Nei giorni scorsi, non meno di una ventina per chi legge, sono stato a Roma per una conferenza su Raymond Depardon al Forte Prenestino, all‘interno della programmazione di OcchiRossi Festival. Per non arrivare in ritardo da Milano ho preso un treno che mi ha permesso di arrivare a destinazione con un ampio anticipo, cosa che mi ha consentito di assistere all’incontro con Maurizio Cogliandro, giovane autore di Bracciano distribuito dall’Agenzia Contrasto.
Perché raccontare questa storia? Perché durante l’incontro con Cogliandro mi sono interrogato sulle ragioni della potenza del suo lavoro. Mentre le foto scorrevano sullo schermo avevo la netta sensazione di essere entrato in contatto con una forza atavica, quasi selvaggia, legata a pulsioni ancestrali. Per questo mi sono chiesto quale fosse l’origine di tutto questo: le singole immagini o altro. La risposta che mi sono dato è che parte, una parte importante, dell’energia generata da quelle fotografie derivava dalla singolare messa in sequenza. Cosa che in se non mi stupisce, al di là delle parole del fotografo che nella sua presentazione sembrava voler rifiutare sostanzialmente l’approccio più razionale al problema editing. La mia difficoltà non era tanto nel riconoscere lo schema quanto piuttosto nell’identificare lo schema che rendeva possibile il risultato. Di fronte alle immagini di Cogliandro mi sono trovato spiazzato e indifeso perché quel lavoro aveva palesemente delle precise strutture intorno alle quali si articolava. Il problema (per me) consisteva nel fatto che si non trattasse di strutture consuete e basate su associazioni meramente logiche. I collegamenti e le transizioni tra ogni immagine e la successiva erano a un livello, se mi è consentito usare questo termine, primordiale. Il che significa che il messaggio contenuto nelle immagini arrivava direttamente alla pancia senza i filtri protettivi che la ragione riesce a costruire e che personalmente mi sono molto cari. Provo a spiegarmi meglio. Normalmente quando lavoro su una sequenza cerco sempre di creare associazioni logiche basate su forme, contenuti, colore. Riferimenti abbastanza oggettivi che poi vengono utilizzati per restituire emozioni, sensazioni o informazioni in funzione della loro sequenza e di ciò che voglio raccontare. Niente di diverso a quello che si fa quando si scrive qualcosa in modo minimamente ragionato. Quello che stavo vedendo invece non mi era possibile inquadrarlo nello stesso modo, ma in compenso avvertivo la presenza molto forte di una struttura rigorosa almeno quanto quelle che sono abituato ad utilizzare. Un’esperienza gratificante per gli stimoli che è stata in grado di offrire, ma come spesso accade non si è conclusa in se. Il giorno successivo infatti avevo un secondo impegno nella Capitale: la giuria del concorso Rosso Piccante, che quest’anno ha voluto affrontare con un certo coraggio il tema delle storie fotografiche. Il che ovviamente significa lavorare sulle sequenze di immagini. E anche questo a fronte dell’esperienza precedente ha avuto il suo significato. In giuria ci siamo infatti trovati a discutere sulla coerenza delle sequenze trovandoci d’accordo sul fatto che il problema di molti lavori presentati, consisteva proprio nella fase di editing, che aveva portato a selezione un numero sbagliato di fotografie (a volte troppe a volte troppo poche) per raccontare le singole storie. Una volta individuati comunque i tre premiati che emergevano per la qualità generale dell’elaborazione narrativa, ci siamo trovati a selezionare un certo numero di autori da portare in mostra a fianco ai premiati. Per esigenze connesse alla logistica il problema era di limitare a quattro le immagini degli autori non premiati (mentre quelli premiati vedranno esposti i lavori nella loro interezza). A questo punto è emersa la necessità di scegliere le fotografie. Dopo un po’ di lavoro (un po’ tanto a dire il vero) ci siamo trovati difronte a sequenze di quattro foto che spesso mostravano una qualità estetica e narrativa superiore a quella dei lavori premiati. Ora liquidata velocemente la questione tecnica (ovvero i lavori erano da premiare nel loro complesso così come li aveva proposti il loro autore e non come risultavano in funzione di interventi esterni di addetti ai lavori), rimaneva in evidenza il problema della gestione delle immagini nel momento in cui queste devono lavorare non più isolatamente, ma insieme ad altre in un racconto organico. Ovvero è emersa con tutta la sua evidenza la desuetudine a pensare le fotografie come racconto e non come episodi singoli. In questo senso, ripensando all’esperienza con Cogliandro, mi sono sentito molto vicino a quanti hanno partecipato al concorso e che probabilmente, quando vedranno le selezioni fatte, troveranno che le proprie immagini hanno acquisito valore, ma probabilmente non saranno nell’immediato coscienti di cosa le fa funzionare meglio rispetto a prima. Riflettendo sull’importanza della messa in sequenza per riuscire a raccontare qualcosa con le fotografie non credo sia possibile arrivare a una posizione univoca. Per quanto sia banale, la soluzione migliore non che consistere nel miscelare l’approccio tecnico-razionale che si basa su associazioni pure di forme, linee e colori a quello più istintivo e intimo. Solo quando si riesce a mettere insieme testa e pancia si ottiene un lavoro che coinvolge chii si appresta a leggerlo. Occorre certo studiare come hanno lavorato altri fotografi (cosa che purtroppo fanno in pochi), ma al tempo stesso bisogna imparare riconoscere il proprio sentire per conferire qual qualcosa in più, quel qualcosa che appartiene profondamente. Altrimenti il rischio rimane quello di produrre solo caos o nella migliore delle ipotesi una imitazione più o meno riuscita di modelli già proposti da altri e come tali non necessariamente funzionali alle nostre necessità espressive.
n. 230
13 commenti:
la lacrima in saldo
http://www.hoepli.it/libro/lidia-il-cielo-cade/9788886795364.asp
E' importante leggere queste tue riflessioni: penso che ci rifletterò sopra a mia volta e metterò in pratica presto. Grazie!
Carissimo Sandro, forse mi discosto un po' dal tema, ma più vado avanti ad amare la fotografia e più mi rendo conto che spesso viene considerato bravo quel fotografo che introduce un nuovo linguaggio. Ma è veramente utile un nuovo linguaggio per diventare famoso?
Mi vengono alla mente le parole di un grande della musica di Milano, il Maestro Fazzari grande organizzatore dei concerti del Conservatorio, al quale un giorno chiesi di spiegarmi la musica dodecafonica, che io proprio non riuscivo a comprendere. La sua risposta fu: "Ogni autore oggi vuole fare una musica nuova inventandosi un linguaggio nuovo. Quindi non si preoccupi, anch'io non comprendo le stronzate!"
Un salutone
Pietro Collini
Premetto che non ho competenze in materia musicale tali da poter fare affermazioni assolute, ma a lume di naso, ho la sensazione che la storia non abbia dato più di tanto ragione al Maestro Fazzari. Peraltro quel libercolo di circa seicento pagine a firma di Arnold Schönberg, che occhieggia dal fondo di una pila di volumi sul mio comodino e si intitolaManuale di armonia... beh, a me non pare proprio una . Ma lo ripeto non sono in possesso di cognizioni sufficienti a farmi fare affermazioni categoriche... È solo la mia modesta opinione.
Io credo che ricercare nuovi forme, che poi portano a nuovi linguaggi, sia un'operazione da promuovere sempre anche se i risultati possono apparire insoddisfacenti o non essere compresi. È questo il motore del progresso in ogni campo e la fotografia è ancora talmente giovane che deve ancora scoprire tutto di sé.
Piuttosto mi pare strano il modo in cui poni l'interrogativo. Perché basarlo sull'implicita necessità di ottenere successo? Il successo non arriva solo perché si propone una qualsiasi cosa nuova, ma perché questa ha dei contenuti e un'utilità. Non è tanto questione di nuovo, quanto di creatività, che come diceva Poincaré è la capacita di unire elementi esistenti con connessioni nuove che siano utili.
La ricerca del a mio avviso non porta lontano. La ricerca per la ricerca invece sì, ma proprio per questo non è finalizzata al successo, anche se può determinarlo. Mi viene in mente una frase celebre «Io non cerco, trovo!» che la tradizione attribuisce a Picasso. A questo proposito stai pur certo che in qualche accademia da qualche parte del mondo, ci sarà ancora qualche docente che, rispondendo a uno studente che gli chiede di spiegargli le opere di Picasso, gli dirà più o meno di non preoccuparsi, perché nemmeno lui capisce le stronzate...
;-)
Sono d'accordo che la ricerca porti a nuove esperienze positive e al successo quando la creatività pone in essere connessioni nuove tra elementi conosciuti, portando ad una fruibile utilità. Parlando della fotografia penso che realmente pochi siano coloro che portino nuove e convincenti connessioni creative. Spesso si vedono immagini che vengono spacciate come tali e che tutto richiamano salvo una proficua creatività.
Per il padre della dodecafonica vorrei dire che ha avuto una geniale intuizione per rompere la metrica classica. Tuttavia di veramente originale e geniale ha prodotto una sola opera "Pierrot Lunaire", mentre negli anni più maturi egli si allontanò dalla sua creatura. Ad ogni buon conto bisogna ammettere che egli diede impulso nuovo a quanto già si intravedeva nella metrica di J.S. Bach nei suoi concerti per cembalo.
Invece il buon Picasso oggi è considerato non troppo benevolmente da vari critici. Indiscutibile la creazione del cubismo, dove paradossalmente al cubo con 3 dimensioni, egli riconduce tutto a due dimensioni.
Più, ma molto più, geniale fu sicuramente S. Dalì. Basti citare il suo Cristo in croce dove troviamo la sintesi della fisica polidimensionale.
Infine, mi chiedo, quanti concerti di musica dodecafonica si tengono oggi?
Quante "Merde d'artista" si trovano in collezioni private e oggi vengono considerate "vera genialità artistica"
Un caro saluto
Pietro Collini
Io non credo che l'unità di misura delle cose debba essere il successo, che è comunque qualcosa di mediamente effimero. Non voglio assolutametne difendere il principio e tantomeno la musica dodecafonica. Ci mancherebbe. Ma ritengo che al di là di tutto ci siano momenti della storia dell'espressione (indipendentemente da Shchönberg o da Picasso) che tracciano dei momenti di passaggio. Poi si potrà andare avanti o indietro, ci potrà essere un riconoscimento o meno. Ma ci sono interventi che permettono di cambiare delle cose. In altre parole alcuni fenomeni hanno importanza se analizzati sincronicamente oltre che diacronicamente. Il grande inganno in cui tutti rischiamo di cadere è quello delle mode estemporanee, soprattutto in questi tempi dove la commercializzazione favorisce l'avanzata di farraginosità interessate. Concludo dicendo che rimango a favore di una ricerca costante in qualunque campo, che in quanto tale continuerò ad apprezzare anche se non sarò convinto dei risultati ottenuti.
È un piacer scambiare idee in questo modo. Ah a proposito il Pierrot lunaire è senz'altro la cose che preferisco di Schönberg ;-)
E ancora grazie per lo scambio
Carissimo Sandro, ora su quello che ha scritto mi trovi in perfetta sintonia, in particolare dove dici: "Il grande inganno in cui tutti rischiamo di cadere è quello delle mode estemporanee, soprattutto in questi tempi dove la commercializzazione favorisce l'avanzata di farraginosità interessate.", che rispecchia esattamente anche il mio pensiero e quello che intendevo esprimere con i post precedenti.
Un caro saluto
Pietro Collini
Mi hai preceduto... avevo pensato di scrivere che in fondo stavamo dicendo la stessa cosa. Il problema è sempre lo stesso quando non ci si può guardare in faccia ed ascoltare le inflessioni di voce si finisce sempre per rendere la comunicazione più complessa del necessario.
eugeniosinatrapalermo
combattendo contro le diaboliche chiavette internet riesco a seguire anche a miami, disconnessioni improvise permettendo, il blog. Avevo dimenticato l'esistenza di questo strampalato concorso sul rosso piccante, mesi fa reclamizzato sulle riviste. Ora mi torna in mente, ed esterno le mie considerazioni, non fuori tema ( le considerazioni del Direttore sono sacrosante e illuminanti ma di livello piu' elevato rispetto quanto scrivo di seguito) pero' si parla di linguaggio fotografico quindi sono in tema. Ecco, nella presentazione del concorso sulla carta stampata qualche testa gloriosa di cui non ricordo il nome cercava di spiegare agli eventuali concorrenti cosa dovesse intendersi per : piccante o meno, racconta la tua vita. C'erano le parole di un tizio che raccomandava : non mi interessa vedere la chiesa dove ti sei sposato, bensi' la fabbrica dove lavori. Altri si auguravano di poter vedere uno spaccato della vita quotidiana ecc ecc.
Andando a vedere le foto degli autori selezionati e premiati tuttavia non trovo nulla di tutto quello,cioe' si e' travisato il senso del tema proposto. Non e' quotidiano, infatti, andar per boschi e far ballare un lenzuolo rosso, senza offesa per quella sequenza che invece mi piace. Noto poi che la sequenza vincitrice, che personalmente ritengo anche io la piu' meritevole e accattivante, risponda piu' a virtuali requisiti prettamente pubblicitari ( intendo dire che e' la sequenza che per esempio meglio si presta secondo me ad una eventuale campagna pubblicitaria sul peperoncino ecc), piuttosto che narrare la propria vita. Allora infine mi chiedo : la sequenza, intesa come elemento compositivo al servizio del linguaggio fotografico, deve integrarsi con il milieu, con il campo da gioco ove avviene la messa in mostra e contemporaneamente la fruizione ( leggendo : racconta la tua vita, io spettatore e fruitore mi aspetto di trovare appunto delle sequenze che raccontino qualcosa di personale ) oppure chi idea, affianca, e diffonde i bandi di concorso ed i temi di concorso lo fa per passatempo? Per curiosita' mi piacerebbe sapere se il Direttore Iovine ha pensato cio' e lo ha fatto notare anche solo di fuggita agli organizzatori e alle teste gloriose di cui sopra.
eugeniosinatrapalermo
Dunque… credo che si debba fare un po’ di chiarezza. A cosa ti riferisci Eugenio? All’edizione di quest’anno o a qualche edizione precedente? La frase «Non e' quotidiano, infatti, andar per boschi e far ballare un lenzuolo rosso, senza offesa per quella sequenza che invece mi piace» sembrerebbe far riferimento alle immagini di Telo rosso di Mario Alberti oppure a … danza la fata nel bosco bruciato di Valeria Floris autori selezionati per Rosso… piccante 2009… il cui bando prevedeva che «Per partecipare l’autore dovrà inviare un mini progetto formato da 4 opere fotografiche inerente il tema del concorso “Rosso … Piccante”».
Il tema di quest'anno era invece, più o meno, quello citato da Eugenio Sinatra, ovvero precisamente: «Piccante o no, descriveteci la vostra vita» e i relativi lavori premiati e/o selezionati quest'anno sono invece visibili qui.
Tutto questo mi induce a pensare che Eugenio Sinatra abbia sovrapposto il bando dell’edizione di quest’anno ai risultati del 2009, dettaglio che se fosse vero spiegherebbe e renderebbe più che legittimi i suoi dubbi.
Se ho frainteso le parole di Eugenio, sono certo che questi mi vorrà perdonare e non mancherà di correggermi.
Quanto alle esternazioni del direttore Iovine in fase di riunione di giuria sono state ferocemente rivolte soprattutto all’incapacità media dei partecipanti di sviluppare una storia e, nella maggioranza dei casi, mettere in una sequenza degna di questo nome le fotografie.
Detto questo tutto è contestabile.
Soprattutto il verdetto di una giuria.
Soprattutto nel nostro amato Paese.
eugeniosinatra
e si, chiedo venia Direttore, ieri cercando solo rosso piccante c'era una confusione di siti che si riferiscono al rosso piccante, invece bisogna andare a massenzio arte dove pero' l'home page non aiuta chi cerca solo fotografie. Il sole di miami picchia che vuoi, ed e' un bel po' che non mi capita di fare una bella cazziata a qualcuno e sono annoiato. Il tuo link mi ha portato a vedere le foto di quest'anno finalmente. tutto ok, tutto in tema.Figurati che concordo persino con la scelta dei primi 3!!!
Ma mi piacerebbe conoscere qual era in tutti i casi l'ordine sequenziale proposto da ogni singolo autore, indubbiamente sarebbe una invasione della privacy altrui e mi rimane il dubbio. Mi consolo a miami. E mi chiedo ancora una volta perche' l'ordine sequenziale proposto da un autore debba essere stravolto a gusto altrui, e perche' in ogni caso l'ordine sequenziale proposto non debba essere considerato parte integrante della funzionalita' dell'insieme prodotto, e quindi di conseguenza entrare nella valutazione di giuria; forse non avreste premiato nessuno perche' tutti i lavori erano incasinati?
no matter, il testamento l'ho fatto.
eugeniosinatra
eugeniosinatra
Ii lavori premiati, sono esattamente come sono stati proposti dagli autori.
Il discorso di eventuali interventi riguarda solo lavori che non sono stati premiati e di cui è in ogni necessario operare, in fase di esposizione, una selezione per ragioni logistiche.
Detto questo e ragionando in generale, il quesito interiore (E mi chiedo ancora una volta perche' l'ordine sequenziale proposto da un autore debba essere stravolto a gusto altrui) credo si possa risolvere facilmente ragionando con un po' di umiltà. Non è (o almeno non dovrebbe essere) una questione di gusto altrui, quanto che il risultato sia o meno funzionale all'intento narrativo dichiarato. Non dimentichiamoci che stiamo parlando di livelli in cui la pretesa di intangibilità dell'opera spesso non è supportata ne da presupposti teorici, ne da fatti concreti.
Io sono tra quelle persone selezionate, e di cui esporrete ben 4 foto!
E' stata una bella sorpresa! Ellepulp______°
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