Al centro della legge ci deve essere sempre l’uomo è il titolo di un intervento di Maria Grazia Zoncu, giudice del tribunale di Busto Arsizio, pubblicato da La Prealpina del 17 dicembre 2010 a commento di una brutta notizia di cronaca.** In breve l’antefatto: in una palazzina di via Einaudi a Busto Arsizio in provincia di Varese, il cinquantatrenne Filippo Trovato durante la procedura di sfratto, si era lasciato cadere dal balcone al terzo piano della casa in cui aveva abitato per ventisette anni. Da quello che si può dedurre dall’articolo in prima pagina (con prosecuzione in quarta) l’uomo, presumibilmente invalido («economicamente sostenuto da una pensione di invalidità civile»***), dopo due ore di resistenza allo sfratto ha messo in atto la sua minaccia.
Facile quindi, una volta chiarito cosa lo abbia fatto scaturire, comprendere il titolo dell’intervento estremamente ponderato e sensato del Giudice Zoncu.
Difficile non essere d’accordo con le tesi esposte.
Adesso proviamo a fare un gioco tutti insieme. Provate a immaginare di far parte della redazione di un giornale quotidiano che riceve questa notizia e deve restituirla ai suoi lettori. Provate a immaginare ora di essere prima il photo editor, poi il caporedattore e infine il direttore. Bene. Innanzitutto che rilievo dareste alla notizia? Supponiamo che il quotidiano in oggetto sia a forte connotazione locale. Inutile dire che in questo caso una notizia così emotivamente coinvolgente per il territorio debba avere forte rilievo sulla vostra testata. Per cui probabilmente sia come caporedattore sia come direttore le assegnereste un posto importante in prima pagina.
Chiamate un paio di giornalisti e gli dite di occuparsi della cosa raccogliendo dettagliate informazioni. Sono professionisti e sanno come fare, non ci saranno problemi. A questo punto sorge un altro problema: come la illustriamo questa notizia?
Prima di andare avanti fermatevi a pensare seriamente cosa fareste se vi trovaste costretti a decidere.
Ed ecco come hanno risolto il problema nella redazione de La Prealpina…
Adesso facciamo un altro gioco. Non siete più nella redazione di un quotidiano locale, ma ne siete lettori. Ieri vostro cugino che già aveva parecchi problemi per conto suo, finito giù dal terzo piano della casa da cui lo stavano sfrattando. In questo momento giace in un letto della rianimazione «con fratture e traumi diffusi un po’ ovunque»**, ovviamente, in prognosi riservata. Probabilmente voi cercate di non pensarci e continuare a condurre una vita normale a dispetto dell’accaduto. Del resto voi potete fare davvero poco in questo momento. Sta ai medici e a Dio se siete credenti. Uscite quindi a fare la spesa come al solito e passando davanti all’edicola comprate il vostro quotidiano locale. In prima pagina ci trovate la sequenza della tragedia, con vostro cugino che piomba giù dal terzo piano di casa sua…
Un bel colpo al cuore, non credete? Un po’ sgomenti, un po’ increduli e sicuramente addolorati e raccapricciati andate comunque avanti e cosa trovate? Un altro paio di foto in bianconero che vi fanno vedere la barella avviata verso l’ambulanza e altre due foto di vostro cugino.
Secondo voi a questa vista sareste ammirati per la prontezza di riflessi del fotografo e la deontologia professionale di redazione e direttore? O per caso potreste avere anche un’altro tipo di reazione?
Ma lasciamo perdere il piano etico nella valutazione sull’opportunità di pubblicare immagini del genere (piano in cui la condanna dal mio punto di vista è inappellabile). Vediamo la cosa sotto un profilo meramente tecnico. Pubblicare più di una fotografia (ben tre della caduta) quale contenuto informativo aggiunge alla notizia? Ci aggiunge forse dei dati in più utili alla comprensione della vicenda? Sinceramente direi proprio di no. È pura e semplice ridondanza. Allora perché farlo? La più scontata delle risposte è che un’operazione simile si conduca per poter andare a colpire l’emotività del lettore, scatenando il più torbido dei voyerismi, ben conosciuto agli spettatori di una nutrita schiera di cultori di programmi televisivi incentrati su episodi tragici che, però, spesso si concludono bene.
Mi chiedo poi: che pensare del fotografo che ha effettuato le riprese? Dal mio punto di vista è stato inappuntabile e non può certo essere criticato in alcun modo per averle realizzate. Era lì per quello e comunque non avrebbe potuto intervenire per evitare che le cose prendessero quella piega. Semmai trovo... discutibile (qualora non fosse chiaro è un forte eufemismo) la scelta di fornirle al giornale. A livello informativo sarebbe bastata una sola foto, possibilmente non della caduta, e una buona didascalizzazione. Il resto è solo volontà di intingere il pane nel sugo della morbosità del lettore. E non vorrei ricordare quanto affermava il buon vecchio Eugene W. Smith sul senso di responsabilità che il fotografo dovrebbe avvertire non solo in merito alla produzione dell'immagine, ma anche relativamente al suo utilizzo...
Un'ultima associazione di idee mi viene per affinità tematiche con un'ignobile doppia pagina apparsa su Oggi nell'ormai lontano settembre 2001. In uno speciale dedicato alla tragedia delle Twin Towers fu pubblicato quanto vedete qui sopra, con ben quattro fotografie raccontano la stessa cosa, ovvero gli ultimi tragici istanti di vita di uomini e donne che, intrappolati senza speranza di salvezza all'interno dei grattacieli in fiamme, decidono di gettarsi nel vuoto. A suo tempo ebbi modo di esprimere pubblicamente la mia opinione sull'opportunità di una simile publicazione (vedi link collegato all'immagine qui sotto).
Facile quindi, una volta chiarito cosa lo abbia fatto scaturire, comprendere il titolo dell’intervento estremamente ponderato e sensato del Giudice Zoncu.
Difficile non essere d’accordo con le tesi esposte.
Adesso proviamo a fare un gioco tutti insieme. Provate a immaginare di far parte della redazione di un giornale quotidiano che riceve questa notizia e deve restituirla ai suoi lettori. Provate a immaginare ora di essere prima il photo editor, poi il caporedattore e infine il direttore. Bene. Innanzitutto che rilievo dareste alla notizia? Supponiamo che il quotidiano in oggetto sia a forte connotazione locale. Inutile dire che in questo caso una notizia così emotivamente coinvolgente per il territorio debba avere forte rilievo sulla vostra testata. Per cui probabilmente sia come caporedattore sia come direttore le assegnereste un posto importante in prima pagina.
Chiamate un paio di giornalisti e gli dite di occuparsi della cosa raccogliendo dettagliate informazioni. Sono professionisti e sanno come fare, non ci saranno problemi. A questo punto sorge un altro problema: come la illustriamo questa notizia?
Prima di andare avanti fermatevi a pensare seriamente cosa fareste se vi trovaste costretti a decidere.
Ed ecco come hanno risolto il problema nella redazione de La Prealpina…
La prima pagina de La Prealpina del 17 dicembre 2010 (clicca per ingrandire) |
Adesso facciamo un altro gioco. Non siete più nella redazione di un quotidiano locale, ma ne siete lettori. Ieri vostro cugino che già aveva parecchi problemi per conto suo, finito giù dal terzo piano della casa da cui lo stavano sfrattando. In questo momento giace in un letto della rianimazione «con fratture e traumi diffusi un po’ ovunque»**, ovviamente, in prognosi riservata. Probabilmente voi cercate di non pensarci e continuare a condurre una vita normale a dispetto dell’accaduto. Del resto voi potete fare davvero poco in questo momento. Sta ai medici e a Dio se siete credenti. Uscite quindi a fare la spesa come al solito e passando davanti all’edicola comprate il vostro quotidiano locale. In prima pagina ci trovate la sequenza della tragedia, con vostro cugino che piomba giù dal terzo piano di casa sua…
Un bel colpo al cuore, non credete? Un po’ sgomenti, un po’ increduli e sicuramente addolorati e raccapricciati andate comunque avanti e cosa trovate? Un altro paio di foto in bianconero che vi fanno vedere la barella avviata verso l’ambulanza e altre due foto di vostro cugino.
Le immagini che corredano l'articolo de La Prealpina del 17 dicembre 2010 (clicca per ingrandire) |
Secondo voi a questa vista sareste ammirati per la prontezza di riflessi del fotografo e la deontologia professionale di redazione e direttore? O per caso potreste avere anche un’altro tipo di reazione?
Ma lasciamo perdere il piano etico nella valutazione sull’opportunità di pubblicare immagini del genere (piano in cui la condanna dal mio punto di vista è inappellabile). Vediamo la cosa sotto un profilo meramente tecnico. Pubblicare più di una fotografia (ben tre della caduta) quale contenuto informativo aggiunge alla notizia? Ci aggiunge forse dei dati in più utili alla comprensione della vicenda? Sinceramente direi proprio di no. È pura e semplice ridondanza. Allora perché farlo? La più scontata delle risposte è che un’operazione simile si conduca per poter andare a colpire l’emotività del lettore, scatenando il più torbido dei voyerismi, ben conosciuto agli spettatori di una nutrita schiera di cultori di programmi televisivi incentrati su episodi tragici che, però, spesso si concludono bene.
Mi chiedo poi: che pensare del fotografo che ha effettuato le riprese? Dal mio punto di vista è stato inappuntabile e non può certo essere criticato in alcun modo per averle realizzate. Era lì per quello e comunque non avrebbe potuto intervenire per evitare che le cose prendessero quella piega. Semmai trovo... discutibile (qualora non fosse chiaro è un forte eufemismo) la scelta di fornirle al giornale. A livello informativo sarebbe bastata una sola foto, possibilmente non della caduta, e una buona didascalizzazione. Il resto è solo volontà di intingere il pane nel sugo della morbosità del lettore. E non vorrei ricordare quanto affermava il buon vecchio Eugene W. Smith sul senso di responsabilità che il fotografo dovrebbe avvertire non solo in merito alla produzione dell'immagine, ma anche relativamente al suo utilizzo...
Dall'inserto speciale Il giorno del terrore, pagine 8-9, allegato al settimanale Oggi del 18 settembre 2001. (clicca per ingrandire) |
Un'ultima associazione di idee mi viene per affinità tematiche con un'ignobile doppia pagina apparsa su Oggi nell'ormai lontano settembre 2001. In uno speciale dedicato alla tragedia delle Twin Towers fu pubblicato quanto vedete qui sopra, con ben quattro fotografie raccontano la stessa cosa, ovvero gli ultimi tragici istanti di vita di uomini e donne che, intrappolati senza speranza di salvezza all'interno dei grattacieli in fiamme, decidono di gettarsi nel vuoto. A suo tempo ebbi modo di esprimere pubblicamente la mia opinione sull'opportunità di una simile publicazione (vedi link collegato all'immagine qui sotto).
RAI-RADIO 3 - Radio 3 Suite Dentro l'immagine: 11 settembre 2001 - 16 min. 21 sec. (clicca sull'immagine per acoltare) |
Oggi non ho cambiato idea e sono particolarmente sconfortato nel dover ripetere lo stesso tipo di ragionamenti oltretutto per avvenimenti di una portata molto più limitata nello spazio e nel tempo. Quanto pubblicato da La Prealpina ritengo sprofondi nei bassifondi più infimi della professione giornalistica. Del livello umano non si può nemmeno parlare. Sono passati quasi dieci anni, ma non posso che continuare ad esprimere condanna per operazioni di questo tipo.
Adesso che ho finito provate un po' a ripensare al titolo dell'intervento del Giudice Zoncu... non sembra anche a voi che ci sia una tenace, sotterranea... coerenza tra gli enunciati che sottendono il commento alla notizia e la linea editoriale?
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* A seguito dell'intervento dell'autore delle immagini, Davide Caforio, specifico che Filippo Trovato, l'uomo rappresentato nelle immagini, non è deceduto in seguito alla caduta. Il titolo, criticabile o meno che sia, non deve la sua scelta alla volontà di fare cronaca, ma intende sottolineare ai fini dell'analisi e della discussione, il meccanismo comunicativo, che i responsabili della pubblicazione della sequenza in prima pagina, e nelle successive, hanno sfruttato attingendo alla morbosità del pubblico nei confronti di immagini di morte, reale o potenziale che sia. (28 dicembre 2010)
** Ringrazio Alberto Maretti che mi ha segnalato la notizia e fornito scansioni e testo utilizzati nella stesura del post.
** Ringrazio Alberto Maretti che mi ha segnalato la notizia e fornito scansioni e testo utilizzati nella stesura del post.
*** Dall’articolo Lo sfrattano, si getta nel vuoto (in prima pagina a firma di Sarah Crespi e Marco Linari), prosecuzione a pagina 4 (a firma di Sarah Crespi) de La Prealpina del 17 dicembre 2010.
14 commenti:
Sono stato per quasi tre anni fotoreporter per la Prealpina, ed uno dei motivi per i quali ho deciso di terminare la collaborazione è stata appunto una divergenza di idee su cosa fosse cronaca e cosa mero sensazionalismo.
Secondo me per quella notizia non era nemmeno necessario allegare una foto. Il volto dell'uomo non doveva diventare di pubblico dominio, la dinamica della vicenda la si poteva facilmente immaginare...quindi che bisogno c'era delle foto? Volendone proprio inserire una, ne sarebbe bastata una dei soccorritori. Inserire l'intera sequenza è puro voyerismo, spettacolarizzazione di una tragedia. Per quanto riguarda il fotografo, non gli rimprovero nulla: ha fatto il suo mestiere ed ha fatto bene a consegnare tutte le foto; sta a chi di dovere decidere cosa è bene pubblicare e cosa no.
Se l'immagine fosse stata utilizzata per promuovere un'azione di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sul problema casa non avrei molto da obiettare.
In termini crudi e razionali il messaggio arriva forte e chiaro e secondo me colpisce.
Del resto tanti, da Oliviero Toscani in pubblicità a Maurizio Cattelan nell'arte moderna hanno utilizzato queste "forzature" per orientare, colpire, disorientare, le persone.
Smuoverle dal loro torpore. Scrollarle.
E' giusto, non è giusto ?
Quante domande (e per fortuna!) in questi giorni di festa.
Mi ricordo il caso di Kevin Carter e della sua Africa, quella immagine agghiacciante della bambina denutrita e dell'avvoltoio dietro.
Ancora oggi quando sento parlare di guerra in Africa mentalmente l'associo a quella immagine.
E ancora solo pochi giorni fa la clip sui bambini vittime delle guerre in uno de tuoi ultimi post.
Anche qui, come spesso nel fotogiornalismo, quello caratterizza è l'utilizzo.
Se sono utilizzate per sensibilizzare l'opinione publica a problemi di tale gravità è, secondo me, un male sopportabile.
Farne dei soldi lo trovo vigliacco, un affare molto sporco.
Vendere queste immagini, lucrare sui drammi dell'umanità è vergognoso.
Come sporco è il gioco dei giornali on-line che spesso agganciano spot pubblicitari (con accostamenti spesso tragico-comici) a notizie e foto del tenore di cui sopra.
Questo veramente mi dà fastidio.
Queste immagini dovrebbero essere date gratis con il permesso di utilizzo solo in determinati ambiti e a determinate condizioni.
Ma anche questa la vedo una battaglia difficile..
PS Come in forma minore trovo fastidiosa la parole gioco utilizzata nell'articolo di apertura nel blog.
Quando si parla di notizie e di informazione, quindi di cronaca, esistono tre principi fondamentali, fissati agli artt. 136 e ss. del "Codice in materia di protezione dei dati personali", ovvero:
1)veridicità dei fatti (da considerarsi come veridicità relativa, nel senso che il cronista deve quantomeno controllare la fonte e verificare che sia attendibile
2) rilevanza sociale della notizia (ovvero l'interesse pubblico alla conoscenza)
3)forma civile dell'esposizione (ovvero una forma che non sia tendenziosa, faziosa, offensiva, ridondante, ma essenziale alla comprensione dei fatti).
E' proprio il terzo punto ad essere stato disatteso completamente dal cronista e dal giornale, e sarebbe legittima un'azione civile per danni da parte degli aventi causa.
Anche qui: ( http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/fotogallery/campania/2010/12/omicidiolicola/scenario-tragedia-licola-181150936838.shtml#1 ) secondo me il fotoreporter ha cercato qualcosa di truculento. Ha provato tutte le possibili angolazioni, anche le improbabili.
Ma ha trovato solo le deiezioni dei cani.
Caro Sandro,
leggo in ritardo il tuo blog e vedo le atroci immagini di quello sventurato a cui la vita sembra non offrire altro che togliersi di mezzo, e non riesco a sottrarmi a provare a dare un piccolo contributo alla discussione che si impone.
Temo che oggi (ma il fenomeno non è recente) tra stampa e televisione la morte “tragica” sia diventata uno dei tanti spettacoli da dare in pasto a lettori e telespettatori, non più vista, questa, come evento su cui riferire nel giusto riserbo che va riconosciuto agli scomparsi ed alle loro famiglie, ma come fatto, come cronaca “impersonale” (che quindi non riguarda noi direttamente e che quindi, come tale finisce per non essere una realtà per nessuno). Sui giornali ed in televisione ormai spesso la morte è oggetto di morbosità, di voyeurismo, di gossip, di proposta acritica di notizie ed immagini giustificate con il “diritto di cronaca” che non può essere leso (anzi è sacro) come se la vita (e la morte) di ciascuno di noi sia soltanto argomento su cui discettare e teorizzare liberamente, dopo pranzo con il giornale aperto fra uno sbadiglio e l’altro o la sera con un bicchierino di vino dolce dinanzi alla TV che ci invita nei salotti buoni dei “maestri del pensiero”.
Se oggi facciamo fatica a capire cos’è la vita, figuriamoci se capiamo cos’è la morte, quindi nel dubbio meglio esorcizzarla, rendendola apparentemente palese e comprensibile, scaricandoci da ogni peso di eventuali coinvolgimenti di tipo sociale ed etico, sottolineando magari il valore spettacolare dell’evento con un bell’applauso finale dopo la cerimonia funebre, rinunziando ad ogni riflessione privata ed intima nel silenzio dei nostri pensieri e dei nostri ricordi.
Accanto al giornalista ed al fotografo avrei chiamato un filosofo ed uno studioso di bioetica e li avrei invitati ad una riflessione per la comunità sul senso della morte nell’era moderna, sul senso della “pietas” cristiana, sul senso del dolore come viatico interiore per migliorarsi, sul “coraggio” che bisogna avere per accettare ed interpretare l’angoscia che ci attanaglia dinanzi a fatti difficilmente sondabili.
Poi, come fai tu, avrei invitato la comunità stessa ad esprimersi, a parlarsi, a confidare le proprie paure e le proprie preoccupazioni, a riflettere sul diritto ad una morte naturale, ad affrontare con coraggio la difficile navigazione nei problemi sempre più complessi della società contemporanea.
Avrei ancora invitato gli amici fotografi a considerare che a differenza della fotografia, vera o falsa che dir si voglia, la morte è (quello che è) e le immagini integrative al testo non possono aggiungere o togliere nulla alla tragedia.
Mi presento, mi chiamo Davide Caforio,sono il fotografo che ha realizzato il servizio fotografico per "La Prealpina"dell'uomo che si getta dal balcone.Ho letto commenti che condivido,pero' non condivido assolutamente Peluso il quale dice che ho lucrato,fatto un affare sporco e vigliacco.1 sono termini offensivi(mi stai dando dello sciacallo)quindi tienili per te... 2 dalle tue parole si capisce che non sai niente di fotogiornalismo,non sono io che decido cosa pubblicare,sopra di me ci sono l'agenzia con cui collaboro, un caposervizio,un caporedattore centrale,un direttore e un editore.
Io ho scattato queste foto perche' e' il mio lavoro e non potevo fare altro,se avessi potuto aiutarlo a non saltare non avrei scattato neanche un fotografia.Per quanto riguarda il "lucro" sul fatto che questo signore l' ho fotografato mentre si butta dal balcone, non ci ho guadagnato 1€ in piu' visto che avrebbero messo foto di altre situazioni sempre riguardanti la triste vicenda.Quindi e' giusto parlarne non solo di questa situazione ma anche di altre che possono far discutere se sia giusto o no fare un certo tipo di informazione pero' sempre con cognizione di causa non tanto per dire la propria senza essere ferrati in materia.
Un ultima cosa:il titolo che e' stato messo "Hai mai visto morire qualcuno?Ecco la sequanza della tragedia". Il signore che si e' buttato
non e' morto,quindi si parte con una bel titolo non vero...
Sono molto contento che l'autore delle immagini sia intervenuto in questa discussione e lo ringrazio per questo.
Concordo pienamente con la sua analisi economica. Del resto non avevo il minimo dubbio che quelle foto potessero essere state fonte di guadagno extra.
Quanto alla struttura dell'agenzia, perfettamente descritta, è fcile concludere dalle parole di Davide Caforio che sia da addebitare a quest'ultima la responsabilità della veicolazione delle immagini.
Il che ovviamente è vero, ma mi chiedo: se l'agenzia non avesse ricevuto le fotografie del salto a seguito di una selezione preventiva da parte del fotografo?
Quindi pur non avendo la minima intenzione di offendere Davide Caforio, credo che non possa non essere considerato corresponsabile della pubblicazione, anche se ovviamente i responsabili finali sono nella redazione de La Prealpina. Sarebbe bastato selezionare altrimenti il materiale consegnato all'agenzia. Non credo si possa invocare al tempestività richiesta dal lavorare in cronaca perché per un professionista ci vuole davvero poco in casi del genere a scegliere il meglio del proprio lavoro. Qualora ci fossero di mezzo dei vincoli contrattuali, il consiglio è di valutarli sempre bene al momento di firmare qualsiasi impegno. Anche perché a questo punto non è detto che il signor Trovato non decida di rivalersi su qualcuno...
In ogni caso ribadisco che il fotografo ha semplicemente fatto il suo dovere al momento dello scatto. In quelli successivi personalmente io avrei fatto scelte differenti, ma ovviamente è questione di punti di vista.
Il titolo sicuramente non è un bel titolo sotto qualunque punto di vista lo si voglia considerare... e non voleva esserlo.
Il fatto che il signor Trovato non sia deceduto, pur sollevandomi molto sotto il profilo umano, non cambia nulla circa il giudizio relativo all'utilizzo che è stato fatto delle immagini da parte della testata giornalistica e la conseguente scelta del titolo del post.
Perché comunque avendo il quotidiano come finalità quella di informare circa un fatto di cronaca è stato impiegato un meccaniscmo comunicativo basato sulla morbosità del lettore di fronte alla morte, reale o possibile che fosse.
Nel caso del titolo di questo post lo scopo non è fare cronaca, ma suscitare una riflessione circa l'utilizzo di un'immagine, richiamando sin dal titolo l'oggetto reale della discussione.
Detto questo accolgo per il futuro la critica di Davide Caforio.
Per coerenza non cambierò il titolo, ma aggiungerò in nota il contenuto della sua precisazione.
Invito comunque colore che intendono intervenire a seguire l'esempio di Davide Caforio nel mantenere la discussione su toni di rispetto reciproco pur nel franco confronto di idee.
Che il post, l’argomento e le immagini scelte rappresentassero il pretesto, l’occasione, per continuare un discorso sul senso del termine etica in questo spazio, intrapreso da ben prima dell’apertura del blog stesso è preclaro per chiuque segua e legga lo Iovine pensiero da qualche anno.
Certo la sequenza del Sig. Caforio pubblicata sulla Prealpina sembra un manifesto di quanto trovo di più esecrabile nell’uso e nell’abuso della fotografia.
Non conosco le intenzioni del Sig. Caforio, immagino che lui fosse lì perchè il suo lavoro lo richiede, lo impone, così come l’essere pronto a scattare le immagini che testimoniavano quanto stava accadendo, e sono anche certa che se avesse potuto impedire quanto accaduto l’avrebbe fatto abbandonando lo strumento (ci mancherebbe!), ma poi qualcosa è accaduto per far sì che l’uomo, nel senso di essere umano, al centro di questa orribile vicenda abbia smesso di essere il fine della cronaca e si sia tramutato in un mero mezzo per veicolare una notizia che davvero non aveva bisogno di essere così illustrata per sottolinearne la tragicità. Ed è a questo punto che qualcosa si rompe irrimediabilmente in questo lavoro, in ogni lavoro, quando si dimentica che è la vita vera di qualcuno che stiamo usando e mi fa sorridere di un sorriso amaro che su queste pagine si sia tanto invocato il pudore leso per un corpo di donna volontariamente mostrato e la redazione di un giornale si decida che il corpo di un uomo, la vita di un uomo che non ha mai deciso di “fare da modello” per un obiettivo meriti la prima pagina, senza vergogna, senza scandolo. Bizzarro.
Un’ultima cosa: trovo che faccia tutta la differenza del mondo che il protagonista di questa vicenda sia vivo, ma trovo pretenzioso sottolinearlo in questo contesto semplicemente perchè non credo che la sua morte avrebbe fatto alcuna differenza nè per l’autore delle immagini,nè per la redazione della Prealpina.
Caro Davide hai ragione, non capisco niente di fotogiornalismo.
Io rappresento un normale "spettatore", un fruitore dei media.
E, quello che ho detto, è quello che pensa per l'appunto una persona al di fuori dei giochi.
Questi blog servono, credo, anche per mettere a confronto idee e esperienze differenti.
Ed entrambe possono trarre giovamento, perche credo, possa essere motivo di interesse e di crescita anche per te capire cosa possa pensare un normale lettore.
Gli stati d'animo alla visioni di determinate immagini in particolari contesti.
Come è stato per me motivo di interesse capire un po di più il vostro lavoro, o meglio la sua organizzazione.
Mi dispiace e mi scuso se ti sei sentito offeso.
E mi scuso anche con i lettori e con il curatore del blog se sono andato fuori delle regole dell'educazione.
Il mio non era un discorso rivolto a te in particolare ma in generale alle operazioni di tale tipo e alle operazioni corollario dei media (che ci guadagnano sicuramente più di tutti).
Devo dire però che trovo semplicistico il tuo ragionamento.
Il fotografo ha fatto il suo dovere ed ha consegnato le foto ma allora anche il caposervizio,il caporedattore centrale,il direttore e l'editore avendo quelle foto hanno fatto il loro dovere espletando un diritto di cronaca.
Non possiamo parlare di diritti di immagine (vedi post precedenti) e per diritti intendo il termine più vasto possibile e poi pensare di non essere un minimo corresponsabili dell'utilizzo dell'immagine stessa.
E tutti i discorsi sulla Fotografia ?
Allora ci siamo presi in giro ?
Allora una persona, come me al di fuori del settore, può pensare che i fotogiornalisti non sono esseri umani che fotografano (documentano) fatti di cronaca ma macchine fotografiche (una specie di Google Car) che gira la città scattando raffiche di fotografie.
Immagini automatiche come oggetti passati ai media (dati in pasto mi sembrava troppo teatrale) senza interpretarle, senza analizzarne le potenzialità positive o negative del messaggio in esse contenuto.
Senza sentirsene responsabili nel bene e nel male.
Se cio corrispondesse al vero credo sarebbe molto svilente per la categoria.
Ho letto interventi molto interessanti che mi inducono a ulteriori riflessioni. Voglio iniziare dall'intervento del Sig. Peluso e precisamente dalla parte in cui sostiene che, cito:
"Il fotografo ha fatto il suo dovere ed ha consegnato le foto ma allora anche il caposervizio,il caporedattore centrale,il direttore e l'editore avendo quelle foto hanno fatto il loro dovere espletando un diritto di cronaca."
Sebbene anche io sia daccordo con il fatto che il fotografo debba fare una selezione in quanto anch'egli (forse più degli altri) è soggetto ai dettami dell'etica, ritengo necessario un distinguo, almeno a mio modo di vedere.
Da un punto di vista strettamente normativo (e d'altra parte anche fattuale), la concreta lesione all'immagine e all'identità del Sig. Trovato (cui auguro il meglio e una pronta guarigione) avviene con la "pubblicazione" di quelle immagini. Sempre da un punto di vista fattuale, concreto, quella pubblicazione è decisa dall'entourage della redazione e non dal singolo fotografo che si limita a prendere e fornire le stesse immagini alla redazione, la quale poi, per motivi probabilmente anche contrattuali, ha carta bianca in merito alla pubblicazione.
Cosa significa tutto questo in buona sostanza? Che mentre il fotografo è soggetto solo all'etica (concetto astratto, impalpabile, non codificato nè cogente da un punto di vista ordinamentale), la redazione è soggetta alla legge e in particolare al Codice per la protezione dei dati personali che ho citato sopra!
Ciò comporta che mentre al Sig. Carosio, che saluto e cui manifesto la mia stima per essere intervenuto in questo "processo", può rimproverarsi, eventualmente, una carenza di etica, come tale sanzionabile solo moralmente, alla redazione si può fare causa per risarcimento danni!
Queste mie considerazioni, lo ripeto, non vogliono assolutamente negare il ruolo di "filtro" da parte dello stesso fotografo, forse il più importante filtro dal momento che (in linea di massima) non è legato a interessi commerciali: lo stesso Caforio ha detto chiaramente che anche senza quelle foto il suo corrispettivo non sarebbe cambiato; esse vogliono solo sottolineare come legalmente i vincoli gravino sulla redazione (diversificati in base alle diverse qualifiche ricoperte al suo interno).
Il nodo cruciale è, forse, che il fotogiornalismo è figlio dei tempi in cui viene praticato, i quali sono allo stesso tempo condizionati dal fotogiornalismo e in genere dal modo in cui si consumano le immagini, il tutto in una pericolosa spirale al ribasso. In buona sostanza, se non mi fa impressione la morte fotografata e schiaffata in prima pagina (magari la pretendo pure), allo stesso modo non mi impressionerà fotografarla e consegnarla ad un giornale, il giornale non si impressionerà a pubblicarla, essendone invece ben contento in vista del sicuro "shock/scoop/sbancamento edicole" che ne deriverà).
Per questa ragione il fotografo dovrebbe sempre tenere presente E.W. Smith e il senso di responsabilità che grava sulle sue spalle. Il fotografo è l’unico che può davvero impedire che una sua immagine sia immessa nel vortice mediatico.
Ciao a tutti.Sono sempre il fotografo autore delle foto del povero sig. Trovato,volevo dirvi che mi fa piacere vedere che si discuta su questo triste evento e di come a volte i giornali trattino certi fatti di cronaca indipendentemente se li si condivide o no.Mi piceva puantualizzare il fatto che a volte mi sono trovato a fare delle foto piuttosto crude o violente,e che per mia scelta non ho passato al giornale perche' in quel momento mi trovavo a farle da solo,pero' se nel momento in cui stai facendo un servizio fotografico hai accanto i giornalisti diventa difficile dire "non vi passo le foto"...Io non sono E.W. Smith o H.C.B. e purtroppo i tempi per i fotografi sono cambiati (in peggio).Fosse per me fotograferei solo in b/n in pellicola,cosa che faccio ancora nel tempo libero e ogni tanto qualcosa vendo,ma non mi consente di vivere.Nel tempo libero vado anche a vedere mostre fotografiche e colleziono libri di fotografia.Con questo volevo solo far sapere cos' e' per me la fotografia,non solo il modo per tirar fuori uno stipendio.Un saluto a tutti,in particolare a Francesco Peluso,e scusa se nel mio post precedente sono stato un po' duro nel giudicare il tuo modo di vedere le cose.Ciao a tutti.
Non posso che ammirare e condividere la scelta di Davide Caforio di operare una selezione delle immagini prodotte in funzione di una valutazione etica. Si tratta dell’unico modo possibile, ma in realtà anche del più efficace per non farsi schiacciare dal sistema di un’informazione drogata, che con l’informazione ha sempre meno a che spartire.
Il problema giustamente nasce in presenza di una concorrenza che certi problemi etici non se li pone. Ed ecco che manzonianamente si rischia d'essere, in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiar in compagnia di molti vasi di ferro.
Prima d’essere frainteso chiarisco che sono perfettamente cosciente parlare senza essere direttamente coinvolto sia fin troppo facile.
È tautologico affermare che ognuno sia libero di agire come ritiene più opportuno e non sarò certo io a giudicarlo pubblicamente, ma avere coscienza di essere un ingranaggio fondamentale di un meccanismo destinato alla produzione, è differente dal piegarsi acriticamente alle logiche che lo governano.
Può apparire una distinzione sottile o futile. E forse lo è nel caso in cui si condivida la regola imposta dal meccanismo. Ma non lo è più quando, come sembra di intuire dalle parole di Davide Caforio, queste regole non si condividono.
La non opposizione a qualcosa di più forte si traduce in una approvazione tacita. Nella qual cosa, mi ripeto, non ci vedo nulla di male se si condivide il principio che c’è dietro. Rimango invece perplesso quando non si è d’accordo. Non sono le professioni di intenzione a cambiare lo status quo, ne il tirarsi fuori dalla mischia perché non si è un mostro sacro o perché, potendo scegliere facilmente, ci si dedicherebbe a tutt’altro.
Una scelta, etica o meno che sia, è importante non quando è facile da fare, ma quando si accetta che abbia un prezzo anche elevato da pagare.
A nessuno si chiede di mettersi in condizioni di morire con pochi dollari in tasca per aver difeso i propri principi (fermo restando che anche la mitizzata figura di Eugene Smith forse andrebbe un tantino ridimensionata). Ora io non conosco il lavoro di Davide Caforio e non posso certo dire se sia più o meno capace fotograficamente di un mostro sacro della storia della fotografia come Eugene Smith. Ma anche supponendo a priori che quest’ultimo fosse un fotografo migliore di Davide, non è su questo piano che l’ho evocato, ma su quello della sua qualità di essere umano. Piano sul quale non è lecito ipotizzare differenze rispetto a Davide Caforio che ontologicamente gode di pari dignità. Piano che è anche quello su cui è iniziata la discussione, piano all’interno del quale la tecnologia utilizzata per la produzione delle immagini è un dato irrilevante, perché è dei contenuti e del loro utilizzo che stiamo discutendo.
Caro Davide nessun problema.
A volte noi fotoamatori dimentichiamo il confine tra hobby e lavoro.
E discutere di un hobby è molto più facile.
Ho capito perfettamente la tua posizione, da buon napoletano (città molto difficile in tutti i sensi) so quanto è complicata la vita quotidiana.
Ti auguro di avere sempre la libertà di scegliere la foto migliore, migliore in tutti i sensi.
Francesco
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