venerdì 29 giugno 2007

E li chiamano motion

Da un po’ di tempo sulla rete è possibile assistere all’utilizzo della fotografia in piccoli e più o meno sofisticati montaggi video. In pratica una sequenza di immagini viene mostrata con un sottofondo musicale, rumoristico o parlato o tutte e tre le cose insieme. Niente di nuovo si può dire. Le multivisioni con una schiera di diaproiettori comandati da un computer permettevano di ottenere anche effetti molto più sofisticati di quanto non sia dato vedere oggi.
In parte la cosa è senz’altro vera, ma se spostiamo la nostra attenzione su un problema di linguaggio possiamo notare differenze interessanti rispetto al passato. Se il linguaggio della multivisione era profondamente differente e distinguibile da quello della fotografia in senso stretto, cosa che gli permetteva di avere una propria originalità anche nei confronti del cinema, diventa più difficile sostenere la stessa cosa se ci riferiamo ai cosiddetti motion.
Magnum In Motion
Uno sguardo al contenitore più noto (Magnum in motion) permette di vedere come spesso questi prodotti occhieggino al linguaggio cinematografico, arrivando in alcuni casi a emulare sequenze di movimento. Il discorso si fa poi ancora più interessante se prendiamo in considerazione la provenienza degli artefatti in questione: la mitica agenzia Magnum, il caposaldo del giornalismo fotografico d’approfondimento. Beh, se vi andate a vedere un po’ di motion made in Magnum, vi accorgerete che di giornalistico c’è rimasto, troppo spesso, ben poco.
All’informazione spesso cede il passo la citazione autoreferenziale dell’autore,


le divagazioni più o meno discutibili su ottime fotografie che meriterebbero maggiore rispetto e maggiore responsabilità nei confronti degli argomenti trattati,


una, più o meno riuscita, ricerca di stile che a volte copre con grande abilità possibili carenze a livello giornalistico con immagini fortemente emozionali e soluzioni di montaggio intriganti,


una specie di biglietto da visita dell’agenzia e dei suoi potenziali fotografici (con all’interno sequenze portatrici di contenuti sui quali varrebbe la pena di discutere),


sequenze, anch'esse in forma di biglietto da visita in cui alla forza dell'archivio Magnum, cui cede il passo una serie di discutibili scelte di carattere nazional popolare come si sarebbe detto qualche tempo fa di un programma televisivo, che non rendono certo giustizia alla grandezza di certi autori (uno per tutti Koudelka).


Ma di fotogiornalismo sempre meno. Fatta salva, ovviamente qualche lodevole eccezione.


Ora, che in un linguaggio in via di formazione ci siano delle indecisioni ci sta pure, anzi è decisamente inevitabile. Ma che questo significhi rinnegare le finalità prime di chi lo produce, mi sembra decisamente più grave. Soprattutto se questo significa ridurre il meglio del fotogiornalismo mondiale a una spettacolarizzazione spesso di basso profilo, quando non si arriva addirittura a confutare le ragioni per cui determinate immagini sono state realizzate e raccolte in opere editoriali monumentali per concezione. Mi chiedo ad esempio quanto possa essere corretto inserire una foto come questa di Joseph Koudelka

Francia, 1979, © Joseph Koudelka/magnum Photos
in un motion intitolato Joy, tenendo presente che Koudelka l'ha inclusa nel volume Exils, che personalmente non mi sentirei di annoverare fra i più allegri e gioiosi della storia della fotografia. Del resto anche l'inserimento in sequenza di questa immagine all'interno del volume non contribuisce a ispirare nell'osservatore il senso di gioia che i... profeti del montaggio video-fotografico di Magnum sembrano auspicare.
Sia chiaro per concludere che tutto questo non vuole essere un retrivo tentativo di bocciare aprioristicamente i cosidetti motion, che riservano potenzialità di assoluto interesse comunicativo. L'intento di queste righe era solo quello di invitare ad una riflessione sui contenuti e prima ancora sulle attribuzioni di categoria. Lo strumento motion offre infatti una serie di caratteristiche che una volta affinate e stabilizzate potranno rendere grandi servizi a chi ha qualcosa da dire. Il problema è riuscire a mantenere distinte le finalità, in altre parole non completare quel processo di spettacolarizzazione del fotogiornalismo e del giornalismo in linea generale. Non mi riferisco tanto alla enfatizzazione che purtroppo caratterizza parte del giornalismo contemporaneo, quanto piuttosto alla trasformazione di quella che dovrebbe essere informazione in puro e semplice intrattenimento, nemmeno sempre di alto livello.



n.183 - luglio 2007




Dall'alto:
La pagina di ingresso di Magnum In motion.
American Colors di Costantine Manos.
Requiem in samba di Alex Majoli.
Guantanamo di Paolo Pellegrin.
Joy di Magnum Group.
Point and Shoot di Philip Jones Griffiths.
Francia, 1979 di Joseph Koudelka, frame da Joy.






17 commenti:

Leonardo Brogioni ha detto...

Caro Sandro
chi scrive è un convinto sostenitore del fotogiornalismo multimediale: ritengo infatti che molti audiovisivi giornalistici siano un modo per fare buona informazione e un ottimo modo per interessare alle tematiche di attualità chi solitamente ne sta alla larga. Insomma, con questi prodotti si abbinano informazione e divulgazione, il tutto - a mio modestissimo parere - valorizzando l'immagine fotografica e riportandola ad una popolarità che sembrava perduta.

Il paragone che fai con le multivisioni realizzate con diaproiettori ha un suo senso storico, ma bisogna anche aggiungere che gli attuali audiovisivi, pensati e realizzati per il web, hanno una facilità di realizzazione, di diffusione e di fruizione che le classiche multivisioni in diapositiva certo non potevano e non possono permettersi. Questo non è un aspetto da sottovalutare: perchè proprio tali facilità hanno consentito a operatori dell'informazione di proporre contenuti giornalisticamente validi e approfonditi, e ai lettori di vedere ascoltare e conoscere argomenti interessanti se non inediti.

Certo occorre parlare anche degli aspetti più commerciali di tale settore: da tempo i quotidiani statunitensi hanno capito che il multimedia attira lettori (che passano dal sito al giornale cartaceo) e quindi inserzionisti (idem e viceversa), tanto da investire sempre di più sui contenuti online e da tagliare gli investimenti nel giornale su carta.
Prova ne sono alcune recenti decisioni del Washington Post in questa direzione, le dichiarazioni del direttore del NYT
Sulzberger in una sua recente intervista e le considerazioni di Vittorio Sabadin sul suo libro "L'ultima copia del New York Times".

Aggiungo, con soddisfazione e fregandomi le mani, che gli audiovisivi in campo fotogiornalistico sono anche una rivincita dei fotografi free lance ma soprattutto dei fotografi di staff (interni al giornale, assunti: figura sconosciuta ai quotidiani italiani!) nei confronti delle grandi agenzie fotografiche, le quali sembrano arrancare di fronte a nuove proposte e nuovi investimenti provenienti dalle redazioni.

Quindi più che prestare attenzione a Magnum in Motion (sito che ritengo tra i meno significativi del panorama multimediale, perchè impostato su logiche promozionali che privilegiano l'autore sull'evento, la pubblicità sull'informazione), occorrerebbe visitare le sezioni Multimedia di New York Times e Washington Post, dare un'occhiata ai vincitori del premio Best of Photojournalism nella sua sezione Web Sites (concorso organizzato dalla National Press Photographers Association), farsi un giro su
Interactive Narratives e Photography Channel e infine guardare il lavoro di Ed Kashi sul Kurdistan (questo sì, potrebbe aprire un dibattito sulle similitudini tra linguaggio fotografico multimediale e linguaggio cinematografico, che qui non ho tempo, spazio e voglia per iniziare) o l'operazione Territoires de Fiction ampiamente diffusa da Le Monde o il bellissimo sito Chiloè Stories (anch'esso vincitore di un riconoscimento al premio Best of Photojournalism).

Poi magari ne possiamo riparlare.
Cari saluti.

Leonardo Brogioni

Anonimo ha detto...

I cosiddetti motion, prodotti con fotografie in sequenza e audio, sono innanzitutto dei prodotti multimediali, che nascono e si sviluppano nell'ambito della rivoluzione digitale degli ultimi anni. Non dei prodotti fotografici in senso stretto, dunque, e questo già fa intuire una cosa: nell'incontro tra fotografia e prodotto multimediale, si produce per forza un ibridazione di linguaggio, una collisione che porta (può portare) a nuovi modi di raccontare/esporre per immagini. Parlo di collisione non a caso: l'audiovisivo, per la sua storia, è collegato al cinema, alle immagini in movimento; e, come il cinema, deve basarsi sulla fotografia ma, al tempo stesso, "tradirla", negarne alcuni presupposti, per potersi rendere autonomo. Al tempo stesso, la fotografia cerca di non essere "fagocitata" dall'audiovisivo, e di ribadire alcune proprietà che le sono proprie.

Il fatto, quindi, che esista questo nuovo linguaggio che ancora è in via di definizione, porta a sperimentazioni e operazioni che, per forza, tirano in ballo e ri - definiscono anche la fotografia.

Cosa significa questo per il fotogiornalismo? Come ho detto, la collisione tra linguaggi implica anche una ridefinizione degli stessi. E quello fotogiornalistico è un linguaggio che da molto, molto tempo è in crisi, perchè spesso si sente inadeguato a raccontare la realtà che ci circonda con la stessa efficacia di altri mezzi di comunicazione. Dunque, abbiamo un linguaggio in via di definizione che incontra un atro linguaggio, in crisi. Un disastro, per alcuni.

Ma non per me. L'assestamento di uno dei linguaggi può significare l'assestamento dell'altro. Il motion potrebbe significare, per il fotogiornalismo, una ristrutturazione, un modo nuovo e fresco di raccontare la realtà, in linea con il futuro dei mezzi di comunicazione. L'importante, ovviamente, è che il fotogiornalismo non vada a compromessi su quello che è il suo motivo di esistenza: informare, informare e ancora informare.

E qui si arriva al capitolo Magnum in Motion. L'Agenzia segue, con i motion, una strategia che può sembrare strana: l'eliminazione, o la presenza molto esigua, di contenuti giornalistici. Ma questo è coerente, coerentissimo con la risposta che Magnum dà, non solo a livello multimediale, alla crisi del fotogiornalismo. E la risposta è: non c'è più fotogiornalismo. Non siamo più in grado di raccontare, non almeno come una volta, e allora fateci essere artisti, personaggi, star. E questo trasuda anche - e soprattutto - nei Magnum in Motion, dove praticamente esiste solo la celebrazione fine a sé stessa del fotografo, forse del suo lavoro, mai della storia.

Sconsolante abbastanza, in verità, che la più grande agenzia del mondo, la più nobile, abbia preso questa via. Ma è solo una via, che potrebbe segnare la fine del fotogiornalismo (non credo), come soltanto la caduta di stile di un'agenzia. Altre vie sono percorribili. Ad esempio, come ho detto, non rinunciando allo specifico del fotogiornalismo, che è l'informazione, il racconto approfondito di realtà complesse. Ho messo l'enfasi sull'approfondimento non a caso: se la fotografia applicata al giornalismo ha (ancora) qualcosa che la rende unica rispetto alla televisione, alla parola scritta e al video, è proprio la sua capacità di penetrare al cuore delle cose, di farle capire senza renderle sterili. E credo che ci siano ancora persone e agenzie che sono in grado di farlo, questo mestiere (penso ad esempio a VII).

Saluti, Antò.

Anonimo ha detto...

Non penso che l’editoriale di questo mese punti il dito contro i Motion. Anzi alla fine è un tipo di linguaggio che ha senza dubbio una sua grande forza ed è ancora tutto da sviluppare. Ritengo invece che ciò su cui si può discutere è il fine di questi Motion. Forse sono io malizioso, ma ritengo che il fatto che la Magnum si sia messa a produrre queste sequenza, utilizzando immagini storiche, che per chi appassionato di fotogiornalismo identifica con un certo lavoro, all’interno di sequenze che storpiano il senso dell’immagine…. Beh questo lo ritengo solo una manovra economica. Un modo per accattivarsi un numero di pubblico maggiore. Magari quella parte di pubblico che non “ perde “ tempo a soffermarsi su una singola immagine, a leggerla, invece presentata in sequenza, con un sottofondo musicale o altro è un ottimo prodotto facilmente vendibile, oserei dire usa e getta. Un po’ mi rattrista, perché invece di educare le persone alla lettura delle fotografie, sta accadendo il contrario. Ma io sono un pessimista, magari questa manovra porterà nuovamente ad un interesse per la “fotografia fotografia”, e spero che un giorno un reportage non venga identificato come Motion ma che le due cose distinte abbiano uno spazio nel panorama dell’informazione.
Nigula

Anonimo ha detto...

Ok ai motion, anche se a me piacciono poco.Però faccimoli fare a gente che di Fotografia ne sa non dico tanto, ma almeno quel poco che serve.

barbara ha detto...

E' ormai dato di fatto che siamo circondati da soluzioni di fruizione dell'immagine che sembrano essere lontane dalla funzione che queste avevano un tempo: informare, infondere un messaggio tramite un medeum visivo più diretto della parola scritta, infondere un gusto estetico. E' ormai chiaro che il sistema di informazione si sta spostando verso nuovi interessi, che ormai sono tanto lontani da quello che voleva essere il fotogiornalismo alle sue origini, e la riprova è la discutibile scelta da parte di un'agenzia storicamente tanto importante come la Magnum di ovviare a soluzioni più o meno originali e costruite con più o meno cura, per auto-propagandarsi. Vale la pena di interrogarsi circa i motivi, che a mio parere non sono casuali, per riflettere anche sui sistemi di produzione e fruizione di gran parte del panorama artistico contemporaneo, che a ben pensarci non si discosta molto, nei modi di fare, dal sistema Magnum. Innanzitutto dobbiamo chiederci: a chi è indirizzato "Picture in Motion"?
D'accordo con Gillo Dorfles in "Le oscillazioni del gusto" (ed. Skira), nella attuale società consumistica piccolo borghese manca un'universalità del gusto estetico, che spesso oscilla da rimembranze di culture classico-scolastiche al Kitsch più osceno e diseducativo, che è anche quello maggiormente commercializzato, passando per una pseudo-arte magari anche di talento, ma senza contenere una vera novità, e che è anche quella che spesso viene premiata coi Nobel e pubblicizzata accanto a dive e personaggi famosi: questo è dato da una mancanza di educazione generale da parte del sistema che non stimola l'interesse verso l'Arte d'Avanguardia, che quindi non si capisce e si rifiuta, e che invece ripropone vecchi modelli "rivestiti" del nuovo. Picture in Motion, così come è presentato, mi sembra il classico sistema di fruizione indirizzato proprio a quella fascia di persone interessate più all'orpello della "musichetta" su un movimento di immagini (tra l'altro immagini molto belle) che alle fotografie in quanto tali, e che probabilmente non hanno molta voglia di spremere le meningi e andare a scovare messaggi particolarmente profondi; leggendo "L'invenzione del quotidiano" di M. de Certeau (ed. Lavoro), l'autore dava una definizione dei lavori "di straforo" che francamente mi sembra stampata sopra cotali Motion: si diceva che nei luoghi di lavoro si diffondono le tecniche culturali che camuffano la riproduzione economica dietro finzioni di sorpresa (l'"evento"), di verità (l'"informazione") o di comunicazione (l'"animazione"); tale tipo di lavoro si basa su trovate "ingegnose" e gare fra complici/rivali nel sistema, e si basa su "modi di fare" che seguono stilemi prestabiliti, pur creandosi un margine di gioco che lo sovraimpone rispetto a quanto di simile si trova nella costrizione del luogo e del linguaggio da cui è stato creato: senza travalicare i confini dello spazio in cui è obbligato a vivere e che gli impone una legge, riesce a introdurvi una creatività che, pur sempre nei limiti di un'arte del giusto mezzo, riesce a moltiplicarlo. In questo senso Picture in Motion può essere un lavoro di sotterfugio perchè camuffa le reali intenzioni del proprio prodotto: del resto, ci si può chiedere, che cosa fa il consumatore di queste immagini una volta visionate? Picture in Motion è, a mio parere, stato creato per quel famoso "uomo comune" che tanto si teme perchè, proprio perchè anonimo, ha la possibilità potenziale di autogestire il proprio "senso comune" portando moda, massa, immagine e linguaggio in un'unica direzione lontana dal sistema prestabilito.
Tale potenziale viene comunque molto ben gestito dal sistema consumistico che ci circonda: sappiamo che l'Arte agisce sul lato più labile e difficile da controllare della nostra personalità, quello inconscio, dove va ad agire su quegli impulsi primitivi che regolano le nostre emozioni: dato che non tutte le percezioni raggiungono la corteccia cerebrale, ma alcune vanno ad influire proprio sull'emotività, l'immagine, in particolari contesti, può infondere un messaggio subliminale, e sempre tale messaggio è indirizzato verso il prodotto che pubblicizza; nel mondo del marketing si ricorrono spesso ad astuzie e pratiche comuni molto simili alle pratiche della guerra: abbattere il nemico, tenersi saldi gli alleati, controllare i civili (la gente comune - potenziali consumatori); ma questo include il libero esercizio di incanalare il proprio prodotto in un sistema tale che l'acquirente non possa pensare che ci sia altro di meglio (allo stesso prezzo).Così la mancata stimolazione del pubblico verso la vera Avanguardia diventa (inconsciamente?) una potente arma di battaglia per garantirsi una sicura fascia di consumatori, che tanto più in là non hanno intenzione di andare, richiedono questo tipo di prodotto perchè, come strutturato, li appaga visivamente e non necessitano di fare troppe domande, e gli viene persino offerta la possibilità di essere alla moda coi tempi.

Anonimo ha detto...

Ho avuto la fortuna alcuni decenni fa di assistere ad una multiproiezione ideata da un mago che lavorava per una grande azienda di pellicole. Ricordo ancora oggi le emozioni legate a immagini in movimento e con giochi complicatissimi soprattutto pensando al mezzo utilizzato. La differenza principale tra la multiproiezione di diapositiva e i motion sta proprio in questo. Difficile, costosissima e alla portata di pochi, la prima; facile, economica e "nazionalpopolare" la seconda.
Guardando in giro sia sul web che all'interno di movimenti artistici o nelle stesse strutture aziendali la diffusione di foto montate in sequenza con commento sonoro e scritto è notevole. Anche io mi sono cimentato in questo settore a corredo di un lavoro per un artista concettuale, e per documentare un evento culturale. Posso dire che mi sono divertito, e se i motion significano un nuovo linguaggio e un nuovo slancio alla fotografia ben vengano. Ho letto che però "devono essere fatti da gente che di Fotografia ne deve capire almeno un poco". Non sono daccordo, come non sono daccordo sulle grida di dolore raccolte tra i commenti. La presunzione di appartenenza e la convinzione di fare un'opera di altissimo valore culturale non hanno mai portato da nessuna parte. La sorte di qualche rivista e di qualche associazione fotografica dovrebbe fare da insegnamento. Del resto nonostante i "divieti" questa tecnica è e deve essere appannaggio di tutti, dei "cosidetti bravi" e di quelli che, come i ragazzi, pur non avendo ricevuto la "luce" confezionano dei piccoli capolavori.

Anonimo ha detto...

Tutti discorsi persi, scusatemi l’ardire, un complimento a rawnef per la chiarezza di idee.-
Bragioli critica la Magnum, per i suoi intenti commerciali, e
propaganda il “suo” fotogiornalismo, ma andando a vedere il suo
sito c’e’ solo pubblicita’, quindi non capisco da quale pulpito
ecc.
Poi devo dire che io non credo nel foto-giornalismo: e’ stato
solo un fatto commerciale, cioe’ infiorare gli articoli dei
corrispondenti con immagini fotografiche che aiutano soltanto a
vendere piu’ copie: Secondo il mio del tutto personale avviso,
che pero’ sostengo fortemente, basta il testo per fare
informazione, la fotografia in quanto ambigua non rafforza
niente, serve solo per i creduloni e gli acritici, quelli che credono
alle parole scritte solo se supportate da immagini.
Se gli usa hanno bombardato , per uno sbaglio delle loro bombe
intelligenti, un villaggio di innocenti, dovrebbe essere sufficiente
la testimonianza dell’inviato sul posto, se credibile e obiettivo, le
eventuali foto di corpi straziati riprese potenzialmente in
qualsiasi teatro bellico non sono certo una prova. Ricordatevi i
gabbiani impomatati di petrolio che agonizzavano sui
teleschermi allorche’ non ricordo quale petroliera inquino’ non
ricordo quali coste: si scopri’ con sbuttanamento generale poi
che erano riprese di repertorio ecc ecc.
Si si sono cinico e pessimista ma realista. Percio’ al bando il
fotogiornalismo.
Altra cosa e’ la ricerca personale sul campo, allora i fotografi
devono scegliere: o fare giornalismo o fare gli artisti.

Altra considerazione : perche’, caro Iovine, ti lagni che una foto
di kudelka, tratta da una sua ricerca sugli tzigani, sia stata
inserita nel motion intitolato Joy? Se inserito in un particolare
contesto, un fotogramma significa una cosa; se isolato da quel
contesto, e’ sempre un’immagine i cui segni possono essere
adoperati per altri differenti contesti. E’ il destino della
immagine fotografica, in quanto ambigua ecc ecc. E poi dico, se
il kudelka ha ceduto alla magnum i diritti sulle sue immagini
adesso non puo’ lamentarsi: se si lamenta, non dia piu’ le sue
foto a magnum, e faccia l’artista, campando di elemosina o di
quello che puo’. Gli e’ piaciuta la bicicletta? Pedali duro.
La pubblicita’ e’ l’anima e corpo dell’oggi, piaccia o no. Per
questo non capisco perche’ Iovine condanni anche
l’autoreferenzialita’ di certi motion d’autore, cvome quello di
Erwitt. Come deve campare Erwitt se non di rendita sul suo
passato lavoro? C’e’ qualcosa di male?
La fotografia E’, siamo noi, ciascuno di noi, se ci piace e se
vogliamo, a darle significati diversi.
Il discorso e' questo : che me ne frega se la massa viene indotta a credere che la fotografia sia quella contenuta nei motion. Chi ha un'educazione all'immagine sa dove mettere i paletti e andare avanti con la propria testa.
Semmai e' importante sottolineare come un distinguo lanciato su questo blog metta in chiaro le cose, e aiuti i volenterosi a capire e discernere. Benemerite quibdi le iniziative come queste di Iovine che ci permettono di approfondire certe tematiche.

Non scendo nellìintrinseco dei motion, voglio aspettare gli
sviluppi per farmene un’idea piu’ precisa. Per ora voglio solo
prendere lo spunto da quel paragone con le multivisioni per fare
un discorso piu’ ampio sulle immagini fotografiche del web.
Dico: che schifezza vedere questi motion ( e che sono, microbi?)
in dimensione 8x6 circa sul monitor, ogni immagine e’ una
cacatella che colora lo schermo: e penso a quei capolavori di
multivisioni in diapositive, con commento sonoro, atmosfera e
immedesimazione. Quello si’ era uno spettacolo: il fatto secondo
me e’ proprio questo, che la morte della fotografia e’ il web, con
le sue immagini piccole piccole e velocissime : dopo il
caricamento le immagini appaiono e scompaiono, se uno vuole tornare a
una immagine precedente e paragonarla ad altre si deve sorbire
tutto il processo da capo. Mi chiedo che effetto farebbero questi
motion se proiettati in una sala con un videoproiettore :
sicuramente migliore che sul web.
Mi dispiace per voi, la fotografia morira’ presto a causa del web.
Dite di no? Pensate alle foto di quegli autori che Dodo Veneziano
ci fa conoscere su Il Fotografo:
sul web sono cacatelle, in stampa acquistano la loro giusta
dimensione, pur nei limiti della orrida carta da stampa del
giornale.
meditate

Anonimo ha detto...

Oratore, non capisco il tuo punto di vista. Dici che la fotografia è ambigua e basta solo la parola scritta per riportare una notizia, ma perchè la parola no è ambigua? Se così non fosse come farebbero i politici a infinocchiare la gente? Poi parli delle immagini dei gabbiani, beh quello non è un problema della fotografia o delle imamgini in generale, quello è un problema di deontologia. E se ti ha creato fastidio scoprire che quelle immagini erano prese da un'altra situazione allora dovresti sentire lo stesso sgomento per la foto di Kudelka. La fotografia, la parola scritta, i filmati o i motion sono solo degli strumenti. Quello che io mi sono permesso di criticare è l'uso che si fa. Poi guarda leggendo il tuo posto non sò come non darti ragione, il fotogiornalismo morirà, perchè purtroppo la maggior parte della gente la pensa come te.
Nigula

Anonimo ha detto...

Mah.... il fotogiornalismo sarebbe inutile perchè non costituisce una "prova"? E da quando in qua a un documento giornalistico (quale che sia: video, scritto, parlato, mimato, spedito nei messaggi in bottiglia e fotografato) si richede di essere "prova" di un avvenimento? Di fronte a chissà quale tribunale, poi....

Credo che qua dobbiamo chiarirci sui termini. Perchè il giornalismo è un racconto che qualcuno fa di un fatto a un certo pubblico. E in quanto tale, un fatto giornalistico non può che essere soggetto all'interpretazione di un giornalista (yessssss, anche e soprattutto "scritto") e di un pubblico (ragioniamo per grandi linee, il discorso sarebbe più complesso e dovrebbe tirare in ballo le strutture editoriali, ma va bè).
Dunque, perchè proprio la fotografia dovrebbe avere quel carattere di prova oggettiva che altri mezzi giornalistici non hanno, e non devono avere?
Il fotogiornalismo non è altro che l'uso di un linguaggio (linguaggio, non tecnica, o aggeggi: LINGUAGGIO) per fare del giornalismo. Non è questione di infiorettare alcunchè: solo, le fotografie a volte raccontano molto meglio delle parole certi aspetti di certi fatti (e qui mi sembra inutile iniziare una sfilza di citazioni che sarebbe fin troppo lunga). Le parole raccontano qualcosa, le foto altro.

Anonimo ha detto...

Motion letteralmente movimento, fotografia letteralmente scrittura della luce, - mettere in movimento cio che è stato scritto dalla luce.
Perciò, luce in movimento, bhe...bella scoperta, analisi inutile la luce e di per se una fonte elettromagnetica i movimento, ma quando la luce da significato a qualcosa? bhe...un significato in movimento è pur sempre un significato, anche se potrebbe risultare una variabile decisamente controproducente.
Se un'immagine di per se da significato oggi ad un determinato accadimento, per quale motivo la si vuol rendere più o meno comprensibile?
Allora un uccello che vola vola alche se ho selezionato e messo in sequenza due immagini dell'uccello che vola, un'asino che vola, maari ha bisogno anche di tre immagini perche potrebbero fornire un rafforzamento della prova che l'asino realmente vola, ma...e ritorno a dire Ma... un'asino seppur fotografato in volo, vola veramente?, percio alche se io mostrassi una o mille immagini di un'asino volante, sarei costretto prima o poi a dimostrare che l'asino vola in modo differente, magari più pratico.
Perciò anche in questo caso le Motion non fanno un gran lavoro.
Il problema reale a mio intimo e discreto avviso è che se quei slideshow perche di tal ogetto si tratta fossero stati postprodotti da menti più lucide, e magari un po più geniali, allora si che potrebbero veramente aver un valore formale agiunto, magari non racconterebbero di più sull'accadimento reportagistico, ma sarebbero un modo divulgativo di un messaggio differente, e magari con il rischio di risultare più efficacie che la sola o le sole singole immagini di una galleria tra tante, percio glissando e saltando a piè pari sull'uso commerciale delle immagini di magnum, che tra l'altro come già detto questo fa....cioè vende immagini!
I motion non funzionano perche non sono stati fatti a regola d'arte, un racconto fotografico tipo diaproiezione incrociata o La Jetée (1962) hanno valore solo inquanto raccontano bene o almeno interpretano in modo differente con un differente linguaggio qualcosa di già raccontato in immagini non sequenziali.

Chiedo nuovamente scusa per gli strafalcioni, psico-grammaticali e mi rimetto a menti più lucide.

Anonimo ha detto...

Parafrasando... (è un.. mezzuccio si sa, ma il dono dell'eloquio..non è mica per tutti, neee) occhio non vede cuore non duole: faremmo un torto ai non vedenti negando una siffatta contaminazione, dove la fotografia non è protagonista, ma umile... spalla.
Besos
C.

Anonimo ha detto...

"la fotografia morira’ presto a causa del web".Mi permetto ancora una volta di dissentire. Il web è stato uno dei maggiori strumenti propulsivi dell'immagine fotografica. Certo questo ha disturbato non pochi "soloni" che scopiazzavano a più non posso dalle riviste estere e che oggi non possono più farlo impunemente. Ho lavorato più volte a realizzare immagini per siti web, e vi posso assicurare che le ridotte dimensioni non mi hanno procurato nessuna crisi di panico. In quei rettangolini, comunque, ci ho messo il cuore. Anche quando si è trattato di fotografare un ingranaggio meccanico. Particolare non trascurabile: mi hanno anche pagato bene, che di questi tempi non guasta. Il web lo vedo più come una un'oppurtunità in più di lavoro piuttosto che un nemico.

p.s. ringrazio oratore per le gentili parole

Anonimo ha detto...

Caro Sandro,
ti commento fondamentalmente non tanto per parlare dei motion,dei quali conosco poco,visto che ho iniziato a fruirne soltanto da poco,ma per farti i miei complimenti per i tuoi scritti sempre salaci ed intelligenti,che mi hanno fatto pentire di seguire solo da poco "Il fotografo".
Tornando all'argomento principale,direi che una cosa tipo motion la stanno facendo ultimamente i musicisti e soprattutto i dj,che usano montare alcune fotografie ed immagini varie con un programma tipo powepoint e che proiettano durante le loro esibizioni musicali,accordandole alla musica che stanno suonando.In questo contesto spesso si riescono a creare performance molto orginali,specie quando il linguaggio delle immagini diventa evocativo in relazione alla musica,non so se riesco a rendere l'idea e forse questo è il contesto dove un audiovisivo tipo motion può essere applicato al meglio.
Un saluto a tutti!

aldo ha detto...

Riprendo brevemente quello che gia' e' stato detto: cioe' che anche a mio parere i motion non sono altro che un mezzo, e come tale ne positivi, ne negativi in assoluto ma che lo diventano in base all'uso che se ne fa. Dopotutto quello che si fa costruendo un motion non mi sembra molto diverso da cio' che si fa quando si costruisce la sequenza di un reportage.
Si costruisce letteralmente una "sequenza" di immagini che nella sua interezza dia un punto di vista e trasmetta un messaggio. Anche quando sistemo una dopo l'altra le immagini di una storia posso farlo in tanti modi: in modo serio, perche' sia vendibile, falso ecc..
Se poi alla sequenza di immagini aggiungo una musica o del parlato anche questo potro' farlo in tanti modi. Questo dipende dalla serieta' di chi costruisce la storia o il motion. Non dal motion stesso..

Anonimo ha detto...

Il piatto piange, forse i vecchi amici sono al mare a mostrar le
chiappe ormai abbrustolite, e quindi si affacciano al blog nuovi
amici piu’ interessati al web e al fotogiornalismo.
Non me ne vogliano allora, se affermo che fotogiornalismo fa
moda, riempie la bocca, e’ sinonimo di fotografia “concerned” .
Ma credo che il tono di fondo della sinfonia che Iovine ci suona
stavolta non sia il fotogiornalismo, mediato o meno dalle grandi agenzie.

Iovine vuole riaffermare, credo, l'autenticita' di ogni singola fotografia in quanto risultato della scelta piu' vasta da parte di un autore.
E allora io distinguo fotogiornalismo da reportage.
Personalmente penso che la fotografia di reportage ( anche se e' assurdo suddividere la Fotografia in generi) sia tale sin
dal momento degli scatti, allorche’ l’autore ( in Vietnam, sopra
un campo minato, in Normandia o in Irak, in un villaggio di
diseredati o quant’altro) partecipi alle vicende umane in mezzo
alle quali si trova, e alla ricerca dell’umanita’ , propria e
altrui , fermi in immagini le sensazioni e le emozioni del
momento.
Chi e’ bravo, cioe’ chi riesce ad essere uomo, nel senso di essere
partecipe delle vicende cui assiste e che va a cercare, realizza buone fotografie di reportage.

Quindi continuo a distinguere la fotografia dal fotogiornalismo.
Quest'ultimo e' una contaminazione , quasi sempre ormai maldestra, tra sentire fotografico e informazione.
La dolente nota infatti e’ che di un intero servizio i giornali e le riviste
pubblicheranno pochissime immagini, quelle piu’ consone alle
leggi del mercato , del profitto , cioe’ dell’ipocrito sistema
socio-economico-politico.
Per vedere un reportage per intero, con il suo senso, il suo
ritmo, la sua armonia di fondo, bisogna andare a Perpignan. Al
di fuori del reportage, per apprezzare la produzione di un
qualsiasi autore , bisogna comprare un fotolibro, costoso
perche’ ormai considerato strenna natalizia al pari di un vassoio
d’argento o una cassetta di vini pregiati ; oppure sperare che una mostra
itinerante tocchi la nostra citta’.
Sono finiti i tempi di Life infatti, e i fotogiornalisti o semplici
fotografi di professione devono svendersi alle agenzie , e compiacere gli editori.
Oppure aprirne di proprie, come quella di James Nachteway e
consociati, che cercano di superare il monopolio delle grandi
agenzie trattando personalmente con gli editori.
E infine e' arrivato il web, vetrina mondiale per cani e porci,
dai fotodilettanti ai grandi fotografi : senza dubbio utile per
conoscere le immagini prodotte da tantissimi fotografi, per parametrare il polso della situazione.
E in questo senso i motion fanno ridere, forse i creatori o
ideatori non sanno neanche quale possa essere il potenziale
educativo, informativo, comunicativo, e quindi perche’ no anche
economico oltre che culturale, di una simile espressione per
immagini, qualora diversamente, cioe’ meno superficialmente,
confezionata.
Concordo con Bragioli del primo post che certi siti e motion da luio chiamati in causa sono di altra specie, cioe' interessanti, pero' penalizzati dalla difficolta' di tradurre il parlato, e cosi' la "comunicazione" va a farsi...

Infine convengo con Iovine che una foto di kudelka sia sprecata
in quel contesto del motion "incriminato", ma mi rifiuto di pensare che una cosa grossa
coma Magnum non possa permettersi uno sforzo creativo per
giungere ad un prodotto migliore: e’ evidente che quanto gia’
fatto paghera’, hanno gia' fatto una scelta misurata sulla media dei soli utenti cretini del web , e al diavolo la cultura.

Il rischio in questi ragionamenti e' secondo me quello di confondere :
la produzione di un fotografo con l'uso che automaticamente se ne fa;
la sua ispirazione o testimonianza primigenia con i percorsi e i rivoli in cui sara' diluita dalla virulenza dell'interesse economico.

oratore

Anonimo ha detto...

Non condivido la sottovalutazione di internet fatta da qualcuno, la fotografia su internet e' viva, bisogna pero' adattare le proprie aspirazioni o illusioni, e i propri limiti, per poterne ricavare una utilita'. per la sfera personale e per fini culturali generali.

gabbi

:: haku :: ha detto...

«Si rischia di accontentarsi di un puro stato affettivo (pathos, passività) per evitare la questione politica in quanto tale (ethos, possibilità dell'azione), magari nel tentativo inconsapevole [in questo caso forse non insonsapevole...] di ottenere un'empatia immediata in vece della paziente comprensione storica di cui necessitano i fatti.» da Georges Didi-Hubermann, Costruire la durata. in Del contemporaneo.