giovedì 1 ottobre 2009

«Nonno, a che ti serve dire e ridire cose che nessuno conosce?»

1966, Grazia Neri fonda a Milano l’agenzia che porta il suo nome. 2009, Michele Neri, figlio di Grazia, diffonde un comunicato in cui si annuncia la messa in liquidazione dell’agenzia. Un annuncio che non sorprende gli addetti ai lavori da tempo a conoscenza del micidiale cocktail di contingenze che ha di fatto reso impossibile la prosecuzione dell’attività. Da un lato abbiamo assistito a una contrazione del mercato che ha fatto registrare cali di vendite prossimi al 40%, dall’altro invece troviamo gli oneri di gestione nella rappresentanza di agenzie estere che nei corridoi vengono quantificati con cifre a dir poco improbabili. Inevitabile quindi che si arrivasse prima a una drastica riduzione del personale e poco dopo alla decisione di mettere in liquidazione l’azienda.

Che il fotogiornalismo fosse in crisi da tempo, non è certo cosa che val la pena di ripetere. Basta andare a sfogliare i quotidiani di fine luglio per leggere ben più ampi resoconti di analoghe vicissitudini relative all’Agence Gamma, fondata anch’essa nel 1966.

Ma a parte questi casi che denunciano innegabilmente la gravità della malattia che affligge il fotogiornalismo, di sintomi meno eclatanti, ma non per questo meno gravi, se ne possono cogliere a volontà. A cominciare dalla ridefinizione del modo di intendere il fotogiornalismo, sempre più in bilico tra la deriva artistico-concettuale e quella prettamente commerciale. Nel primo caso alludo alla presenza sempre più frequente all’interno di gallerie d’arte di immagini nate per documentare, mentre nel secondo caso mi riferisco alla sponsorizzazione di lavori destinati alla promozione aziendale (corporate) sfacciatamente spacciati per operazioni giornalistiche. Come più volte mi è capitato di affermare in queste pagine, nutro profonda stima sotto il profilo manageriale nei confronti di chi riesce a convincere una grande azienda a sponsorizzare un lavoro per i fotografi della propria agenzia. Sono convinto che si tratti di operazioni vitali per garantire la sopravvivenza dell’agenzia stessa e dei suoi fotografi. Ma mi piacerebbe che ci si accontentasse di intascare la soddisfazione, il prestigio e il meritato utile economico che da queste operazioni deriva, evitando di proclamarsi con arroganza promotori e inventori di nuovo modo di fare fotogiornalismo. Soprattutto quando la tesi sostenuta è... argomentata con affermazioni del tipo «perché io dico che anche questo è fotogiornalismo».

Ma brutti segni si avvertono perfino in manifestazioni come il festival del fotogiornalismo di Perpignan, dove quest’anno si poteva toccare con mano una concezione datata, capace solo di parlarsi addosso attraverso la ripetizione di schemi triti e ritriti, e ammantarsi di rassicuranti quanto poco profonde estetizzazioni sempre più lontane dall’idea di informazione e documentazione. Un fotogiornalismo insomma ogni giorno un po’ lontano dai propri fondamenti e sempre meno vitale.

Di crisi del settore sento parlare da più di vent’anni, ma mai come in questo periodo mi sembra che i segni nell’aria siano inquietanti. Le cause le può individuare chiunque a cominciare da quella crisi dell’editoria aggravata dall’indifferenza di un pubblico incapace di valutare la qualità delle immagini. Fattore di cui si fan forti gli imprenditori che, in quanto tali, mirano solo a far si che la cosiddetta ultima cifra in basso a destra nei rendiconti di fine anno, ovvero quella che indica il profitto, sia la più alta possibile. Perché un editore dovrebbe investire nel lavoro di un fotografo quando con cifre irrisorie può approvvigionarsi di tutte le immagini che desidera presso le agenzie on-line che per pochissimi euro forniscono di tutto? O, ancora meglio, perché non dovrebbero saccheggiare in modo del tutto gratuito le pagine di Flickr dove incauti utenti uploadano immagini in alta risoluzione? Forse molti non ci pensano, ma oggi intere riviste vengono fatte in questo modo. Non voglio risolvere troppo semplicisticamente una questione tanto complessa, ma buona parte dei problemi nascono proprio dalla convergenza di questi fattori, anche se certo non sono questi gli unici responsabili della situazione, molte essendo le concause implicite in quanto appena accennato.

L’evoluzione tecnologica del mondo del lavoro ha portato negli ultimi venti o trenta anni alla scomparsa di intere professionalità, basti pensare, senza andare troppo lontano nel mondo dell’editoria, alle attività di prestampa annichilite dalle tecnologie informatiche. Non ci si sarebbe quindi da stupirsi se qualcuno iniziasse seriamente a considerare la professione di fotogiornalista come ben avviata verso l’estinzione. Ma il problema non sarebbe costituito solo della ricollocazione della forza lavoro, relativamente esigua rispetto ad altri settori. Quello è un problema destinato a risolversi in modo più o meno doloroso, come da sempre avviene nella storia dell’uomo. Il vero problema consiste nel fatto che l’ultimo secolo e mezzo di documentazione fotogiornalistica ci ha consegnato un’eredità storica preziosa in termini di memoria, coscienza e informazione. Un’eredità che rischia di scomparire nella generalizzata perdita di contatto con il reale che sembra caratterizzare quell’informazione globale figlia della nostra epoca. Perdere una fotografia in grado di farci fermare a riflettere su quanto accade, una fotografia prodotta da professionisti dell’informazione che operano in base a criteri giornalistici è, a mio avviso, un rischio tanto grave quanto vicino.

La perdita di quella memoria, quella coscienza e quello spirito critico che viaggiano (o dovrebbero viaggiare) nella borsa del fotogiornalista insieme alla sua macchina fotografica, mi fa istintivamente pensare alla California post-apocalittica del Jack London di La peste scarlatta (Adelphi, 2009). Circa sessant’anni dopo la distruzione pressoché completa dell’umanità avvenuta nel 2013 a causa di una devastante epidemia, i giovani nipoti dei sopravvissuti al disastro sono imbarbariti e hanno perso ogni memoria di ciò che l’umanità è stata. Di fronte ai racconti di un vecchio che narra come sia andata in fumo la civiltà non trovano di meglio che commentare «Nonno, a che ti serve dire e ridire cose che nessuno conosce?». Il paragone può apparire forzato, lo so, ma spero che la profezia di London non abbia a dimostrarsi vera non solo per l’umanità, ma anche per il fotogiornalismo.

n. 210 - ottobre 2009



Compatibilmente con i tempi redazionali, i commenti più interessanti a questo post potranno essere pubblicati all'interno della rubrica FOTOGRAFIA: PARLIAMONE! nel numero di novembre 2009 de IL FOTOGRAFO.



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39 commenti:

emanuele ha detto...

riduttivo parlare di piaga per il fotogiornalismo la presenza di banche dati on-line, di grandi "worldplace" su cui e da cui scaricare immagini facilmente e di tutti i tipi..
anche il mondo della pubblicità su vasta e piccola scala risente di questa innovazione tecnologica, che rende inutile il lavoro di un fotografo specializzato pronto a fare il lavoro su commissione; ora le commissioni si adattano all'offerta delle immagini open-source; abbassando la qualità del significato della campagna pubblicitaria o dell'articolo..
l'ultima recita così: "bé cosa ci vuole con una digitale? una,due,tre, quante prove vuoi e una è buona!"
..grazie digitale..
..ora siamo tutti fotografi_e le fotografie sono diventate solo immagini di tutti e per tutti..
..ma anche qui si potrebbe intavolare una discussione lunghissima se la vera colpa è del digitale in se o delle case produttrici; o del mercato in generale che ha voluto sempre più proseliti e futuri profeti..
il problema vero e proprio è il non riconoscere una specializzazione propria e quindi non considerare nemmeno quella altrui..i giornalisti sono diventati anche fotografi e viceversa..c'è troppa confusione nelle professioni..


un fotografo

pasquale senatore ha detto...

Sarebbe veramente una grossa perdita per le future generazioni non avere più foto scattate da veri professionisti.Foto che raccontano le varie vicende dell'umanità con l'occhio attento e critico di chi fa questo per mestiere.
Oggi con le moderne tecnologie tutti si sentono dei fotografi ma pochi hanno l'occhio allenato a percepire quei dettagli che fanno di una foto un pezzo della nostra memoria storica.
Il mio pensiero va a questo punto a tutti quei giornalisti,fotografi e cineoperatori che hanno pagato con la vita il loro amore per questo lavoro.Un lavoro fatto di tanti sacrifici e di una vita non facile.Ma la voglia di raccontare all'umanità con articoli,foto e video,quello che stava accadendo era più forte della loro paura per la morte.E molte volte grazie proprio a questo preziosissimo lavoro hanno fatto prendere coscienza l'intera umanità su tragedie che i vari governi tentavano di nascondere.
Spero di non essere uscito fuori argomento e grazie dello spazio concessomi.
Un fotoamatore

sandroiovine ha detto...

«riduttivo parlare di piaga per il fotogiornalismo la presenza di banche dati on-line, di grandi "worldplace" su cui e da cui scaricare immagini facilmente e di tutti i tipi..»
Infatti se hai letto con attenzione avrai trovato anche questa frase: «Non voglio risolvere troppo semplicisticamente una questione tanto complessa, ma buona parte dei problemi nascono proprio dalla convergenza di questi fattori, anche se certo non sono questi gli unici responsabili della situazione, molte essendo le concause implicite in quanto appena accennato».
Per il resto sono senz'altro d'accordo con la tesi che ci sia troppa confusione tra le professioni, ma sono anche convinto che non sia affatto casuale se si riflette sul fatto che a trarre vataggio da questa confusione in termini economici sono solo gli editori. Come sono convinto che se il pubblico fosse in grado di discriminare sula qualità di quanto acquista, forse diventerebbe necessaria maggiore attenzione da parte delle case editrici nella scelta dei materiali destinati a pubblicazione.

emanuele ha detto...

..io non intendevo dire che non ci fossero scritte le cose che mi ha sottolineato,da bravo professore è meglio precisare e mettere i puntini sulle "i"; ma solo accennare l'estensione della pandemia images-freewere un pò in tutti i settori della fotografia: still-life, viaggio, rep. naturalistico..

ottimo articolo e ottimo lavoro, come sempre..

ex allievo reportage

Paola P. ha detto...

Leggo con un filo di tristezza e con la paura del domani queste righe. Paura. Saprebbe, ora, una persona qualunque cogliere e racchiudere in un'immagine questa mia paura? Non lo so. Saprebbe farlo un Fotografo (con la "F" maiuscola)? Sono certa di sì.
Io sono da poco in questo mondo, alle primissime armi. E per questo amore ho deciso di investire i miei ultimi soldi e, soprattutto, il mio futuro. Ed ora mi ritrovo in un mondo molto falso, oggi più che mai, dove i valori non contano più. Conta il guadagno, la vendita, i bassi costi. Ecchissenefrega del resto!!!
Rabbrividisco di fronte alla frase "La fotografia è morta". Se ami qualcosa, non morirà mai.
"Non di solo pane si vive". Giusto. Quindi faccio un passo indietro. Non lascerò che questo mio amore venga inquinato da persone false. Io amo la fotografia e, gelosamente, continuerò a custodirla con tutto il mio amore a la passione che, ad oggi, mi han fatto arrivare qui.
Grazie a chi è serio e professionale.

danilogiuso ha detto...

Ciao, sono Danilo , Vostro affezionato lettore, per cui superflui i complimenti. I tuoi ultimi editoriali sono risultati assolutamente interessanti. Ben venga la possibilita' di pensare un poco come nell'editoriale di settembre. Oggi ho ricevuto ottobre, e condivido pienamente il pericolo derivante da tutta una serie di segnali inquietanti. Mia opinione la stortura tipica del capitalismo italiano dove economia e politica si confondono. Da noi, con la compiacenza della finanza, braccio armato della politica, comandi una multinazionale con un pacchetto azionario di minoranza. Tutto questo determina un effetto distorsivo della realta' imprenditoriale e, quel che e' peggio, troppo spesso il rischio di impresa si cerca di trasferire sul dipendente o sul cliente. Non resta immune il fotogiornalismo , che secondo me, e' totalmente dipendente dal bussiness. I lavori fotografici devono essere commerciali e per questo avere costi operativi azzerati. I mezzi di comunicazione attuali permettono di attingere a piene mani ad immagini da sfruttare. Altrimenti deve intervenire il progetto aziendale. No questo non e' fotogiornalismo, hai ragione, ma anche la stessa fotografia soffre di queste storture. Possiamo fotografare con ogni mezzo, dal telefonino alla holga, ma e' assolutamente imbarazzante constatare quanto sia difficile rendere interessante l'argomento ai giovani. Quindi i giovani non sentono troppo la fotografia come mezzo di comunicazione e per contro un sentimento mai sopito che vede la fotografia con sospetto. e' sempre presente. Le tribu' primitive pensavano che con la fotografia si catturasse l'anima. Ai giorni nostri la fotografia non e' gradita all'establishment perche' puo' dimostrare tante cose, troppe. La macchina fotografica fa ancora sospetto. Eppure la fotografia e' sempre stata utile al potere. Il nostro ' 68 ha visto uso a piene mani per schedarci e riprenderci nei cortei e manifestazioni. Ti ripeto una democrazia che permette la commistione tra potere economico e politico non e' una democrazia matura.
Ancora complimenti Danilo Giuso.
danilo.giuso@fastwebnet.it

Giancarlo Parisi ha detto...

Ciò che sta accadendo al giornalismo è solo una costola dell'intero fenomeno di globalizzazione dell'immagine. Se oggi la maggioranza dei neofiti della fotografia crede di poter fare a meno di impelagarsi in noiosi studi della tecnica di base, non vedo perchè un editore dovrebbe complicarsi la vita per racimolare il materiale per i suoi articoli.
Non sono un giornalista e posso avere solo una vaga idea del mondo del reporter, ma l'andazzo attuale è senz'altro allarmante.
In nome dell'informazione si fanno le peggiori nefandezze, c'è la gara a chi informa di più e meglio, a discapito di tutto il resto. Non potrò dimenticare l'autoreferenza della rai (mi pare fosse il TG2) nel compiacersi di essere stato la prima emittente a fornire lumi sul disastro abruzzese; come se ci fosse un premio per chi arriva prima (credo che il Pulitzer venga elargito con altri criteri).
In tutto ciò la fotografia diventa un contorno per piatti indigesti, un contorno indigesto anch'esso perchè a basso costo e quindi di bassa qualità. Ma come dice Iovine il lettore si accontenta di ciò che gli danno in pasto, salvo poi lametarsi, ma tanto il giornale lo compra lo stesso el'abbonamento rai lo paga lo stesso (e ora comprerà anche il decoder perchè lo hanno deciso loro).
Quello che si semina si raccoglie.

domgarga ha detto...

sono perplesso da così tanti messaggi di commiato... stiamo forse facendo il funerale alla fotografia? E' davvero morta? Certo che no! E' viva ma sta cambiando "pelle", è in piena metamorfosi verso una forma che non riusciamo a capire o non vogliamo accettare.
L'inteo concetto "classico" di comunicazione è in piena fase evolutiva proprio grazie alle nuove tecnologie! E' forse questo un male? certo che no! Il problema non è negli editori che cercano di far quadrare i conti attingendo ad immagini disponibili su Internet, così come il "fotofonino" o nella digitale con i megapixel pompati all'inverosimile. Il vero problema è nella incapacità ad immaginare come sarà il fotogiornalismo del futuro. Non conosco (forse per la mia limitata conoscenza in materia) di visionari che sono riusciti (o sono sulla via per farlo) ad ipotizzare quale sarà il prossimo concetto del fotogiornalismo a cui far riferimento.

A mio avviso ci troviamo di fronte ad una (momentanea) empasse: da una parte abbiamo un corpo docente che ha difficoltà a capire e utilizzare le nuove tecnologie (anche per la notevole velocità con cui si evolvono); dall'altra i giovani che cercano una guida per orientarsi in questa situazione di confusione! Non parlo ovviamente di casi specifici, ma come tendenza generale.

Negli ultimi 5 anni le vendite delle macchine fotografiche hanno fatto registrare livelli mai visti prima con modelli sempre più potenti e con funzionalità innovative. Proprio sul numero di Ottobre de "Il Fotografo" si parla di una nuova funzione per le macchine fotografiche definita: "... il suggeritore" migliorando la capacità dei neofiti a scattare "buone" fotografie (il chè non significa che siano buone immagini!). Questa straordinaria diffusione di macchine fotografiche ha creato una quantità impressionante di foto che ha letteralmente invaso Internet "inondando" (affogando?) gli occhi e la mente dell'utente medio influenzandone i gusti. Si tratta di un fenomeno così di ampia portata che non può essere controllato: è l'inizio della fine? No! E' l'inzio di una nuova fase, di una nuova era del fotogiornalismo e della fotografia in generale!

Le innovazioni non vanno combattute o arginate, ma vanno capite e "cavalcate" per farsi traghettare verso quella nuova dimensione della comunicazione che offrirà di certo nuove (e forse ad oggi impensabili) opportunità a tutti coloro che risulteranno adeguatamente preparati. Il come questa preparazione possa essere acquisita è ancora da definire. Questo è un compito a cui dovrebbe assolvere quel famigerato gruppo di visionari (e non tecnici) dotato di adeguate conoscenze e competenze multidisciplinari necessarie a creare la grammatica di questo nuovo linguaggio comunicativo.

Vorrei concludere con un esempio: parecchi anni fa si era creato un forte allarmismo per la grande diffusione dei fast food i quali, per la "limitata" qualità dei cibi, si riteneva fossero una minaccia per la salute e possibile causa di una perdita delle tradizioni culinarie italiane (e non solo). Oggi la realtà è ben diversa: forte apprezzamento dello Slow Food, riscoperta dei piatti tradizionali, genuini e ricercati per i quali si è disposti a pagare (con il sorriso sulle labbra) un conto consistente perchè ti lascia un senso di soddisfazione che un hot-dog non potrà mai darti!

un saluto
Domenico Gargarella

Unknown ha detto...

Il funerale della fotografia? no non credo. Leggendo l'ultimo commento dopo molti forse senza speranza, forse la via d'uscita c'è è sta nel mantenersi qualitativamente alti e innovativi.
Il mondo della fotografia classica dove il fotografo viene commisionato oramai è scomparso, però stiamo entrando in un mondo che comunica più di prima. E' vero il fotografo è visto con sospetto, ma con le sue capacità artistiche e comunicative può cavalcare meglio di qualsiasi altro fruitore i nuovi media. Non è più la fotografia in se a "vendere" ma è il lifestyle stesso del fotografo a diventare interessante, mi sto accorgendo con il passare degli anni, che per quante fotografie possa pubblicare e vendere la cosa che interessa di più al "nuovo" pubblico è quello che comunichi, che porti come conoscenza, la curiosità esiste ancora, ahimè si trova nelle nicchie e non più sull'ampio mercato. Da qui si può dedurre che il classico fotografo sui generis, di reportage, che per anni ha vissuto nell'immaginario collettivo stia sparendo. Secondo me non è vero, sono le foto fine a se stesse che stanno sparendo ma non la figura di colui che entra nella notizia, nell'ambiente e lo racconta, il trucco sarà nel capire e scoprire un nuovo modo di comunicare attraverso l'immagine verso il nuovo pubblico.
Per quanto riguarda l'editoria, credo che andrà scomparendo, la rete e la possibilità di una notizia diciamo co-generata farà si, anzi sta già succedendo che la carta stampata lascerà il posto al mezzo internet, credo che col tempo tornerà anche la qualità per la notizia e l'immagine. Spero che in questo paese che ha visto artisti fra i migliori del mondo torni la cultura del bello, siamo circondati da "cose belle" ma nessuno se ne accorge più, non si distingue una buona immagine da una "plasticosa" tutto si è omogeneizzato ad uno standard molto basso. Se la storia si ripete come alla fine del medioevo, torneremo ad un altro rinascimento, ora ci credo poco, ma la speranza.....

Ciao
Mirko (fotografo e filmmaker di professione)

Salvatore Desiato ha detto...

Buongiorno
Mi domando che cosa faccia e che cosa farà la stampa , di fronte a questo gravissimo allarme ; continuerà e spremersi in lacrime ? Ma se è proprio la stampa che "accatta" immagini a bassissimo costo per aumentare i propri profitti , se è proprio l'informazione che per prima , tende al ribasso sui costi ... La gente non sa più apprezzare ? Cosa la carta stampata ha fatto per fare capire alla gente che con la programmazione televisiva delle 20 e 30 , ha deviato e abbassato il proprio livello di analisi e di critica , a livelli infimi... e poi che cosa stanno facendo i fotografi professionisti per dimostrare quanto sia completa la fotografia , in quanto mezzo espressivo e divulgativo ? Cosa fanno gli editor ? Oggi si scelgono solo immagini che assomigliano a quelle del tal vincitore del Mega Photo ( sempre PH ) Festival , insomma alla fine sono tutte uguali , per chi ne mastica un po' ... figurarsi gli " altri " , che alla fine sono quelli alle quali tali immagini sono destinate , quelli che alla fine il giornale lo comprano assieme al cornetto e al caffè ... Insomma siamo , dobbiamo essere " politicamente corretti " ed alla fine non possiamo più dire niente .
Ma sappiano le testate giornalistiche , che la fine della fotografia è solo la prima falla , che farà affondare anche la loro barca !
Auguri !

Giancarlo Parisi ha detto...

Forse non è stao pienamente colto il senso della discussione. L'andazzo attuale porterà ad una mediocrizzazione del patrimonio informativo. Se noi guardiamo ancora con affetto, interesse, stima (ecc.) le immagini che hanno fatto la storia del fotogiornalismo (si parla principalmente di questo e in seconda battuta della fotgrafia) e, di riflesso, dell'umanità, è solo per la bravura e il sentimento dei reporter.

Se oggi "accattiamo" le immagini a basso costo su internet non si creerà un nuovo patrimonio fotografico per il futuro, e il fotogiornalismo sarà la fotocopia di se stesso...finchè non resterà un foglio bianco.

Questo è il terrore, non l'innovazione tecnologica in se.

Danx ha detto...

Emanuele (commento 1), se si vuole il documento di un oggetto, di una persona, ok con la digitale son bravi tutti, ma se la si vuole unica, rullino o sensore non c'è differenza e bisogna cercare l'autore adatto.
Quello che dici te va bene per le fotine di complemento delle rivistucole tipo l'attuale Airone secondo me.
Quindi, non è certo colpa delle librerie di foto online se il fotogiornalismo è in crisi, perchè non è da lì che scarichi foto di storie...no?

Anonimo ha detto...

Buongiorno Sandro,
bell'argomento, bel post. Abbastanza vasto da perdersi. Non entro in mertio al destino della Neri e di molte altre agenzie che viviono o vivranno questa situazione. Concordo che non si possa usare l'etichetta "fotogionalismo" per definire tutto, dalle operazioni commeciali a quelle di branding, e mi rimane una considerazione, abbastanza amara.
L'umanità è sempre arrivata in ritardo, di almeno 10/20 anni, ad avere gli strumenti etici e deontologici per riuscire a gestire una tecnologia nuova. L'intelligenza delle cose, create anche da geni, ha sempre superato l'intelligenza della massa. L'energia atomica è stata subito utilizzata nel peggiore dei modi, per esempio. La telefonia cellulare isola le persone, anche se crediamo il contrario, costringendo ad usare codici simili e devianti da una reale comunicazione verbale etc.
Ora il visivo è sotto assedio. Ben venga per la concorrenza, tutto a prezzi più bassi, è giusto. Con la diffusione delle macchine digitali, finalmente ci si renderà conto che un professionista ha uno standard qualitativo "replicabile" (come insegnava Adams) mentre l'improvvisato no.
Ora che tutti possono fare le foto ci si accorge che non è facile farle, vero?
Ripeto un concetto che ho già espresso: i fotogiornalisti professionisti sono testimoni oculari profesionisti e quando sono anche autori hanno la capacità di sintesi che un testo non può avere.
Chiude la Neri: mi spiace, è stata la mia prima agenzia, ora in Italia rimangono in pochi (tra cui anche qualcuno cha ha cointribuito a distruggere il mercato del fotogiornalismo italiano), aspettando che qualcuno dall’estero li compri. Tanto siamo sempre stati esterofili in Italia.
Grazie e buona giornata.

Petit Fabio

Giancarlo Parisi ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Giancarlo Parisi ha detto...

Anonimo ha detto: "Ora che tutti possono fare le foto ci si accorge che non è facile farle, vero?"

No, è falso! Guardate che anche prima del digitale era facilissimo fare le foto. Vi rammento che lo slogan della Kodak "You press button, we do the rest" è datato 1888. Il digitale ha solo reso più veloce la fruizione dell'immagine, e la fretta, si sa, è cattiva consigliera.

Siamo nell'era dell'ipervelocità e ciò si riflette anche nella fotografia. Ma non ve ne rendete conto già quando fate una fotografia ad un gruppo di amici? L'aspettativa di chi sta davanti all'obiettivo è di un click "rapido e indolore", chi esita un secondo è perduto e preso a pomodori in faccia perchè non si muove a fare una foto, "e che ci vuole?".

La velocità dei media abbassa la qualità dell'informazione e il fotografo(?), per rimanere a galla, per non perdere il lavoro, è costretto a transigere pur di essere il primo a portare qualcosa in redazione, per quei pochi casi in cui una redazione ancora esiste.

Altre fonti di informazione(?) preferiscono scavalcare a monte il problema dei "ritardi nelle consegne" procurandosi autonomamente il materiale.
E Grazia Neri va in liquidazione...

P.S.
scusate se ho cancellato il precedente post ma c'erano degli errori di ortografia. Devo usare l'anterprima.

Unknown ha detto...

Forse la fotografia non stà morendo, ma il fotoreportage, quello di una volta è sicuramente agonizzante! Le cause? a mio modesto parere sono molteplici e colpiscono da tutti i lati;Il vecchio rullino che veniva spedito una volta a settimana avvolto in calze di nylon dalla Cambogia e dal Vietnam già in Afganistan, durante l'occupazione russa veniva incalzato dalle riprese video(è allora che nasce la CNN); in seguito è sempre stato più difficile proporre quei meravigliosi reportage di approfondimento, i gusti cambiarono e si preferirono meno immagini e notizie flash! poi ai giorni nostri si assiste alla massificazione dell'oggetto fotocamera, i telefonini di ultima generazione hanno risoluzione mai vista ed il vantaggio di essere sempre a disposizione!
Molte volte mi è capitato di vedere incidenti automobilistici con il corollario di fotofonini pronti ad immortalare le scene più macabre pubblicandole all'istante su flickr, fotolia e simili!Io stesso, preso dal desiderio di fama!?! ho venduto qualche immagine su fotolia avendo praticamente nessun guadagno, togliendo lavoro a dei professionisti e perdendo la possibilità di vendere per conto mio la mia foto!Quello delle agenzie di stock con foto a prezzi stracciati ha ridotto i margini di guadagno e impoverito la qualità delole immagini! A questo va aggiunto quello che secondo me è un imbarbarimento dell'arte fotografica divenuta etichetta di vini ed ammenicoli vari!Anche i socialnetwork fotografici tipo flickr tranne poche eccezioni producono un'idea della fotografia univoca e banale( è inconcepibile su flickr un immagine che usa lo sfocato!) In ultimo, la mancanza di coraggio nello sponsorizzare giovani talenti, presentando in tutta Italia e non solo, mostre dei soliti mostri sacri! E' un pò come nella musica, dove artisti affermati, propongono cover di brani di successo per fare cassa e dove se prima si investiva su 10 emergenti l'anno ora si investe su uno o due che hanno però raggiunto la fama in qualche riality.
Il fotogiornalismo non è morto, ma è agonizzante e siamo noi, nel nostro piccolo,che a che possiamo salvarlo, rispettando il lavoro dei professionisti e non svendendo il nostro!

Anonimo ha detto...

Giancarlo Parisi ha detto, riprendendo me:

Anonimo ha detto: "Ora che tutti possono fare le foto ci si accorge che non è facile farle, vero?"

No, è falso! Guardate che anche prima del digitale era facilissimo fare le foto. Vi rammento che lo slogan della Kodak "You press button, we do the rest" è datato 1888. Il digitale ha solo reso più veloce la fruizione dell'immagine, e la fretta, si sa, è cattiva consigliera.


Non ho detto premere un pulsante, ho detto fare una fotografia: è diverso. Ma forse mi sono spiegato male: ora che è così facile "tecnicamente" scattare una foto, ci si comincia ad accorgere che non basta un grandangolare, e far venire le facce come palloni, per fare una foto esteticamente strutturata. Non basta una macchia di colore, dello sfocato e neppure due linee per creare vettori ottici e piani di profondità.
E tantomeno basta una foto pubblicata sul giornale per fare eticamente qualcosa di apprezzabile.
Lo davo per scontato che il senso fosse questo, scusa. Poi dipende sempre uno cosa riesce a mettere in una fotografia, e cosa riesce a leggere della realtà (e l'ipervelocità con cui hai interpretato le mie parole, sottovalutandole, è esemplare).
Per alcuni i pulsanti migliori restano quelli del telecomando.

Fabiano Avancini (il petit Fabio di prima)

P.s. Con l'avvento della fotografia i pittori figurativi e ritrattisti hanno cambiato lavoro (cfr anche L'occhio della fotografiia, I. Zannier). Con la diffusione e semplificazione della tecnologia i fotografi con minor valore aggiunto cambieranno lavoro, o desisteranno dall'iniziarlo.

Rosa Maria ha detto...

Viviamo in una fase di passaggio, questa è - a mio parere - la verità, pura e semplice.
Sembra che tutto crolli di botto travolto soprattutto dalla corsa di una tecnologia, cui non si riesce a star dietro, ma forse - come avviene spesso - è soltanto ciò che non aveva solide fondamenta a cedere. Forse le crepe erano già evidenti da un pezzo.

La celebre agenzia sopra citata, sicuramente ha avuto il torto di non saper stare al passo con i tempi, tentando di adeguarsi tardi e solo esteriormente ad essi. Allo stesso modo molti operatori della fotografia, non hanno prestato sufficiente attenzione ai primi segni di "debolezza strutturale", ed ora temono quel che ci porta il presente: la trasformazione di qualcosa che non funzionava più e che dovremmo essere felici stia cambiando. Ma le fasi di transizione non sono indolore e l'articolo di Sandro Iovine ci ha ben illustrato l'attuale sconquasso.
Ben venga comunque il cambiamento. Non siamo alla strombazzata "morte della fotografia" (ché questa persino in forme deteriori è tuttora viva e vegeta), ma alla presa d'atto dell'inutilità di una fotografia senza senzo. Ciò potrebbe salvare la fotografia e quei valori che dovrebbe ancora portar con sè.

I meccanismi commerciali che stanno dietro la fotografia l'hanno depauperata all'osso; corollari di questi meccanismi sono la vanità incosciente ed ignorante dei fotoamatori, alimentata dagli interessi dell'industria della fotografia, e ancor di più la colpevole furberia degli intermediari, i cosiddetti operatori culturali della fotografia che si sono limitati a costruire reti clientelari degne della peggiore politica italiana.

Nessun catastrofismo! Esistono certamente i mezzi e le energie, anche se opportunamente trascurati da gente che propone occultamente il "restauro" di meccanismi logori e magari un "rimpasto del governo fotografico" in Italia.

I motivi della presente crisi sono estremamente complessi, io stessa ho appena accennato ad alcuni...
Gli effetti, come ci segnala giustamente preoccupato Sandro, sono attualmente nefasti e fanno temere il peggio (ma io voglio sperare!). Memoria, coscienza, informazione non sono un optional di cui una società sana e libera possa fare a meno.

La perdita di contatto col reale... di questo si parla davvero troppo poco!
E troppo poco si parla degli elementi costitutivi della comunicazione visiva.
Come stupirsi del fatto che il pubblico, acritico, non riesca a discernere la qualità di un immagine e gli eventuali messaggi che veicola?

Unknown ha detto...

Caro Sandro, cercherò di essere il più conciso possibile visto la mole di commenti che vi sono qui oggi. Per fortuna o per sfortuna non faccio parte del mondo professionistico della fotografia, detto questo, trovo che “a mio parere“ il punto fondamentale o decisivo di tutto ciò, è che come dici tu “l’indifferenza di un pubblico incapace di valutare la qualità delle immagini.” È il fattore cruciale di tutto. Se una persona o molteplici persone non vogliono acculturarsi, non saranno mai in grado di leggere una fotografia o capire cosa c’è scritto su un quotidiano, quindi come possiamo pretendere che capiscano tutto il resto? Un altro problema strettamente collegato a questo è la disinformazione, e qua ci sarebbero molte cose da dire, ma meglio fermarsi anche perché si entra in un tunnel senza via d’uscita. Insomma si può dire che, parte tutto dal singolo individuo, e quindi tutti gli altri problemi vengo di conseguenza. L’acculturarsi è fondamentale senza quella non si va da nessuna parte.

Giancarlo Parisi ha detto...

Anonimo ha detto:
Poi dipende sempre uno [...] cosa riesce a leggere della realtà (e l'ipervelocità con cui hai interpretato le mie parole, sottovalutandole, è esemplare).

Io ho letto molto attentamente le tue parole, sarà che non sono abituato a dare per scontato nulla per professione, tanto più nei forum.
Ti sei spiegato meglio e sono ancor meno daccordo con te.

E' vero, la tecnologia aiuta il fotografo a realizzare una fotografia, sollevandolo dall'onere di mettere a fuoco, di impostare l'esposizione e via dicendo. Più concorrenza, standard più alti, migliore qualità.
Ma allora com'è che G. Neri chiude?

Se il tuo discorso fila in linea generale, nel fotogiornalismo attecchisce meno. Si predilige il basso costo (quindi bassa qualità) piuttosto che un lavoro ben fatto (e quindi più costoso).
Ma come mai sempre più spesso nei TG mandano in onda spezzoni di riprese di fotoamatori?

La tecnologia di ripresa è ovunque, l'abbiamo tutti in un telefonino, nessun reporter può essere sul posto di un fatto prima delle persone che quel fatto lo vivono. E' solo un esempio, ma la dice lunga sulle prospettive dell'informazione.

l'anonimato è più elegante ha detto...

non mi stupisce questa notizia, del resto che facciano quello che vogliono, la fotografia di qualità resterà sempre di più una nicchia, forse non darà più il pane per vivere, ma poco importa, la loro mediocrità è il cibo della mia arte

Non mi interessano le volgari esibizioni su flickr e co,la fotografia usa e getta dei ragazzini presuntuosi che si dichiarano artisti e sciupano la parola arte producendo una massa di banalità non soltanto nella fotografia, i loro messaggi finto provocatori, il loro fare il personaggio di turno come se il web fosse un grande fratello globale

Non mi interessa tutto questo, non cederò a queste volgarità capitalistiche vuote e prive di senso,meglio pochi ma buoni o sbaglio?

Anonimo ha detto...

se uno non ha soldi fa altri lavori, nessuno obbliga a fare il fotografo di professione se lo si fa perchè piace ma poi si è costretti a scendere a compromessi e a fare maggiori sacrifici a quel punto come per qualsiasi altra professione conviene di più dedicarsi ad altro e coltivare l'arte della fotografia soltanto nella maniera che più si addice alla propria personalità

non credo che i grandi fotografi del passato si siano adeguati alle mode, se hanno segnato la storia è stato perchè hanno saputo mantenere la propria personalità, chi per guadagnare svende il proprio estro e la propria creatività è un manovale della fotografia, senza offesa per nessuno :)

Unknown ha detto...

@ Giancarlo Parisi

La Neri non è chiusa, è in liquidazione: è diverso.

E io ho detto: "Ora che tutti possono fare le foto ci si accorge che non è facile farle, vero?"


E aggiungo che è ancora meno semplice fare un reportage o un'indagine giornalistica. E questo non c'entra nulla con citizen journalism o crisi del giornalismo o quant'altro (già trattati su fotoinfo). Centrano solo le omologazioni che subiranno le generazioni future, di fotogiornalisti (reporter d'asfalto) e fruitori di immagini, vittime dell'iconoclasma subito, delle mode e del profitto editoriale.
Buona serata.
f.

Giancarlo Parisi ha detto...

@ Fabiano
Mi sembra che non ci capiamo. Sicuramente è difficile fare un reportage come si deve, il punto è trovare un mercato per quel reportage.

Grazia Neri è in liquidazione, così va meglio?

danilogiuso ha detto...

"il fotoreporter dimezzato". Cosi' intitolava un suo editoriale Giulio Forti, ottobre 1981. L'argomento riguardava se i fotografi potevano conquistare uno status professionale migliore con l'iscrizione all'albo dei giornalisti. Un forte dibattito culturale scuoteva le nostre coscienze. Di fatto la situazione di allora favoriva i fotografi dipendenti e dimenticava tutti i fotografi indipendenti che fornivano (e continuano a fornire) materiale in quantita' industriale a settimanali e quotidiani. Sono trascorsi qusi 30 anni ed i problemi si sono acuiti Ha ragione Sandro quando si domanda sulla gravita' di perdere una fotografia prodotta da professionisti della informazione. Ho trscorso 29 anni lavorando in banca. Poi, stufo ho cambiato. Ho imparato che, specialmente con il fiorire di spa, il profitto e' l'unica leva per misurare gran parte delle attivita'. Il rischio e' quello di dimenticare la propria identita' e la provenienza: il grossista fa l'importatore, la piccola azioenda pensa alla grande distribuzione, l'importatore fa il grossista. Il tutto alla ricerca di nuove opportunita' di fare utili, che probabilmente non esistono nemmeno. Il mio timore e' che non si arrivi ad avere due categorie precise: i fotografi - fotografi, coloro che spacciano il loro fotogiornalismo per fare bussiness e quella dei fotografi semplici. Una sorta di Fattoria degli animali, dove tutti erano uguali, salvo alcuni che lo erano piu' degli altri.
Ciao Danilo

Anonimo ha detto...

@ Giancarlo

Evidentemente sono io che non voglio capire: non era l'unico argomento, in discussione nel post iniziale, la chiusura della Neri. E neppure come fare a vendere un reportage fatto con l'ultima macchinetta e imbottito delle nozioni delll'ultimo corso che mi hanno venduto.
Se fai un reportage vendibile lo vendi, sennò cambia lavoro. E mi pare sia giusto così.
Se la Neri non copre i costi e non si attualizza chiude, e il mercato rimane agli sciacalli. Agenzie che sfruttano i fotografi e il prurito esistenziale di quanti credono facile tutto.
Continua a studiare.
Ciao.
f.
P.s. C'è differenza tra chiusura e liquidazione nella tutela dei diritti per un'azienda del genere?

Paolo De Maio ha detto...

Ciao Sandro,
leggo in un ritaglio di tempo il tuo editoriale e raccolgo l'invito a pedice dello stesso. Non posseggo la sfera di cristallo ne tantomeno poteri sovrannaturali ma quanto tu racconti nell'editoriale è per molti versi attinenti al mio sentire, vedere e fare Fotografia degli ultimi tempi; il dopo REM si è concretizzato attraverso un'altra serie dal titolo "Foto Grafica Mente".
Entrando nello specifico ti esplico le mie motivazioni.
Il problema che hai ben evidenziato ed articolato nella tua descrizione è il frutto di una serie di concause che non sono state valutate per tempo; quest'ultime pur essendo in qualche modo relativamente distinte tra loro, erano latentemente collegate.
Chi sapeva (operatori del settore che ben conoscono i meccanismi olistici del sistema) aveva l'obbigo di lanciare l'allarme; quest'ultimi, come tu riporti ha ben pensato di girarsi dall'altra parte e ad impegnarsi esclusivamente a "far cassetta".
Da tempo il mio sentire circa la Fotografia è svilito da tutte quelle persone con le quali mi confronto e dalle le quali alla vista delle mie proposte fotografiche o di altre in generali ponevano delle domande tipo: Ma come hai /le avrà fatto a farle? - Ma dove sono questi luoghi? - Ahhh ma l'hai/l'avrà fatte con il computer...!!! e non si chiedevano invece: la sensazione che ho alla vista di questa fotografia è (ad esempio) di angoscia: ma perchè mi fa quest'effetto? - oppure: dai colori di quest'altra ne scaturisce calma ed equilibrio...osservarla mi rasserena.
Questi sono esempi che ho vissuto e te li propongo per tali senza enfasi alcuna, ma sono significativi proprio perchè riferiti a basso livello. Questo per me è significativo e me ne chiedo il perchè.
Allora è' naturale conseguenza che questo accada se chi, addetti del settore, coloro i quali dovrebbero indicare per funzione sociale nuove strade e percorsi originali sul Sapere e Fare Fotografia si autocelebrano utlizzando strutture consolidate.
E' più semplice, consolidato e meno dispendioso, perchè come tu ben evidenzi è venuta meno la capacità di valutare in modo corretto le immagini ed il loro messaggio.
Hanno imparato quello, funziona, loro ne sono i detentori e va bene così. Si controlla meglio il Sistema.
Constestualmente cos'è successo?
E' venuto meno l'obbligo di "tramandare" Il sapere ed il fare, il saper fare ed il far sapere.
Ed ecco quindi il mio disagio che si rispecchia nel leggere il tuo editoriale. Va da se che mi chieda: Ma se questo succede in alto allora....
"Foto Grafica Mente". Non è un titolo ad effetto.
Tutt'altro: vuole essere uno spunto di riflessione.
Quante volte confrontandoci verbalmente con un nostro interlocutore abbiamo sentito la frase: ehh ma l'han detto/ l'han fatto vedere alla televisione... per affermare o rafforzare che la notizia /immagine era reale e non "manipolata" da chi aveva realizzato il servizio.
E' evidente che con questi presupposti, sempre meno ci sarà ciò che in passato si chiamava Cultura dell'Immagine.
Non ci sarà più chi insegnerà a leggere il significato delle immagini, a comprendere il messaggio visivo inteso come proposizione compositiva di una realtà acquisita da una fonte, da un mezzo e mostrata come interpretazione della stessa. Essa infatti viene proposta come reale ma tale non è poichè è giocoforza adattata, strutturata e proposta, come interpretazione veicolata e giustificata dal fine - (diffusione e assunzione passiva dell'immagine e del suo significato preconfezionato=controllo).
Non si insegna più a valutare l'immagine attraverso un processo di filtratura che si sviluppa attraverso passaggi obbligati quali
destrutturazione /strutturazione della Realtà attraverso il mezzo inteso come complesso rapporto uomo/macchina.
E' naturale infine (sigh), che si sentano frasi come: ...perchè io dico che anche questo è fotogiornalismo!.
Mi aspetto ben presto di sentir dire che: Questa è la Realtà perchè te lo dico io!
Ma è solo un attimo: subito mi viene alla mente la scena conclusiva del film: "The Truman show".

Paolo De Maio

Giancarlo Parisi ha detto...

@ Fabiano/Anonimo

E' la seconda volta che la metti sul personale con battute che dovresti tenere per te (la prima risale all'esemplarità con cui avrei letto le tue parole).
Se vuoi che ti sciorini i profili giuridici e le differenze tra una procedura di liquidazione e una procedura fallimentare non ci sono problemi, ma non ti permetto sortite con "consigli" del tenore - continua a studiare - perchè non sai nulla di me.

Se ho equiparato la chiusura alla liquidazione è perchè nell'alveo dell'argomento di cui si tratta tale differenza non è poi così rilevante. Il punto del discorso, che forse non hai colto, o forse non vuoi cogliere, è la "gravita' di perdere una fotografia prodotta da professionisti della informazione", come ha sapientemente sintetizzato DaniloGiuso, dove per "professionisti" intendiamo gente che ha studiato fotografia, sociologia, nonchè dotata di certi livelli di umanità, non solo gente che fotografa con la Leica.

Grazia Neri è in liquidazione perchè il suo modo di lavorare (tradizionale, che si rifà al lavoro di professionisti dell'immagine) evidentemente non paga. Se da un punto di vista meramente commerciale questo può essere visto come una debolezza - di talchè è lecito dire che in economia il più debole soccombe - da un punto di vista più squisitamente fotografico, che forse non ti appartiene, permettimi di dissentire. Da questo punto di vista chiudere o andare in liquidazione è esattamente la stessa cosa.

Unknown ha detto...

@ Giancarlo

Perdona il sarcastico "continua a studiare", ma visto ciò che scrivi e come lo scrivi mi pare evidente che non hai affrontato il mercato del lavoro (non hai più di 30 anni, vero?), sicuramente non quello della professione di fotografo.
Quindi parlare delle evoluzioni della Neri non ritengo ti sia così semplice. E' un agenzia che esiste dal '66 vendendo quasi solo fotografi che andavano in giro con la Leica (o Hasselblad), non i professionisti che descrivi tu: "dove per "professionisti" intendiamo gente che ha studiato fotografia, sociologia, nonchè dotata di certi livelli di umanità, non solo gente che fotografa con la Leica" (nb: io, allora, secondo la tua definizione posso ritenermi professionista...wow).
Ma se pensi che un attestato/diploma/laurea emesso da qualsivoglia istituzione ti dia l'empatia e la forza per fotografare quando invece magari vorresti solo piangere o l'energia e la volontà di intervenire: smetti di studiare ed esci a confrontarti con la realtà. La spocchia con cui affermi che "non mi appartiene il punto di vista fotografico" forse ti deriva da quello.
Che la Neri chiuda o sia in liquidazione poco mi cambia, non ci lavoro più dal '95, fattostà che quelli che fotografano con la Leica ora non saranno più legittimati a farlo. E avranno la concorrenza di beoti laureati in "pause", adobe guru che faranno tutto col 16mm perchè quella: "si che è fotografia".
Che ppalle sta gente, quasi come Corona.
Adieu.
f.

P.s. Quando Sociologia toglierà matematica statistica sarà più vicina all'umanità che cerca di descrivere, ma allora quella è una professione diversa.

Giancarlo Parisi ha detto...

@ Fabiano
Il mio "nonchè dotata di certi livelli di umanità" stava proprio a significare che il fotografo è qualcosa di più che uno che ha studiato. Se ho scritto che la Neri si avvaleva di "professionisti", definendo poi questi ultimi come "gente che ha studiato [...]"
era solo per distinguerli da quegli stessi che tu definisci "beoti laureati in "pause", adobe guru che faranno tutto col 16mm perchè quella: "si che è fotografia".

Ho usato impropriamente il termine professionista, lo riconosco, ma te ne ho appena spiegato la ragione.
Proprio dalle ultime righe del tuo ultimo intervento mi sono reso conto che alla fine, forse, diciamo la stessa cosa: massificazione della professione di fotoreporter e morte della tradizione di tale professione. Ciò da luogo ad eventi commerciali ed economici del tutto coerenti, ma tristi.

sandroiovine ha detto...

E pace fu...

Unknown ha detto...

@ Sandro :)

@ Giancarlo: eventi economici e commerciali coerenti, plausibili, prevedibili e tristi, nel breve periodo. Ma devastanti nel lungo periodo.
Bisogna difendere la levatura morale (e pare roba da born again christians) dell'autore. E non solo il brand dell'agenzia (che altro no fa che vendere delle fotografie, in maniera più o meno elegante, esclusiva, mealtirodipiù, concorrenziale delle altre).
Il testimone oculare professionista dispone di una sintassi ed una sensibilità umana differente (parlo dei fotogiornalisti, paragonabili solo ai giornalisti inviati e non ai "culi di pietra" da redazione che vivono per telefono) e quello va difeso.

@ Miklos: io dicevo 30 anni a Giancarlo, con la condizonale! :)

Ciao!

Fabiano

Unknown ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Giancarlo Parisi ha detto...

@Fabiano
Perfettamente daccordo, finalmente :-)

fabio - ha detto...

salve... per come la vedo io, la diffusione del digitale ha solo portato più gente, me compreso, a contatto con questo mondo che prima consideravo troppo elitario per pensare di cimentarmi. ricordiamo che la fotografia può essere una passione e l'appassionato troverà sempre il modo di porsi critico, di informarsi e di essere in grado di valutare le foto e le storie proposte. Non pretendiamo però che tutto il mondo voglia essere educato ad essere critico su ciò che vede... per molte persone non è importante un immagine come può essere per un esperto del settore. io per esempio, non nutro il benchè minimo interesse in auto e calcio e la maggior parte dei miei coetanei non fa altro che passare il tempo libero ad informarsi e discutere di questo.

magari, come è successo con i primi computer, la massa che prende coscienza / conoscenza di un nuovo mezzo di comunicare, porta cambiamenti non per forza malvagia. magari l'utente di computer medio di oggi si intende meno di computer dei primi pionieri... ma penso che il mondo ci abbia guadagnato ugualmente con la diffusione dell'informatica.

e se l'attenzione è spostata sui profitti invece che sul rapporto qualità / prezzo, non è una cosa nuova in nessun settore. quanti di noi vanno a discount invece che a grandi marche nella spesa quotidiana ? sono certo però che gli amanti della fotografia comprino ancora libri di fotografia e siano sempre alla ricerca di lavori da cui imparare una nuova visione del mondo.

magari, come i fotogiornalisti possono essere considerati la memoria degli ultimi 50 anni, la miriade di foto a bassa qualità di oggi sono un passaggio necessario e un segno dei nostri tempi in continua evoluzione.

ho assistito al suo workshop sulla comunicazione visiva, dove lei spiegava come THE AMERICANS di Robert Frank veniva prima considerato un ritratto comunista dai suoi contemporanei, per poi diventare un ritratto di una nazione in un periodo storico molto controverso. Non potrebbe succedere la stessa cosa nel mondo della fotografia di oggi ?

sono certo che le scelte editoriali di oggi ci propinino solo lavoretti a costo zero, cheppettoni e senza spessore, ma penso anche che ci saranno sempre artisti, che hanno qualcosa di profondo da comunicare e che riusciranno a farlo anche se la maggior parte del pubblico non esprime l'esigenza di ricevere questa comunicazione.
magari non è morta la fotografia, ma solo la fotografia come la conoscevamo fino ad ora.

saluti e complimenti per la rivista.

Fabio Gambini

Unknown ha detto...

Il problema non è che che tutti debbano essere interessati a un approfondimento critico della fotografia, il problema è che la gente abbia a disposizione gli strumenti minimi per filtrare i messaggi che gli vengono trasferiti quotidianamente nel cervello senza che se ne renda nemmeno conto. L'attuale società delle immagini, come qualcuno ama definirla, propone le immagini molto più spesso di quanto non crediamo usando dinamiche quantomeno ellittiche e generalmente non identificate nel loro reale valore e fine. Che non ci si renda conto delle conseguenze o si pensi che siano molto più innocenti di quanto non siano (questo tanto da parte dell'emittente che del destinatario) non implica una assenza di loro concreta pericolosità sociale. Per questo ritengo che sarebbe fondamentale che tutti avessero le basi minime per discriminare. Problema che peraltro non è evidentemente relativo solo alla fotografia.

Quanto alla frase che ti è rimasta impressa volevo specificare solo un paio di cose: innanzitutto il workshop cui hai partecipato non era dedicato a Roberto Frank, ma alla lettura delle immagini e ruotava intorno alle immagini di Robert Frank a titolo esemplificativo essendo un autore particolarmente adatto a sviluppare i contenuti di cui abbiamo trattato. Quanto alla frase che citi non devi prenderla come una verità storica, ma come un'esemplificazione espressa in modo deliberatamene forte per consentire una più facile memorizzazione del concetto più astratto di modelli di riferimento.

Interessante invece la prospettiva che poni in chiave diacronica quando ipotizzi che tra cinquanta o cento anni le immagini che oggi ci circondano possano diventare per i nostri nipoti o figli ciò che oggi per noi sono quelle di Frank. Giusta osservazione, ma l'obiezione che ti pongo è relativa al fatto che se è vero che, generalizzando, le immagini che oggi ci sono contemporanee tra un po' di decenni potranno essere uno spaccato della nostra epoca, da un altro punto di vista è vero che lo saranno in quanto qualcuno si assumerà l'onere di interpretarle al di là dell'assente volontà critica dei suoi autori, sempre generalizzando quando mi riferisco all'assenza di volontà critica. Naturalmente quando sparo a zero sulla volontà critica degli autori, che di media è oggettivamente inferiore a quella presenta nel lavoro di Frank, generalizzo e altrettanto naturalmente faccio salve una serie di eccezioni, tra le quali, un esempio tra i possibili, Martin Parr.

In ogni caso a mio avviso il problema non è nemmeno tanto se il futuro consentirà o meno di salvare quanto prodotto oggi o meno, quanto piuttosto provare tenere viva l'attenzione su ciò che è prodotto e su come viene prodotto. Non intendo difendere un modo superato di raccontare il tempo contemporaneoo destinato prima o poi inevitabilmente ad esserlo. Spero solo, nel mio piccolo, di tenere viva l'attenzione di quanti se ne interessano di fronte alla reale natura di certi fenomeni.

Giancarlo Parisi ha detto...

Sandro Iovine ha detto:
"le immagini che oggi ci sono contemporanee tra un po' di decenni potranno essere uno spaccato della nostra epoca, da un altro punto di vista è vero che lo saranno in quanto qualcuno si assumerà l'onere di interpretarle al di là dell'assente volontà critica dei suoi autori"

La differenza tra le immagini contemporanee di oggi e quelle contemporanee di ieri sta nel fatto che quelle di ieri avevano più personalità!

Ho voluto sintetizzare questo concetto ulteriormente perchè è tutto lì il succo. Le immagini di oggi (generalizzando ma con le dovute eccezioni) sono sciatte, fatte tanto per fare.
Ovvio che tra 50 anni saranno comunque un documento dei tempi attuali, ma cosa diranno alla nostra progenie? Che eravamo una generazione mediocre (per usare un eufemismo).

Unknown ha detto...

Ciao mi fa molto piacere che sia arrivato il tuo costruttivo commento sul mio blog.
Il discorso ovviamente è complesso, ahime la situazione congiunturale, fra politica ed economia non mi porta a pensare che le cose possano andar meglio, quindi la tua preoccupazione è anche la mia. Nonostante questo perduro con la mia lotta per la sopravvivenza di un "mestiere" quello del fotografo che storicamente ha avuto un grande valore specie quello foto-giornalistico.
Grazie per aver pubblicato quell'editoriale, ne riparleremo quando vorrai, per me questo tipo di incontri di riflessione possono solo far progredire il nostro lavorare.
Mirko

Anonimo ha detto...

Caro Sandro,
sono un ignorante quasi completo e percio' poco o niente qualificato ad esprimere una opinione interessante, ciononostante avendo questo spazio a disposizione provo a fornire un mio personale contributo, perche' i Tuoi editoriali sono sempre di stimolo per riflessioni se non originali perlomeno sinceramente appassionate. Quanto all'editoriale di questo mese credo che quanto da Te esposto si inquadri nella piu' generale tendenza della societa' moderna ad un consumo sempre piu' veloce e percio' superficiale di qualsiasi oggetto, sia esso materiale o immateriale. Anche la cultura, nel suo piu' generale significato, e' oggetto di una fruizione sempre piu' banale. Ma non solo anche la produzione culturale segue lo stesso schema, emarginando quanti tentino di approfondire e cesellare anziche' velocizzare e sgrossare.
Il fotogiornalismo credo che soffra di questo stato delle cose. Ciao
Thomas