lunedì 20 giugno 2011

Che delusione quella conferenza!



Lodi, Teatro alle Vigne, 21 maggio 2011. La conferenza di Sandro Iovine su The Americans di Robert Frank.
© Stefania Biamonti. 
Non lo capisco, davvero non lo capisco. Ma probabilmente è giusto che sia così. Qualche saggio orientale o magari uno stregone messicano in odor di Castaneda probabilmente mi direbbe che si tratta di un modo in cui si forgia il carattere e si impara a conoscere e riconoscere i propri limiti. E probabilmente avrebbe anche ragione, ma rimane il fatto che mi rimane assai difficile da accettare il fatto che alcuni concetti, che pure non mi sembrano affatto di una complessità insolubile, risultino tanto difficili da intaccare nella coscienza popolare. Tra queste, e sono cosciente che non si tratti certo dell’aspetto più inquietante rispetto a quanto nel nostro Paese, la convinzione che parlare di fotografia equivalga in modo immancabile, inevitabile, irrefutabile riferirsi alla tecnologia utilizzata per produrre le immagini di cui si sta parlando.  E voi mi potreste dire: ma bravo Iovine alla tua tenera età e dopo qualche decennio che ti occupi professionalmente di fotografia te ne sei accorto solo adesso. No, non me ne sono certo accorto ora e lo sanno bene coloro i quali hanno l’incoscienza e la pazienza di leggersi ogni mese le riflessioni sull’argomento. Il fatto è che quando inizi a credere di aver trovato un modo per aprire una piccola breccia nel mondo, vieni riportato brutalmente alla realtà da un piccolo episodio che ti ricorda quale sia lo stato reale delle cose. Stavolta è accaduto a Lodi durante il molto nominato in queste pagine Festival della Fotografia Etica. 
Gli organizzatori mi avevano concesso quest’anno l’onore di effettuare, durante il Festival, la lettura dello straordinario The Americans di Robert Frank. La cosa era nata sotto i migliori auspici. Il piccolo incidente tecnico con il solito videoproiettore riottoso alla cooperazione aveva fatto sì che si ritardasse di qualche minuto la presentazione, il che ha consentito agli organizzatori di effettuare un cambio di programma a causa dell’imprevista affluenza del pubblico in sala. Nonostante l’orario infame, le 15 di sabato, la sala del ridotto del Teatro delle Vigne, si era riempita in modo preoccupante nel mentre si armeggiava intorno a computer e videoproiettore alternando soluzioni tecnologiche all’animismo più puro per ricondurre alla ragione la tecnologia. Per cui gli organizzatori hanno deciso di spostare il tutto nel teatro vero e proprio per evitare disagi al pubblico. 
Una piccola, enorme soddisfazione che non mi aspettavo di avere ne in assoluto ne tantomeno in relazione al giorno e all’orario stabilito. Il teatro ha poi continuato a registrare affluenza e la lettura è preceduta in modo tranquillo per la sua ora e mezza circa di durata. 
Dal palco ho anche capito cosa mi avevano detto persone abituate per lavoro a starvi sopra circa il fatto che da lassù si riesce a percepire l’umore del pubblico. E per quello che mi era stato dato di avvertire sembrava che nell’aria ci fosse una tensione positiva animata da un certo interesse per l’argomento a dispetto delle discutibili capacità dell’oratore. Insomma quando ho finito la mia presentazione-relazione ero abbastanza soddisfatto, non certo e non tanto di me stesso, quanto del fatto che finalmente dopo tanti anni stavo iniziando a toccare con mano anche in Italia qualcosa che all’estero (con particolare riferimento alla Francia) è normale consuetudine. C’era un pubblico che, non solo era venuto ad ascoltare un tizio che parlava di uno dei libri più importanti della storia della fotografia in un giorno come il sabato e ad un’orario che suggerirebbe ben più piacevoli attività connesse al riposo, ma aveva anche resistito per oltre un’ora e mezzo senza dare cenni di cedimento alle mie osservazioni. Insomma non poteva che essere un bel momento dal mio punto di vista. 
Lodi, Teatro alle Vigne, 21 maggio 2011. La conferenza di Sandro Iovine su The Americans di Robert Frank. 


© Stefania Biamonti. 
Bene in quel momento ho avuto chiaro che la battaglia, che non pensavo certo di aver vinto, ma speravo di aver almeno pareggiato, era invece persa in modo inconfutabile. Più di un’ora e mezza passata a cercare di contestualizzare storicamente e culturalmente un lavoro fotografico profondissimo per sentirmi chiedere come prima cosa con quale macchina erano stata fatte le fotografie di cui si era parlato fino a quel momento. Dopo una dimostrazione del genere credo di non avere più nemmeno quel residuo di speranza che coltivavo nel segreto del mio muscolo cardiaco circa il fatto che le cose possano cambiare. L’unica domanda che a questo punto posso pormi è relativa a come abbia potuto tutta quella gente sopportare uno che parla di fotografie per oltre un’ora e mezza senza specificare nemmeno con che macchina sono state fatte. Forse tenerli legati alla poltrona è stata la speranza in un colpo di coda finale che rivelasse la Verità negli ultimi dieci secondi. Certo che il mio sfortunato pubblico deve essere proprio rimasto assai deluso per aver sprecato un pomeriggio in quel modo.




29 commenti:

Fulvio Bortolozzo ha detto...

Ma glielo hai poi detto che era una Leica M? :-)

Anonimo ha detto...

...ma con cosa hai scritto questo testo?
giusto per capire...

:)
GioVa

Marco Rosario Pasquali ha detto...

mi viene da dire solo un commento ironico: Viva l'Italia, ma soprattutto gli ITAGLIANI ;)

Mimmo Torrese ha detto...

A noi comuni mortali al di là del Volturno, la possibilità che un "tizio" come te ci parli di fotografia ci è negata, purtroppo. Fortunato il tuo uditorio. Venendo alla solita fatidica domanda, che a tutti noi che ci occupiamo a vario titolo di fotografia, viene spesso rivolta che cosa dire se non che spesso sono stati proprio gli ambienti della fotografia o addirittura i fotografi che hanno sempre dato importanza alla tecnica ergo alla macchina fotografica e alle ottiche. Ricordo che alcuni vasti settori della fotografia amatoriale italiana ancora adesso si presenta elencando, subito dopo il nome, l'attrezzaura posseduta. E che dire dei tanti fotografi famosi che si davano a lodi sperticate alle loro reflex, o telemetro, 6x6, 6x9 sponsorizzati nemmeno tanto occultamente dai distributori italiani? Probabilmente la pseudo fotografa che mentre vedeva delle mie foto, ha decantato la mia reflex, è figlia dell'equazione: Belle foto = Macchina fotografica costosa.

Claudio Marcozzi ha detto...

In effetti ci sono troppe persone che si fanno passare per esperte di fotografia mentre in realtà sono solo esperte di macchine o di tecnica, ammesso che lo siano veramente, di solito no. Vanno in giro con il loro feticcio ben esposto sul petto, a volte gonfiano lo stomaco e arcuano la schiena per farlo vedere meglio. Di Fotografia in realtà non hanno capito ancora niente e non si rendono conto che la loro figura di piccoli idioti è la stessa di chi si mettesse a parlare di penne o tastiere in un convegno di letteratura. E quando gli capitasse di criticare un'immagine lo farebbero solo in base al loro ricettario accademico, fermandosi all'aspetto estetico-compositivo. Niente di nuovo purtroppo. Però non credo che quella platea potesse essere marcata completamente da un intervento infelice, di sicuro qualcuno avrà avuto i tuoi stessi pensieri. Diamoci una ragione, Sandro, e teniamo duro.
Claudio Marcozzi

Michele ha detto...

Ciao, ma la pellicola??? io ero tra il pubblico e non hai parlato ne di ottiche ne di sviluppi...
Ha ha haha ha ha ha
ciao Sandro

buttha ha detto...

boh, a me pare normale che ad un appassionato interessi anche quello

Unknown ha detto...

Caro Sandro, non deprimerti.
Capisco la tua frustrazione, ma cerca di capire: dopo un'ora e mezza di lezione sulla fotografia senza aver sentito nominare marche e modelli, corpi macchina e obiettivi, tempi e diaframmi, modalità di esposizione, sensibilità della pellicola (spero che almeno nessuno si sia chiesto quale risoluzione avesse il sensore usato...), è normale che si sia cercato di portare la discussione su un sentiero più familiare e conosciuto.
La domanda che ti è stata fatta era necessaria per poter recuperare quei riferimenti che delimitano e incorniciano la visione del mondo della fotografia per la maggior parte degli appassionati.
Non puoi pretendere che gente, abituata a parlare di fotografia quasi unicamente in termini di tecnica e tecnologia, possa improvvisamente essere illuminata dallo “spirito santo” e inizi a esprimersi con linguaggi ancora sconosciuti e misteriosi.
Sono sicuro che la semina effettuata possa dare i suoi frutti. Sicuramente per molti, fra le persone del pubblico che ti ha ascoltato, si è aperto un nuovo mondo.
Qualcuno avrà sicuramente iniziato a pensare alla fotografia in modo nuovo, diverso, più ampio.
Qualcuno prenderà in mano la macchina fotografica e inizierà a scattare pensando di più a ciò che c'è fuori di essa, nel mondo attorno a sé e nella propria testa, a quello che lui vuole raccontare e al modo in cui farlo.
Sono convinto che molte persone siano uscite da quella sala in qualche modo cambiate, di sicuro arricchite e migliorate.
Non sempre le “conversioni” sono immediate ed evidenti. E, si sa, la vita dei profeti è sempre dura e nessuno li comprende mai all'inizio.
Ma la speranza non deve mai morire, e nemmeno la passione di trasmettere quello che pochi altri sanno fare come te: la vera anima della fotografia.

Firmato: un convertito...
:-)

maurizio gagliardini ha detto...

Sandro Sandro Sandro come sappiamo, tu riesci a leggere molto bene e tutto in un modo che pochi riuscirebbero a leggere, ma questa volta ( e ti capisco) non sei riuscito a capire una cosa!! o meglio non ti sei fatto una domanda fondamentale, quale???

"Perchè ho ricevuto solo 2 domande e sopratutto molto stupide con tutta quella gente??"

la risposta è molto semplice e te la posso confermare da aspettatore... quando hai concluso di parlare io e un altro spettatore (alunno JK) ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti "STI CAZZIII" e poi lui mi ha detto: che domanda possiamo fargli a Sandro?? io gli ho risposto: EEEEEEEE CHE CAZZO GLI DEVI DIRE? HA DETTO TUTTO DI TUTTO E NON HA TRALASCIATO NULLA!! OGNI DOMANDA CHE GLI FARAI SARà SOLO UNA RIPETIZIONE DI QUALCOSA CHE HA GIà DETTO!! poi guardando in giro vedevo gente che voleva fare delle domande ma non sapeva cosa chiedere perchè credimi Sandro non hai tralasciato nulla e te lo possono confermare le facce dei tuoi stessi allievi o ex quel giorno... (avevano delle facce sconvolte, si vedeva benissimo che dentro si stavano domandando e adesso? ) Per concludere Sandro io rivaluterei il tutto e la guarderei sotto un altro aspetto!! quale: TENENDO CONTO CHE ERA PRATICAMENTE IMPOSSIBILE FARTI UNA DOMANDA SENSATA!! facendo due calcoli cioè 2 persone su un intero teatro hanno dimostrato di non aver capito nulla di ciò che hai detto!! ma invece un intero teatro eccetto 2 persone hanno dimostrato con il loro silenzio che qualcosa di nuovo è giunto fino a loro ( io penso in quella situazione l unica domanda sensata era il "SILENZIO") e credimi quel giorno hai ricevuto molte domande sensate più di quanto credi!! ( se non mi credi prova a chiedere a chi si è astenuto quel giorno da domandarti qualcosa e riceverai molto risposte del tipo: è STATO PERFETTO NON CERA NULLA DA AGGIUNGERE è STATO PERFETTO!! insomma quel giorno Sandro hai superato te stesso!!

stefano ha detto...

Concordo con quanto detto da Maurizio Gagliardini, il silenzio era l'unica domanda possibile dopo la straordinaria lettura che hai fatto del libro di Frank, il nostro era un silenzio di degustazione.

Anonimo ha detto...

eugenio sinatra
Avendo sperimentato in passato ( sto anch'io sotto il volturno) le tue letture, concordo su questa interpretazione dell'accaduto : eri stato sicuramente cosi' esaustivo che in effetti c'era poco da chiedere, semmai da metabolizzare con calma.
eugenio sinatra

Anonimo ha detto...

Ciao Sandro, a me è venuto da ridere più che da piangere nel sentire quella domanda. La vedo un pò come Maurizio, cioè di fronte a tutto quel talento e pensiero non ci sono tante domande, forse oggi dopo che è passato un pò di tempo qualche domanda uno se la può fare, ma in quel momento eravamo stupiti e disarmati di fronte a tutto quel lavoro. la domanda che ti ha rivolto il signore, secondo me, ti deve far capire che non tutti hanno la sensibilità e l'intelligenza per poter parlare d'arte e di fotografia,quindi sono ancora riconoscibili in mezzo a tanta gente!!! ;-)
ciao

Maristella Campolunghi ha detto...

solo per tornare a sorridere...

sai qual è il colmo per un fotografo?

Avere una mente fotografica ma senza sviluppo.

:)
ops...

pappolo ha detto...

cosa vuoi da una contemporaneità che fa della cultura una questione di immagine e di maschera sociale ?
i veri fotografi sono quelli che nonostante i limiti del proprio mezzo fotografico riescono a trasmettere un messaggio allora come ora.
ma il punto è che messaggio vuoi che ci sia oggigiorno se non quello capriccioso di bambini irrisolti del tipo 'quanto ce l'hai?, come ce l'hai?'

continua con il tuo
'margaritas ante porcos'

Max ha detto...

Io avrei chiesto piuttosto... che videoproiettore hai usato? Quantomeno per non incappare in un incauto acquisto
:-)
Max

Mauro ha detto...

Ciao SANDRO. Non ti devi assolutamente abbattere. In effetti concordo Maurizio Gagliardini, forse perchè abbiamo avuto la stessa espressione a loro, guardandoci con il Filosofo abbiamo pensato... STI KAZZII. La presentazione è stata impeccabile e esaustivissima ed eravamo spiazzati. Bhe poi, conoscendoti un pochino come allievi, ci aspettavamo scatenassi l'inferno dopo quella domanda, ma hai mantenuto un comportamento urbanio e italianicamente moderato.
Sandro non sconfortarti, sei stato grande.
Ho una sola domanda che non mi lascia dormire ... Ma per SANDRO IOVINE LA FOTOGRAFIA è UN MEZZO, UN INTERMEZZO O UN INTERO?
Se comunque hai voglia di domande, la prossima volta sai già chi ti portiamo....

A presto
Mauro

Nico Chiapperini ha detto...

"Di sicuro ci sarà sempre chi guarderà solo la tecnica e si chiederà come mentre altri di natura più curiosa si chiederanno perché".
Man Ray

Carola ha detto...

Io non sottovaluterei la tua percezione circa quanto avveniva in platea: molti non hanno parlato e la mente lavora anche (se non di più) nel silenzio e persino al di fuori (o prima) della coscienza.
Buon proseguimento di lavoro.

donata ricci ha detto...

Ciao Sandro,
c'ero anch'io a Lodi, alla tua lettura di The Americans. L'ho profondamente apprezzata, senza sentire la mancanza di morbosi dettagli tecnici sull'attrezzatura usata da Robert Frank.
Mi è piaciuta soprattutto la contestualizzazione storica e culturale, così come l'approccio interdisciplinare: non solo le fotografie di Frank, ma anche la poesia dei Beat, il bebop di Charlie Parker, il cinema, la Guerra Fredda. Cultura ed emozioni in felice sintesi. Complimenti.
Donata Ricci

Pietro Collini ha detto...

Leggo con interesse i suoi editoriali e devo dire che francamente quello che lei afferma non mi meraviglia affatto. Purtroppo episodi analoghi sono già accaduti ed accadranno ancora, ma non solo a noi italiani. Mi permetto di rammentarle che fatto analogo già accadde al mitico Walker Evans, quando durante una sua lezione, uno studente gli chiese quale apparecchiatura avesse utilizzato nella realizzazione delle sue fotografie. Egli gli rispose seccatissimo che la sua domanda era tanto insulsa, quanto chiedere ad uno scrittore quale marca di macchina da scrivere usasse.
Personalmente credo che, soprattutto tra i fotoamatori, ma a volte vedo anche tra i professionisti (o presunti tali) una profonda carenza di cultura in ambito fotografico, a mio parere spinta da un disinteresse (per la vera cultura) manifestato da certe riviste il cui impegno è totale solo nel descrivere gli inutili orpelli dell'ultimo modello di macchina da scrivere...
Un caro saluto
Pietro Collini

claudio ha detto...

Ciao Sandro,
a proposito della tua delusione alla Conferenza sulla Fotografia Etica:
penso che avvolte un pizzico di ignoranza e tanta voglia di avere quel quartodora di popolarità che "Andy Warhol" prometteva, sia l'unico motivo dello sciagurato intervento di un isolato esempio, che non preclude sicuramente al resto della platea altre motivazioni per ascoltare ed apprezzare la tua relazione. Anche se non c'ero ad ascoltarti, posso dire che comunque dal mio campione di conoscenze nell'ambito della fotografia, sia abbastanza frequente l'atteggiamento tecnicistico della gran parte dei fotoamatori e di qualche professionista, che del resto è aiutato dall'enorme vantaggio che il digitale ha dato a tutti "troppi" di interessarsi alla Fotografia.
Tutto questo cattivo e superficiale approccio di un pubblico alla Fotografia, spero che non fiacchi la tua attenzione ai contenuti che noi assidui lettori de "IL FOTOGRAFO" vogliamo tutti i mesi nel leggere il tuo editoriale e l'intera rivista.
Ti prego di continuare nella tua linea editoriale ed intellettuale, lasciando perdere quegli esempi di sparuta ignoranza di cui il mondo è pieno, e che tu non potrai cambiare.
Anzi, dovresti considerare che la stragrande maggioranza delle persone, avendo un'etica, rispetto e ammirazione per quello che fai, non sempre è disposta a mettersi in evidenza come invece farebbe qualcun altro privo di scrupoli e ricco di ambizioni.

Un saluto
Claudio

Michele Smargiassi ha detto...

Ma tu cosa hai risposto?
Capisco l'irritazione per una domanda banale, ma forse si poteva girarla in un altro modo. Forse quella persona, sulla quale non mi accanirei con tanta ferocia e un po' di snobismo come leggo fra le righe di qualche intervento qui sopra, voleva solo capire confusamente qual era il rapporto tra Frank e il suo strumento, e il rapporto fra fotografo e macchina non è affatto una questione banale, anzi. E' una questione centrale per la fotografia. Sei davvero sicuro che non sarebbero stati diversi gli Americans se Frank avesse usato un'altra fotocamera? Penso di no. E io sono sicuro che gli avresti spiegato benissimo il punto.

sandroiovine ha detto...

Gli ho risposto che sarebbe bastato osservare il rapporto tra i lati dei fotogrammi per dedurre con sufficiente approssimazione il fatto che quelle fotografie che (cito a memoria) «senz'altro erano state scattate in medio formato e non con una Leica» erano state fatte appunto con una... Leica.
Del rapporto fra fotografo e macchina avevo parlato in precedenza affrontando le relazioni tra Frank e Evans e sottolineando, nel sostanziale rimando formale riconoscibile in alcune immagini, le differenze derivanti dall'impiego di strumenti diversi. Ma a quanto pare non è servito a gran che.
Anche io sono certo che se Frank (o qualunque altro fotografo) avesse utilizzato un altro apparecchio avrebbe ottenuto risultato differenti. Ma sono convinto, o forse è solo un'ottimistica speranza, che un soggetto normodotato e con capacità associative basiche possa arrivare autonomamente a questo tipo conclusioni e che sottolineargliele potrebbe apparire ai suoi occhi tautologico e fors'anche leggermente offensivo nei suoi confronti. Per questo penso e mi auguro che persone come Michele Smargiassi o il sottoscritto debbano sentire il dovere di fornire un apporto di livello leggermente più alto rispetto alla comprensione del lavoro di autori come Frank. Per esempio procedendo a una contestualizzazione all'interno di un'analisi tanto diacronica quanto sincronica.
Purtroppo quel poco di esperienza che mi possono aver fornito oltre vent'anni di contatto professionale con la fotografia amatoriale italiana, mi ha insegnato che (Flusser docet) esiste un assioma molto diffuso in base al quale per ottenere gli stessi risultati di un grande fotografo è sufficiente possedere lo stesso tipo di apparecchio usato questi. E lo scopo del post era solo quello di riconoscere il fatto di non essere minimamente riuscito in tutto questo tempo a scalfire minimamente questo concetto. Tutto qui. Mi sono cosparso il capo di cenere, ma ovviamente c'è chi ha ritenuto opportuno interpretarlo come un atto di non giustificata superbia o peggio un attacco a una manifestazione (???!!!) alla cui realizzazione, sia pure in piccola parte, anche io ho dato il mio contributo. (Ovviamente non mi riferisco a chi è intervenuto a commentare il blog ma a chi ha ritenuto più più coraggioso e corretto farlo privatamente con terzi e non confrontandosi direttamente con me).

Michele Smargiassi ha detto...

Sarà la mia deformazione da giornalista un po' vecchio ma non ritengo mai inutile ribadire qualche ovvietà, soprattutto davanti a un pubblico indeterminato, magari per accorgersi che ovvietà spesso non sono, se non per alcuni. Ho capito che il tuo interlocutore voleva fare il saputo e ha avuto il suo, ma tutti gli altri meritano di capire cosa sta succedendo, almeno così la penso io in questi casi.
Comunque, Flusser insegna davvero: la fotocamera non è un attrezzo, è un soggetto creatore, spiegare questo a un auditorium anche professionale di solito produce sguardi allibiti da "macchestaddì?", proprio epr questo credo faccia parte di quella provvista di "apporti di livello più alto" che è sempre utile fornire...
Bell'argomento Sandro. E porta pazienza.

sandroiovine ha detto...

Se l'adagio popolare vuole che la pazienza sia la virtù dei forti temo di essere vergognosamente debole.
Chi lavora con me espiando un karma tra i peggiori, mi ha sentito ripetere più volte che dopo Barack Obama è sempre opportuno mettere una virgola e specificare presidente degli Stati Uniti d'America, quindi non posso che sottoscrivere le parole del giornalista Michele Smargiassi. Il fatto è che io giornalista nel profondo del mio animo non riesco a sentirmici più di tanto. Il ritrovarmi in tasca tutti i giorni un tesserino che attesta la mia iscrizione all'Albo professionale dell'Ordine dei Giornalisti lo ritengo un fatto, ma non per questo presumo di poter dichiarare impunemente di essere un giornalista. Non foss'altro perché ho chiara coscienza che tra il giornalismo vero e ciò che mi consente di vivere ci passa una bella differenza, soprattutto quando non sto svolgendo attività giornalistiche. Ma questa è ovviamente una posizione personale non necessariamente condivisibile. Quanto all'amico lodigiano che tanti tasti ci sta facendo poco proficuamente percuotere sulla tastiera, forse era mosso da sincera curiosità per qualcosa che riteneva fondamentale. Quello che temo è che sia stato semplicemente l'unico ad avere il coraggio di esprimere la sua curiosità in mezzo a un pubblico plaudente. A farmelo temere sono episodi del tipo di quello capitato recentemente in un'aula di università un'aula colma di teste che esprimevano il loro consenso con un movimento costante del mento portato dall'alto verso il basso. Animalescamente insospettito da tanta partecipazione e condivisione, ne ho voluto mettere alla prova la consistenza facendo cadere lì una domanda in giapponese... considerato che non ero ne all'Orientale di Napoli ne a Ca' Foscari a Venezia, e soprattutto l'assenza di risposta o per lo meno di una richiesta di spiegazioni credo che l'indifferenza in cui si è schiantata la mia performance linguistica si possa considerare sintomatica del livello di attenzione e comprensione media di cui stavo usufruendo.
Qualche mese fa poi mi è capitato che una persona mi chiedesse di dargli una mano nella realizzazione di una mostra. Ho cercato di interpretare la sua richiesta facendo prima la selezione e poi la messa in sequenza delle immagini, preparando anche un audio visivo per rendere conto del senso della sequenza a chi non fosse abituato oltre una certa misura a lavorare con le immagini messe in sequenza. Poi mi è stato chiesto di curare il catalogo. Cosa che ho fatto personalmente fino alla stampa. Grandi complimenti e frasi del tipo «Hai fatto vivere le mie foto» hanno gratificato il mio ego e fatto ricredere sulle possibilità di far comprendere in che direzione tento di lavorare. Alla fine sono stato invitato alla mostra, dove ho trovato la sequenza tanto ammirata messa al contrario, con la conseguenza che tutti gli equilibri formali e contenutistici studiati per ore erano saltati, senza che nessuno (catalogo alla mano) lo sospettasse.
È l'insieme di episodi del genere che mi induce a essere poco ottimista e sempre meno paziente. Quanto a Flusser mi riferivo in particolare alla parte in cui analizza il ruolo del messaggio pubblicitario voluto creato dalle aziende per convincere il pubblico che acquistando un determinato apparecchio fotografico automaticamente si diventa grandi autori.

Pietro Collini ha detto...

Penso che l'apparecchio fotografico possa essere elemento un "soggetto creatore". Personalmente la penso come la Dondero nel suo libro "Semiotica della fotografia" dove dice: "Non ci interessa prendere in considerazione la macchina fotografica in quanto mero strumento, o la psicologia del fotografo, quanto piuttosto il modo in cui le diverse testualità mettono in scena la sensomotricità del fotografo nell'atto macchinino della presa fotografica.
Scattare un'immagine è descrivibile come un'esperienza di corpo a corpo:
Il fotografo non è mai un soggetto disincarnato di fronte a un oggetto mantenuto a distanza, ma un soggetto-corpo preso in una situazione intra-mondana della quale lui è uno degli elementi (Schaeffer 1997).
Ogni testo fotografico è il risultato di una presa di posizione del corpo nel mondo - e non del mero atto disincarnato dello scatto. Esiste sempre un adattamento ipoiconico del corpo del fotografo con l'apparecchio fotografico e con il mondo guardato attraverso il visore:
L’operazione di inquadratura mima in qualche modo quella dell'accomodamento visivo di un oggetto. Ma l'inquadrare non impegna solo lo sguardo. Per inquadrare un frammento di mondo è necessario innanzitutto sentirsi persi nel mondo. Sono delle componenti sensoriali non visive che mobilizzano il desiderio di fotografare un avvenimento. (Tisseron 1996).”
Un caro saluto
Pietro Collini

sandroiovine ha detto...

Poche righe prime, in apertura del capitolo 3.2.1 intitolato La sintassi sensomotoria nelle immagini fotografiche, Maria Giulia Dondero* riporta tre citazioni:

«Ogni tecnica è una "tecnica del corpo". Essa configura ed amplifica la struttura metafisica della nostra carne» (Merleau-Ponty)

«I nostri organi non sono affatto strumenti, semmai sono i nostri strumenti ad essere degli organi aggiunti»
(Merleau-Ponty)

«Il fotografo è essenzialmente testimone della propria soggettività, cioè del modo in cui si pone come soggetto davanti a un oggetto. Quello che dico è banale e ben noto. Ma insisterei molto su questa condizione del fotografo perché in generale è rimossa»
(Barthes)

Tre citazioni preziose come spunto di riflessione, con la terza che, horribili dictu, mi costringe ad essere d'accordo perfino con Roland Barthes. Psicologicamente più facile mi rimane invece essere concorde con Maurice Merleau-Ponty e il suo L'occhio e lo spirito da cui se non sbaglio (ma vado a memoria per cui mi si perdoni l'eventuale errore) dovrebbero essere tratte le due citazioni. Partendo dalla fenomenologia della percezione elaborata da Husserl, Merleau-Ponty razionalizza in chiave occidentale un sentire tipicamente orientale che avverto molto vicino per esperienze personali di vita.
Grazie Pietro per avermi fatto rispolverare di sabato mattina un libro da troppo tempo parcheggiato negli scaffali della mia libreria.
Chiudo con l'incipit che mi è molto caro tratto del capitolo Riflessione e interrogazione, paragrafo La fede percettiva e la sua oscurità da Il visibile e l'invisibile di Merleau-Ponty. Un piccolo brano che mi è molto caro: «Noi vediamo le cose stesse, il mondo è ciò che noi vediamo: formule di questo genere esprimono una fede che è comune all'uomo naturale e al filosofo dacché apre gli occhi, rinviano a un sostrato profondo di "opinioni" mute implicate nella nostra vista. Ma tale fede ha questo di strano, che se si cerca di articolarla in tesi o enunciato, se ci si chiede che cos'è noi, che cos'è vedere e che cos'è cosa o mondo, si entra in un labirinto di difficoltà e di contraddizioni.Ciò che Sant'Agostino diceva del tempo: che esso è perfettamente familiare a ognuno, ma che nessuno di noi può spiegarlo agli altri, va detto del mondo. [...] È vero che il mondo è ciò che noi vediamo, ed è altresì vero che nondimeno dobbiamo imparare a vederlo»**.
- - -
*Semiotica della fotografia di Pierluigi Basso Fossati, Maria Giulia Dondero, Guaraldi, Rimini, 2006; pag. 50.
**Il visibile e l'invisibile di Maurice Merleau-Ponty, Bompiani, Milano, 2003; pag. 31-32.

diegoboldini ha detto...

Ciao Sandro...
quella di Lodi è stata la mia seconda volta di THE AMERICANS e devo dire che l'ho trovata decisamente molto più completa rispetto alla precedente che comunque mi aveva affascinato (e illuminato) parecchio.
La mia prima reazione a quelle due domande che ti hanno posto è stata di terrore misto a panico perchè temevo di vederti esplodere ...
poi tra me e me (e tu che mi conosci sai benissimo che data la mia taglia tra me e me comporta tanto spazio) mi sono detto "però... in mezzo a tutte queste persone solo due alieni"
Non nel senso spregiativo che si potrebbe attribuire ma per il fatto che tutti gli altri sembravano poter discutere e ascoltare di FOTOGRAFIA e non solo di fotografia....
non demordere, non ti abbattere di fronte a queste cose, sai benissimo che non era la prima volta e non sarà nemmeno l'ultima in cui ti sentirai chiedere "come" e non "perchè" ... a Lodi sono stati due su trecento (?) ... gli altri 298 stanno ancora dicendo Grazie Sandro...

un abbraccio dal fuso orario di Barasso :-)

Zop ha detto...

Leggere il tuo editoriale mi ha gettato nello sconforto, tuttavia non devi perdere la speranza. Probabilmente quelle persone quando presentavi “The Americans” NON volevano ascoltare, ma ce ne sono altrettante che la Fotografia (F) la vogliono capire ed imparare. Io scatto da quando avevo 16anni, e probabilmente se non fosse stato per i tuoi editoriali al vetriolo e la tua continua testargannine nella rubrica “le vostre foto” non avrei mai capito che cosa la fotografia in realtà è.
Parlo del fatto che mi hai insegnato a liberarmi dalla diatriba CanonVSnikon; 50mmf1,2 vs 50mmf2,8 apo cazzi&ammazzi….
Insomma mi hai insegnato a leggere e scrivere nuovamente (con la fotografia)…
Ovviamente quello che scriverò con la fotografia dipenderà da me, ma il risultato è secondario e non è questo il punto.
Il punto è che se non fosse stato per te (e per la tua rivista, Laura compresa) avrei continuato a fare cruciverba “fotografici” inserendo le parole nei quadretti, convinto che quella è scrittura. Tu mi hai insegnato che le lettere e la penna sono fatte per raccontare cose, storie e mondi.. mi hai dunque tolto le catene di quei quadretti…rendendomi libero (fotograficamente parlando).
Magari in quella platea c’era un ragazzo come me desideroso di imparare, magari non ha fatto domande…ma forse c’era.
Tieni duro Sandro.