Tra le ultime gallerie fotografiche presenti sul sito di Repubblica.it c'è quella dedicata a Biniam Mengesha, ventottenne fotografo etiope protagonista non proprio volontario di una brutta storia (anche se basterebbe farsi un ricerca su un qualsiasi motore di ricerca alla voce Etiopia, paese a maggioranza ortodosso cristiana e musulmana, per rendersi conto che di storie che meriterebbero maggiore attenzione ce ne sarebbero a volontà e di spessore maggiore). Per farla breve Mengesha avrebbe avuto in animo di realizzare ad Addis Abeba una mostra fotografica dal titolo Black Diamonds e composta da quarantacinque nudi femminili. L'inaugurazione avrebbe dovuto aver luogo il prossimo 4 luglio, ma il Ministero della Cultura etiope l'ha vietata bollando le immagini come pornografia. In base alle dichiarazioni rilasciate da Mengesha le fotografie sarebbero dei fine art e includerebbero nudità parziali aggiunte digitalmente e non censurate. Questa mostra, secondo le dichiarazioni rilasciate dall'autore, avrebbe costituito il primo caso simile nel suo paese. Beh, a parte esprimere tutta la solidarietà possibile al buon Biniam Mengesha, che se non altro da questa vicenda ha ricavato una popolarità internazionale che dubito il normale svolgimento della mostra avrebbe potuto assicurargli, non si può fare a meno di notare che il tema della mostre censurate sembra stare molto a cuore dei redattori di Repubblica.it.
Non più tardi di una settimana fa circa infatti le frequentate gallerie fotografiche ci portavano in Australia, paese di tradizioni democratiche leggermente più consolidate, per informarci del ritiro dell'incriminazione nei confronti di Bill Henson. Quest'ultimo infatti è autore di una serie di quarantuno fotografie esposte presso la galleria Oxley di Sidney, in cui sono raffigurate adolescenti nude. Durante la mostra la polizia avrebbe fatto irruzione nella sala sequestrando venti delle immagini esposte. La notizia in quel caso era il ritiro dell'incriminazione per l'accusa di pedopornografia e le foto riguardavano le fasi del sequestro.
Sono convinto che dare informazioni del genere sia corretto anche se sono altrettanto convinto che questo non cambierà lo stato delle cose. Nel senso che non sarà la notizia più o meno illustrata su Repubblica.it o su qualunque altro giornale in rete o cartaceo a far sì che episodi del genere non si verifichino più. Non posso però non chiedermi se dietro la scelta di notizie di questo tipo non ci sia più un desiderio di sollecitazione della morbosità che alberga in ognuno di noi piuttosto che un desiderio di difesa del rispetto della libertà di espressione. E me lo chiedo ancor di più quando per sapere come si chiama l'autore delle foto presenti nelle gallerie devo andare a cercarmelo sull'Ethiopian News Search Engine and ECTV Amharic News... Quello che mi domando è quale rispetto può avere chi sceglie di occuparsi di questi argomenti degli autori di cui parla se poi omette anche di citare il nome del professionista che ha scattato le foto che sta utilizzando per illustrare il proprio lavoro? Comunque a prescindere dal fatto che, vista la qualità delle fotografie, forse sarebbe meglio ometterlo il nome dell'autore, le immagini che illustrano la galleria di Repubblica.it dedicata a Biniam Mengesha, sono di Jose Cendon dell'AFP Photo.
Dall'alto:
La pagina iniziale della galleria fotografica che Repubblica.it ha dedicato alla vicenda di Biniam Mengesha.
La pagina iniziale della galleria fotografica che Repubblica.it ha dedicato alla vicenda di Bill Henson.
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6 commenti:
Rispetto di solito ne hanno poco, ma principalmente credo che dovendo sfornare notizie di continuo non riescano più nemmeno a gestire delle cose che a noi sembrerebbero scontate.
Ciao!
Simone
ecco è questo "dovendo" sfornare che mi suscita grandi perplessità...
Io credo che il dover sfornare notizie di continuo possa, forse, offrire una spiegazione meccanica, ma questo non significa che la cosa debba essere automaticamente giustificabile. E poi anche io tenderei a farmi un paio di domande circa l'utilizzo di quel verbo dovere.
concordo appieno con Sandro..... sulla qualità delle foto
l' uomo era cacciatore/raccoglitore e il baratto era una forma di libero scambio si cedeva un bene in favore di un altro, si è passati poi allo scambiare beni con feticci a cui abbiamo attribuito valori (leggi denaro.) In questa visione del modo tutto può essere mercificato dal pane alla notizia. La professionalita dell' avvocato, del panettiere, del muratore dell'operaio o del dirigente viene delineata dal modo in cui tratta il baratto della sua merce, stesso vale per chi fa dell'informazione una professione ( a cui noi diamo sempre in modo quasi inconscio un valore trascendente) connotata anche da aspetti etici. Quindi il buon giornalista che pecca di non citare un nome ( cosa che per altro fa decadere in modo evidente il significato del suo comunicare in quanto elimina un elemento fondante della sua comunicazione) è sicuramente sinonimo di mancata professionilità, il trovare un esca nella morbosità al fine magari di vendere di più ( il vendere di più potrebbe essere un buon motivo oltre che un dovere di chi deve pagare stipendi) se non ci fosse di mezzo quella fastidiosa parolina che si scrive ETICA e che a volte guarda caso viene affiancata a PROFESSIONALITA' generando qualcosa che suona più o meno ETICA PROFESSIONALE, non sarebbe nulla di peccaminoso.
Nel pase dove vivo io che non troverete sulle cartine geografiche ( il suo nome è Utopia) la notizia non è un dovere da sfornare ma una necessità di condividere.
Quindi dopo tutte le cazzate che ho sopra scritto spero qualcuno mi censuri così potro avere i miei 10 minuti di gloria su repubblica .it
caro Sandro,
A mio avviso, sostengo la tua ipotesi che certe notizie vengano divulgate non tanto per difendere i diritti di libertà di espressione, quanto invece per stuzzicare il vuoyerismo dei lettori. Poveri noi, amanti della fotografia... Si parla ben poco di essa e, in casi come questo in cui finalmente gli si concede spazio, essa diventa solo un pretesto.
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