giovedì 20 marzo 2008

Intervista (... argh) a Sandro Iovine - parte seconda (... doppio argh)


Per chi non ritenesse di averne avuto abbastanza è arrivata la seconda parte dell'intervista che Idee in bianco e nero ha realizzato con il sottoscritto. Colgo l'occasione per rinnovare il mio ringraziamento a tutti coloro che hanno dedicato il loro tempo e la loro attenzione alle mie parole realizzando l'intervista o vedendola sul web. Sono convinto che sia necessaria una notevole dose di pazienza e forse anche di incoscienza per restare ad ascoltarmi per una decina di minuti davanti al monitor. Ciò nonostante, non nego che mi sarebbe piaciuto leggere su questo blog qualche commento in più sui contenuti espressi, piuttosto che sulla scenografia o la mia capacità di stare davanti alla telecamera. Spero di sbagliarmi, ma ho la sensazione che la valutazione di fattori formali in questo contesto non rilevanti e mediamente poco pertinenti abbia finito per essere se non l'unica, almeno la principale di fonte di interesse di molti. E me ne dispiace sinceramente. Non certo perché ritenga che quello che dico debba meritare maggiore attenzione, ma per la mancanza di considerazione dimostrata nei confronti chi ha profuso il proprio impegno (chi ha provato a fare un montaggio video senza essere un professionista del settore sa bene quante ore di lavoro ci siano dietro una decina di minuti di video) nella realizzazione dell'intervista.
Per vedere l'intervista è sufficiente cliccare di seguito:
Intervista a Sandro Iovine - parte prima
Intervista a Sandro Iovine - parte seconda
Inoltre chi lo desidera può visitare, su Flickr, la pagina che il gruppo Idee in bianconero ha dedicato all'intervista.
Ah, quasi dimenticavo... la pessima notizia per voi è che ci sarà anche una terza parte...



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9 commenti:

Anonimo ha detto...

La deriva-posto che lo sia-artistica del fotogiornalismo consente comunque a quest'ultimo di assolvere alla sua funzione?
Ne ho discusso in varie occasioni con una cronista, con la quale ho collaborato per circa due anni.Assolutamente impermeabile al fascino di immagini di grandi reporter che io potrei stare a guardare per ore.
Ora non ci parliamo più:-(
Se ci parlassimo ancora,sarei però costretto ad ammettere che da un certo punto di vista alcune sue osservazioni erano corrette:se un'immagine deve veicolare informazioni,essa deve essere leggibile a tutti,chiara,priva di artifici o sottintesi.
Diversamente,e questo è il rischio di un certo tipo di fotogiornalismo,queste immagini finiscono per ghettizzare se stesse rivolgendosi ad un pubblico di nicchia, elitario,in possesso delle chiavi di lettura necessarie ad apprezzare, e interpretare,le informazioni veicolate.
In realtà, credo invece che la propensione "artistica"di alcuni grandi interpreti attuali del fotogiornalismo altro non sia se non la ricerca di un modo più efficace e complesso di comunicare attraverso le immagini.
Un esempio:ho visto-come tutti-decine di immagini riguardanti i funerali del papa.Ne ricordo pochissime.Sono tutte di Pellegrin.
Peccato che fossero disponibili solo sul sito della Magnum.
Forse perchè,come dice Sandro,non compatibili con la pubblicità dei finanziamenti easy per pensionati ottantenni disoccupati in protesto senza figli (dio li conservi) della pagina accanto.

:: haku :: ha detto...

Quello che scrive Ugo è non solo molto interessante per chi non sta dentro al mestiere, ma soprattutto allinea tutti i motivi di contraddizione e dunque di riflessione che si possono coagulare intorno ad una questione in questo blog già toccata. Vorrei porre a Ugo stesso, e a chi vorrà leggere, qualche riflessione che mi ha suscitato il suo commento di seguito all'intervista.
Se è vero che alcuni grandi fotogiornalisti attuali sono «alla ricerca di un modo più efficace e complesso di comunicare» ammettiamo che chi è dentro al mestiere e lo sa fare avverta un'incrinatura, un qualcosa da correggere per mantenere l'attenzione, o forse addirittura per catturarla di nuovo... come se il... linguaggio stesse sfuggendo al controllo o meglio si stesse sbiadendo, perdendo incisività, non desse più le possibilità di comunicare che da esso ci si aspetterebbe. Lo strumento sfugge di mano e come tale si fa pericoloso... Al controllo sfugge in realtà il nuovo linguaggio che si sta cercando. La «deriva artistica» in sé non sarebbe nemmeno una gran novità forse (poiché i riferimenti culturali visivi per il nostro Occidente riposano nell'arte figurativa)... non sarebbe una novità se non stesse diventando un modo di svuotare le immagini di quelle informazioni imprescindibili per la definizione di fotogiornalismo, e per ruotare invece l'attenzione dal soggetto davanti alla fotocamera al soggetto dietro la fotocamera. Del resto qualcosa di simile sta succedendo probabilmente in tutte le forme espressive in questo passaggio di millennio e viene il sospetto sia un sintomo già visto, che fa pensare ad un futuro mutamento radicale che al momento non sappiamo immaginare. Certamente ad un mutamento legato ad un abbassamento delle possibilità di ricezione/lettura del simbolico basato su una tradizione e ad una essenzializzazione del simbolico a livelli quasi primordiali, fino a spogliarlo, come già si diceva altrove.
Il problema si fa duplice e la sua doppiezza allontana. Coloro che utilizzano le forme espressive professionalmente hanno ancora una memoria della tradizione, mentre il loro pubblico l'ha in gran parte perduta o, peggio, crede di conoscerla e si lancia in improbabili associazioni meramente formali. Le possibilità per raggiungere di nuovo il destinatario sono due, credo: l'enfasi del segno per raggiungere il ricevente che non coglie più il simbolo, oppure la scelta intellettualistica per la quale occorrono però lunghe didascalie esplicative... e che dunque la «cronista» di cui racconta Ugo non accetterà... Lei preferirà l'enfasi del segno nudo «leggibile a tutti, chiaro, privo di artifici o sottintesi».
Nell'ambito della fotografia giornalistica però mi viene da chiedermi se questo incentivo alla denutrizione culturale non sia un suicidio. Perché più della morte non si può mostrare e quando il destinatario si sia assuefatto anche a quella, rimarrà solo la leva delle reazioni istintuali, quelle che non consapevolmente abbiamo davanti ai tratti arrotondati del «cucciolo» di cui parla Iovine...
La sfida per il fotogiornalista si immagina essere quella di trovare il linguaggio che permetta di continuare ad onorare l'etica del suo mestiere e del suo messaggio; ma la sfida per chi fa comunicazione, scuola, cultura dovrebbe essere già da ora quella di permettere al destinatario (noi) di dotarsi di un'estetica sufficiente da permetterci di leggere un messaggio complesso.
Senza esagerare credo che il blog di Iovine sia uno dei rari luoghi in cui si cerca faticosamente di perseguire proprio questo.

Anonimo ha detto...

C'è un mondo che ci vuole obbedienti,omologati,acritici e distratti.Possibilmente capaci di provare le stesse-inconsapevoli e inconsistenti-emozioni di fronte a stimoli che si vorrebbero universali,riproposti migliaia di volte.Lo psiconano con i denti finti, i capelli finti,la faccia finta,paladino delle famiglie e della libertà.E' diventato un'icona:se un direttore di giornale vi manda a fotografare i consiglieri regionali di un posto qualsiasi pretende lo stesso.Bisogna andar loro vicino e farsi vedere bene,usare il flash anche se non serve e fare rumore,perchè risorgano dal loro torpore e riescano infine a togliersi le dita dal naso.
Ma questo non è fotogiornalismo:è menzogna.L'immagine, chiara e comprensibile,non veicola nulla,se non uno stereotipo.E' vuota.
La fotografia ha bisogno,a mio parere, di linguaggi nuovi,di nuovi interpreti,di nuove prospettive perchè il suo obiettivo, oggi,dovrebbe essere quello di offrire,a chi lo desidera, un'informazione alternativa,libera ed etica, sopra e al di fuori di ogni contingenza.

Unknown ha detto...

Ovviamente non posso che concordare con la lucida analisi di Iovine sullo stato attuale della fotografia, succube dei desiderata dei pubblicitari e qundi degli sponsor.

A questo punto, collegandomi all'ultimo intervento, mi chiedo se e' corretto dire che e' la fotografia ad aver bisogno di nuovi linguaggi, nuovi interpreti e nuove prospettive o e' il mondo editoriale ad aver bisogno di una radicale revisione.

Si fa' presto a parlare di necessita' di una informazione alternativa, libera ed etica, ma senza pubblicita' l'informazione oggi non ha speranza di esistere.

Molti fotoreporter freelance lamentano la mancanza di commesse e il fatto che i giornali si accontentano delle immagini delle agenzie tradizionali e non commissionano piu' reportage di ampio respiro all'esterno.

Anonimo ha detto...

Concordo assolutamente con te,Mario.Penso che tu abbia ragione.Ma il mondo editoriale, i giornali stessi,sono oggi per la maggior parte diretti da manager,non da giornalisti.Non sanno nulla del mestiere,nè gli interessa:gli interessano le vendite.Il reportage di ampio respiro costa, meglio scriverlo in redazione, e poi impaginarlo sotto la voce "Il nostro inviato".Accompagnandolo con un'immagine d'agenzia.
Credere che il mondo editoriale cambi strada è un'utopia,purtroppo.Lo sanno bene i giornalisti, che sono,tra le categorie di lavoratori,i più precari,i più sfruttati,i più umiliati da contratti indegni.Quando hanno la fortuna di averne uno, magari dopo 20 anni di collaborazioni pagate 5 euro a pezzo.Sono invece convinto della necessità di nuovi spazi per i fotoreporter,in modo che quanto meno possano esprimersi liberamente.Credo-spero- che questo blog possa servire anche a loro.

Anonimo ha detto...

... e in effetti, quasi a comprovare tutto questo, giustamente Mario ha fatto notare l'assenza della fotografia al festival internazionale del giornalismo di Perugia: ecco il link alla discussione che ha aperto Mario Macaluso.
come diceva qualcuno altrove la fotografia pare essere considerata ancora un'"ancella", se non peggio... come ha ricordato lo stesso Sandro in occasione della segnalazione dell'intervista nel forum dello stesso gruppo Bianco e Nero: ribadendo un auspicio già espresso più volte: «il ritorno a una fotografia che abbia un peso e non sia solo uno strumento per coprire un buco di testo in pagina»

Unknown ha detto...

Ringrazio lahamahni per la citazione e vedo con piacere che siamo un po' tutti d'accordo sull'analisi.

Pero', sinceramente, non riesco a pensare positivo sul futuro, adesso non vedo proprio come si possano concretamente aprire i nuovi spazi di cui parla Ugo.

Fanno senz'altro bene le discussioni e i dibattiti, ben vengano, ma volendo spostarsi sul piano pratico?

Anonimo ha detto...

... sul lato pratico probabilmente si potrebbe solo augurarsi di essere catapultati in una corte rinascimentale, dove c'era un personaggio particolarmente colto che stava tra il mecenate e l'artista e li educava entrambi... ma forse non ci troveremmo bene per altri motivi...
per dire insomma che al lato pratico la vedo durissima, come voi.

Anonimo ha detto...

Purtroppo la fotografia molte volte è solo un'ancella del testo scritto. E per occupare lo spazio basta uno scatto con il cellulare del giornalista. Molti colleghi in forza a un famoso quotidiano del mezzogiorno sono "obbligati" dai redattori a fornire anche le foto dell'evento. Basta un cellulare o una piccola compatta è il gioco è fatto. Ma forse bisognerebbe rivedere anche l'importanza dei quotidiani. Molti di questi rimangono aperti solo per il contributo statale sull'editoria, non vendono e non hanno nessun peso di opinione.