martedì 6 gennaio 2009

Cose... strane dal mondo (della fotografia)


Uno slogan pubblicitario piuttosto famoso di qualche tempo fa recitava cose buone dal mondo… oggi forse sarebbe il caso di riciclarlo in cose strane dal mondo (della fotografia). O almeno questo è quello che mi viene da pensare rovistando nei meandri di internet quando vengo in contatto con quelle informazioni che testimoniano come la fotografia venga ogni giorno che passa sempre più contaminata da operazioni che con essa hanno oggettivamente poco a che vedere. Non voglio fare moralismo di basso livello, ma vedere come soprattutto certi settori stiano mostrando sempre più chiari i segni di quella che, più che una trasformazione, sembra essere una vera e propria corruzione, riesce sempre a mortificarmi in profondità. Soprattutto quando si è costretti a verificare come dietro a certe vicende ci siano sempre gli stessi denominatori comuni. Mi riferisco soprattutto alle operazioni che si svolgono intorno e dietro alle immagini fotogiornalistiche. Nel recente passato abbiamo già visto finire in gallerie d’arte immagini nate per documentare guerre e disastri in tutto il mondo. La questione etica sull’opportunità di fotografare la sofferenza, quando non direttamente la morte, è probabilmente vecchia quanto il fotogiornalismo e non credo valga la pena di versare altro inchiostro sull’argomento. Accettiamo che ognuno faccia i conti con la propria coscienza quando decide di far circolare determinate immagini. Limitiamoci però a smettere di credere che nel mondo odierno (e probabilmente anche il quello passato) il fotoreporter possa assolvere a una funzione salvifica nei confronti del mondo. Le fotografie non hanno quasi mai cambiato gli orientamenti di chi decideva della nostra sorte, figuriamoci se possono farlo oggi. Ma non accettiamo che immagini di sofferenza nate per documentare, informare di cosa stava accadendo in un determinato luogo chi in quel luogo non poteva recarsi, finiscano per diventare oggetto di mercimonio para artistico. Soprattutto se in esse è raffigurata la sofferenza di qualcuno. Mi chiedo sempre che effetto ci farebbe sapere che qualcuno si è appeso sopra al camino di casa la foto del cadavere di un nostro parente o di un amico… Che poi i ricavati siano devoluti o meno ad associazioni umanitarie cambia davvero di poco la sostanza dei fatti. Non sorprendiamoci se un domani qualche fotoreporter finirà nel mirino di sbandati che individueranno in loro i soggetti su cui rifarsi delle migliaia di dollari ricavati vendendo una singola foto di qualche loro compagno di lotta o di sventura. Non meravigliamoci perché pur essendo nel torto avranno una parte di ragione. Soprattutto se poi possiamo ritrovare immagini degli stessi autori come etichette su una bottiglia di nobile vino toscano. Certo ancora una volta si addolcisce (stavolta dichiarandolo chiaramente fin dall’inizio) il cambio di destinazione d’uso delle foto con una raccolta fondi a favore di una nota associazione di volontariato internazionale attraverso la vendita di un catalogo che accompagna la mostra allestita per sottolineare l’operazione. Ma rimane il fatto che qualcuno si porterà sul tavolo le immagini realizzate per documentare un’epidemia di colera, terremoto che ha causato decine di migliaia di morti e così via. Certo se da una parte è vero che si tratta delle bottiglie adatte per brindare al novello 2009 che si preannuncia ben carico di tempeste, dall’altra non posso che rimanere quantomeno perplesso nei confronti di chi certe idee se le fa venire e di chi le accetta o condivide. Ovviamente a fronte dell’imperativo consistente nel lanciare un grido d’allarme per quanto accade, c’è la precisa volontà di non concedere ulteriore spazio alla visibilità ricercata dai protagonisti della quantomeno discutibile operazione, ragion per cui ne ho deliberatamente omesso i riferimenti. Sappiate però che accade davvero. E che dovremmo vergognarcene tutti. Almeno un po’.

Sandro Iovine

n. 201 - gennaio 2009



Compatibilmente con i tempi redazionali, i commenti più interessanti a questo post potranno essere pubblicati all'interno della rubrica FOTOGRAFIA: PARLIAMONE! nel numero di febbraio de IL FOTOGRAFO.



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18 commenti:

Anonimo ha detto...

Secondo me il problema non esiste, ma esistono gli uomini, gli uomini che godono nel vedere il sangue scorrere, gli uomini che fotografano e filmano gli orrori della guerra per darle in pasto ai sadici fruitori i quali si scandalizzano poi se uno butta la carta o un mozzicone di sigaretta sul marciapiede. Non dare più visione a questi fotografi? Sarebbe come dire aboliamo la F1 perchè c'è gente che la va a vedere sperando in un grosso incidente, sarebbe come abbolire i gossip, oppure "il grande fratello" e affini, dove tutto è farsa ma la gente ci crede, facendo poi finta e giurando di non averne mai visto una puntata, fatto salvo di sapere tutti i nomi e cognomi dei protagonisti, sarebbe come togliere il microfono a Sgarbi. Questo è il mondo della fotografia che rispecchia ne più ne meno il mondo dei media. Vogliamo parlare dei falsi in fotografia? Dalla presa di Porta Pia ad oggi? Ai falsi assalti dei carabinieri per dare in pasto il filmato al Telegiornale? Mi scandalizza di più lo scandalizzarsi, il parlarne, è come voler vincere la mafia, tutti ne parlano e più se ne parla e più si pubblicizza. Come sarebbe bello il SILENZIO.... ahhhh che meraviglia

Anonimo ha detto...

Inutile, Mark, invocare il silenzio.
C'è già, ed è piuttosto rumoroso.
Le vittime di guerra si sconcertano nello stesso modo sia che finiscano su una bottiglia sia che precipitino nella nostra indifferenza.La nostra capacità di sconcertare si evidenzia ad ogni occasione: siamo semplicemente incapaci di misurare ciò che ci accade, e di comportarci di conseguenza.
La guerra è un fatto umano tragico e reale, che ha influenze pesanti e globali: non documentarla sarebbe un tragico errore tanto quanto lo è appiccicare un cadavere su una bottiglia.
Forse è alla finzione della guerra che dovremmo guardare con sospetto, ai milioni di videogiochi e film violenti e retorici di una retorica ammuffita: sono loro ad abituarci a certi spettacoli, molto più di quanto facciano le fotografie di guerra, bandite da tempo da giornali e riviste.
Non sappiamo nulla, di quel che accade a due passi da noi. Non lo scopriremo certo versando un bicchiere. Ma nemmeno coprendoci gli occhi.

Anonimo ha detto...

Giusto M@rk "esistono gli uomini, gli uomini che godono nel vedere il sangue scorrere, gli uomini che fotografano e filmano gli orrori"... ottima analisi, peccato che tu abbia dimenticato una categoria fondamentale in questo discorso: gli struzzi... sai quegli uccelli cui la tradizione popolare attribuisce l'invidiabile strategia di nascondere la testa per non vedere cosa sta per accadergli?

Danx ha detto...

Ciao Sandro, complimenti per l'articolo che condivido.

Penso che sia giusto documentare, anche se ci basta veramente poco per farci subito un'idea di cosa sia una guerra.
Questo però (il poco) non accade mai, infatti quel che vediamo è intriso di sangue.
Noi uomini moderni che da decenni viviamo con in mano la carta dei diritti dell'uomo abbiamo bisogno di vedere gente a pezzi per dire che la guerra faccia schifo? Se sì vuol dire che non l'abbiamo scritto noi!

Per me basta veramente poco per rendermi conto di cosa sia una guerra o altra catastrofe, basta anche solo, come ho scritto nel mio blog poco tempo fa, inquadrare un muro che divide due popoli in mezzo ad un deserto per capire che là ci sono state e ci saranno guerre.

A me basta sapere che si sparano e si bombardano per provare i brividi, non ho bisogno di altro...e tutta la gente che legge giornale e segue i tg perchè dovrebbe aver bisogno d'altro? Per appassionarsi di più come ad un film o per agire? Dubito la seconda!

Inutile dire che quando una foto di guerra diventa "artistica" è la fine della morale!

Ciao,
Danx

Andrea il "Fuso" ha detto...

Documentare o non documentare esserci o non esserci vendere o non vendere?
O documentare eticamente?
Eticamente nel 2009 mi hanno detto che non sarà di moda in ogni caso non pensiamo a queste cosi tristi in fondo ancora per poche ore possiamo goderci le feste natalizie quindi:

BUON ANNO A TUTTI!!!

Buon anno agli Struzzi e ai coraggiosi che sfidano bombe per fare fotografie, buon anno ai cadaveri e a chi cadavere non è ancora ma poco ci manca buon anno a chi ha perso "solo" qualche arto su una mina antiuomo, buon anno a chi gli si e scaricata la batteria mentre stava fotografando un genocidio, buon anno al pilota di formula uno che non sa ancora che gli scoppierà una gomma propio sul più bello e lui sarà così fotogenico in quel momento.
Buon Anno a tutti critici e criticati.
Forza venite vicino, modelle piloti militari morti di fame (aiutate i monchi e i cadaveri) venite tutti, stringetevi che facciamo una bella foto di gruppo.
------------
NB
Finalmente Sandro dopo tanto tempo la tua voce

Anonimo ha detto...

Mi sono fatto un regalo. Anzi due.

Primo regalo. Lo scorso autunno mi sono regalato l'autobiografia di Ansel Adams; ho acquistato il libro come al solito, cioè è il libro che viene da me ed io lo prendo. Poi l'ho messo in libreria a "decantare".

Secondo regalo. Nel periodo scorso natalizio me ne sono stato a casa, a giocare coi miei figli ed a ricaricare le batterie (con le nevicate che sono ancora in corso il relax continua anche oggi).
Così il libro mi ha chiamato e l'ho letto.
Devo dire che sono profondamente colpito dal lato umano di questo grande autore, il quale mi ha parlato diritto al cuore.
"Fotografia vecchia", ho sentito dire da qualcuno, quasi come se la fotografia nuova ed attuale fosse quella descritta da Sandro... quella dei morti da etichettare sulle bottiglie...???
Tutt'altro, fotografia attualissima, rapporto diretto con l'anima, con l'interiore e non con le interiora (quelle che fanno spettacolo e colore col sangue).
Il guaio è proprio che oggi non si fotografa con l'anima.
Sottoscrivo l'interpretazione di Sandro, la fotografia è corrotta per il cattivo uso che alcuni ne fanno, senza principi etici, senza dignità, senz'anima.

Nella rete vedo, e stento ormai a leggere, tante-troppe chiacchiere, forum e liste varie dove si pubblicano immagini (per cui non perdo tempo a cercare aggettivi) e si tritano e ri-tritano sempre le solite non-idee, c'è un problema dovunque, specie nei pensieri degli altri.

Qui, in questo luogo virtuale, continuo ad apprezzare il lavoro di Sandro e pochissimi altri che avrebbero voglia di fare qualcosa. Lo dissi sullo scorso post, si DEVE fare qualcosa.
Idee? Incontriamoci, creiamo un punto di riferimento per agire, delle discussioni sono un po' stanco, servono a livello preliminare. Ora dobbiamo agire.

Buon anno nuovo a tutti!
Marco

Anonimo ha detto...

Interessante e cuorioso sarebbe spedire con un cargo casse di suddette bottiglie di vinazza "incriminata" sul luogo della tragedia.....chissà quale sarebbe la reazione delle persone direttamente coinvolte, come ve li immaginate? A stappare e brindare?
Magari direttamente sulla cassa di legno in mancanza del tavolo?

Questo Mondo non ha piu dignita' e non la lascia nemmeno a chi la meriterebbe.
Ogni confine é stato dilatato a proprio uso e consumo, a mo di elastico.

G

sandroiovine ha detto...

Dalla lettura dei commenti ho avuto la sensazione che due diversi piani del mio ragionamento siano stati ridotti a un unico livello. La... contestazione che ho mosso non è rivolta tanto al contenuto delle immagini, che non rappresentano cadaveri o altro iconograficamente connesso in modo diretto al dolore intinseco nelle tragedie all'interno delle quali le immagini sono state riprese (si tratta in realtà di vedute paesaggistiche di qualità estetica per altro tutt'altro che disprezzabile). Il problema lo ripeto rimane quello del cambio di destinazione di immagini realizzate per documentare e raccontare quanto accade e utilizzate invece all'interno di operazioni di marketing. Il riferimento alle immagini di cadaveri o parti di essi era invece relativo a operazioni di mercato artistico già affrontate in precedenza in queste pagine. Rimane comunque valida a mio avviso l'osservazione di G sull'opportunità di provare a portare un po' di bottiglie sui luoghi dove le foto sono state scattate per fare un bel brindisi con gli abitanti del luogo. Del resto, tanto per dare un aspetto più concreto e a noi vicino, alla provocazione potete sempre andare in Irpinia, in Friuli o nel Belice portandovi una bella bella bottiglia di rosso nobile toscano la cui etichetta avrete avuto cura di sostituire con un bel paesaggio bianconero scattato in zona all'epoca dei noti terremoti... così tanto per vedere l'effetto che fa per parafrasare una nota canzone di Iannacci.

Anonimo ha detto...

Personalmente, da tempo sono in sintonia con Sandro Iovine. E sono in sintonia con Sandro, anche per quel che riguarda questo suo ultimo post.
Mi limito in questo caso a porre due domande: può esistere, secondo voi, un marketing etico?
E ancora: perchè il mondo della fotografia è così ostile al concetto di etica?
Attenzione, per etica non intendo censura, e neanche omissione della rappresentazione della violenza.
L'etica ha a che fare con il rispetto degli individui (tutti, ma a maggior ragioni di quelli che la violenza l'hanno subita direttamente) e con la destinazione d'uso delle immagini.
In sostanza se un fotografo, un artista o un cinesta nel complesso della loro architteura visiva e poetica utilizzano la rappresentazione fantasiosa e metaforica della violenza nelle loro opere (vedi Stanley Kubrick in Arancia Meccanica), lo trovo del tutto normale (...se e pensiamo poi a Shakespeare), ma se uno di questi autori utilizza immagini di sofferenza altrui (prese dalla realtà) per trarne esclusivamente profitto e per soddisfare il proprio smisurato ego di "fotografo fighissimo" adulato dal pubblico qualunquista e capitalistico che è pronto a pontificare sull'argomento salvo poi eccitasri voyeuristicamente alla visione della violenza e della povertà in tv o sulle riviste patinate, la cosa mi disturba alquanto.
Qualcuno dice che sono un moralista...siceramente non credo.

Giovanni B. ha detto...

Grazie per il commento lasciato, e per gli esempi citati.
se, ovviamente, non posso che condividere la sua posizione in merito al marketing pseudo-artistico delle fotografie di reportage, eccomi a non condividere questo suo passaggio."Limitiamoci però a smettere di credere che nel mondo odierno (e probabilmente anche il quello passato) il fotoreporter possa assolvere a una funzione salvifica nei confronti del mondo. Le fotografie non hanno quasi mai cambiato gli orientamenti di chi decideva della nostra sorte, figuriamoci se possono farlo oggi. ". Non lo condivido perchè nessuno, credo, pensa che questo sia il compito del fotogiornalista, che rimane quello di documentare un fatto con un immagine e di portarlo a conoscenza di un pubblico più vasto di quello presente sulla scena fotografata.
Cordiali saluti
Giovanni B.

nabokova ha detto...

people need to be shaken, that's it.

Michele Mgk ha detto...

Che dire, un po' come la classica domanda: "cosa prova in questo momento?" che fa l'inviato di turno al malcapitato che ha appena perso tutto in un disastro. Sarebbe meglio non speculare sul dolore altrui, già ma siamo uomini e i soldi oggi come oggi sono tutto per molti....

Unknown ha detto...

Dopo un'assenza influenzale vorrei provare a chiarire un paio di punti di fondo che sono alla base dell'inizio della discussione. Il primo e per quanto mi riguarda più importante è quello relativo alla motivazione per cui è iniziata la discussione. Mi sono preso la briga di sottolineare un episodio che, al di là delle economie personali dei personaggi direttamente coinvolti, quasi sicuramente non otterrà il beneficio di una citazione nei testi di storia della fotografia e per fortuna sarei tentato di aggiungere. Ovvero non ritengo che al singolo episodio in se debba essere attribuita eccessiva importanza. Differente però è la prospettiva se lo si analizza segnale di una tendenza che sembra confermarsi e coinvolgere sempre gli stessi nomi che non a caso non sono certo di basso profilo internazionale e rischiano quindi di fare mala scuola. Sottolineare un episodio di questo tipo per me significa prendere coscienza che questo tipo di cose accadono e che il loro accadere non è privo di conseguenze. Non chiedo a nessuno di quelli che possono letto queste pagine di scandalizzarsi come se non ci fossero ben peggiori situazioni in questo mondo. Lo so bene che il suono stesso dell’espressione comportamento etico può suscitare eruzioni cutanee immediate in più d’uno o peggio far gridare a un puzzolente moralismo d’accatto. Ma sinceramente non me ne frega gran che in quanto sono convinto che se da un parte è tristemente vero che che ci sono professionisti che accettano di svendere il proprio lavoro (ma in ultima analisi anche di tutta la categoria che in quel momento sostanzialmente rappresentano) per pochi o tanti denari che siano, dall’altra il pericolo maggiore è che un giorno ci si ritrovi tutti a trovare la cosa del tutto naturale. Non mi sono mai illuso che limitarsi a parlare di un fatto del genere possa impedire a chiunque di continuare a comportarsi nel modo che ritiene più conveniente per la sua morale e le sue finanze. Ognuno di noi è ovviamente responsabile delle proprie azioni ed è giusto che sia così. Ciò che non è giusto è smettere di indignarsi e adagiarsi nella convinzione che il non poter influire direttamente su un fenomeno per altro anche risaputo, giustifichi un’accettazione dei fatti talmente passiva da consentire di provare più nemmeno un po’ di sdegno per quanto accade. Certo degnarsi non cambierà nulla, ma almeno ci lascia vivo un barlume di coscienza. E il fotogiornalismo che davvero sembra sempre più ammalato, ritengo abbia sempre più bisogno di ragionamenti volti nel medio lungo periodo al recupero di una dimensione in agiscano anche valori differenti da economie di piccola scale e interessi speculativi e personalistici. E con questo non mi permetto certo di pensare che la soluzione sia facile o che basti indignarsi per qualcosa o qualcos’altro. Occorre molto di più per salvarlo da una malattia che ogni giorno che passa sembra prendere le forme di una triste e dolorosa fase terminale.
Ecco perché a mio avviso dobbiamo continuare a informarci e se lo riteniamo opportuno e ne abbiamo la forza emarginare culturalmente chi compie operazioni di sciacallaggio sulla sofferenza degli altri. Ci sono stati eventi luttuosi, prodotti dall’auomo o dalla natura infuriata. Decine, centinaia, migliaia a volte decine di migliaia di persone hanno subito danni personali totali comprensivi della perdita della vita. Nel mondo di oggi a tutto questo è sicuramente connesso il guadagno di quelli che hanno prodotto le armi che la distruzione hanno prodotto, o che hanno condotto i soccorsi o le ricostruzioni. Al di là di qualche manciata di idealisti e volontari c’è sempre chi ci guadagna sopra in questi frangenti. E va bene (si fa per dire). Abbiamo stabilito che il mondo deve essere informato di quanto accade (come se proprio in questi giorni non ci fosse stato dimostrato per l’ennesima volta come la distanza tra quanto accade e quanto viene raccontato possa essere realmente colmata). E va bene anche questo (ancora una volta si fa per dire). Quindi è normale e giusto che esistano operatori professionali che volteggino sui teatri di sciagura per alimentare il nostro senso della morbosità. Ma sarebbe auspicabile che ognuno riuscisse a ad avere abbastanza dignità personale da imporsi dei limiti di fronte al proprio lavoro. Limiti che ad esempio non antepongano il guadagno perpetrato attraverso lo sfruttamento dell’immagine della sofferenza di molti a vantaggio delle patologie morbose di altri. E sono limiti che non possono essere imposti da nessuno, ma che ognuno dovrebbe riuscire a trovare all’interno di se stesso. Verrebbe da dire per fortuna, anche se forse fortuna non è.

Anonimo ha detto...

Complimenti per il blog... posso osare a chiedervi uno scambio link? :)

Unknown ha detto...

Ciao.Anche io condivido l articolo scritto da Sandro Iovine.
Il caso vuole che,i primi di dicembre,trovandomi all estero ho trovato in un edicola un numero della rivista di PHOTO di settembre e l ho comprata in quanto nella mia città non riesco a trovarla.Ebbene in copertina c'era la foto di un civile georgiano che abbraccia il corpo inerme e sanguinante di un amico o parente(questo si presume nel vedere la foto)nello sfondo case che bruciano..
Sinceramente sono rimasto stupito da quanto vedevo in copertina,ma cio che mi ha lasciato di stucco è stato vedere l'intero reportage(se così si può chiamare)sull invasione russa in territorio georgiano:ci sono 7 delle 8 foto in cui c è sempre il civile steso a terra col volto straziato dal dolore che abbraccia la persona morta,solo che la scena è ripresa da 7 angolazioni diverse.Solo in una il civile è in piedi e sembra urlare qualcosa contro un militare che tenta di coprire con una coperta il cadavere.
Non so neanche si invitarvi ad andare a vedere questo lavoro di Gleb Garanich,perchè la considero veramente un offesa verso la moralità.
Mi chiedo però,in questo caso,dove sia il diritto di testimonianza quando,su 7\8 foto,non ci sia alcuna informazione che non sia presente nella precedente!!
Mi chiedo inoltre come,una rivista come PHOTO,possa pubblicare un lavoro del genere?perchè alla fine dei conti posso anche"capire"(anche se moralmente mi sembra di ben basso livello)il fotografo che ,volendo essere sicuro che almeno una foto buona ci sia,si mette a girare attorno a questa persona che urla per la sofferenza con un corpo in braccio,
ma non riesco ad accettare,e mi lascia molto perplesso,che un intera redazione di un giornale di tiratura internazionale permetta che venga pubblicato un lavoro del genere.
A questo punto non mi rimane da pensare che l unica maniera per porre un margine a questa situazioni sia non comprare certe riviste,sapendo benissimo che non otterrei nessun risultato.
Quello che mi spaventa ancor di più è che,di questo passo,non potremo un giorno neanche indignarci davanti a certe immagini perchè verrebbe giudicato come inutile moralismo.

Un saluto Denis

enrico_gabbi ha detto...

la nostra società, fortemente individualista, ha perso di vista ideali per un benessere comune; contemporaneamente ha esaltato il cinismo ed impoverito il senso generale della cultura. Trasposto in fotografia ne risulta che spesso le persone non si rendono nemmeno conto del reale messaggio che le immagini trasmettono e di come questo sia stato manipolato, ad uso e consumo di chi scatta o pubblica. Ci possiamo meravigliare? direi di no. Ci dobbiamo scandalizzare? Certamente si, perché i contemporanei siamo noi, tutti noi e non altri.
La morbosità dell’animo umano, che quotidianamente portava la folla allo spettacolo della ghigliottina, non lo possiamo ancora estirpare ma almeno non avalliamo motivazioni di arte, dovere di cronaca o beneficienza.
saluti a tutti

Anonimo ha detto...

Credo che Sandro volesse farci capire che il discorso di Marketing ha superato ormai ogni limite. Tranne le eccezioni e aggiungo rare, di fatto di può dire che nel marketing odierno avrei estrema facilità (mettendo da parte la dignità umana) a vendere lavori grazie alle pene altrui. Potrei persino vincere premi da 30.000 dollari fotografando cadaveri imbustati... per fortuna non sarei il primo. Il problema é la questione dei contenuti, negli scorsi decenni i media in generale hanno azzardato comunicando visivamente le questioni informative cercando di avvicinarsi immediatamente al nocciolo della questione, arrivando dove siamo ora, informando senza dignità. Per esempio il commento di Denis è perfetto. La questione del conflitto Georgiano può essere raccontata in infiniti modi, tramite infiniti punti di vista e sono convinto che se in quel momento si fossero per assurdo presentati nella redazione di PHOTO due fotogiornalisti che hanno affrontato il problema in maniere diametralmente opposte avrebbero probabilmente la meglio le foto "dirette" dell'argomento e cioè le foto con i cadaveri. E' una cosa orrenda me ne rendo conto e fà paura, è necessario un equilibrio. Ma un equilibrio che vada a braccetto con le questioni economiche è impossibile per la nostra società di qualunque genere sia. I Fotogiornalisti che interpretano gli avvenimenti con la loro potente visione si mettono allo stesso livello dei loro colleghi più banali quando riprendono la morte altrui ed è assurdo che questo esista perchè sono proprio loro con la potente visione che ci raccontano le storie dal loro unico punto di vista. Credo che toccherebbe a loro a questo punto prendere la decisione di cambiare il mercato e credo che avrebbero il potere di farlo ma abbiamo dimenticato la faccenda dell'equilibrio...

banque d'images ha detto...

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