venerdì 30 ottobre 2009

Esiste una fotografia che non mente?

In termini assoluti probabilmente no, ma non me lo stavo chiedendo in relazione al valore probatorio o anche semplicemente documentale dell’immagine prodotta meccanicamente. Mi ponevo la domanda in relazione agli incontri avuti negli ultimi tre fine settimana con persone che si dicono appassionate di fotografia. Il caso o un’urgenza più diffusa nel mondo della fotografia di quanto non fossi disposto ad immaginare, ha voluto che in tutte le occasioni si finisse per discutere sui parametri di valutazione che vengono applicati in occasioni di letture portfolio ed eventi assimilabili. Di lì a chiedersi perché alcuni, tra cui il sottoscritto, attribuiscano tanto valore alle immagini in serie il passo è stato breve. Il concetto che sembra aver maggiormente stupito miei interlocutori in queste occasioni è la necessità di disporre di più immagini per azzardare un’ipotesi di valutazione dell’autore in esame. «Ma come non basta una foto?» è l’obiezione più frequente a volte seguita dalla variante più evoluta «Ma perché devo raccontare per forza una storia?». 
Per forza non bisogna fare proprio niente. Premesso che per motivi di spazio non si può qui affrontare l’argomento in modo esaustivo, ma lo si può al massimo sfiorare in modo parziale,  personalmente ritengo addirittura scorretto valutare un autore per mezzo di una sola foto o di immagini singole. Al verificarsi di una condizione di questo tipo è quantomeno complesso indagare sul processo di pensiero creativo dell’autore, a meno di non accettare a priori un risultato che ha ottime possibilità di rivelarsi arbitrario. Molto facile infatti di fronte a scatti singoli cedere alla tentazione di considerarli, tanto in senso positivo quanto negativo, frutto di una casualità o al contrario di un preciso calcolo sfociato in espressione. 
Ma in realtà alla base del ragionamento che sto facendo non c’è nemmeno una questione etica che impone una doverosa correttezza nei confronti dell’autore in esame, quanto piuttosto la constatazione di un’intrinseca fragilità comunicativa dello strumento fotografico in quanto tale. Siamo troppo abituati a pensare la fotografia come una forma che trascende la conoscenza e comunica universalmente passando codici e convenzioni. Siamo troppo occupati a ripetere frasi rassicuranti del tipo un’immagine vale più di mille parole che alla fine ci siamo convinti della veridicità dimenticando che i possibili livelli di lettura son molteplici. Una serie non chiarisce a priori ma di sicuro circoscrive drasticamente le ipotesi interpretative che debbono poi essere in ogni caso supportate da altre considerazioni.
Siamo talmente abituati a considerare la fotografia come uno strumento esatto e altamente comunicativo da perdere di vista le problematiche che essa al contrario nasconde. Senza entrare in diatribe semio-filosofiche l’attribuzione di senso relativamente a un’immagine fotografica è sempre un‘operazione delicata e sottoposta a meccanismi interpretativi che rischiano di essere parziali e soggettivi se non filtrati da un metodo. L’influenza esercitata dal vissuto personale di ognuno di noi è sempre presente e promette importanti fraintendimenti dl senso se non si applicano i filtri di un’analisi sincronica e diacronica. Ovvero si rischia di prendere fischi per fiaschi se, valutando il senso di una fotografia, non si tengono contemporaneamente presenti tanto gli aspetti culturali quanto quelli storici che hanno portato alla sua realizzazione.  
Ne possiamo sperare di far riferimento a un concetto astratto di talento dell’autore. In questo caso infatti ci si riferisce a un parametro che per sua stessa natura è assai complesso ingabbiare in una definizione. Il che vuol dire che risulta troppo influenzabile da presupposti legati a una transitorietà afferente a modelli di prestigio espressi in un dato momento dal contesto socio-culturale in cui insiste l’analisi. Che detta in altre parole significa che il concetto stesso di talento è troppo influenzabile dalle mode del momento.
Fatta salva quindi la necessità di operare su più fronti nella valutazione di un lavoro fotografico rimane indubbio che trovarsi di fronte a una serie permette di disporre di una serie di strumenti interpretativi che guidano la lettura e l’attribuzione di senso del valutatore di turno. Questi ha così la possibilità di farsi destinatario del testo che riceve penetrando, grazie alla serie, nel circuito mentale dell’autore per decodificarlo. Si completa così con la ricezione del messaggio e al tempo stesso si pone in essere il processo comunicativo. Concetto quest’ultimo che personalmente pongo alla base della continua richiesta di una serie o quantomeno di un lavoro che sia articolato intorno a un tema. 




n. 211 - novembre 2009





Compatibilmente con i tempi redazionali, i commenti più interessanti a questo post potranno essere pubblicati all'interno della rubrica FOTOGRAFIA: PARLIAMONE! nel numero di novembre 2009 de IL FOTOGRAFO.


AddThis Social Bookmark Button



Puoi contribuire alla diffusione di questo post votandolo su FAI.INFORMAZIONE. Il reale numero di voti ricevuti è visibile solo nella pagina del post (clicca sul titolo o vai sui commenti).

Ti è piaciuto l'articolo? Vota Ok oppure No. Grazie Mille!

Puoi votare le mie notizie anche in questa pagina.

29 commenti:

danilogiuso ha detto...

Come ogni mese le riflessioni di Sandro sono tanto puntuali quanto interessanti. Italo Calvino nell'"Avventura di un fotografo" ritiene che la fotografia non serva per cogliere lo spazio ed il tempo della verita'. Ogni scatto contiene una sua verita', ciascun scatto e' inadeguato ad esprimere la totalita' della realta'. Una foto singola non basta a comunicare, ne' tanto meno ad essere valutati. Quando ho pensato a quello che vorrei dire con la fotografia inizio a scattare, per poi selezionare tra le venti e le trenta foto. Costruisco la mia realta' con inizio e fine. Non si possono definire portfolio vista la mia pochezza. Le foto selezonate le stampo costruendo un libretto economico del costo inferiore ai euro. In quel momento ho una realta' mia, che si tocca, si sfoglia e si condivide. In questo modo risultano piu' chiare le mie emozioni ed e' un metodo che mi ha permesso anche di effettuare qualche lavoro fotografico retribuito. La fotografia e' bugiarda perche' crea la convinzione di mostrare la realta' cosi' come e'.
Penso quindi che il fotografo debba essere valutato in funzione del suo rapporto con la bugia. Ciao Danilo Giuso

danilogiuso ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
danilogiuso ha detto...

costo per libretto : 60 centesimi per foglio A 4 su cui sono stampate 4 foto 12 x 17 circa

pasquale senatore ha detto...

Questo bellissimo articolo di Sandro,mi colpisce proprio nel momento in cui sto vivendo un'esperienza del genere.Cioè mostrare ad altri le mie foto singolarmente (vedi flickr o altre community,dove in un breve lasso di tempo la tua foto viene giudicata bella o brutta,tecnicamente perfetta o meno,che susciti delle emozioni oppure no,etc)oppure lavorare sui dei temi ben precisi e svilupparli con attenzione,in spazi web lontani dalle logiche delle community.Sto scegliendo la creazione di spazi propri,dove chi viene vede tutta la mia crescita fotografica e come io ho trattato gli argomenti.Una piccola galleria dove chi visita le mie foto,attraverso tutta una serie di foto tra loro collegate da un filo logico e per tema quel singolo argomento,capisce un pò più di me,del mio modo di vedere la realtà e di rappresentarla agli altri.Per cui sono d'accordo sulla serie di foto,ma credo anche nello stesso tempo che fondamentale sia la predisposizione culturale di chi le guarda.Oggi davanti a tante foto che vorrebbero raccontare in singoli scatti delle storie credo che ci sia poco tempo e poca voglia di guardare dei lavori fotografici con attenzione e libertà d'animo.Le mode influiscono molto sul gusto di chi guarda e succede molte volte che affrontare delle tematiche con un occhio attento e critico può non portare popolarità.Per cui credo,infine,che vada fatta una scelta:amare la fotografia e svilupparla fino in fondo nelle sue varie tematiche,oppure lasciarsi trascinare dai tempi e mostrare ciò che piace al grande pubblico per avere un attimo,seppure,effimero di celebrità.

claudio ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
claudio ha detto...

Io considero la Fotografia come un filtro dal quale passa una quantità variabile di realtà, le maglie del filtro sono la nostra cultura, poca se le maglie sono molto larghe, tanta se le maglie sono più strette. La capacità di filtrare la realtà dipende dunque dal fotografo che utilizza anche la sua apparecchiatura come le maglie di questo filtro. La bugia e l'inganno dipendono quindi da quanto queste maglie sono strette, ma di bugia e inganno dobbiamo sempre parlare, in quanto non considero vera la fotografia, nonostante il suo apparente realismo e la forza descrittiva, è comunque un'interpretazione della realtà. A maggior ragione se ci poniamo difronte a una sola foto, la nostra capacità di attribuirgli un valore, dipende anche da noi osservatori che usiamo il nostro filtro culturale con maglie più o meno larghe.

L'inganno lo possiamo tradurre in forma artistica, quando la cultura del fotografo lo permette, e lo possiamo riconoscere dalla continuità di una ricerca espressiva alla quale si affida colui che cerca di esprimersi, e dalla padronanza che gli permette di ingannare l'osservatore, spacciando la fotografia come fedele riproduzione della realtà. Queste considerazioni per me si aggiungono alle più che valide riflessioni di Sandro, che dovendosi muovere nel labirinto di tante proposte, cerca a suo modo di ridurre il margine di errore delle sue valutazioni, chiedendo agli autori di produrre una quantità sufficiente di lavori, che il digitale “molto più facilmente dell'analogico”, permette oggi di fare, anche se la grande quantità di lavoro producibile è spesso un ulteriore inganno.

guido nardacci ha detto...

Il "mio" modo di fare fotografia è basato sulla ricerca interiore della mia visione della realtà e proprio per questo, non è episodica, ma conseguente allo sviluppo di un idea.
quindi è normale che, secondo il mio umile parere, è proprio attraverso una serie di scatti uniti da un filo logico, dal racconto, dal suggerire un concetto che si possa conoscere ed analizzare il lavoro di un fotografo.Chiudo con una citazione che rappresenta bene il mio modo di intendere la verità fotografica:
La fotografia non mostra la realtà,

mostra l'idea che se ne ha.



(Neil Leifer)

Unknown ha detto...

Nella sua accezione più comune, la fotografia racconta un istante della realtà, ed in questo caso può, più o meno, mentire. Agli antipodi della fotografia "documentarista", considerata la più oggettiva tra i diversi generi fotografici, esiste però una fotografia fortemente costruita (penso a Jeff Wall, per esempio), dove c'è volutamente solo finzione.

Marco Bruno ha detto...

Ma oltre all'artista/fotografo, come qualsiasi altro artista, mi piace pensare guardando una foto, se oltre all'aspetto stilistico ci sia anche un aspetto comunicativo emozionale. Se c'è il messaggio che chi ha scattato aveva in mente. Vada per la sequenza, il tema... ma credo che se all'osservatore arrivino le stesse emozioni (che prova o che intenzionalmente voleva far arrivare) di chi ha scattato la foto, sia un ottimo risultato. Questo secondo te non si può valutare con un solo scatto? Paradossalmente è quello che si fa in pubblicità x condizionare le scelte del cliente! Parallelamente invece, per apprezzare un quadro e le emozioni oltre che lo stile, non puoi ammirare un solo dipinto? Se un pittore (parlo da inesperto) mi emoziona, e quello che provo scopro essere ciò che provano anche gli altri... è esaltante! Vuol dire che mi trovo davanti all'opera di un artista e di un ottimo comunicatore. Un artista quindi non si valuta solo x lo stile. L'attimo in fotografia è importante quanto lo stile, non trovi? Un buon comunicatore mi piace pensarlo come colui che sa trasmettere l'idea dell'istante. Questo non per forza lo ritrovi in una sequenza. Non ti nascondo che come fotografo dilettante o amatoriale che dir si voglia, aspiro proprio a questo. Saper cogliere l'attimo della mia emozione in un istante, sapendola comunicare a distanza di tempo a chi osserverà il mio lavoro. Immortale nel tempo che passa bloccato in un fotogramma... troppo sentimentale o poetico? Quindi la fotografia mente solo a chi non sa o non vuole leggerla, ma si limita ad osservarla! Gli occhi non bastano ... avete mai annusato un quadro o una fotografia? Avete mai toccato la carta e pensato che non era adatta a ciò che illustava? Io si, lo faccio spesso...La fotografia è sempre reale, il punto di vista può cambiare. A volte penso che la fotografia sia come quando io e mio fratello guardavamo attraverso il buco nel muro nella vecchia stanza della casa della nonna verso l'esterno. Lui osservava magari sbalordito che si vedeva fuori all'aperto verso il giardino, io vedevo invece che c'era un sole caldo con il profumo dell'estate! Chi dei due mentiva?

Unknown ha detto...

Va da se che ognuno è liberissimo di interpretare ciò che vuole come vuole nel suo privato e pure nel suo pubblico. Ma, come accade a volte, può capitare che si finisca così per confondere i piani della discussione. Avevo cercato di parlare di possibili criteri da applicare nella valutazione di un autore, non della fruizione del singolo. Fruizione in cui l'attribuzione di senso può essere influenzata dal portato personale che può condurre a interpretazioni completamente arbitrarie sia sul piano dell'analisi sincronica sia, talvolta, perfino su quello dell'analisi diacronica.
Non si tratta di stabilire chi abbia ragione e/o chi torto. Ognuno può fare di un'immagine ciò che ritiene più opportuno. Il discorso era mirato all'analisi di parte di una possibile metodologia che siafinalizzata a inquadrare il contesto all'interno del quale si sviluppa il lavoro di un autore. Altro è guardare qualcosa e in modo sostanzialmente passivo e acritico stabilire se incontra o meno il nostro gusto attraverso arbitrari e contestabilissimi criteri estetico-emozionali.
Mi concedo per concludere una considerazione personale di carattere più astratto sul ricorso alla capacità di sucitare emozioni spesso assunto come parametro di giudizio per una o più immagini. A prescindere che qualunque cosa ne suscita di un qualche tipo e grado, il sostantivo emozione rimane una delle parole più abusate (insieme ad arte) quando si parla di fotografia. Un sostantivo taumaturgico, capace di ammutolire la maggioranza degli interlocutori riempiendo di senso qualunque vuoto di pensiero. Nella loro cristallina incontestabilità le emozioni non possono comunque assurgere a criterio necessario e sufficiente per fondare l'analisi su un autore.
Vanno bene e sono inevitabili nella sfera del personale, ma in funzione del vissuto di chi le prova possono essere anche altamente devianti rispetto le intenzioni dell'autore che si cerca di ricostruire all'interno di un percorso per poter successivamente valutare la capacità comunicativa dello stesso.

Gianluca Posella ha detto...

Secondo me non può esistere una foto che non mente, per il semplice fatto che già dalla composizione della scena, scegliamo quali sono gli elementi che vogliamo includere o escludere nella stessa.. perciò in quello stesso momento, stiamo operando un'indiscutibile alterazione della realtà relativa alla scena stessa..
Cordiali saluti.
Gianluca Posella

claudio ha detto...

Leggendo il post di Marco, mi è tornato a mente di quando ero piccolo, di quando mia madre mi rinchiudeva nel ripostiglio e sulla parete opposta al buco della serratura, si proiettava l'immagine capovolta dell'altra stanza. Da quelle esperienze cominciavo per prima cosa a riflettere perché accadeva questo, e poi a fantasticare sulle immagini che vedevo proiettarsi. Da li cominciai con il foro stenopeico, a costruirmi la prima scatola fotografica.
Leggendo invece il post Gianluca, ritrovo in sintesi quello che con troppi giri di parole avrei voluto dire io.
Sono anche d'accordo con Sandro quando dice che di Arte e Emozione si abusa facilmente. Perché chi usa queste definizioni "Arte, Emozione" è come se dicesse a chi osserva, tu non potrai mai avere le mie stesse emozioni, quindi non potrai giudicare.

vittorio ha detto...

"Ceci n'est pas une pipe"

Luca Napoli ha detto...

Dopo aver seguito un interessante seminario di Paola Riccardi (Grazia Neri) e aver assistito ad una sua lettura portafoglio (c'era anche Lei Sandro alla festa della fotografia di Castellanza) devo dire che ho molto rivisto il mio modo di fotografare. Forse posso addirittura dire di avere iniziato a fotografare "a tema". Ho sviluppato (e lo sto ancora facendo) un tema, un'idea, il pendolarismo appunto, cercando di fotografare con un filo logico. Questa è secondo me la vera sfida sopratutto di noi "fotoamatori di professione" Tutti possono intercettare una situazione interessante e intrappolarla sul sensore, ma cercare di dare seguito ad uno scatto con altri e costruire una sequanza omogenea, fedele ad una tema, segna l'inizio di approccio post-dilettantistico. Chiaro che imbattendomi in una situazione interessante non rinuncio allo scatto. Qual'è tuttavia la finalità di quella foto se la stessa non appartiene ad un progetto ?
Appenderla in casa o raccogliere consensi su Flickr? Forse. Anche questa è una finalità, non c'è nulla di male. La ritengo tuttavia la meno intrigante.

Marco Bruno ha detto...

Il tema, il soggetto, la sequenza, mi fa pensare che per poter raccontare qualcosa e far capire esattamente quel che si vuole dire senza poter dare la possibilità di frantendimento, non basti un solo fotogramma. Ovvio. Ma al contenpo non è per niente facile! Statisticamente è più facile raccogliere consensi con una sola immagine che con un intero percorso! Capisco cosa intende Sandro, un immagine può mentire nel momento in cui diventa interpretabile liberamente dall'osservatore. Mente anche quando palesemente ti porta a pensare proprio ciò che vuole l'autore. Più difficile mentire invece se viene osservato il lavoro su un tema, un progetto comunicativo, un percorso lungo del tempo e del lavoro. Come dice Gianluca qualunque foto rappresente di persè un punto di vista personale. Al pari del giornalismo che dovrebbe raccontare i fatti? Esiste un giornalismo che non mente?
Mentire però è solo un aspetto negativo? La fotografia racconta una sola delle tante verità che si potrebbero rappresentare. Più al suo interno riusciamo a ritrovare il nostro vissuto e dei riferimenti come paragone e più questa si avvicina alla nostra verità.

Sandro hai una padronanza di linguaggio formidabile, ma anche la capacità e la passione per tirar fuori sempre in ogni editoriale e sul blog, argomenti di così grande attualità e che stimolano la nostra più attenta riflessione. COMPLIMENTI! I'm not a crime!

danilogiuso ha detto...

mettere dei parametri tecnici fotografici puo' rendere, forse, possibile una valutazione tecnica oggettiva di una serie di fotografie. Un metodo che possa, attraverso le stesse valutare i loro contenuti e l'autore degli scatti, secondo me, non esiste e non puo' esistere. La fotografia e' comunicazione e questa e' necessariamente influenzata dalla sfera di chi esprime e chi ascolta. Inoltre, in ogni passaggio della comunicazione se ne perde sempre una parte.
Ad esempio i tramonti sono tanto suggestivi dal vivo , quanto facilmente considerati banali in foto.
Ciao Danilo giuso

Fabio Severo ha detto...

Vorrei unirmi alla discussione sulla fotografia che non mente riferendomi all'ultimo lavoro di Chris Jordan, 'Midway'. A questo proposito ho scritto sul mio blog un pezzo che avrei piacere di far leggere a Sandro e a chi segue il suo blog.

Questo è il link:
http://www.hippolytebayard.com/2009/11/death-of-albatross.html

Grazie per l'attenzione

Fabio Severo

Fulvio Bortolozzo ha detto...

Grazie Fabio,
mi ero, colpevolmente, perso il post di voi nipotini di Bayard su quest'ultimo straordinario lavoro di Jordan.

Sono fotografie che "non mentono", come d'altronde "non mentivano" i fotomontaggi statistici che Jordan confezionava in precedenza e certamente anche in questo caso la serialità conferma e chiarifica la volontà dell'autore.

Anch'io pratico quest'ultimo approccio jordaniano da alcuni anni. Per questo, penso di conoscerne i limiti invalicabili, direi di tipo "extrafotografico".

In sintesi, bisogna far fede a Jordan che:
1) sia andato davvero alle Midway (isole, tra l'altro così storicamente suggestive per motivi bellici...);
2) davvero non abbia alterato la "crime scene";
3) gli uccelli fotografati non siano gli unici ad aver ingerito quelle spazzature, ma facciano parte di un numero ben più elevato.

Quindi, come da sempre, la fotografia per essere "documentaria" oltre ad adottare il famoso "stile documentario" indicato da Walker Evans, e la serialità come rafforzativo della volontà di analisi di un fenomeno, deve per forza basarsi sulla credibilità etica dell'autore. Quest'ultimo aspetto non c'entra niente con la fotografia, ma affronta il problema della valutazione complessiva sull'affidabilità testimoniale di una persona (sincerità) e sulla sua onestà intellettuale. Solo quando esistono qualità morali indiscutibili allora le fotografie realizzate acquistano un valore documentario. Diversamente sono solo propaganda, anche se le serie presentate fossero composte di innumerevoli fotografie.

Per Sandro: me lo dico da solo che queste considerazioni forse divergono dal tema di fondo del tuo post, ma penso siano stimolanti ad una riflessione più ampia. Se così non sarà, mi scuso anticipatamente del "deragliamento".

Alla prossima!

Fulvio

Giorgio Cecca ha detto...

In generale UNA fotografia ritrae solo un aspetto della realtà, in

un certo momento, da un dato punto vista. Forse possiamo dire che

è così parziale, nel senso che racconta solo un aspetto della

realtà, che non possiamo affidarci ad essa per conoscere la

verità. Non tutta la verità.
Oltre a tutte le "parzialità di cui sopra, ce n'è un'altra che è

altrettanto importante: UNA fotografia è scattata da un singolo

fotografo ed è scattata a suo modo, differente da come qualsiasi

altra persona l'avrebbe scattata. Quindi tra le tanti componenti

della realtà - davanti e dietro l'obiettivo - UNA fotografia ci

parla anche del fotografo. E continua ad essere parziale perchè

continua a tacere dello stesso fotografo di fronte ad un altro

soggetto, dello stesso fotografo... quando non fa il fotografo.
Per valutare la complessità è sempre necessario prendere le giuste

distanze, per avere più elementi di giudizio.
Per valutare un fotografo e la sua opera, la sua poetica, è

necessario ampliare il campo visivo ed abbracciare più opere.

Detto questo, voglio dire che l'esperienza del portfolio è molto

educativa perchè permette al fotografo stesso, prima di tutti, di

arrivare alla propria autovalutazione. Senza per questo narrare

per forza una storia: per esempio si può esprimere una propria

visione.
Come faccio a dire di conoscere e preferire quell'autore, a dire

che ha talento se, studiandone l'Opera, non imparo a riconoscerne

lo stile e le tematiche preferite?

Tuttavia, come ho discusso con Carlo Ciappi ad una lettura di

portfolio, non credo che che l'opera d'arte sia il portfolio. A

meno che non sia composto da opere d'arte. Infatti continuo a

pensare che l'opera d'arte, nel nostro caso, sia la foto singola

(bugiarda, reticente o sincera che sia).
Possiamo appendere nel nostro salotto UNA foto di Capa, UNA di

Adams, UNA di Weston e goderne appieno ignorando la restante parte

dell'Opus.

Un cordiale saluto a tutti!

Giorgio Cecca ha detto...

non so come mai il mio intervento abbia assunto la formma di una poesia: devo essere un vero artista!!!
...

Anonimo ha detto...

opus incertum

hum(e)an humours ha detto...

Io... io... io penso di poter affermare che Iovine sia un formidabile titolista.
Da tempo, seguendo queste pagine, è possibile notare che l'80% di chi scrive commenti (non solo in questa pagina... e persino fuori dal blog stesso) dimostra di ricordare solo il titolo del post, al titolo rispondendo o il titolo commentando. Da qui, con un'ironia che spero perdonerete, deduco con generosità (non verso Iovine) che lui sia un formidabile titolista, anziché dedurre che i post non vengano letti.

claudio ha detto...

Caro hum(e)an humours, forse c'è anche un'altra motivazione, che l'80% dopo avere letto l'editoriale, cerca a suo modo di dare altre interpretazioni, magari per stimolare la discussione e vedere dove porta la tangente. Sandro riesce sempre ad articolare così chiaramente le sue idee, che resta difficile trovare altre ipotesi, quindi penso che sia giusto che qualcuno tenti altre strade, che Sandro nello spazio di una pagina non potrebbe trattare.

Claudio

Unknown ha detto...

Mah, francamente non ci vedo proprio nulla da interpretare. Iovine parla della necessità di valutazione di un autore, attraverso una o più immagini. A meno che si creda di essere di fronte ad un testo architettato per far credere una cosa e in realtà dirne un altra (e non entriamo nel merito degli aspetti comunicativi di una tale prassi...), a meno che si creda di appartenere ad un cerchia un po esoterica dove si dici x per far intendere y. Certi passaggi del testo di Iovine oltre ad essere letti in relazione al tema della valutazione del fotografo, si prestano ad essere letti in relazione al tema della veridicità dell'immagine ripetto all'oggetto fotografato. Questo si, ma da qui a giustificare l'interpretazone...a meno che, per alcuni, Iovine voglia educarci a raffinate letture, ecc, ecc. Propendo per la distrazione del lettore.
Un piccolo contributo al tema. Una singola immagine credo che non riesca a dire molto su un autore (esiste anche la botta di culo). Può portare con se alcune tracce di una poetica, penso alle foto di Salgado che spesso anche singolarmente hanno un alto grado di riconoscibilità. Ma credo che per una valutazione di un autore servano più immagini. Però allo stesso tempo una singola fotografia può senz'altro dire molto di se stessa, al di la dell'autore.
marco

francesco peluso ha detto...

Le emozioni non possono assurgere a criterio unico per valutare una fotografia o un portfolio ma sicuramente svolgono, volenti o nolenti (o dolenti), un ruolo fondamentale.
Se ci scrollassimo da dosso tutte le nostre conoscenze, tutto il nostro vissuto e ci trovassimo spogli a valutare una immagine su di una parete, l'unico metro di paragone sarebbe l'emozione che questa suscita in noi.
E pensandoci bene l'emozione ha un altro vantaggio, è una valutazione global, senza età, senza razza, senza laurea, senza soldi, senza necessità di conoscenze di lingue.
Piace (emozione), non piace (emozione).
Penso sia una delle poche cose comuniste che sono rimaste in vita.
Secondo me lo stesso discorso si può applicare ad un portfolio dove l'emozione viene data dalla sequenza e dalla globalità delle immagini.
Visto però che è impossibile spogliarsi del proprio know-how allora entrano in gioco tanti altri fattori culturali, nel senso più ampio del termine.
A chi guarda e giudica un'immagine dunque non basta solo l'emozione ma interessa anche il contesto ed i contenuti.
Il messaggio.
Messaggio che per forza di cosa è filtrato o distorto dal proprio essere.
E' un bene o un male ?
Sinceramente non lo so ma non vi preoccupate, tra poco ci sarà un add-in che direttamente dal display dell'ultima fotocamera di grido ci valuterà e ci darà un voto, stile Explore like.
Così rincorrendo il bonus faremo fotografie tutte uguali....

Savokov ha detto...

Personalmente in questi casi mi piace pensare alla fotografia come alla scrittura:

Una singola foto è come una singola frase, mentre più foto articolano un discorso.

Una foto bella è un aforisma, più foto invece esprimono e argomentano concetti.


Viste le quantità di immagini che subiamo spesso siamo costretti a non avere tempo per un attenta osservazione, quindi prevale la foto "pubblicitaristica", quella in cui il concetto espresso è semplice e diretto...(o espresso in maniera semplice e diretta).

Come esempio, basta vedere i commenti a questo articolo: se ognuno avesse scritto solo un aforisma, sarebbe stata più facile (veloce,moderna) la valutazione, ma molto probabilmente non sarebbe uscito fuori il suo pensiero a riguardo.

Per cercare di esporre il proprio pensiero, ognuno ha argomentano in maniera piuttosto sintetica quello che pensa. Molto probabilmente saranno pochi quelli che leggeranno tutti i commenti, ma almeno sarà possibile avere più elementi per capire il pensiero di ognuno


Personalmente ho bisogno di avere più informazioni perchè un'opera mi comunichi qualcosa.. a meno che non si chiami Van Gogh o Caravaggio.

Giorgio Cecca ha detto...

Concordo pienamente con Savokov quando dice:
"Una singola foto è come una singola frase, mentre più foto articolano un discorso.
Una foto bella è un aforisma, più foto invece esprimono e argomentano concetti."

E concordo meno quando dice:
"Personalmente ho bisogno di avere più informazioni perchè un'opera mi comunichi qualcosa.. a meno che non si chiami Van Gogh o Caravaggio."
Per giudicare un'opera basta l'opera. Quanto a Van Gogh e Caravaggio, ormai tutti siamo in grado riconoscerli di primo acchitto, quindi in realtà abbiamo già in partenza delle informazioni supplementari oltre a quelle nude e crude fornite dall'opera singola.

Anonimo ha detto...

Molto umilmente vi propongo la mia idea. Sono convinto che un concetto sia fatto di parole e frasi così come una serie fotografica. Tanto più belle sono le frasi tanto più emozionante e bello il concetto, tanto più semplicemente passerà l'idea. Sono anche convinto però che esistano frasi in grado di autosostenersi senza un contesto rimanendo comunque bellissime ed efficaci. Esistono poi bellissimi concetti ben articolati in cui sussistono e si "diluiscono" frasi mediocri o anche molto forbite ma che non sono assolutamente in grado di comunicare alcunchè. Ora di chi è la necessità di giudicare? Di un critico/storico che basa il suo lavoro sulla continuità oltre che sulla qualità di un artista, o di una persona che con poche pretese si avvicina ad un opera per ottenerne una sensazione o un'ispirazione? Perchè i registri saranno diversi. Ho visto immagini isolate per me bellissime e altre in un bel progetto ma assolutamente "sterili" benchè tecnicamente ineccepibili. Forse una sola fotografia che non menta non esiste, ma potrebbero esisterne tante, svincolate tra loro e senza un'apparente legame. Ovvero la qualità ed il "messaggio" dell'autore potrebbero essere racchiuse in tanti singoli scatti piuttosto che in un bel compitino coerente ben eseguito e monotematico?

Anonimo ha detto...

Scusate avevo dimenticato di firmarmi...

Fulvio Chiacchiera