto di più, in concreto, per le persone che ci sono intorno. Chi non vorrebbe andare in Africa e parlare e fotografare i tanti suoi problemi? Ne ho appena parlato, figuratevi se un "idealista" come me non si sentirebbe spronato a farlo.. Ma sono anche cosciente che DEVO poter essere in grado di partire DAVVERO dal basso, dalle piccole cose da raccontare perchè al giorno d'oggi c'è quasi più "carne" qui che altrove.. solo che andare all'estero fa molto "PRO(fessionista)", come quello sceicco degli Emirati che, all'inverso, (sentita stasera) ha chiesto un fotografo italiano per il matrimonio della figlia. Perchè "italiano fa in" al suo Paese. Ovviamente, lo ripeto, è un parere PERSONALE.

Anonimo ha detto...

Come alcuni di voi sanno non intervengo spesso nel blog, pur leggendolo molto, ma mi sento in obbligo di ringraziare Dino per la sua bella lezione di morale (vedi penultimo intervento), una di quelle cose che effettivamente da un po' non vedevamo (grazie a Dio) in queste pagine... Ti ringrazio veramente anche per la tua capacità di focalizzare immediatamente il punto della discussione (a quanto pare anche degli esercizi). Un'ultima cosa: segui un corso di fotografia quindi posso supporre che tu voglia fare il fotografo e, di conseguenza, io potrei essere un tuo committente come Iovine durante le lezioni... Beh... Se il tuo futuro è il professionismo forse cancellerei espressioni tipo "volevo solo dire che l'ho fatto INTENZIONALMENTE (sbagliando in questo caso)" perché magari il tuo committente non la prenderebbe troppo bene!!! Magari mi sbaglio?!?!?
Con sempre maggiore ironica mestizia e un abbondante preoccupazione per il futuro dell'informazione...
BigG

Anonimo ha detto...

A DINO, ciao.
Hai obiettivi ambiziosi...cambiare il mondo se ho ben capito,o almeno tentare. Questo comunque ti fa onore! Tiratina d'orecchie: se scrivi maiuscolo, sottolinei quello che dici, ma alzando la voce.
Ti voglio raccontare, spero brevemente, una serata di un anno fa circa, dedicata alla fotografia: invitato dal nostro Circolo arriva un signore e, come avviene normalmente, si presenta. Non è un fotografo professionista, svolge un' altra attività, mi pare di ricordare agriturismo, ma per venti giorni all'anno(le sue ferie)va in Africa con e per la Croce Bianca. Nell'ultimo viaggio ha usato la macchina fotografica e devo riconoscere che ci sa fare. Al termine della sua autopresentazione sciorina le sue foto, grandi, a colori, sul grande tavolo e noi come sempre ci accingiamo ad ammirare ed eventualmente commentare, in questo caso, le bellezze della terra africana, come facciamo normalmente con gli autori.
Aveva portato con altri volontari, gli aiuti umanitari in un lebbrosario: corpi per la maggior parte distesi su lettini da campo,all'aperto o sotto tende all'ombra, visi quasi sorridenti, comunque sereni,mosche, mosche ovunque e il resto...il resto dei corpi urlava il loro doloroso messaggio, chiaro e forte, molto più di mille pagine scritte. Nel salone nessuno più osava parlare, occhi sbarrati e silenzio assoluto, una cappa di piombo. Il fotografo, con i suoi scatti, aveva gridato per chi non aveva voce, te lo assicuro.Se solo fossero state pubblicate... Gabriele Condorelli credo abbia scelto con molto pudore e sensibilità le immagini da mostrarci, ma quelle, quelle non mi escono dalla ricordo, sono un tormento . Perciò ti ammiro per le tue aspirazioni, si realizzeranno, se lo vorrai veramente e se troverai qualcuno abbastanza coraggioso da utilizzare il tuo prodotto. Voglio ricordarti che una buona costruzione si deve realizzare su buone fondamenta. Stai seguendo un corso di fotografia (invidia mia all'ennesima potenza!), hai in Iovine un ottimo insegnante te lo assicuro, ascoltalo, chiedi, fallo spiegare fino a togliergli il fiato, segui i suoi consigli..la battuta tua mi è piaciuta, forse non è stata felicissima e costruttiva ma ha scatenato magari una risata e rotto il ritmo.Questo non va tanto bene, ma vi conosco mascherine..
Mi sembri un ragazzo con idee chiare e determinato. In bocca al lupo,Dino. Con simpatia.
gabri

Anonimo ha detto...

«ascoltalo» poteva bastare.
lavocefuoricampo

Anonimo ha detto...

Post affascinante che coinvolge la nostra percezione del reale e ci costringe a domandarci se sappiamo sempre capire quello che ci mettono davanti agli occhi. Beh facendo un po’ di autoanalisi confesso di cadere nell’inganno troppo spesso, sarà perché i miei primi ricordi della tv sono legati al Drive in che con un colpo si spugna ha cercato di cancellare le tensioni degli anni settanta introducendoci in quel “fantastico” mondo fatto di signorine ammiccanti e risate facili che allontanavano le preoccupazioni e trasformavano la televisione di intrattenimento in un luogo di fuga di tale successo che la gente in vent’anni ha scelto di consegnare il proprio quotidiano e barattare la realtà con un surrogato artificiale in cui tutti i sogni diventano realtà, almeno per le due ore dello show. E noi siamo stati così arrendevoli e complici che ci siamo dati più o meno consapevolmente al questa Tv dove le risate, le lacrime, i ricongiungimenti familiari e persino la lotta e la cucina sono più “veri” che nella vita reale, dove le tragedie e le stragi in poche ore diventano fiction fruibili da tutti, le vittime e i carnefici comparse e pretesti in uno spettacolo dove i veri protagonisti sono coloro che speculano e vivono di questi drammi.
E siamo così inseriti in questo sistema che ormai non basta più spegnere la televisione e accendere il cervello, perché temo siano proprio i processi della nostra mente a dover essere riprogrammati per riconquistare un po’ di autonomia… e gli interventi di Dino sono emblematici in questo contesto. Dino scusa se ti coinvolgo, non ti conosco lo so, ma parlerò solo dell’impressione che danno le tue risposte che sono certa non ti comprendono e non ti spiegano come persona…
Dunque Iovine dice che durante un corso di fotogiornalismo e non di scrittura creativa i suoi allievi chiamati a raccontare una storia interpolano la realtà con proiezioni personali che coinvolgono il futuro dei soggetti raccontati, fanno salti indebiti nella loro vita e abbandonano l’hic et nunc per raccontarci come va a finire e il suo commento è: ragazzi cosa stiamo facendo? Dovremmo raccontare la storia e non trasformarla in una favola, già ogni nostro racconto è influenzato dal filtro della nostra soggettività, se poi ci mettiamo anche ad immaginare forse dovremmo orientarci verso lo Still Life o la “fotografia artistica” che ancora non ho capito cosa sia… Tu Dino ti sei sentito chiamare in causa e rispondi che sai discernere la realtà dalla finzione, ma hai consapevolmente scelto di raccontarla in quel modo… bene cosa non ti è chiaro nell’espressione “racconto fotogiornalitico”? In che modo l’hai interpretato come “posso improvvisare e attingere al mondo del futuro possibile? E rendere tutto più eccitante/appetibile originale a scapito della verità” O ancora dal momento che hai chiaro il significato del termine documentario… perché hai scelto di allontanarti dal tema? Credo che proprio questo sia il problema: tutto nella nostra realtà ha i contorni così sfumati che ci siamo convinti che vale tutto, le regole le facciamo noi. Fino a qui almeno si può discutere, sì perché poi scivoli nel mondo della mistica religiosa e la confusione di temi e livelli si fa assoluta, di fronte a motivazioni così alte mi chiamo fuori… magari Iovine, Oratore, Ezio, Bigg e io non abbiamo capito che sei investito di una missione superiore e i mezzi che usi sono per un fine più grande, quindi ben venga la tua posizione, ma ancora una volta forse il fotogiornalismo è un’altra cosa.

Anonimo ha detto...

Ehi Dino, ma sei quello che entrando da qualche parte dice sempre: "Sono in missione per conto di Dio!" ?
Poi dice che certi film non andrebbero vietati ai minorati, ops scusate, ai minori...

Anonimo ha detto...

Ciao ragazzi
avete tutti ragione, d'altronde l'avevo ammesso al primo post.. di solito tanto casino viene fuori se si dice agli altri che hanno torto, non se si riconoscono i propri misfatti! :) :) :)
Ripeto, 100% d'accordo che quello che ho fatto NON è fotogiornalismo, così come viene propriamente inteso, stavo solo cercando di svolgere l'esercizio in un modo diverso, volevo semplicemente vedere se l'idea poteva funzionare. Evidentemente no, in questo contesto. Ma, please, torniamo a guardare la tv!!! (anzi, andiamo a letto che è tardi... qui è l'1 e 24 di mattina) Saluti a tutti e non vi preoccupate per la mia mistica religiosa, su altri forum ce n'ho già basta di discussioni con mangiapreti e atei per scelta o "per colpa degli altri" (namely, direbbero gli inglesi, "i preti")
Qui parliamo di foto. Le mie foto, per quanto possibile, sono un'espressione della mia sensibilità che vuole andare a favore degli altri. La tecnica mi serve, per renderle più efficaci e padroneggiare il mezzo. Ho sempre visto il reporter come un "commando" della macchina fotografica, e ne ho sempre invidiato le capacità tecniche. Ora so che c'è anche l'occhio (cosa a cui prima non pensavo proprio) e un modo di concepire la foto che è radicalmente diverso dal turista della domenica.
Again, saluti a tutti

Anonimo ha detto...

ps (giusto per vedermi in faccia) con questo post dovreste essere in grado di vedere il sito dove carico le foto.

:: haku :: ha detto...

Rileggendo le parole del post originario mi è sorta una serie di domande a cui ancora non avevo pensato in relazione alla sollecitazione lanciata. Confidando nella vostra pazienza tento di condividere qui il pensiero conseguente difficilmente articolabile avendo ancora la consistenza di un'intuizione:
l'assenza di una elaborazione critica personale delle immagini e delle storie (immagini e parole) che vengono propinate dai canali di comunicazione, assieme alla sovrapposizione di forme e generi che non sono confondibili nell'intento di informare sulla realtà, forse ha avuto ed ha una pesante ripercussione anche sulla capacità di elaborare simboli e di identificarli. O viceversa? Cosa ha cominciato per primo ad assopirsi? Sono comunque due forme di decodifica di un linguaggio. Sono entrambi fenomeni che ci costringono a pensare quanto (quanto?) sia possibile comunicare confidando nell'esistenza di un codice comune che permetta di trasmettere davvero pensieri e concetti definiti. La sempre più evidente carenza di capacità di ricevere consapevolmente messaggi legati all'uso del simbolico e tanto più di produrne parrebbe una spia clamorosa.
Comincio a credere che se non si sa distinguere tra finzione e giornalismo è forse anche perché stiamo lasciando decadere il mondo dei simboli, sostituendolo con il mondo della simulazione, che anziché proporci uno oggetto da sbucciare, da decodificare ci propone un doppio della realtà, ma un doppio più accettabile. Lasciamo decadere questo "mondo del simbolico" con una leggerezza sconfortante. Con la sostituzione in atto, scompare l'esercizio alla lettura, alla interpretazione, all'ascolto critico; a bene vedere ci scopriamo però non immuni da una forma di nostalgia del simbolico, molto attiva in noi, che ci costringe a cercare ancora la presenza di queste entità di senso ulteriore e caleidoscopico. In questo stato di contraddizione non sappiamo più riconoscere il simbolico e insieme spesso vorremmo fosse e crediamo sia quasi ovunque.
La confusione prende piede, e sta accadendo, temo, che chi sa usare ancora simboli sia soprattutto chi fa pubblicità e chi titola le notizie, ma in qualche caso anche chi sceglie foto da pubblicare. Significa che costoro possono disporre di quel codice scegliendo cosa di esso far decadere e cosa far rimanere riconoscibile ai fruitori. Significa che essi hanno la possibilità di far sopravvivere ad hoc o rifondare il codice dei simboli contemporanei, scegliendo i segni a cui appoggiarsi per produrre una elementare (e spesso inconsapevole) elaborazione simbolica. Dico "elementare" poiché i simboli che veniamo indotti a riconoscere oggi sono spesso non complessi vuoti di pensiero, non rimandano né suscitano una riflessione. Il simbolo è quasi appiattito sul segno. Ha perso spessore, dimensionalità.
Forse qui sta un elemento interessante circa l'atrofizzazione delle capacità interpretative: l'assenza di contenuti nei pochi simboli contemporanei.

In fotografia coloro che ancora sanno usare il simbolo (quello con contenuto...) rischiano di trovarsi ad urlarlo per poterlo utilizzare affinché esso passi, raggiunga, attraversando lo strato necrotizzato dall'atrofizzazione. Oppure sono portati a sostituirlo del tutto con una crudezza inutile e violenta che impressiona senza attivare reazioni di riflessione (quelle di cui non siamo più capaci), spacciata però magari come astrazione simbolica. Sia affidano così all'impressionabilità, all'emotività, senza portare contenuto ulteriore a quanto si può registrare guardando. L'emotività funziona sempre, ma nei fruitori non funziona più quella facoltà che permette di renderla elemento originario di un'elaborazione successiva e di non lasciarla cadere accartocciandosi su se stessa in una macchia che rimane informe appena prima della nostra coscienza.
La gestione del simbolico in fotografia è particolarmente importante, sebbene la coscienza che lo sia è particolarmente trascurata. Ma nel momento in cui chi ancora conosce i termini di questa gestione si scontra con un fruitore che non sa più leggere, si trova nella condizione di poter fare sequenze simboliche di una violenza criminale attribuendo funzione di simbolo e/o di realtà arbitrariamente a seconda della sequenza che ha scelto, della musica e delle parole che ha selezionato come accompagnamento indirizzante. L'arbitrarietà utilitaristica che ne consegue mette nelle mani di chi conosce ancora questa gestione un potere impressionante e pressoché illimitato.