giovedì 29 marzo 2007

Flusser il filosofo


Quanti di noi si sono mai chiesti quali processi si innescano ogni volta che prendiamo in mano una fotocamera? Non mi riferisco ovviamente al complesso di processi elettronici e fisici che permettono di produrre una fotografia. Parlo di meccanismi più radicati che accadono senza che spesso ce ne rendiamo nemmeno conto. Meccanismi su cui in realtà si fonda la grande rivoluzione che la fotografia ha introdotto. A chi fosse interessato all’argomento consiglierei la lettura di un agile volumetto dal titolo oggettivamente assai poco invitante, ma dai contenuti assai preziosi: Per una filosofia della fotografia di Vilém Flusser, Bruno Mondadori 2006. Riassumendo con una semplificazione molto rischiosa, la teoria elaborata da Flusser prevede la compresenza di due forze opposte: le intenzioni del fotografo da una parte e quelle dell’apparecchio dall’altra. Con le prime Flusser intende la volontà del fotografo di cifrare i propri concetti di mondo, servendosi di un apparecchio fotografico allo scopo di mostrare qualcosa agli altri perché sia di modello per esperienze e valutazioni, facendo contemporaneamente in modo che tali modelli abbiano la maggior durata possibile. In pratica cercando di informare gli altri perseguirebbe la volontà di rendersi immortale nella memoria altrui attraverso le immagini prodotte. A ciò si contrapporrebbero, sempre secondo Flusser, le intenzioni dell’apparecchio che consisterebbero nel porre in essere attraverso le immagini le possibilità racchiuse nell’apparecchio stesso inteso come strumento, servendosi di un fotografo per produrre immagini attraverso la cui diffusione ricevere informazioni per produrre immagini sempre migliori. Quindi il programma dell’apparecchio prevederebbe di realizzare le proprie possibilità utilizzando il feedback della società per il suo progressivo miglioramento. Cosa che a ben vedere non è poi tanto lontana dalla concretezza della prassi industriale che ben conosciamo. Ciò originerebbe collaborazione-opposizione apparecchio-fotografo. Ovviamente però non tutti i fotografi lottano per esprimersi, anzi la maggior parte soccombe al programma dell’apparecchio vittima della sua idolatria pagana, del suo stesso animismo tecnologico che lo induce ad essere usato dallo strumento che crede di usare… Guardandosi intorno viene il dubbio che Flusser possa anche aver ragione…
n.180 - aprile 2007





In alto, Vilém Flusser.



Per una filosofia della fotografia
di Vilém Flusser
Bruno Mondadori, 2006



42 commenti:

Anonimo ha detto...

Flusser fu paladino della liberta’ nei confronti dell’automazione, e si occupo’ di mezzi di comunicazione tra cui la fotografia; a me pare che volesse occuparsi di fotografia perche’ ,quando scrisse questo libro, gia’ faceva “in” occuparsene. E allora successe come per i critici d’arte e di fotografia : siccome non sanno dipingere ne’ fotografare, fanno i critici. Lui fece il filosofo della fotografia, e si capisce che di fotografia non ne sapeva granche’.
Io modestamente ritengo che non necessiti una filosofia della fotografia, ma si’ una filosofia delle immagini e dell’uso di esse nella vita e nella storia dell’uomo, indipendentemente dalla automazione tecnologica : sono due cose diverse.
Riconosco che il problema dell’assuefazione o addirittura schiavitu’ dell’uomo nei confronti del “programma” sia una cosa seria, non solo riguardo alle macchine. E in questo libro di Flusser le premesse non sono da poco. Lo sviluppo del ragionamento mi pare invece debole.
Sostengo che, sin dal tempo dell’invenzione della fotografia, l’evoluzione tecnologica del mezzo sia stata frutto si’ dell’ esigenza di allargare un mercato nascente, ma anche della possibilita’ di sfruttare la tecnologia per venire incontro alle esigenze degli utenti, cui si apriva via via la possibilita’ di usare automatismi ma anche di eluderli creativamente, a volonta’. Basta chiedersi che succede se…invece di far fare alla macchina. Basta la curiosita’, la sperimentazione anche ludica, e si scoprono altri mondi del tutto liberi.
Poi una doverosa precisazione.
Non si puo’ parlare di fotografia e basta, bisogna anche considerare che uso se ne fa , a cosa e a chi serve fotografare, proprio perche’ oggi quasi tutti posseggono una fotocamera.
Chi ha solo esigenza di immortalare il figlioletto col pisello all’aria, per un fatto affettivo, per conservare un documento a futura memoria o rimpianto ; chi e’ interessato ai tramontini e ai campi di girasoli e alle vongole di Venezia; non sono certo traditi da una macchinetta che onestamente lavora in base ad un programmino. Chi si fa il ritratto dentro una cabina per fototessere non e’ assolutamente plagiato da alcun cattivo programma.
Chi invece vuole tramutare una sensazione in immagine sa benissimo da molto tempo come ingannare gli automatismi e ottenere cio’ che vuole, quindi schiavo del programma non sara’ mai.
Vi racconto questa : un tizio si iscrisse al corso tenuto da un mio amico e dopo la prima lezione confesso’ che non gliene fregava nulla di coppie tempodiaframma, perche’ lui si era iscritto solo per imparare a fare foto in cui finalmente non tagliasse piu’ i piedi a sua moglie ogni volta che la ritraeva. Basto’ spiegargli, dopo l’analisi dei negativi, che la colpa era dello stampatore sprovveduto, per vederlo sparire deluso, ma contento di non doversi arrovellare piu’.
Il problema e’ un altro : spendere e consumare a ogni costo, se e’ vero come e’ vero che l’utente medio entra nel negozio chiedendo il modello piu’ costoso e completo della “macchina” che gli serve, anche se non usera’ mai certe funzioni. Il problema e’ che la macchina non ha colpa, non trae in inganno e tanto meno schiavizza e abbrutisce, e che bisogna invece colpevolizzare chi crea dogmi e ne perpetua la cristallizzazione dentro i programmi delle macchine.
Flusser , penso io, accingendosi ad occuparsi di fotografia, avra’ sicuramente chiesto informazione a qualche addetto ai lavori, e sara’ rimasto affascinato dalle esperienze per es. di un Migliori, di un Gioli, di un Mulas, gente che in maniera geniale contravveniva alle regole, creava, sperimentava dentro lo specifico della fotografia, e mostrava di affrancarsi dallo spauracchio dell’ automazione ( Migliori lo fa ancora ) .
Gente che Flusser, nelle ultime pagine del libro, innalza a paladini della liberta’ di creare immagini.
Fermo restando che, senza fare tanta filosofia, l’esperienza di Vaccari con le fototessere aveva aperto il discorso sull’automazione fotografica nei suoi rapporti con i problemi sociali, gia’ negli anni ’70.
Infine, per tornare ai dogmi cui alludevo sopra, invece di far filosofia, bisognerebbe tagliare le mani e la lingua a pezzettini a tutti quelli che tengono corsi in cui insegnano dogmaticamente le regole della fotografia : senso di movimento obbligatoriamente da sn a dx, come nella scrittura e lettura; legge dei terzi con la sezione aurea; nitidezza pena la decapitazione, perche’ mosso e’ cattivo; uso assoluto del b/n perche’ fa intellettuale cattocomunista ; ecc ecc.
Quindi credo che una critica della ragion fotografica vada compiuta sulle persone e sulla loro educazione a guardare piuttosto che sulle macchine.
Tutto questo scrivo per pignoleria, per non far nascere falsi complessi e piagnistei nei confronti dell’automazione, non per dispregio a Flusser, il cui libro si legge scorrevolmente e tutto sommato fa ragionare.

Anonimo ha detto...

Questo significa che, dato che compro una nuova DSLR ogni tre mesi per poter scattare foto al mio gatto con un megapixel in più, Flusser mi ritiene succube della macchina? Proprio severo, nel suo giudizio.

Anonimo ha detto...

sandro, sandro, tu vai a punzecchiare punti nevralgici...

Anonimo ha detto...

Nuovi filosofi e vecchi filosofi ;
Flusser vs Platone
ovvero :
che la filosofia non ci tolga il gusto di fotografare, e che la fotografia non dimentichi la ragione

La valenza negativa che puo’ attribuirsi all’automazione, e in particolare al prodotto automaticamente realizzato da una macchina fotografica, non va attribuita a programmi e macchine, ma al fatto che la presenza delle fotografie e’ soverchiante in tutti i percorsi di pensiero e di scelta dell’uomo comune.
La ridondanza di fotografie attorno a noi, e la conseguente assuefazione, ci fanno ragionare solo per immagini : quelle gia’ viste, immagazzinate dietro i nostri occhi, quelle che attendiamo di vedere, quasi materializzantesi anzitempo davanti agli occhi, saltellanti ansiosamente in base alle aspettative di trarne soddisfazione, conforto, spiegazione, disvelamento di verita’.
Mi spiego : le immagini, oggi esclusivamente fotografiche, ci attraggono e ci penetrano anche se non ce ne accorgiamo, perche’ crediamo o siamo indotti a credere che rappresentino la sostanza delle cose, dei fatti; le assorbiamo in fretta, perche’ non abbiamo mai tempo di assorbire tutto il mondo che sta dietro ad esse, e le sostituiamo al mondo : frammenti come parte per il tutto, e pigra rinuncia ad approfondire il contesto.
Di conseguenza quelle immagini rimangono l’ unico nostro bagaglio per valutare il presente e il futuro, diventano icone, simboli, a volte totem cui attribuiamo valore sostitutivo della realta’ dei fatti. Questo e’ il percorso maledettamente automatico che dobbiamo cercare di cortocircuitare, non la genesi delle immagini fotografiche asservita ad un servomeccanismo, bensi’ la genesi distorta della loro diffusione e fruizione.
Crediamo e ci illudiamo che le immagini ci svelino la realta’, invece esse, mentre disvelano un evento, cioe’ un aspetto della realta’, al contempo gettano un velo sulle dimensioni che quella stesso aspetto della realta’ potra’ assumere nel divenire dello spazio e del tempo.
Di fatto lasciamo che le immagini agiscano su di noi per imporci modelli di comportamento e per orientare le nostre scelte affettive, emozionali, sociali economiche e politiche.
Ma ragionare sulla scorta delle immagini, che abbiamo immagazzinato e che richiamiamo inconsciamente per ogni discorso che affrontiamo, equivale a ragionare per preconcetti e con effettiva ignoranza, come se la fotografia non ci avesse insegnato nulla sulla sua consistenza metafisica.
Prima della fotografia c’era soltanto la memoria : individuale e collettiva, pubblica e privata.
La storia, quella familiare e quella sociale, si raccontava attorno al focolare domestico, o attorno ai fuochi del campo, e questi racconti generavano miti e leggende, in cui il nucleo di verita’ si perdeva in mille rivoli, colorati dalle emozioni e dalle superstizioni. Poi arrivo’ la stampa, e con essa la possibilita’ ( teorica ) di tramandare i fatti e la storia senza la tara dell’ immaginazione e dell’invenzione. La storia veniva immortalata e diffusa tramite i libri prima che le sovrastrutture inventive potessero contaminarla : o perlomeno questo era il messaggio di cui si fregiava la carta stampata.
Il risvolto negativo della stampa fu, ed e’, che spesso la parola scritta, intesa come testimonianza irrinunciabile, divenne e diviene dogma cieco e plagiante, sfruttato sotto ogni latitudine ( il Corano, il Libretto Rosso di Mao, il Capitale, i testi responsabili della nascita dell’antisemitismo, le Sacre Scritture, il Mein Kampf ).
La nascita della fotografia parve far pendere il piatto della bilancia a favore della verita’ incondizionata, in quanto l’impressione del referente reale sulla lastra , poi sulla pellicola ( oggi su una matrice silicea ), aveva il carisma dell’autenticita’. E’ evidente invece come, relegando al collezionismo di cimeli le elucubrazioni barthesiane sull’ “hic et nunc” , l’autenticita’ di un frammento non corrisponda necessariamente a quella, sottintesa o palesemente dichiarata, del contesto di provenienza.
Oggi il meccanismo perverso in base al quale ogni verita’ in cui crediamo viene “automaticamente” associata a spezzoni del nostro immaginario, individuale e collettivo come l’inconscio, spesso ci priva della possibilita’ di pensare liberamente, in maniera vergine, scevra cioe’ da condizionamenti.

Bisogna allora ogni tanto deframmentare il nostro hardware cerebrale, gettare la zavorra del nostro patrimonio di immagini galleggianti, riflettendo sul fatto che esso e’ costituito da platoniche copie di copie che poco hanno a che vedere con il mondo delle idee.
Quindi, far pulizia, e ricominciare a riflettere.
E, nel fare fotografia di un certo tipo, proporre i fotogrammi come frammenti dello spaziotempo degli uomini e delle donne rappresentati, non come specchio egoista di noi stessi.
oratore

Anonimo ha detto...

Ho riletto il riferimento a Flusser su Il Fotografo appena uscito in edicola, e mi permetto un ulteriore approfondimento.

La fotografia si puo' definire come un'immagine stabile, ottenuta tramite
calcoli e per mezzo di procedimenti fisici e chimici, in cui l'intervento
dell'operatore si limita all'innesco di tali processi ( premere il pulsante di
scatto e poi infilare la pellicola nelle bacinelle di sviluppo e fissaggio).
Il concetto dell'automaticita' della fotografia, nel tempo, e' stato arricchito
dal messaggio pubblicitario della kodak : voi premete il bottone e noi
facciamo il resto ; ma la vera origine di tutte le disquisizioni, filosofiche
o meno, sulla indipendenza dall'uomo nella genesi della fotografia deve
rinviarsi alla diatriba, mai risolta, se la fotografia sia ARTE o no.
All'indomani della nascita della nuova invenzione, infatti, furono molti i suoi
detrattori ( Baudelaire lamentava : l'Arte e' finita! ) perche' il mezzo che
finalmente realizzava l'anelito del mondo moderno, cioe' l'assoluta fedelta'
al vero, era considerato come una protesi applicata alla mano dell'operatore,
in contrapposizione all'abilita' manuale e al talento degli artisti " veri ".
Per questo le prime immagini fotografiche venivano colorate, e in seguito
nacque il pittorialismo, proprio per l'ambizione da parte dei fotografi di far
prevalere la forza espressiva individuale e il proprio essere artisti.

Da piu' parti e' stata presa in considerazione questa dicotomia tra
l'automaticita' fotografica e la volonta' del fotografo ; tanto che e' stato
pure detto che non e' l'uomo ad asservire la macchina, bensi' il contrario :
le macchine inducono l'uomo a ragionare ed agire solo di rimando al "programma"
automatico.
Pero' :
io non do' 5 euro alla mia fotocamera per comprarsi la colazione e per poi mandarla in giro a scattare autonomamente : dietro il mirino ci sto io, e decido io dove e come dirigere l'obiettivo.

Esperienze importanti sulla "automaticita'" sono state fatte, tuttavia orientate a scoprire, mettere in evidenza, svelare aspetti del reale che possono sfuggire all'occhio umano a causa della loro breve apparizione ( Muybridge, Migliori ).
Di conseguenza c'e' sempre una scelta originaria e originale da parte dell'operatore.
Una polemica simile si puo' adattare alla necessita' , indotta per motivi
commerciali, di tentare nuove vie creative per mezzo delle toy cameras, e degli
innumerevoli accessori che le corredano. E' diventata una moda, e spesso un
modello di riferimento per acquisire la patente di fotografi alternativi; ma
anche in questo caso bisogna distinguere.
Usiamo le toycameras e i loro accessori solo se l'idea che vogliamo esprimere
si giova di mezzi e di criteri alternativi, in caso contrario dobbiamo ammettere di essere diventati veramente schiavi del mercato e degli automatismi.

Tra l'altro, se indaghiamo quanto e perche' gli strumenti alternativi siano tali, in
fin dei conti scopriamo tutti i funzionamenti della fotografia, e possiamo dire che, usata con giudizio oltre che con spirito di divertimento, una toy camera puo' realmente essere una nave scuola migliore di mille corsi, perche' in fin dei conti essa "gioca" con quelli che sono i criteri di fisica ottica e meccanica alla base della fotografia.
E poi, quello che fanno oggi le macchine alternative, si faceva poco tempo fa con
altri mezzi di fortuna, anche se forse piu' indaginosi, se solo la curiosita' di sperimentare prevaleva. Ci fu un periodo in cui Dodo Veneziano girava con appresso un mattone di vetroceramica, per anteporlo all'obiettivo al momento dello scatto "prescelto".

Tralascio di riferire quel che penso dei videofonini, sarebbe lungo e noioso.

Cio' che mi interessa mettere in evidenza e' che i segni prodotti in una fotografia possono essere, e non sempre sono , espressione della soggettivita' emergente dell'autore, della presa di coscienza del mondo esterno e sopratutto di quello interiore, alla luce di spirito estetico e di conoscenza. E che questo mondo interiore puo' essere scoperto, condiviso, e/o arricchito dalla sensibilita' e dal vissuto personale di ogni singolo fruitore.

Anonimo ha detto...

@ oratore:
"dietro il mirino ci sto io, e decido io dove e come dirigere l'obiettivo"
beato te che non ti fai influenzare dai vincitori del Wpp o dalle pubbicità (di Toscani o meno), o dall'impaginazione o dai messaggi subliminali di cui è cosparsa la nostra giornata,
beato te che sai sceglierti i modelli o liberare il tuo occhio, magari persino il Terzo... :-)
fosse così semplice per tutti immagino che Iovine non avrebbe aperto questo blog...

:: haku :: ha detto...

Mi permetto, oratore, non volendoti rubare l'idea, di accostare citazioni di Vaccari a Flusser... per puro caso li stavamo leggendo in parallelo da qualche tempo qui dalle parti di Milano... causa mostra di Franco Vaccari in corso allo Spazio Oberdan...
Nonostante Vaccari nelle sue riflessioni vicine a Flusser sembri assumere una posizione decisamente meno ossessionata dal potere dell'apparecchio, forse perché meno agganciata all'aspetto manipolatorio della produzione industriale, pare interessante accostare alcune sue frasi ai concetti di Flusser (pubblicati in origine nel 1983). Vaccari all'epoca delle riflessioni sul cosiddetto inconscio tecnologico* (pubblicate nel 1979) affermava: «bisogna vedere nello strumento una capacità di azione autonoma; tutto avviene come se la macchina fosse un frammento di inconscio in attività» e pare anche avesse già chiarissima l'insidia della possessione o dell'ipnosi che i prodotti della macchina possono indurre, soprattutto attraverso la produzione ipertrofica dovuta all'inesorabile «coazione a ripetere» da cui la macchina è dominata. Nello stesso saggio poco più avanti afferma: «le macchine tendono potenzialmente a produrre uniformità» e «rivelano immediatamente la tendenza psicotica a marchiare tutto il reale secondo il proprio codice, a uniformarlo secondo la cattiva molteplicità della serie.».
Ma ancora... Vaccari non resiste alla possibilità dell'utilizzo della fotografia come strumento per acquisire coscienza e come veicolo di cura alla serialità cui la fotografia stessa può soccombere e farci soccombere... sembra tutto un paradosso, ma in realtà è forse interessante per questo: per la resistenza tutta umanistica dell'idea di poter dominare i nostri strumenti:
«Si capirà così il valore decongestionante e liberatorio del concetto di inconscio tecnologico che, invece di rappresentare una minaccia di spossessione e di dissolvimento dell'identità, può rappresentare il punto di partenza per la costruzione effettiva di un margine possibile di libertà; esso permetterà l'affacciarsi alla coscienza di un salutare sospetto sull'innocenza del nostro rapporto con gli strumenti e ridimensionerà il senso del nostro intervento. [...]
La fotografia potrebbe diventare così una pratica liberatoria, una tecnica di igiene mentale, una forma di autoanalisi» [da Franco Vaccari, Fotografia e Inconscio tecnologico, Agorà Editrice 2006, pagine 17,18, 70, 141].
//
«Libertà significa giocare CONTRO l'apparecchio.»
«... possiamo aggirare l'ostinazione dell'apparecchio; [...] possiamo introdurre clandestinamente nel suo programma intenzioni umane che non vi erano previste.»
V. Flusser, pag 109.

*Vaccari afferma che l'inconscio tecnologico si vede in azione «là dove l'uomo è passato e ha delegato agli strumenti la propria attività; un inconscio bloccato, un inconscio duro.»

Anonimo ha detto...

risposta all'ultimo intervento in ordine di tempo (haku):
no problem, non rubi nulla, le idee non devono avere copyright, vengono leggendo studiando e riflettendo.
anche se virtuale, questo e' un dialogo, si scrive per coagulare le idee e per riflettere insieme.

risposta al penultimo :
proprio perche' non e' cosi' semplice Iovine ha avuto la bella idea di aprire il blog, e proprio per questo stiamo dialogando.
se io ( io oratore ) ho gia' imparato prima di qualcun altro certe cose, giuste o sbagliate che possano essere, se le ritengo valide perche' non devo sforzarmi di comunicarle? quindi beati gli altri, che possono aprire gli occhi seguendo Iovine, come ho avuto la fortuna di aprirli io a suo tempo. non beato me oratore ora, beato lo fui, ma ora mi sbatterei la testa al muro quando vedo che certi problemi non si affrontano nel modo giusto.
e poi quando scrivo "ci sto io dietro la fotocamera ecc" intendo riferirmi all'io generico, il fotografo in genere, capiamoci quando leggiamo e scriviamo. Io oratore non sono fotografo, ma neanche sono filosofo, e mi pare che faccio di tutto per tenermi sul pratico, anche se i ragionamenti teorici sono la base della pratica.
buona Pasqua

luis@ ha detto...

scusate se mi permetto...
io ho letto anche forzandomi,data la mia innata pigrizia,il libro in questione...non ho nulla da obiettare nè sulle teorie di flusser(ognuno è libero di teorizzare ciò che vuole quando mette la sua firma in fondo)nè sulle,secondo me,corrette considerazioni di oratore...ma quello che sinceramente mi dispiace è che in quello che ho capito della discussione...e questo è sicuramente aleatorio...stiamo sempre a dissertare su quanto i fotografi siano assoggettati alla tecnologia e viceversa…purtroppo non si parla mai di espressione emozionale…del sentire fotografico(perdonatemi il tono romantico)…ma non credo di avere torto nel dire che nel panorama fotografico italiano ce ne sarebbe bisogno…

:: haku :: ha detto...

@ luis@

magari può inteerssarti dare una scorsa alle pagine precedenti a questa...
qui... o qui...
o alla pagina dedicata al WPP, sono ancora tutte discussioni aperte... questo è solo l'ultimo post :-)
e... appare per primo non per leggi evangeliche, ma per la poco elastica struttura dei blog...

dal mio punto di vista (per quel che vale) cercare di affrontare un testo in cui si cerca di snudare la fascinazione della tecnologia non mi pare inutile per portare a coscienza il motivo delle difficoltà del fotografare (ma anche del postprodurre forse...) senza soggezione tecnologica, e di conseguenza, poi, poter parlare di "espressione emozionale".
questo post a me pare cerchi di affrontare una questione esistente, con cui tocca scontrarsi pressoché ad ogni passo negli ambienti in cui ci si occupa di fotografia, o almeno si prova a farlo...
eludere il problema non è particolarmente utile, invece.
tentare di parlarne in modo insolito, per trovare una via di lettura attraverso cui vederlo lucidamente, metabolizzarlo ed eventualmente superarlo, mi pare invece piuttosto interessante. e costruttivo.

il "panorama fotografico italiano"... si tratta di vedere se sia davvero pronto per "parlare del sentire fotografico", dal momento che non pare granché in grado anche solo di ascoltare chi ne parla, come si vede da quanto sia ancora fascinato dal prodotto tecnologico, o dal nome famoso del fotografo o del critico per potersi permettere di seguire un'opinione o di esprimere un indotto entusiasmo. da parte mia sono certa ci sia in Italia chi è pronto, ma ho la netta impressione che si tratti spesso di persone che non vengono dal "panorama fotografico italiano", e sono anche certa che nulla in Italia aiuti chi invece da quel "panorama" viene ad avere il coraggio di imboccare questa via. si incontra molta diffidenza [e questo si capisce che lo sai perfettamente luis@, se aggiungi nel tuo testo l'inciso "perdonatemi il tono romantico"...].
quindi forse partire dal muro da attraversare (la parola non è casuale) e guardarlo bene in tutto il suo ergersi ottuso potrebbe essere il primo passo verso una coscienza che divenga critica, nel senso di discriminante.

Anonimo ha detto...

luisa, mi pari conoscente, o sbaglio?
smak

luis@ ha detto...

per oratore:
forse che sì o forse che no,luis@ è una parte scorporata del mio intero che vorrei,se ci riesco, tenere più attiva possibile sia in ricezione che in trasmissione di stimoli...non so quanto sarò in grado di farlo(è il primo blog nel quale intervengo)con la speranza sempre di superare il superabile e di accostarmi all'accostabile in punta di piedi

smack ,mitico oratore8ma sempre accussì tanto devi scrivere?io AL TERZO RIGO MI CONFONDO:)

Anonimo ha detto...

HAI LETTO QUELLA CATAPRASIMA DI FLUSSER E TI CONFONDI PER 4 MIE M..
HAI BISOGNO DI UN BAGNETTO IN FIUME ORETO

luis@ ha detto...

infatti non ho mica detto che flusser non mi abbia confuso...
inoltre mi dispiace non riuscire,è un mio limite,a tenere l'attenzione nel leggere periodi dove il numero delle proposizioni superi la dozzina...sono una pigra e l'ho ammesso ma so bene che la mia capacità discorsiva è sicuramente migliore di quella che ho nello scrivere…la mia era solo una amichevole presa in giro verso chi sa e scrive meglio di me,non ti risentire,per quanto riguarda il bagnetto ,quando vuoi …ci stavo pensando anche io...ci vorrebbe proprio:)

luis@ ha detto...

@haku
ti ringrazio del consiglio ho stampato le pagine che mi hai consigliato di andare a leggere e mi riservo di risponderti una volta lette...devo ancora metabolizzare il libretto di flusser:)

luis@ ha detto...

Ok ho letto i post precedenti come consigliatomi da haku…
Ho trovato interessanti disquisizioni sui concetti di etica e verità nella fotografia….ma ,permettimi haku, neanche lì ho trovato riferimenti ad un sentire fotografico….e da quello che mi scrivevi nel tuo messaggio tu parli di espressione emozionale come un dopo…come una condizione riguardante solo una postproduzione o una elaborazione secondaria di contenuti…da questo presuppongo di non essermi spiegata come avrei voluto…
Per me l’emozionalità è una condizione primaria dell’intero processo fotografico dall’ideazione all’effettivo scatto alla postproduzione e anche ,perché no,alla successiva presentazione o divulgazione delle immagini e naturalmente anche nella fruibilità delle immagini altrui… quindi per quanto mi riguarda il muro di cui parlavi tu, mi risulta trasparente il che lo rende semplicemente attraversabile(almeno mentalmente)…a volte mi pare che vogliamo fare di una pagliuzza una trave..per quanto mi riguarda il problema non esiste e non perchè io lo voglia eludere ma perchè non lo avverto come un problema tangibile ..proprio no!non credo che chi subisce il fascino della tecnologia non possa avere un approccio emozionale con la fotografia per me sono due cose ,anzi , assolutamente emulsionabili e sinceramente mi sembra un po’ un aliby di chi non si sente pronto a mettersi in gioco totalmente…cosa tra l’altro assolutamente comprensibile ma non condivisibile da chi la vive come la vivo io non mi piace essere poco chiara quindi esorto chiunque voglia chiarimenti a chiedermeli sarò felice di darne…ammesso che logicamente interessi a qualcuno…:)
Comunque quando mai per parlare di qualcosa si è dovuto aspettare che IL PANORAMA ITALIANO FOSSE PRONTO?
dall’uso che ne fa la maggior parte di noi, non mi pare fosse pronto per la calata del digitale.. eppure non solo se ne parla ma se ne disserta con proprietà in ogni campo della comunicazione…
Grazie di avere avuto la pazienza necessaria a leggere quello che scrivo a volte è complicato pure per me

:: haku :: ha detto...

scusatemi... questo è lunghissimo, ma ho avuto... problemi di sintesi... :-)
buon Primo Maggio a tutti.

- @ gentile luis@

il problema dell'«essere pronto»:
anzitutto mi pare si presenti come problema di linguaggio... di nuovo... occorre avere una struttura simbolica e linguistica comune per potersi comprendere, altrimenti si rischia di non comunicare ed emettere parole che rimangano a galleggiare nel vuoto... credo che il «panorama fotografico italiano» non sia preparato in questo senso.
un esempio che vi parrà fuori tema eppure credo indichi il livello di interesse per il problema del linguaggio:
Umberto Eco (che piaccia o meno)... in Francia è considerato un riferimento per la Semiotica, per noi italiani è un romanziere...

inoltre tu dici:
«dall’uso che ne fa la maggior parte di noi, non mi pare fosse pronto per la calata del digitale... eppure non solo se ne parla ma se ne disserta con proprietà in ogni campo della comunicazione…»
stai parlando di come si disserti con proprietà di tecnica, vero? non di uso/analisi con/delle finalità espressive...



- considerazioni generali:

in secondo luogo, personalmente rimango abbastanza stranita da questi interventi.
non capisco dove vogliano arrivare. si presentano con una leggera vena polemica o provocatoria che sembra voler incrinare l'iniziativa stessa del blog. ma a che scopo?
e ancora: non capisco come una persona pensi di intervenire con un appunto su una collezione di testi, senza averli letti tutti. eppure, guarda caso, intervenga puntualmente di seguito a quello cui pare aver da contestare o correggere qualcosa. e questo si può notare in ogni pagina del blog. è rarissimo un atteggiamento costruttivo, ma molto più diffusa una forma di intervento estemporanea e provocatoria...
non capisco quale sia il motivo e quale l'interesse in questo metodo di intervento.
non capisco come accada che si intervenga su un tema essendo interessati ad un altro tema. se si è interessati ad un altro tema si può "proporlo" (che "formalmente" non significa lamentare che non se ne parli), o cercare un altro luogo dove se ne parli, o addirittura crearlo e semmai collegarlo a questo... così almeno (io) credo.
l'unica spiegazione che trovo a queste reazioni -volendo (e fortemente) leggere questi interventi in buona fede- è che in verità i contributi di Iovine smuovano davvero qualcosa, altrimenti dovrei leggere solo uno sterile quanto irrefrenabile "istinto sofistico" (mi si passi il bizzarro accostamento) alla polemica, un istinto totalmente fine a se stesso, anzi "fine a se stessi"...
se si dà una scorsa agli interventi sotto i vari post, puntualmente arriva la voce che dirotta l'argomentazione su un altro tema. non che non sia lecito, ma quando si voglia partecipare all'approfondimento di un argomento, di solito, se si apre una parentesi, si cerca almeno di giustificarla, e poi richiuderla in funzione di un senso complessivo e organico.
altrimenti non si costruisce, bensì si tende a far sgretolare.
altrimenti... mi tocca chiedermi: perché si chiede di parlare di sentire fotografico qui dove si sta faticosamente cercando di parlare d'altro... e d'altro proprio per potere forse arrivare a creare una base di consapevolezza e di linguaggio comune per affrontare la questione dell'espressione?
perché tranciare gratuitamente il tentativo di produrre un processo di consapevolezza e interiorizzazione, finalizzato forse proprio al voler parlare di immagini con un approccio non tecnico ma semantico e semiotico?

- infine... per essere sincera... cosa è il sentire fotografico?
in cosa si distingue da un altro sentire? cosa significa sentire fotograficamente?
luis@ ci spiega cosa sia per lei che ha la fortuna di essere illuminata e di trapassare l'opacità su cui molti ci areniamo. ma che per luis@ questo non sia «un problema tangibile» non significa che il problema non esista. significa che lei è illuminata come lo è oratore da quanto si legge in queste pagine.
una differenza evidente fra luis@, oratore e sandroiovine, credo sia che sandroiovine sebbene illuminato non voglia chiudersi nel suo scomodo privilegio:
non dice l'evidenza con cui VEDE, dicendo IO VEDO, ma cerca di portare ad evidenza agli altri (e io, haku, mi sento tra questi altri) quanto vede, perché si scontra ogni giorno con la cecità e l'ottusità e con l'opacità dei muri che oscurano la visione alla più parte di noi che illuminati non siamo.

e la provocazione (ebbene sì) che vorrei lasciare in onore a Flusser è:
cosa ci garantisce che «un approccio emozionale con la fotografia» non sia viziato dalla seduzione per la tecnica o la tecnologia?
abbiamo presente la differenza di immagine finale che possiamo osservare in un caso o nell'altro?
la domanda di Flusser e di Iovine è lecita:
quanto rimaniamo succubi dell'apparecchio o dei software che usiamo e delle tecniche nuove o antiche (più o meno "espressive"), del loro potere seduttivo...
e nell'illusione di esprimere un sentire, esprimiamo invece una possibilità offerta da tecnologie analogiche e digitali senza in realtà apportare altro che la nostra preferenza, selezionando quella tecnologia che più ci attrae?

Anonimo ha detto...

oratore ritiene che affrontando i temi del nostro blog bisogna chiarire a se stessi :
se si vuole fare il fotografo
oppure
se si vuole capire la Fotografia, per riconoscerla quando la si incontra e per goderne.
Nel primo caso bisogna ricordare un aforisma di Armstrong : se devi chiedere che cosa e' il jazz, non lo saprai mai
cioe' :
Fotografi si nasce, non si diventa scoprendo chissacche'.

Nel secondo caso, oratore suggerisce di tenere a mente che la verita' sta in fondo ad un secchio sfondato, come diceva un monaco buddista; lo stesso monaco che direbbe oggi alla stranamente astiosa haku :
L'illusione fondamentale dell'umanita' consiste nel supporre che io sono qui e tu sei li'.
Oratore ringrazia dell'occasione fornitagli per sgretolare qualche altro muretto.

:: haku :: ha detto...

@ oratore
è bizzarro, oratore, tu ti sia sentito chiamato in causa personalmente più dove non lo eri esplicitamente che dove lo eri dichiaratamente.
oltretutto "la voce" non identificava biecamente un solo autore di post. e non avrebbe avuto senso fosse esclusivamente riferito a te, avendo letto tutti gli interventi. ma se ti piace chiamarti "the voice", credo sia divertente tu lo faccia, dal momento che un oratore è la sua voce :-)

... terrei a precisare che sgretolare era chiaramente riferito al tentativo di costruire un percorso di consapevolezza e non ai muri da attraversare, citati altrove.
probabilmente mi spiego molto male. e me ne dispiaccio, scusandomi.

per quanto riguarda la seguente frase saggia e verissima invece, di cui ringrazio oratore: "L'illusione fondamentale dell'umanita' consiste nel supporre che io sono qui e tu sei li'" (che dev'essere di Yasutani Roshi) mi pare corroborare esattamente la mia stima per chi come Iovine, non si chiude nella presunzione di essere qui o lì, e almeno tenta di offrire quello che VEDE, rendendosi conto che in senso etico la frase del monaco è da onorare ad ogni respiro, ma purtroppo lavorando in questo campo e volendo portare un messaggio o volendo e-ducare, prendendo per mano, ci sono sempre due parti per quanto fastidio questo possa dare... per quanto il maestro di spada di fronte all'avversario, osservandolo lo rispetti perché egli stesso, l'avversario, lo sta istruendo... per quanto sia così, essi sono fino allora da due parti opposte.
e tornando a noi, solo la consapevolezza di entrambe le parti permette lo scambio, altrimenti succede esattamente quanto si continua a lamentare. non-comunicazione. a me pare qui qualcuno cerchi di aiutare a costruire consapevolezza, che sarebbe poi equivalente ad avvicinarsi da qui e lì, allontanandosi dall'«illusione fondamentale dell'umanità».

ma una cosa è chiara dal post di oratore nella pagina sul Photoshow.
ad oratore non pare cosa da fare portare (di forza) la fotografia al cosiddetto grande pubblico... anzi testualmente «alle masse»... e ti dirò, oratore (sei un po' flusseriano in questa posizione) che a priori posso essere profondamente d'accordo con te, ma che c'è un circuito che ci obbliga oggi a cercare di portare a tutti (a me per prima, insisto) qualche strumento in più per leggere le immagini, poiché altri (media più potenti) provvedono alla «imposizione della cultura fotografica»... che è non-cultura in questo caso, e sono certa che sei d'accordo: tu stesso dici «E' una ipocrisia degli organizzatori che vogliono vestire gli abiti dell'educatore di masse.»

a questo punto, però, per amore di coerenza (e non ne ho molta) qualcosa non mi torna, dunque ti chiedo di spiegarmelo, se vorrai.
oratore, tu ricordi gli insegnamenti del monaco,
ma contemporaneamente ammetti di dire:
- «E' sbagliato che entro tale manifestazione si allestisca una mostra fotogafica, e' assolutamente fuori luogo»
- «I luoghi per le mostre, quindi per la cultura, sono altri; altri i modi e i tempi, nonché il tipo di pubblico»
- «alle masse»

questo non è separare in «io sono qui e tu sei lì»?

p.s.
chi sono le masse?
io sono le masse.

Anonimo ha detto...

ho lasciato da molto tempo i banchi di scuola, pertanto, quando leggo pagine che mi interessano, mi rimangono i concetti, e spesso non so citare la provenienza per mancanza di memoria per i nomi e i titoli dei libri, e perche' in fondo non mi interessa piu' chi abbia detto questo o quello, una volta che ho fatto mio il concetto.
Citare sempre alimenta insicurazza, quasi cercassimo consenso sulla base della autorevolezza della fonte.
Forse per tal motivo oratore ha questa dannazione, che quando parla da' impressione che non ammetta repliche ; oratore parla quando e' convinto di una cosa, pur sapendo che puo' umanamente sbagliare e ricredersi; oratore si incazza quando gli si replica non con argomentazioni costruttive bensi' con giudizi formali e superficiali. oratore e' contento quando gli si dimostra l'errore con argomentazioni costruttive, ovvero quando altri esprimono la loro opinione senza voler prevaricare ad ogni costo.
oratore si rincazza quando legge 5 0 6 commenti ad un editoriale del Direttore che ripetono pedissequamente il contenuto del testo senza apportare niente di proprio, di originale, inanellando solo piagnistei.
Ringrazio haku, che vorrei conoscere di presenza perche' mi apppare persona sempre piu' interessante ( delle 2 l'una : o entreremmo in sintonia o ci prenderemmo a legnate ) che mi da' opportunita' di chiarire la mia opinione su quel pensiero zen.
Del "qui 0 lì " mi interessa questo, che qui e lì non sono per me due piani etici contrapposti, ma soltanto essenza di due percorsi diversi. Quindi non posso dire a uno : tu sei lì e percio' io sono diverso e migliore in quanto sto qui. Posso solo dire che i nostri percorsi sono differenti, e non esiste una possibilita' di confronto che premi aprioristicamente l'uno o l'altro di noi. E allora intendevo esprimere meraviglia per l' attacco a Luisa, che non ha bisogno di difensori perche' sapra' spiegarsi da se', ma che faceva di tutto per esprimere una sua sensazione senza sminuire nessun altro partecipante al blog; cosicche', non condividere suoi punti di vista non significa necessariamente attaccarla come se fosse una scema e ignorante, o arrogante, porre appunto le distanze da qui a lì.
E poi :
massa non e' detto che sia sempre termine dispregiativo o discriminativo : massa e' il numero di persone, statisticamente rilevante, che si comporta seguendo certi modelli in base a certe abitudini e convinzioni.
per cui
chi e' interessato alla tecnologia , alle modelle in abiti succinti e ai milioni di megapixel deve continuare, se lo soddisfa, se non fa male a nessuno, ad andare a manifestazioni tecnologiche e commerciali. E' inevitabilmente la massa. Perche' e' la maggioranza, non silenziosa ma rumorosa e danarosa o perlomeno dispostissima a spendere. Chi invece ha interessi diversi, culturali e formativi, vada altrove, dove puo' trovare strumenti di affinamento culturale e dove puo' confrontarsi sullo stesso piano con altre persone, nella dinamica tra posizioni, tesi e convinzioni.
Grazie eturus
per aver dato esempio di commento equilibrato e pertinente.

:: haku :: ha detto...

ho letto volentieri la replica, oratore, trasparente. un saluto.

Anonimo ha detto...

Bella domanda!!!
Ho un vago sospetto che sono pochi, però l'argomento è stuzzicante e
merita di essere approfondito.
Secondo me il tutto inizia ancora prima di prendere in mano la fotocamera.
Cosa ne pensate???

luis@ ha detto...

come purtroppo mi aspettavo,sono stata fraintesa,haku ha letto il tutto in una chiave polemica ,che sinceramente non c’era proprio,c’era invece il tentativo di arrivare al discorso con un linguaggio di sicuro meno altisonante e sofisticato…tra l’altro io per prima ho ammesso di essere questa la prima volta che partecipo ad un blog mi dispiace che il mio ingresso nella discussione sia stato così di disturbo….ma il blog non dovrebbe essere una discussione libera su di un tema?
Dalle parole di haku si evince chiaramente il mio andare fuori tema….ma ne siamo poi così sicuri?
Io ho letto il libro di flusser e ho voluto porre in discussione semplicemente quello che ha suscitato in me (intesa come persona che crea immagini)sbagliavo forse nel sentirmi chiamata in causa?
Qui sarebbe interessante riportare il discorso sul concetto di massa di cui si parlava nei precedenti interventi…ma non voglio perdere il filo logico,che nel mio caso è già fin troppo sottile:)
Flusser è un filosofo che esamina e teorizza le reciproche influenze tra lo strumento tecnologico e la volontà di colui che lo usa,ma lo ha esaminato come un filosofo può fare…il che mi pare normale
Io invece analizzo il problema nell’unico modo in cui Io possa farlo ,cioè come una fotografa di ricerca(si è così che mi si considera)se questo significa andare fuori tema …ok non discuto ma una discussione chiusa solo su 2 o 3 puntelli di avvio su cui si torna e si ritorna che discussione è se non una dissertazione sterile?mi dispiace che il mio “essere illuminata” (espressione che io mai avrei usato per definire né me né oratore )venga inteso come presunzione…specie su una prerogativa che mi rende più sofferente che ricca…ma questa è un’altra storia...non mi se ne voglia per i miei limiti credo nonostante essi di poter dire la mia...sbaglio?:)

luis@ ha detto...

dimenticavo
per sentire fotografico io intendo esattamente quello che vuol dire: io facendo o guardando fotografie io provo sensazioni che solo nel tempo ho trasformato in una capacità cioè quella di trasmettere con esattezza quello che provo nel momento in cui progetto,vedo,scatto,incontro una immagine fotografica
giusto per chiarire ciò che intendo quando parlo di "sentire fotografico"...

:: haku :: ha detto...

@ luis@
... e spero la dirai ancora la tua, esattamente come hai fatto in questi ultimi due post. trasparente...
ti ringrazio per la pacatezza dell'intervento, luis@. la apprezzo molto.
spero sopporterai di essere stata fraintesa, come tu dici.
senza che diventi questione personale mi permetterete di rimanere della mia idea.

come te credo che un approfondimento sul concetto di massa sarebbe interessante e mi pare lo stiamo accarezzando ad ogni pagina; gettiamo un tocco e ce ne discostiamo. anche questo meccanismo è interessante.

per quanto riguarda il cercar di rimanere nel tema proposto, mi trovo a ripetere quanto già scritto: l'ho fin dall'inizio ritenuto una forma di rispetto per chi occupa il suo tempo per proporre e preparare il tema.
e dal momento che di solito non sono argomenti esauribili in due battute, il rispetto del tema mi pare semplicemente sacrosanto, per provare a raggiungere insieme una riflessione un minimo organica.
e la difficoltà di rimanere in tema è particolarmente stimolante.
è un esercizio di messa a fuoco...
di autocritica.
un esercizio di concentrazione. di non dispersione.

ma devo dedurre il mio atteggiamento sia invece un limite, persino una forma di ottusità, forse.
allo stesso modo devo dedurre essere un limite non raccontare granché di se stessi per portare un'opinione;
concordare con chi propone gli argomenti del blog e non contestarne le considerazioni;
e infine citare le parole di altri (ritenendo le proprie più deboli e pressoché insufficienti come già detto altrove) e riconoscendo loro quella che si chiamava l'auctoritas. L'autorevolezza di chi ha lasciato detto per primo quella cosa, permettendoci di salire sulle sue spalle per cominciare a guardare da un punto più alto.

ma questo post... sta scivolando fuori tema.
a presto.

luis@ ha detto...

e scivoliamoci fuori tema...perchè no? infondo se la discussione di partenza ci ha portato insieme e sottolineo insieme a valutare le nostre posizioni e i nostri limiti. se la discussione su flusser ci ha portato a valutare concetti come "limite" e "massa"
accogliamoli nella nostra discussione... sono d'accordo con haku che in tutti i post sembra esserci la voglia di parlarne ma che tutti li sfioriamo senza approfondimenti....è troppo se vi chiedo di accogliere una simile provocazione vi chiedo PERCHE'?PERCHè c'è questo freno in tutti a questo punto... mi chiedo se chi ha preparato la discussione si dispiacerebbe di questo risultato? sono sicura che haku e oratore non si tireranno indietro davanti a questa domanda...e la mia speranza sarebbe che nessuno si tirasse indietro a questo mio PERCHE'
io insieme a voi me lo sto domandando;)

Anonimo ha detto...

A scuola si usciva fuori tema se nello svolgimento di un componimento su chesso Leopardi, nel fare il confronto con la poesia a lui contemporanea uno finiva per parlare di piu' e piu' compiutamente di altro poeta.
Ma qui stiamo parlando de photographia, e tutto quello che riguarda la fotografia, seppur in un gioco di rimandi di repliche e di divagazioni, non e' secondo me fuori tema. Non siamo ad un variety di quiz dove la risposta e' una e una sola.
E poi, l'ho gia' detto altre volte, tutti gli argomenti-pretesti proposti dal Gran Maestro hanno un filo conduttore, che volenti o nolenti dobbiamo riconoscere.
Se qualche volta si scantona , si esce fuori tema, e'per il fatto che la fotografia abbraccia tanti sistemi della "galassia umanita' ", ed e' quindi logico che prima o poi si parta per la tangente lasciando lontano il nocciolo.
Sarebbe semplice e comodo se ogni aspetto del nostro pensare isimulasse una cassettiera dove si conservano, ciascuna cosa nel suo cassetto, lettere, bulloni, fiori secchi, libri, cioe' cose distinte e separate e per niente interagenti. ( ma anche in quel caso, se il proprietario della cassettiera vi conserva quella accozzaglia varipinta, un filo comune deve pur esserci, nella psiche del proprietario della cassettiera, e siamo daccapo a celebrare le contaminazioni ).
E poi ancora, perche' fuori tema se si parla sempre di fotografia; un dialogo, anche se virtuale, cioe' a distanza, e' altra cosa da leggere uno cento libri, e' il vissuto di una certa realta' concettuale da parte di ognuno di noi.
e blaabla adesso veniamo al dunque.
Vi trema, a tutti voi, il fondoschiena ad ammettere quello che avete sulla punta della lingua ; quello che vorrebbe erompere dalle budella; quello che tutti sentiamo nei confronti dell'"uomo qualunque", dell'uomo della strada, dell'omino ignorante e beota della porta accanto che sta sempre incollato davanti alla tv ; vi fa paura ammettere che il fatto stesso di partecipare a questo consesso erudito traccia un solco di separazione dai deficienti che sbavavano davanti alle modelle al photoshow; ho capito bene?
noi siamo gli eletti e gli altri la massa?
e ditelo allora, ne discuteremo meglio poi.
Certo, dico io, beato il povero di spirito, che non sa che farsene di flusser, che se sente parlare oratore, haku o luisa esclama : so' ragazzi... beati i poveri di spirito, frase che non perdono a chi l'ha detto, perche' mi fa sentire dannato ogni volta che cerco di scovare qualcosa oltre l'apparenza, ogni volta che mi pongo domande, dubbi, ogni volta che non accetto l'evidenza propalata e sospetto l' esistenza di altro di non detto finora oltre il gia' detto.
scatenatevi, parlate liberamente. scalate la montagna . tanto, la verita' che troveremo sulla montagna e' quella che ci porteremo dal basso, come diceva un mio amico cugino di Roshi, il monacone amico di haku.

luis@ ha detto...

si oratore,grazie per l'incoraggiamento,ma anche tu non hai rispotso alle mia domanda e io te la ripropongo a bomba..perchè davanti a concetti come "massa" e "limite" tutti qiuanti io compresa ci limitiamo a sfiorarli e non a prenderli di petto dicendo apertamente quello che significano per noi?
r,s.v.p.

Anonimo ha detto...

a bomba :
nel mio lavoro sono allenato ormai a prevedere le mosse altrui, e a prevedere che altri possano essere di volta in volta imprevedibili. Sono allenato a prendere decisioni immediate, che talvolta si discostano da protocolli e linee guida ma che ben si adattano a situazioni contingenti. Coagulando l'esperienza relativa a successi ed insuccessi, a minchiate effettuate e a folgoranti intuizioni, assumo quindi protocolli personali che tengono conto delle caratteristiche dei collaboratori di cui mi devo servire al momento, perche' io ho solo 2 mani, 2 gambe, e una testa in certi casi vacillante per lo stress, per cui c'e' sempre il momento che devi fidarti di un aiuto e collaborazione.
Nel momento in cui svolgo le mie funzioni, gli utenti sono massa, che ha si' i suoi diritti, ma si comporta sempre, nelle situazioni critiche, nella maniera meno opportun per ricevere l'aiuto che io devo fornirgli istituzionalmente : perche' non sanno come stanno le cose, perche' ragionano come se ci trovassimo in Svezia, o in chissa' quale paese progredito. Sono massa, nemici, perche' pronti a pugnalarti, a denunziarti per 4 soldi che un qualsiasi avvocatucolo del piffero gli promette se sporgono denunzia contro l'Ente, tanto paga lo Stato, non sapendo che poi l'Ente si rifa' sui singoli dipendenti. Sono massa ignorante e nemica, di cui ti interessi per coscienza professionale, e poi per dovere , non illudendoti di essere mai ringraziato.
E so pero' che ci sono quelli che capiscono, lo vedi da un battito di ciglia, da un ammiccare repentino, che capiscono e ti aiutano, fidandosi se gli hai dato fiducia.
Tutto cio' maciullandomi la mucosa gastrica, ma senza recriminare piu' di tanto perche' questo lavoro e' stata una scelta libera.

Se ho una minima cultura, considero massa ignorante tutti quelli che dicono "portoneria" anziche' portineria, giustificando arrogantemente il termine erroneo da loro usato perche' : " portone = portoneria, se fosse portina sarebbe portineria"
e cosi' via. Sono massa ignorante, che va a votare e ai referendum si esprime su leggi difficili da comprendere per me per tutti i loro risvolti pratici, che, se non si e' addetti ai lavori, non si comprenderanno mai.
Mi dispiace, non e' razzismo, ma realismo, sono massa incolta e pericolosa. E lo affermo pur conoscendo persone senza istruzione ma che per educazione familiare e per buona disposizione d'animo sono le migliori che conosca, capaci di trasmettere valori importanti a tutta la loro famiglia.

Parlando di fotografia, siccome io sono un fotografo della domenica, ( e faccio anch'io foto di tramontini, girasoli e papaveri, non ancora gondoledivenezia perche' non ci sono mai stato, e illo tempore tette al vento ) ,ma amo la Fotografia, considero massa ignorante quelli che ritengono bella una loro foto perche' ha colori vividi e nitidezza, e me la sbattono sotto gli occhi come esempio di buona fotografia artistica, da primo premio. Mi dispiace, sono massa, sono il panorama fotodilettantistico nazionale, fermo restando che anche a livello professionistico vedo gente simile;
poi sono massa ignorante i fotografi impegnati, istruiti, socialmente impegnati, che fanno solo foto in biancoenero, e fotografano solo facce di persone, riprese col 35 a 2 cm di distanza dal naso, per cogliere l'essenza dell'anima del loro prossimo. Quelli che fotografano la gente del popolo da mane a sera, convinti di aver capito i disagi della societa' fotografando i bambini vestiti di stracci le facce sporche, le facce piene di mosche dei bambini dell'Africa ecc. Sono massa incapace e ignorante, ma convinta di fare reportage sociale. Io da un ritratto in primo piano di una persona, anche se colto al volo e non in posa, non traggo conclusioni, abituato come sono a vedere che la prima impressione non dipinge un'anima, che per conoscere una persona o la sua classe sociale necessita ben altro.

Direte : sono nel mio campo un buon professionista? no, sono solo in buona fede. ho il segreto della buona fotografia ?
NO ; se sapessi fare foto decenti, sarei in giro a fotografare, non qui seduto a scrivere minchiate.
Mi accontento di cercarle le buone foto, che sono quelle che mi danno subito un'emozione, che mi fanno riflettere, porre domande, in cui riesco a leggere i sogni miei e dell'autore.
Sono le mie idee, e non le cambio, ma sono pronto ad ascoltare tutte le altre voci del coro.

luis@ ha detto...

io che in genere faccio una fatica dannata a seguire i tuoi ragionamenti com'è che questo tuo ultimo post l'ho letto tutto d'un fiato quasi commuovendomi???
attenzione...non credo di pensarla come oratore al 100% perchè questo è impossibile per vita, esperienze e dinamiche familiari e sociali diverse...ma allo stesso modo ho bevuto le sue parole con la semplicità con cui sembra l'abbia scritte...non posso ceh rispondere con un sorriso aspettando di avere il tempo per presentare la mia idea di massa e limite.

Anonimo ha detto...

abedducori, luisa, liberati, estrinsecati.
ma qualcuno che ha letto mi fa notare che cado in contraddizione : definendo nei miei termini la massa, pare che distingua tra posizioni, il famoso qui o lì.
pregasi rileggere il mio terzultimo contributo, e si capisce che tuttosommato io non faccio una distinzione imprescindibile, ogni percorso e' appunto un percorso, se diverso dal mio non mi metto in contrapposizione superba ne' in gara, ma ognuno per la sua strada : cioe' non devo per forza far smettere di guardare le stronzate di reality a chi ne va pazzo. Al contempo, se qui siamo bene o male d'accordo, e dimostriamo tutti di voler crescere culturalmente, anche se ognunoparte per motivi anagrafici o altro da livelli differenti, e' stupido beccarsi, e volere prevaricare
tutto qua.
Pero'
chi fotografa tramontini e girasoli e nipotini giri alla larga, ragazzi spazzola e lasciateci lavorare.

luis@ ha detto...

Devo dire,invero, che l’idea di massa mi fa piuttosto paura…non riesco a pensarvi in veste di mio prossimo…purtroppo per massa io definisco una specie di esercito senza comandanti ne obiettivi che gira armato fino ai denti e che spara all’impazzata …senza curarsi di chi perisce sotto i suoi colpi. Logicamente io non mi sento parte di esso ..ma non per senso di superiorità semmai è il contrario temo di non essere riuscita a superarne la visita di leva. Perdonate l’uso smodato di metafore,ma per chi ,come me, non ha una grossa facilità nello scrivere,descrivere un’immagine è più facile e arriva prima allo scopo in più è anche divertente. Dal punto di vista della fotografia invece devo dire che la massa è in tutti i sensi una gran rottura di palle…scomoda e dispersiva come soggetto,un muro di cartone come fruitore…che assorbe tutto quello che gli si versa addosso fino a che collassa nella struttura e si sfalda cedendo miseramente.
Io mi sento un individuo e quindi credo sia normale che la massa mi appaia come un antitesi…un opposto invalicabile proprio in quanto tale.
Devo dire che il concetto di limite mi affascina molto di più…sarà perché nel momento in cui ti ci avvicini è il momento in cui si riesce a tirare fuori il meglio che si ha per superarlo ,anche se poi non ci si riesce si capisce di come anche un limite possa diventare un punto di forza …questa è un po’ la morale del mio far fotografie,ed è quello che mi rende trasparente il muro di cui si parlava con haku nei post precedenti….inoltre questo è il punto dal quale è partita la mia discussione in questo blog …forse chi legge quest’ultimo mio post si può rendere conto di quanto un’interdipendenza tra mezzo tecnologico e utilizzatore dello stesso mi sembra ovvia…e ve lo dice una che ha dato un nome a tutte le sue macchine fotografiche e che a volte è convinta che non vada a loro di scattare…ma solo perché percepiscono che sono io a non sentirmi in vena e non vogliono darmi un dispiacere…:)tralasciando le facezie infantili…io non ho mai subito la tecnologia come un limite perché non lo è sono altri i limiti che cerco di superare nel mio fare fotografia. L’indifferenza,l’omologazione,il preconcetto,la banalità…questi sono per me i limiti cui mi spingo vicino per capire in che modo superarli e forse un giorno in una mia foto riuscirò a dire tutto questo…io ci sto lavorando….chissà!
Io la mia l’ho detta, come oratore prima di me, adesso aspetto che qualcun altro,si faccia avanti per superare questo,chiamiamolo, “freno concettuale” che bloccava la nostra discussione sempre sul quasi detto o sull’appena accennato.
Coraggio!! Buttatevi!!
oratore che mi dici va bene così libera o è troppo?
saluti a tutti:)

Anonimo ha detto...

of course it's ok luisa, te lo scordi forse che le tue cose sono sempre in 3 lingue su quel www...... ?
il limite
e' una di quelle cose su cui non so scrivere di getto, stavolta ci devo pensare, e non so se esce alcunche' di chiaro prima di tutto per me.
in senso generale vedremo.
in fotografia, di primo acchitto penso che, siccome Fotografi si nasce, come te, e lo si scopre poi, l'idea di limite non esiste. Si pensa ai limiti quando non si fotografa sotto l'urgenza di farlo per esprimersi, come cantare sotto la doccia, ma si fotografa sforzandosi di "produrre" cose ...

luis@ ha detto...

ti ringrazio oratore per quello che tu sicuramente mi dici con stima e affetto,ma in realtà il mio nascere fotografa non è di gran lunga lontano dal nascere con una tara...il continuo struggersi per comunicare come vedi il mondo che ti spacca il cervello fino a che non scopri di riuscirci attraverso la macchina foografica,ma il sollievo durta poco perchè subito dopo ti angosci per difendere il tuo messaggio al di sopra di un sistema di cose per il quale l'espressione personale non esiste...se non vincolata e a mio parere corrotta da interessi commerciali o peggio ancora modaioli...per questo in un testa come la mia l'idea di limite è molta chiara poichè quelli con cui sono nata li affronto o ci convivo ma con quelli che strozzano il mio modo di essere e di pensare in un panorama in cui mi sarebbe piaciuto avventurarmi...beh quelli sono un'altra cosa...bisogna prima conoscerli a fondo avvicinandoli senza forzarsi nel superarli oppure si finisce per esserne inghiottiti.questo il motivo per il quale io faccio foto solo quando soffro troppo a non farle.
perdonatemi lo sbrodolamento di parole ma mi interessava chiarire il concetto accennato da oratore dato che mi definisce come una fotografa nata,ci tenevo a chiarire la mia condizione.mi interesse sapere cosa intende oratore quando dice "produrre cose"non capisco se c'è un tono dispregiativo o al contrario

Anonimo ha detto...

te lo spiego
se fotografo spinto da un desiderio interiore, un'urgenza di esprimermi nona parole ma con immagini che sappiano valere universalmnte + di mille parole, imito, raffiguro, rappresento miei pensieri o emozioni.

se invece voglio ottenere immagini che abbiano la parvenza di espressioni interiori, seguendo una moda compositiva o una tecnica particolare, allora produco, realizzo un manufatto, che resta artificiale perche' non sentito veramente, ma appunto prodotto in malafede.
esempio
se invidio Zizola per le foto che riesce a fare, e vado in africa o a casadeldiavolo fregandomene della realta' che trovo, ma solo cercando segni di sofferenza per portare a casa un bel reportage impegnato, e li fotografo, non "parlo" con le mie immagini, ne' a me stesso ne' agli altri, solo produco immagini per la massa dei cretini

Anonimo ha detto...

dimenticavo
dobbiamo aiutarci vicendevolmente a non essere tra i cretini che se la bevono, per potere sbuttanare i furbi falsi profeti. Si dovrebbe, ad ogni mostriciattola in ogni citta', portarsi dietro dei timbri con cui lasciare un segno sulle pareti, per lasciare scritto : cretini siete stati sgamati.
ma poi Luisa, che te ne frega del mondo che hai di fronte fatto di incapaci fotografi: se hai intenzione di sfruttare il tuo talento fotografico per campare e diventare famosa, segui il mio consiglio a quel fantomatico Mario creato da Sandro, vatti a rileggere i commenti di Aiutami a trovare qualcosa di buono.
se fotografi per te stessa, che importamza ha la moda e la societa', non ti basta la cerchia ristretta di quelli che ti capiscono?.

Anonimo ha detto...

pero' parlo sempre e solo io e mi sta scocciando
adesso silenzio stampa per 1 mese cosi' tirate un sospirone di sollievo arrivederci fra 30 gg.

luis@ ha detto...

se mi bastasse non avrei definito la fotografia come una tara e riuscirei a godere solo di quel che faccio...ma l'essere umano non è perfetto e desidera sempre di più ...perchè dovrei fare eccezione io?specie quando i miei desideri non riguardano la moda ma la società si...che male c'è nel sognare di essere capiti sempre da un maggior numero di persone,se non il male che mi auto infliggo rimanendo inevitabilmente delusa?

Anonimo ha detto...

Mi inserisco con tono vagamente scanzonato: Foto Club Lucinico... credo abbia intuito bene: il problema inizia prima di prendere in mano una macchina fotografica. Molto prima...
Battute a parte, si potrebbe pensare di fare come August Strindberg, almeno per un po', e fotografare senza macchina...
Ho rischiato che dei pazzi mi mettessero in manicomio perché fotografavo il cielo senza apparecchio, né obiettivo.

MISTYLE ha detto...

al giorno d'oggi tutti possono avere una fotocamera grazie all'era digitale. molti lo ritengono un fatto negativo ma io non sono del tutto d'accordo.

cioè

con il digitale la parte puramente tecnica è alla portata di tutti (parlo di stampa e fotoritocco) e questo credo penso porti a osservare maggiormente i contenuti di un immagine e le sue connotazioni.
se la maggior parte della gente è stupida e si fa schiavizzare dalla tecologia pensando che avere una reflex uscita un mese fa, renda una persona un fotografo doc peggio per loro. non andranno mai da nessuna parte...e chi invece sfrutta la tecnologia per comunicare qualcosa in modo sensato e coerente allora ha più probabilità di uscire fuori.

e penso che tra qualche anno ci sarà uan netta divisione tra le due parti, chiara e ben visibile.

discorso egoista lo so

:)

Salah al-Din ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Dario Corso ha detto...

Ha senso andare a pescare un vecchissimo post, leggere tutti i commenti e poi dare la propria versione? Credo di si. Credo di si perchè rispetto al 2007 è passata molta acqua sotto i ponti della tecnologia ed adesso i Milioni di MP si buttano via, come i punti di messa a fuoco, come i bit per canale, come le aperture di diaframma e i trattamenti delle lenti.
Poi però scopri che il tuo stampatore, per limite tecnico suo o delle attrezzature che usa, trova le informazioni dei tuoi file da 30 MB eccessive!
Forse la tecnologia è andata così avanti da superare le umane comprensioni e tutto è veramente eccessivo. Forse è solo un esercizio di stile per le competenze ingegneristiche di qualche cervellone nipponico.
Ma se mettessimo il confronto tra: vorreste mangiare un pranzo tutto a base di surgelato o precotto, oppure, tutto a base di cucina genuina della nonna penso che in pochi sposerebbero la tecnologia.
E allora non dimetichiamoci mai che se avere dei surgelati in frigo può fare comodo, è doveroso sapere come si cucina ed ogni tanto andare a trovare la nonna!