lunedì 7 gennaio 2008

A 20 metri dalla morte


Pdnonline ha pubblicato il 28 dicembre scorso un’interessante intervista al fotogiornalista di Getty Images John Moore, testimone dell’attentato che il 27 dicembre è costato a Rawalpindi la vita al leader pakistano Benazir Bhutto. Moore, racconta Daryl Lang, si trovava a meno di venti metri dal luogo dell’esplosione (l’intervista è apparsa prima delle rivelazioni sulla reale dinamica dell’attentato) in quanto, mentre come tutti i colleghi con il calare della luce si stava allontanando dalla scena, si era accorto voltandosi che la Bhutto si stava sporgendo dal tetto apribile della sua auto per salutare la folla che si accalcava intorno alla macchina.

Moore racconta di aver fatto qualche scatto prima di sentire degli spari e un’esplosione mentre vedeva accasciarsi all’interno della macchina la Bhutto. Tutto intorno feriti e sangue. Moore racconta poi di aver scattato a raffica più per riflesso che per un atto razionale mentre era combattuto dall’umano istinto di fuga e la necessità professionale di documentare l’accaduto.
Tra le difficoltà da affrontare c’era poi quella di conciliare la documentazione con la pubblicabilità delle immagini ovviamente sempre facendo conti con la necessità di spedire al più presto le fotografie facendo un primo veloce editing delle circa milleduecento immagini scattate durante il giorno.




Su segnalazione di Sirio Magnabosco aggiungo il link all'intervista audio a John Moore pubblicata sul sito del New York Times.



Dall’alto:
L’auto che trasportava Benazir Bhutto pochi istanti prima dell’attentato. PDN Photo Gallery, © John Moore/Getty Images.

L’esplosione di una bomba nei pressi dell’auto di Benazir Bhutto. PDN Photo Gallery, © John Moore/Getty Images.

La disperazione di un uomo negli istanti successivi all’attentato. PDN Photo Gallery, © John Moore/Getty Images.





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3 commenti:

Anonimo ha detto...

Sul sito del NYTimes si può ascoltare la storia raccontata direttamente dal fotografo:

http://www.nytimes.com/packages/html/world/20071227_BHUTTO_FEATURE/index.html#section1

rijeka ha detto...

Più vado avanti nella lettura più credo che tutti questi ultimi post/interventi siano legati..trovo perciò difficile circonstanziare le mie riflessioni. Parlare della professione di fotoreporter implica, a mio avviso,obbligatoriamente discutere del "lato umano", vale a dire sia della pericolosità della professione e delle problematiche legate alla trattazione di certi argomenti(come in "a 20 metri dalla morte"),che delle problematiche etiche che turbano l'animo di chi fotografa("uomo, professione fotoreporter"), ma credo siano imprescindibili anche discorsi più "sociologici" come il valore e lo sfruttamento attuale della fotografia sul mercato(di cui "Nuovo record della Marlboro Art di Price" può essere un'esempio, così come il "caso Pellegrin") e dei connotati della realtà sociale con cui le fotografie di reportage devono fare i conti ("Fiction o reportage"). Sono tutti "fili" che intrecciano la ragnatela entro cui si deve muovere il fotoreporter, il quale deve, se in buona fede, trovare un equilibrio (almeno apparente) tra quelle che sono le sue esigenze etiche e le richieste del mercato con cui si confronta,in base alla propria personale sensibilità. Tuttavia, trovo che questa sia la stessa ragnatela che avvolge chi fruisce di informazione: come spettatori non possiamo perciò ignorarla, ma imparare a muoverci dentro, a conoscerla. Trovo inutili quindi le invettive contro la tv. Bisogna conoscerla per capire i suoi limiti e le sue dinamiche, così come bisogna conoscere tipologie vecchie e nuove di reportage per poter valutare l'efficacia di una nuova tendenza. Insomma è riceve passivamente informazione, di qualsiasi tipo essa sia, il modo migliore per assecondare le strategie persuasive che stanno alla base dei sistemi di comunicazione e che manipolano il nostro rapporto con il reale. Il secondo passo è poi decidere in che posizione mettere se stessi...e qui è tutto un pò più complesso...ma credo fermamente che se in Italia ci fossero un pò più "cavalli pazzi" (nel senso dato da oratore) sia tra chi produce informazione che tra chi la riceve, persone che dall'interno del proprio gruppo di appartenenza non si pieghino all'omologazione imperante, forse, non saremmo arrivati a questo punto.

rijeka

Anonimo ha detto...

---e allora continuiamo a fare il cavallo pazzo : che cosa ha fatto questo signore? ha scattato a raffica, ha selezionato in gran fretta i files, li ha spediti e ha rilasciato l'intervista. Si e' per sicurezza rivestito dell'aura del santerellino professionale e professionista che si pone domande etiche sui suoi scatti, ma alla fine che ha fatto? ha dato in pasto le solite immagini di morte e sangue, che non aggiungono nulla all'esecrabilita' del fatto terroristico in se'. Tutto cio' per far uscire il suo nome.
Ok, e' cosi' che si fa carriera fotogiornalistica, adesso tutti hanno per esempio e modello questo coraggioso fotografo e ai cavallipazzi si alligano i denti.